BENUCCI (Benuccio, Benutio), Lattanzio
Nacque a Siena il 15 ag. 1521 da Mariano, nobile senese, e da Girolama Campana, donna colta e amante della poesia, di cui versi non spregevoli restano nel canzoniere del figlio. Spinto probabilmente dall'esempio della madre, il B. a dodici anni aveva già composto molte operette poetiche, tra cui una commedia in versi che egli stesso recitò, insieme con altri fanciulli della sua famiglia, verso il 1533, davanti alla Signoria e al Senato di Siena. Si narra che l'eccessiva applicazione lo facesse ammalare tanto che i medici gli proibirono lo studio delle lettere: egli si rifiutò e, terminatolo in breve tempo, intraprese quello delle leggi, tradizionale nella sua famiglia. All'università di Siena ebbe per maestro Alessandro Sozzino, che lo considerò il migliore dei suoi alunni; laureatosi giovanissimo, ricevette immediatamente dallo Studio senese l'incarico di lettore. Ma poco dopo, prevalendo nelle lotte intestine della città il partito avverso all'ordine dei Nove, di cui i Benucci facevano parte, intorno al 1543 egli abbandonò Siena, ritirandosi coi Noveschi a Colle. Di lì la sua fazione lo mandò a Firenze come ambasciatore a Cosimo, da cui seppe farsi benvolere; il duca lo volle suo ospite nel palazzo mediceo di via Larga, dove gli assegnò alcune stanze per ricevere i fuorusciti.
A questo periodo è databile l'amicizia del B. con Tullia d'Aragona, che lo ebbe tra gli ammiratori più caldi e lo pose, assieme a se stessa e a B. Varchi, tra gli interlocutori del dialogo Della infinità d'amore: è presumibile però che i loro rapporti si fossero stretti già prima, a Siena, dove la famosa cortigiana aveva partecipato alle lotte politiche cittadine al fianco della fazione novesca.
Svanita in seguito ogni speranza di tornare a Siena, il B. fu sollecitato a recarsi a Roma dalla madre, che dopo la morte di Mariano vi si era trasferita per servire come dama di corte le grandi famiglie romane, tra cui gli Orsini, i Colonna, i Carpi e gli Acquaviva. Raggiuntala, il B. entrò inizialmente al servizio del cardinale Antonio Trivulzio; ben presto, fattosi conoscere sia per la cultura e le qualità di buon parlatore sia per la vasta dottrina legale, fu impiegato anche da altre famiglie, e specialmente dai Farnese Cervini e Carafa. Da Paolo III Farnese ebbe la nomina a sopraintendente della Camera apostolica, incarico che perdette assai presto (1550) per la morte del pontefice. Successivamente Marcello II Cervini lo designò ambasciatore presso la corte imperiale, e già Carlo V gli aveva assegnato un appartamento nel suo palazzo quando l'improvvisa morte del papa, avvenuta lo stesso anno dell'elezione (1555), mandò in fumo la missione. In seguito il B., dopo esser stato a Venezia come vicelegato del Trivulzio, lo seguì in Francia come datario ed auditore: qui sembra che abbia svolto missioni anche per incarico di Enrico II. Nel 1557 e nel 1559 fu in Fiandra, dove partecipò alle trattative che portarono alla pace di Cateau Cambrésis in qualità di vicelegato dei Trivulzio, ma la morte dei cardinale, che aveva promesso di cedergli il suo vescovato di Tolone e a questo scopo gli aveva già ottenuto lettere di naturalità del re di Francia. toglieva al B. ogni speranza di ricompensa; stanco e sfiduciato, egli abbandonò la Francia per Roma, dove si pose al servizio di Alfonso Carafa, cardinale di Napoli e nipote di Paolo IV. Quando nel 1560 Pio IV iniziò la persecuzione contro i Carafa, arrestando tra gli altri anche Alfonso, il B. fu mandato dallo sventurato cardinale a Cosimo per pregarlo di intervenire in suo favore presso il pontefice. Svolta con successo la missione, ebbe dal Carafa il beneficio della parrocchia napoletana di S. Angelo a Segno, e nel 1562, quando il cardinale abbandonò Roma per sottrarsi alle trame del papa, lo seguì a Napoli come auditore; qui rimase per tre anni, probabilmente non interrompendo mai la propria permanenza se non per una breve missione assegnatagli da Pio IV, che lo incaricò di presentare la Rosa d'oro a Francesco, delfino di Francia.
