LATONA (Λητω, Λατώ, etrusco Letun)
L., figlia del titano Koios e della titana Phoibe, è nota nella mitologia greca specie come madre di Apollo e di Artemide.
In origine era certamente una divinità autonoma, come si rileva dalla sua nascita dalla preolimpica stirpe dei Titani, anche se le sarà stato attribuito per tempo il carattere di divinità materna. Induce a supporlo lo stesso suo nome Leto, derivato forse dal licio lada (donna). Anche i suoi rapporti con Zeus, padre dei suoi due figli, dovevano essere originariamente assai più stretti che di semplice amante; perciò, quando Hera fu considerata l'unica consorte legittima di Zeus, si cercò di spiegare e giustificare quest'unione in vario modo. L'Iliade conosce già L. in funzione di madre di Apollo e di Artemide, e conosce pure la leggenda di Niobe; l'Odissea riferisce la leggenda di Tityos, a cui si attiene anche Esiodo nella Teogonia (v. 404 ss.); però il racconto dettagliato della nascita di Apollo viene descritto per la prima volta nell'inno omerico ad Apollo (3, 252); secondo questa versione la dea peregrinava di paese in paese, in cerca di un luogo dove partorire. Per timore del potente figlio che stava per nascere, i paesi tutti e le isole rifiutarono tuttavia di accoglierla. Finalmente Delo (v.) si dichiarò disposta ad accogliere L. a condizione che fossero su di essa collocati il tempio e l'oracolo del suo futuro figlio. L. s'impegnò con un solenne giuramento e Delo la ricevette. I travagli del parto durarono nove giorni; tutte le dee l'assistettero, eccetto la gelosa Hera. Mancava anche Ilizia (v.), trattenuta con astuzia dall'invidiosa Hera, ma Iris riuscì mediante un ricco dono, a condurvi anche Ilizia, dopo di che il divino figlio riuscì finalmente a vedere la luce (v. apollo). Tardi mitografi hanno adornato variamente nei particolari questo racconto, ciò nonostante esso rimase sino in età tarda la base delle leggende di Latona. L'interpretazione più libera è dovuta, più tardi, a Callimaco, che prese come tema centrale la gelosia di Hera. Fu Igino (Hygin., Fab., 140) a mettere in rapporto con la nascita di Apollo la storia, più tarda, del drago Pitone, raccontando che il drago venne ucciso dal fanciullo ancora in braccio alla madre. Venne altresì spesso posto in relazione con la propria nascita il delfico carattere lupigno di Apollo, perché la madre, per poterlo partorire, si sarebbe tramutata in lupa. Infine, fu sviluppata parallelamente alla sorte di L. quella dell'isola di Delo (già da Pindaro, Fr., 87 e 88): l'isola, come la dea, sarebbe andata vagando, finché dopo la felice nascita di Apollo sarebbe stata assicurata con quattro colonne al fondo del mare. In seguito l'isola fu identificata con Asteria, sorella di Latona. Tra tutte queste leggende ha assunto col tempo maggior importanza quella del drago Pitone: si immaginava che il drago fosse stato inviato dalla gelosa Hera e la scena di L. fuggente con i figli divenne particolarmente diffusa. Assai meno importante la nascita della figlia Artemide, che del resto venne certamente aggiunta posteriormente a quella di Apollo. Secondo varie fonti (già nell'Iliade e nell'Odissea) avrebbe avuto luogo in Ortigia, nome di località molto diffuso che forse in origine ebbe solo un significato mitico. Ne risultò che poi numerose furono le località che si ritenevano l'Ortigia delle fonti, sicché rimase sempre dubbio il luogo di nascita di Artemide. Delo avanzò già in lontani tempi la pretesa di aver dato i natali anche alla sorella di Apollo, ma solo in età ellenistica questa concezione andò sempre più diffondendosi. Oltre a Delo fu Efeso a sostenere con maggior accanimento di essere, in qualità di Ortigia, non solo il luogo di nascita di Artemide, ma anche di Apollo. L. oltre a figurare nelle leggende relative alla nascita di Apollo e di Artemide appare anche in altre due: quelle di Tityos e di Niobe. Caratteristica, pure in questo caso, la parte passiva assunta da L.; sono i suoi due figli che occupano il primo piano della scena: il gigante Tityos aveva assalito la dea che, sulla via per Pytho, traversava Panopea; venne quindi ucciso da Artemide, o da Apollo e Artemide, o dallo stesso Zeus, e inoltre punito agli Inferi; Niobe (v.), consorte di Anfione, re di Tebe, che si era gloriata, rispetto a L., della sua numerosa prole, venne punita da Apollo e Artemide, i quali con i loro strali le uccisero tutti i figli.
