LATONA
Dea celebre nella religione classica soprattutto come madre dei gemelli Apollo e Artemide. Il nome Λητώ (dor. Λατώ, etr. Letun, lat. Latona) viene oggi comunemente riferito al temiine licio lada "donna" risalente con ogni probabilità allo strato linguistico pregreco; mentre alla medesima età preellenica si suole attribuire l'origine della figura mitica di L. In realtà è probabile che L., nel mondo preellenico, fosse, come Cibele, una dea delle forze vegetative e dei misteri sotterranei, alla quale andava unita in qualità o di sposo o di figlio una divinità maschile (Apollo). Gli studî più recenti tendono a confermare che la coppia Latona-Apollo venisse ai Greci dalla Licia e si arricchisse della figura di Artemide soltanto in età più recente, quando cioè Artemide, da dea madre quale essa era in origine, acquistò il carattere di dea fanciulla. A ogni modo, passata nella Grecia, la figura di L. cominciò a impallidire accanto alle personalità mitiche assai più vive dei suoi figli, e solo rimase in essa, ben distinto, l'elemento della sua divina maternità, il quale appare in numerose leggende, aventi quasi tutte come loro centro Delo. Il primo racconto della nascita di Apollo si trova nell'inno omerico ad Apollo Delio. L., resa madre da Zeus, cerca un luogo dove dare alla luce il fanciullo, ma le terre dell'Egeo, per timore del dio che dovrà nascere, la respingono tutte, a eccezione di Delo; dove, sulle rive del lago di Inopo, e presso la famosa palma, confortata dalle dee dell'Olimpo, L. diviene madre di Apollo. Solo Era, la terribile gelosa, mancava: motivo - questo della gelosia - che fu ripreso e ampliato da altri poeti (così da Callimaco nel suo inno a Delo) per descrivere le persecuzioni che L. ebbe a soffrire dalla sposa di Zeus. Altrove, alla palma della più antica tradizione si trovano uniti l'olivo e il lauro. Nell'inno omerico non si parla ancora di Artemide; più tardi, infatti, si formò il mito della nascita delia di Artemide, mito, peraltro, che non mancò mai d'incertezze e di contestazioni. Il luogo di nascita di Artemide, secondo un verso interpolato nell'inno omerico (v. 16), era Ortygia, luogo non identificabile con sicurezza per essere il nome assai frequente nel mondo greco. Ma i sacerdoti di Delo identificarono Ortigia con la loro isola: identificazione che compare per la prima volta in Pindaro, e fu origine di altre leggende basate sopra il significato etimologico della parola (da ὄρτυξ = "quaglia"). Tale il mito relativo alla sorella di Latona, Asteria, che, amata da Zeus e però perseguitata dalla gelosia di Era, sarebbe stata mutata in quaglia e poi in un'isoletta rocciosa (Delo); quello di L. stessa che giunge a Delo in forma di quaglia, e altri ancora. Altri santuarî apollinei e altre regioni rivendicarono a sé la nascita di Apollo, cercando di contaminare in proprio favore la tradizione delia. Così Delfi voleva che L., quattro giorni dopo la nascita dei gemelli, fosse venuta lì, dove Apollo avrebbe ucciso il serpente Pitone, il quale per comando di Era aveva già cercato, a Delo, d'impedire il parto di L.; così gli Attici spiegavano il nome del promontorio Ζωστήρ, raccontando che L. avrebbe lì, nell'imminenza del parto, sciolto la sua cintura (ζώνη), per poi raggiungere Delo attraverso il capo Sunio con la guida di Atena; così Tegira in Beozia e via di seguito. D'altra parte, poi, all'epiteto assai diffuso di Apollo, Lykeios, deve essere collegato il mito di L. che, in sembianze di lupa, si reca a Delo dal paese degl'Iperborei, e quello del suo soggiorno nella Licia, con relativa tradizione dei contadini mutati in ranocchi per avere impedito alla dea di bagnare nello stagno i due figli. Fra gli altri miti relativi a L. sono famosi quello di Niobe (v.), e l'altro del gigante Tityos, ucciso dai due gemelli per avere recato oltraggio alla loro madre.
Venerata più o meno in tutto il mondo greco, L. ebbe speciale culto, non tanto a Delo, dove la sua figura era oscurata da quella di Apollo, quanto nell'Asia Minore, suo luogo d'origine. Notevole è anche il culto di L. in Creta, e specialmente a Festo (L. Φυτία).
Le più antiche immagini greche di L. furono rozzi simulacri (ζόανα), uno dei quali sappiamo essere esistito a Delo, un altro a Olimpia; poi alla figura della dea dedicarono l'opera loro diversi scultori, soprattutto nel sec. IV a. C. Così sentiamo ricordare in varî paesi della Grecia statue di L., generalmente raggruppate con quelle dei suoi figli, e alcune eseguite da artisti insigni, quali Scopa e Prassitele. Rappresentazioni di L. e dei suoi figli continuano a esistere in età ellenistico-romana. Ma delle immagini di L. a noi pervenute il maggior numero si trova in monumenti dell'arte industriale, e specialmente nei vasi dipinti: monumenti nei quali L., spesso velata e incoronata senza attributi, appare in diverse di quelle scene mitiche cui si è accennato (nascita dei gemelli, inseguimento del serpente Pitone, strage dei Niobidi, uccisione di Tityos, ecc.). Nel "monocromo" ercolanese delle giocatrici di astragali (quadretto che dipende dall'arte attica del sec. V) compaiono L. e Niobe giovanette: in esso si può riconoscere, dall'espressione corrucciata di L., il principio di quello sdegno che riuscirà funesto alla rivale. La figura di L. non manca sugli specchi etruschi e sulle monete, greche e romane, di alcune città.
Bibl.: L. Preller-C. Robert, Griech. Myth., 4ª ed., Berlino 1894, I, p. 233; A. Enmann e B. Sauer, in Roscher, Lexikon der Griech. u. Röm. Mythol., II, col. 1959 segg.; F. Durrbach, in Daremberg e Saglio, Dictionn. des antiq. grecques et romaines, III, p. 928 segg.; O. Gruppe, Griech. Myth., Monaco 1906, p. 1248 segg.; A. B. Cook, Zeus, Cambridge 1914-25, passim; M. P. Nilsson, The Minoan-Mycenaean religion, Lund 1927, p. 444 seg.; Wehrli, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., Suppl. V, col. 555 segg.