A Napoli il B. entrò ben presto in contatto con l'ambiente riformistico che faceva capo al circolo di Giulia Gonzaga, tanto che nel 1564 lo troviamo tra coloro che protestarono contro il vicario di Napoli, il quale, profittando dell'incertezza del giovane cardinale, aveva imposto per editto a tutti i sospetti di simpatie per la Riforma di presentarsi a lui per scolparsi. Indicativo di questo periodo è il Dialogo de lalontananza - lacui dedicatoria a Onorata Tancredi è datata 1° genn. 1563 - in cui il B. vuole neoplatonicamente dimostrare che il vero amore è unicamente idoleggiamento di un'anima perfetta.
Morto nel '65 anche Alfonso Carafa, il B., stanco della vita di corte, decise di tornare a Siena, dove ormai si erano spenti gli odi delle fazioni; qui, per risollevare la situazione econoniica della famiglia, sposò nel 1567 Dorotea Tancredi, nobile senese, e continuò ad attendere alle leggi. Ottenuta la protezione di Francesco de' Medici, figlio del duca Cosimo, fu da questo chiamato a Firenze come giudice della Mercanzia; in quest'ufficio, che mantenne dal 10 luglio 1569 fino alla morte, si fece apprezzare tanto per la rigida onestà quanto per la schiva bontà, che dimostrava specialmente verso i detenuti per debiti. Religiosissimo, entrò in molte compagnie devote, dove interveniva con dissertazioni su passi scritturali di difficile interpretazione o su argomenti teologici e morali.
Francesco I nominò il B. avvocato fiorentino e gli conferì l'auditorato dei Cavalieri di S. Stefano, che egli rifiutò per non rubar tempo all'amministrazione della giustizia e tenne solo dal 16 aprile al 1° luglio 1586, finché il granduca non ebbe trovato chi lo sostituisse; Siena lo nominò decano del Collegio dei dottori e si servì di lui sia per questioni legali sia per petizioni e trattative coi granduchi di Toscana. Quando morì, nell'agosto 1598, ebbe l'onore di due conimemorazioni ufficiali, una letta durante le esequie nella chiesa di S. Stefano l'11 agosto, l'altra nella corte della Mercanzia il 20 settembre, ambedue preziose per la ricostruzione della sua biografia.
Il B. fu essenzialmente un poligrafo, ma delle sue opere molte non ci sono pervenute: tra esse, quasi tutti gli scritti giuridici e critici, di cui le citate commemorazioni funebri ricordano principalmente 4 volurni di Osservazioni su difficili casi giuridici, 3 volumi di Consigli in cui il B. faceva il compendio delle più importanti opere legali, un volume di Letture sulle materie giuridiche più trattate nelle scuole e più usate nei giudizi, le Esposizioni sui Salmi e altri luoghi delle Sacre Scritture. Si è perduta anche, purtroppo, quella che dai contemporanei sembra venisse considerata la parte migliore della produzione letteraria del B., le commedie, cioè, e i ditirambi.
Il Dialogo de la lontananza e alcune Osservazioni sulla Commedia di Dante sono le uniche opere in prosa che di lui ci siano rimaste. Il Dialogo, scritto a Napoli nel 1562, e conservato a cc. 1-50 del ms. 1369 dell'Angelica di Roma. Nella dedicatoria ad Onorata Tancredi il B. immagina di aver conosciuto a Napoli un dialogo sulla lontananza degli amanti, tra i cui personaggi, oltre a Bernardo Cappello e Curzio Gonzaga, figurava la sua corrispondente; e afferma di averlo copiato per far conoscere alla Tancredi l'onorata menzione che quivi si faceva di lei. Nel dialogo, raffinato giuoco intellettualistico, il Gonzaga sostiene le parti dell'advocatus diaboli, affermando che la lontananza fisica degli amanti diminuisce il loro amore, mentre il Cappello s'incarica di difendere la Tancredi sostenendo che la separazione non diminuisce, bensì aumenta l'amore e lo rende più perfetto. Armi della contesa gli scritti di Dante e Petrarca e la dottrina neoplatonica, per cui l'amore si rivolge non al corpo ma all'ideale perfezione dell'anima: fino all'inevitabile conclusione che vede il trionfo del Cappello e delle sue tesi. L'opera è pregevole per la vivacità salottiera del dialogo e della lingua, ma pecca assai spesso di prolissità e di ripetizioni che denunziano l'affrettatezza e lo scarso impegno della composizione.
Le Osservazioni sopra la Divina Commedia di Dante Alighieri (Siena, Biblioteca Comunale, cod. H. VII. 20), dedicate anch'esse alla Tancredi in data 14 febbr. 1564, da Napoli, sono una sorta di prontuario in cui il B. volle raccogliere ed elencare quanto di più notevole gli sembrava contenere il poema dantesco: paragoni, sentenze, rimario e parole straniere.