L. ebbe venerazione cultuale anzitutto in Asia Minore (Caria, Licia, Frigia, Lidia): presso lo Xanto sorgeva un Letoon; feste in suo onore, Letoeia, sono attestate a Hierapolis e a Tripoli anche da monete; a Efeso L. veniva venerata insieme con i suoi figli nel sacro luco di Ortigia; a Didima esisteva un suo culto; in altre città si trovarono rilievi votivi. Il culto di L. era diffuso anche nelle isole poste innanzi all'Asia Minore, Rodi, Coo e altre; tracce del suo culto si trovano anche a Creta. A Delo, che godeva la fama meno discussa di luogo di nascita dei suoi figli, si trovava un antico Letoon (Strabo, x, 485); ma in epoca posteriore il suo culto si fuse, come nel maggior numero di altri luoghi, con quello di Apollo e di Artemide. Sulla terraferma greca è attestata la presenza di immagini cultuali di L., per lo più con i figli, tra l'altro a Mantinea, Licone in Arcadia e Olimpia. Sono da cercare tra questi simulacri cultuali le prime rappresentazioni figurate di L.: ci è stato tramandato in modo chiaro che la sua immagine nel Letoon di Delo (Athen., xiv, 614, A) era di una rozzezza e di una semplicità arcaica, e la statua di L. con i figli, ricordata da Pausania (v, 17, 3) nello Heraion di Olimpia, sarà stata altrettanto arcaica. In epoca più tarda i massimi artisti hanno eseguito immagini cultuali di Latona. Secondo Pausania (ii, 24, 5) Policleto eseguì per Licone delle immagini di Artemide Orthia, di Apollo e di L., mentre quelle di Mantinea (viii, 9, 1) e Megara (i, 44, 2) erano opera di Prassitele. Secondo Plinio (Nat. hist., xxxvi, 24) una statua di L. di Kephisodotos (v. K., 1°), fu poi portata a Roma; forse è stata riprodotta sulla base di Sorrento. Secondo Strabone (xiv, 639 s.) Skopas eseguì il simulacro cultuale per Efeso: L. con scettro accanto ad Ortigia che portava su ogni braccio un bambino. Tutte queste immagini rappresentavano probabilmente L. in piedi, in atteggiamento tranquillo, come sulla base di Sorrento, con i figli o in qualche modo ad essi collegata; furono però eseguite anche statue che rappresentavano la dea con i figli in braccio o allo stato di riposo o in corsa. Secondo Clearco di Soli (Fragm. Hist. Gr., ii, fr. 318) una statua in bronzo di L. con i figli in braccio si trovava a Delfi e per Euphranor (v.) ci viene tramandata notizia di una Latona puerpera Apollinem et Dianam infantis sustinens, trasportata poi nel tempio della Concordia in Roma. Echi di queste creazioni si hanno su monete della Asia Minore di età imperiale e in due statuette marmoree nel Palazzo dei Conservatori e nel Museo Torlonia; vi si aggiunga anche il rilievo sull'altare sepolcrale di Luccia Telesina al Vaticano. Un frammento di una statua di L. è stato trovato a Delo. Rimane insoluta la questione del come si possano ricollegare questi riecheggiamenti con gli originali attestati dalla tradizione: i monumenti conservatisi contrastano senza dubbio per stile e per esecuzione con l'opera di Euphranor, che sarà più facile ritrovare nelle riproduzioni su monete. La creazione di questo gruppo si ispirava alla leggenda di L. fuggente davanti al drago Pitone. Effettivamente esistono altre rappresentazioni della scena nel suo complesso: una figura vascolare a figure rosse, nota solo attraverso un disegno del Tischbein, che rappresenta, accanto al gruppo divino, Pitone uscente da una caverna, oltre ad altre figurazioni vascolari che riproducono la scena in modo analogo. Una lèkythos a figure nere fa parte delle più antiche rappresentazioni, a cui vanno aggiunte una lèkythos a figure rosse di Berlino e il frammento di un rilievo fittile in Arezzo.
