RAGNONI, Lattanzio
RAGNONI, Lattanzio. – Nacque a Siena da Giacomo di Bartolomeo di Cone il 10 marzo 1509. L’appartenenza a una famiglia di antica nobiltà, che aveva già servito nei ranghi più alti del governo cittadino, e la laurea in legge gli spianarono la strada per la carriera politica: già nel 1522 era vessillifero della Compagnia di S. Quirico in Castelvecchio e, dopo la vittoria sui fiorentini a Camollia, divenne a soli diciotto anni capitano di Monticiano in Maremma (1527) e cinque anni dopo cancelliere dei Venti di Balìa, il principale organo di governo della Repubblica di Siena.
Non è noto quando sia entrato in contatto con le dottrine protestanti, ma di certo nel 1539 è attestato a Napoli al seguito del suo concittadino e generale dei cappuccini Bernardino Ochino, di lì a tre anni esule a Ginevra. Tramite Ochino, Ragnoni entrò in sempre maggiore familiarità con il circolo di prelati e umanisti riuniti intorno a Juan de Valdés. Alla morte dello spagnolo, nel 1541, Ragnoni non seguì l’umanista Marcantonio Flaminio e il protonotario fiorentino Pietro Carnesecchi in casa del cardinale inglese Reginald Pole a Viterbo, nuovo centro d’irradiazione del movimento degli ‘spirituali’, ma rimase a Napoli e fu in contatto con l’ala dei valdesiani favorevoli a posizioni zwingliane, volte a conferire un valore puramente simbolico ai sacramenti.
Nel 1542 era a Venezia, dove verosimilmente compose «alcuni discorsi […] contro el Sacramento», oggi perduti, che dovettero suscitare reazioni non solo nel mondo cattolico, ma anche nel movimento degli stessi spirituali, se Flaminio scrisse a Carnesecchi contro «l’abominevol setta zwingliana che va crescendo per tutto» (Cignoni, 2001, p. 19). In casa di Carnesecchi, il quale non credeva che il suo ospite fosse di tendenze sacramentarie, Ragnoni comunque alloggiò fino al 1545, quando fu ospite dell’arcivescovo di Spalato Marco Corner, che ricordò come «cantavamo et a casa de monsignor Carnesecchi sonavamo de diversi instrumenti et così a casa mia» (I processi, 1998-2000, I, p. 431).
A Venezia Ragnoni entrò in contatto con diversi eterodossi (come il fratello di Ludovico Ariosto, Galasso, Baldassare Altieri, Guido Giannetti da Fano e altri), ma non dimenticò di fare attività propagandistica a favore della Riforma nella natia Siena, dove suscitò l’opposizione del concittadino e forse parente Ambrogio Catarino Politi (pp. 142 s.) e convertì il fratello Orazio, in casa del quale si tenevano le riunioni in cui mosse i primi passi fuori dal cattolicesimo il giovane Lelio Sozzini (Marchetti, 1975, p. 61). Resta ipotetico invece il ruolo dei due fratelli per la diffusione della Riforma a Grosseto (dato per certo da Cignoni, 2001, pp. 21 s.). Da Venezia Ragnoni si spostò a Padova, da dove il 9 giugno 1547 inviò una lettera alla Balìa di Siena perché aprisse le porte della città alla guarnigione di soldati imperiali. Pur spinto più da «notevole realismo […] che da un ideale politico» (p. 23), nei fatti condivideva le speranze di molti principi italiani e anche di parecchi eterodossi, favorevoli a una riforma della religione condotta dal potere secolare contro il papato di Paolo III Farnese (Bonora, 2014, passim).
A seguito della nuova ondata di persecuzioni contro gli eterodossi veneziani, la sua permanenza in Italia fu sempre più difficile. Dal giugno del 1551 era a Ginevra, dove depose al processo contro l’ex elemosiniere di Renata di Francia Jérôme Bolsec, che aveva aspramente criticato la teoria calvinista della predestinazione. Dopo un soggiorno a Lione tra 1552 e 1553, quando tentò di convincere Carnesecchi a emigrare in Svizzera, tornò a Ginevra, dove divenne catechista della comunità italiana, occupandosi dell’istruzione dei bambini e della conversione degli adulti. Nel frattempo continuava a esortare gli italiani a lasciare la Penisola e il cattolicesimo e a trasferirsi a Ginevra, pubblicando il Del fuggir le superstitioni che ripugnano a la vera e sincera confessione de la fede (traduzione del De vitandis superstionibus di Calvino, pubblicata a Ginevra da Jean Crespin nel 1553).