Quanto alle Rime dei B., la raccolta più ampia si trova nei mss. Vat. Chigiani I. VIII. 295 e 296 (di Cui il 295 contiene anche, a cc. 371-386 v, le due rarissime commemorazioni funebri a stampa e a cc. 397-431 v, il Dialogo de la lontananza); altre raccolte sono nei codd. 7 e 8 della Bibl. Chelliana di Grosseto, in cui si contengono rispettivamente le Elegie amorose, con una dedicatoria del 15 dic. 1565 a Beatrice Caetani, e le Rime spirituali di argomento religioso; nell'autogr. cod. CI. VII, 779 della Bibl. Naz. di Firenze; nei codd. H. X. 7 e 8 della Bibl. Pubbl. di Siena; un suo sonetto è infine a c. 48 del cod. II, II, 295 della Naz. di Firenze. A stampa si leggono tre sonetti tra le Rime di diversi... autori, in vita, e in morte dell'Ill. S. Livia Col.[onna], Roma 1555, cc. 60 v, 61 r, 84 v; uno, dedicato a Virginia Salvi, nelle Rime diverse d'alcune nobilissime e virtuosissime donne raccolte da L. Domenichi, Lucca 1559, p. 193; tre fra le rime preposte a IlPeccator contrito di N. Lorenzini, Firenze 1591; sei tra i Sonettidi diversi Accademici Sanesi, Raccolti dal Molto Illustre signor Gismondo Santi, Siena 1608, pp. 192-194; uno in G. Mazzatinti-A. Sorbelli, Inventarii dei mss. delle Bibl. d'Italia, XVI, Forlì 1911, p. 42.
Per quanto il B. non condusse probabilmente a termine il lavoro di riordinamento delle sue Rime che dovette iniziare in età avanzata, la loro divisione in vari libri risulta abbastanza chiara. Il canzoniere amoroso si divide in tre libri, di cui il primo raccoglie le poesie per una Gemma romana fino alla delusione e alla rottura dei rapporti; il secondo canta, in vita e in morte, Filli, che venendo dalla Toscana a Roma aveva riconciliato con l'amore il poeta deluso; il terzo èdedicato al successivo amore per Entimia. A questi scritti giovanili è da aggiungersi un quarto libro: raccolta di corrispondenze poetiche e di versi d'ispirazione religiosa che poi confluirono a formare le Rime spirituali insieme con molti altri che il B. compilò specialmente a Firenze, nell'ultimo periodo della sua vita.
In tutta la sua produzione poetica il B. segue la petrarcheggiante moda del tempo, sia pure con delle frequenti reminiscenze dantesche, poco usuali nell'epoca; di essa la parte migliore è costituita non tanto dalle rime amorose quanto da quelle spirituali, in cui talora il contrasto interiore tra gli allettamenti mondani e l'esigenza religiosa dei devoto poeta arriva a superare gli schemi letterari e a manifestarsi come espressione non più di una moda ma di un sentimento vissuto e sofferto.
Del B. ci restano anche una raccolta di Elegie amorose, che volle raccogliere in un volume a parte, e alcune Rime giocose, tra cui molti capitoli berneschi, e una serie di dieci sonetti intitolata La Civetta, contro il Castelvetro, che ci mostra il B. affiancare il Caro - con cui fu in amichevole corrispondenza poetica - nella famosa polemica del 158 per la canzone "dei gigli".
Uno dei molti figli del B., Lelio - di cui sappiamo dal Salvini che nel 1593 tenne all'Accademia Fiorentina una lezione sopra un sonetto del Petrarca -, è forse da identificarsi con l'anonimo autore di una lunga lettera ad Orsina de Grassi, in cui si commenta la canzone petrarchesca "Anzi tre di creata era alma in parte", esistente nel ms. 1369 della Biblioteca Angelica di Roma, ff. 52-92, dopo il Dialogo de la lontananza scritto dal padre.
Fonti e Bibl.:Orazione di messer A. Folchi nell'esequie del molto eccellente messer L. B., giudice de la Mercatanzia..., Firenze 1598; Orazione funerale di L. Larciani, sopra le lodi del molta illustre, et eccellente, messer L. B. giudice de la Mercatanzia di Firenze…,Firenze 1598; I. Ugurgieri Azzolini, Le Pompe sanesi, I, Pistoia 1649, pp. 473-476; S. Salvini, Fasti consolari dell'Accad. Fiorentina, Firenze 1718, pp. 209, 329-330; G. M. Mazzuchelli, GliScrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, pp. 882-883; L. De Angelis, Biografia degli scritt. sanesi, I, Siena 1824, pp. 87-88; G. Biagi, Un'etèra romana. Tullia d'Aragona, in Nuova Antologia, 16 ag. 1886, v. 697 e passim;R. Di Maio, Alfonso Carafa, Città del Vaticano 1961, passim.