Tra le varie leggende fiorite intorno a L. venne probabilmente rappresentata più tardi delle altre quella delle sue peregrinazioni in cerca di un luogo ove mettere al mondo i suoi figli; questo avvenimento vien riprodotto: in una dettagliata scena a mosaico in Algeri che mostra L. in atto di discendere da Borea verso la natante Ortigia mentre Posidone minaccia il drago Pitone; su un sarcofago della Galleria Borghese il quale, oltre alle peregrinazioni, ci mostra l'arrivo di Ilizia e la presentazione a Zeus dei due pargoli Apollo e Artemide.
Vengono seconde per importanza le scene della leggenda di Tityos, che vanno dal rapimento della dea da parte del gigante, alla punizione del colpevole per opera dei figli sino alla liberazione; queste tre fasi sono più o meno strettamente collegate tra di loro. Su due metope dell'Heraion alla foce del Sele (v.) la narrazione è suddivisa in due scene: i fratelli tirano con l'arco e Tityos, ormai ferito al braccio da uno strale, porta via L.; su un piatto dell'Acropoli si vede Tityos che afferra per un braccio L. mentre Apollo punta su di lui l'arco. Tanto la celebre coppa del Pittore di Pentesilea (v.) a Monaco, quanto il vaso a figure rosse di Londra mostrano la dea accanto al gigante minacciato, mentre su un'idria ceretana del Louvre L., gesticolando, corre verso i figli in atto di tirare. Su alcuni di questi vasi è presente Gea, madre e protettrice di Tityos; recentemente è stato riconosciuto tra i vendicatori di Tityos lo stesso Zeus (anfora a figure nere, Villa Giulia). È stata accostata a questa avventura di Tityos anche la metopa di Apollo proveniente da Selinunte.
L. compare invece difficilmente in un'altra importante circostanza della sua mitologia: la scena con i Niobidi. La sua figura non è stata sinora rintracciata su rilievi dei sarcofagi e manca anche sui vasi attici a figure rosse; va perciò ricordato un vaso dell'Italia meridionale, ora a Napoli, ove si vede la dea seduta. Tanto più importante è perciò la nota pittura su marmo firmata da Alexandros di Atene nel museo di Napoli, che riproduce il dissidio sorto tra le giovani; L. e Niobe al gioco degli astragali e la riconciliazione tentata da Phoibe. Anche se i tentativi di derivare quest'opera da un originale del sec. V a. C. sono assai discussi, bisogna tuttavia riconoscere che il contenuto della composizione si basa su una concezione classica, anche se questa non la si può certo ricostruire con assoluta esattezza attraverso la composizione di Alexandros.
L. appare talvolta anche in altre leggende proprie a suo figlio Apollo: nella lite per il tripode (vaso di Andokides, Berlino) e nella gara con Marsia (rilievo nel Palazzo dei Conservatori e frammento di cratere a Bologna); la troviamo nell'assemblea degli dèi (garantita da un'iscrizione su un frammento di Sophilos, dubbia su un rilievo argenteo tardoantico, la cosiddetta Corbridge-Lanx); si suppone che si trovasse sul frontone orientale del Partenone; e finalmente essa partecipa, come tutti gli altri dèi, alla lotta contro i giganti (fregio dell'Ara di Pergamo, qui armata di una fiaccola, che non fa di solito parte dei suoi attributi).
Oltre a queste rappresentazioni, ne troviamo altre, in tutte le epoche dell'arte greca, nelle quali L. accanto ai suoi figli, assume un atteggiamento pacato: così in una delle più antiche metope di Selinunte, in vasi a figure nere o rosse, stante oppure seduta, spesso con corona e velo sul capo; talvolta le sta accanto Hermes. Alcune figurazioni presentano la madre e i figli uniti in atto di sacrificare (oinochòe a figure rosse, Taranto); su un vaso a figure rosse a Berlino Apollo è seduto sul grifone; altre volte è il leone che accompagna le tre divinità. Su un rilievo votivo dedicato dal figlio di Bakchios L. siede sul tripode tra i due figli, entrambi in piedi; seduta la riproduce anche un rilievo votivo del Museo Barracco a Roma.
Quasi tutte le rappresentazioni accentuano la dignità e maternità che spirano dalla sua figura; l'arte non ha sviluppato alcuna sua particolare caratteristica o qualche avvenimento che le sia proprio. Ricordiamo tuttavia il cratere del Pittore di Egisto (v.) al Louvre, che illustra il ratto perpetrato da Tityos e la liberazione ad opera di Apollo: gli strali tirati dal dio vanno a conficcarsi in un oggetto informe davanti al petto di L., che vuole indicare o la sua invulnerabilità o qualche circostanza a noi ignota della leggenda di Tityos.
Monumenti considerati. - Euphranor: in Forschungen und Fortschritte, 24, 1948, p. 2 ss. Prassitele: in Röm. Mitt., xxxix, 1919, p. 68 s. Base di Sorrento: in Ausonia, iii, 1908, p. 94, fig. 1; in Bull. Com., lx, 1932, tav. 3. Monete: M. Bernhart, Handbuch zur Münzkunde der röm. Kaiserzeit, tav. 10. Statuetta nel Palazzo dei Conservatori: H. S. Jones, tav. 85, fig. 31; Alinari 40907. Statuetta del Museo Torlonia: Museo Torlonia, n. 68; negativa Istituto Germanico 34.2003-4. Sepolcro di Luccia Telesina: Alinari 26950. Frammenti a Delo: in Bull. Corr. Hell., 1951, p. 132 ss.; 1950, p. 18 ss. Vasi con L. e Pitone: Roscher, ii, c. 1973, fig. 1; Berlino n. 2214: J. D. Beazley, Red-fig., 493, 8. Mosaico in Algeri: in Jahrbuch, v, 1890, tav. 5. Sarcofago Borghese: P. Gusman, L'art décoratif de Rome, i, tav. 48; negativa Istituto Germanico n. 37.1021. Tutte le rappresentazioni citate della leggenda di Tityos: in Jahrb. der Berliner Museen, i, 1959, p. 78, fig. 13. Metope di Apollo da Selinunte: in Röm. Mitt., 1939, p. 66 ss. Vaso di Niobe, Napoli: Heydemann, n. 3246; in Berichte der Sächsischen Gesellschaft, 1875, tav. 4. Tavoletta marmorea di Alessandro: Alinari 34122. Vaso con la lite per il tripode: E. Pfuhl, MaZerei und Zeichnung, fig. 314. Rilievo con Marsia, Palazzo dei Conservatori: H. S. Jones, tav. 29. Frammento di cratere, Bologna: in Röm. Mitt., xlvii, 1932, tav. 18, 1. Frammento di Sophilos: E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung, fig. 202. Corbridge Lanx: in Journ. Rom. St., 1941, p. 100 ss.; in Arch. Anz., 1955, p. 263. Frontone del Partenone: in Jahrbuch, lxxiii, 1958, p. 30 ss. Fregio di Pergamo: H. Kähler, Pergamon, fig. 21. Metope di Selinunte: Anderson 29292. Vasi con L. e i suoi figli: anfora a figure nere a Siracusa: in Not. Scavi, 1943, p. 49, fig. 15; E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung, figg. 317, 318; in Boll. d'Arte, xxix, 1935, p. 248, 2; L. e i figli che sacrificano: Mitteilungen des Deutschen Archäolog. Inst., v, 1953, tav. 1-3; oinochòe di Taranto: in Arch. Anz., 1956, p. 231, fig. 24. Vaso con Apollo sul grifone, Berlino: in Röm. Mitt., 54, '939, p. 73, fig. 4. Apollo, Artemide e L. con il leone: Revue Arch., 1950, p. 125 ss. Rilievo votivo di Bakchios: Alinari 24322. Rilievo votivo, Museo Barracco: Alinari 34918. Cratere del Louvre: Alinari 23679.
Bibl.: Enmann-Sauer, in Roscher, II, 2, p. 1959 ss.; Wehrli, in Pauly-Wissowa, Suppl. V, c. 555 ss.; S. Lambrino, in Arch. Ephemeris, 1937, p. 352 ss.; E. Bethe, in Hermes, LXXII, 1937, p. 190 ss.; U. Pestalozza, in Studi e materiali di Storia delle Religioni, 1938, p. 12 ss.; id., in Mem. Ist. Lombardo, XXIV, 6, 1938, p. 273 ss.; id., in Rendiconti dell'Ist. Lombardo di Scienze e Lettere, LXXI, 1938, p. 222 ss.; H. Gallet de Santerre, in Bull. Corr. Hell., LXXI, 1946, p. 208 ss.; id., in Comptes Rendus de l'Ac. des Inscr. et Belles Lettres, 1938, p. 294 ss.; id., in Revue Arch., IXL-L, 1957, p. 58 ss.; M. P. Nilsson, Cults, Myths, Oracles and Politics in Ancient Greece, 1951, p. 116 ss.; E. Secci, in Rendiconti dell'Ist. Lombardo di Scienze e Lettere, XCI, 1957, p. 803 ss.