L’attribuzione a Ragnoni della traduzione da Calvino è stata convincentemente ipotizzata da un lato sulla base dell’argomento, tratto dalla tradizione sociniana, per cui Ragnoni avrebbe composto una confutazione dell’Esortazione al martirio dell’agostiniano Giulio della Rovere da Milano (Cignoni, 2001, p. 102) e dall’altro su base contenutistica e stilistica (cfr. lo status quaestionis delineato in Garavelli, 2004, pp. 20 s.). È improbabile invece che a lui vada ascritta l’opera contro il giubileo indetto da Giulio III per il 1550, assegnatagli da Cignoni (2001, p. 23) sulle basi dei costituti del valdesiano radicale Giulio Basalù, che dichiarò di aver letto «uno certo iubileo et alcuni discorsi de Latantio Ragnoni contra el sacramento» (p. 98), dove la paternità ragnoniana andrà ristretta solo alla seconda opera e la prima andrà verosimilmente identificata nella Dichiaratione del iubileo che ha di esere in Roma nell’anno MDL, uscita a Basilea nel 1549 dalla penna di Pier Paolo Vergerio con lo pseudonimo di Athanasio.
Nominato capo della comunità italiana di Ginevra dopo la morte dell’esule bresciano Celso Martinengo, Ragnoni fronteggiò con fermezza la presenza tra i suoi connazionali di noti antitrinitari, come Matteo Gribaldi e – dopo la partenza di quest’ultimo a seguito del rogo di Michele Serveto – Giorgio Biandrata, Giampaolo Alciati e Valentino Gentile. Il 16 maggio 1558 Ragnoni si presentò con Calvino di fronte al Petit Conseil (l’autorità esecutiva di Ginevra), accusando Biandrata – che nel frattempo era fuggito – e Alciati di essere seguaci di Serveto e proponendo la redazione di una confessione di fede trinitaria da far sottoscrivere a tutti i membri della Chiesa italiana. Sette rifiutarono di firmare e chiesero un ulteriore giorno di riflessione, concluso il quale due di loro (il futuro traduttore in latino del Principe di Niccolò Machiavelli, Silvestro Tegli da Foligno, e Giampaolo Alciati) fuggirono e vennero condannati in contumacia, mentre altri, come Gentile e il medico sardo Nicola Gallo, rimasero a Ginevra, dove in un primo tempo firmarono la confessione. Gentile però continuò a sostenere opinioni antitrinitarie e anticalviniste e perciò venne incarcerato e interrogato in prigione da Ragnoni e da Calvino. Il primo era favorevole alla clemenza nei confronti dell’imputato (Procès, 1879, pp. 99 s.), ma i giuristi consultati lo dichiararono degno della pena capitale, sentenza che venne poi commutata nell’obbligo di non abbandonare Ginevra e in seguito vanificata dalla sua fuga a Farges presso Gribaldi (Addante, 2014, pp. 127 s.).
Negli stessi mesi il catechista della comunità italiana, Giulio Cesare Pascali, lavorava a una traduzione italiana dell’Institutio Christianae religionis di Calvino in cui si potessero riconoscere tutti i membri della comunità italiana, impresa dietro cui è probabile l’impulso di Ragnoni, pastore della Chiesa italiana, e della sua linea volta a recuperare i dissidenti all’interno dell’ortodossia calvinista. Certamente alla sua penna va attribuito il Formulario nel qual si contiene tutta la somma della vera dottrina e religion christiana (Ginevra, Giovanni Battista Pinerolio, 1559, riprodotto da Cignoni, 2001, pp. 67-86), una confessione di fede da sottoporre ai membri della comunità italiana di Ginevra (dove, ancor oggi, se ne conserva l’unica copia rimasta), molto simile a quella sottoscritta dalle Chiese riformate negli stessi mesi a La Rochelle.
Sventata la minaccia antitrinitaria e dotati i calvinisti italiani di Ginevra di una loro confessione di fede, Ragnoni morì in quella città il 16 febbraio 1559.
Fonti e Bibl.: Procès de Valentin Gentilis et de Nicolas Gallo, a cura di H. Fazy, Genève 1879, pp. 99 s.
V. Marchetti, Gruppi ereticali senesi del Cinquecento, Firenze 1975, p. 61; I processi inquisitoriali di Pietro Carnesecchi (1555-1567), a cura di M. Firpo - D. Marcatto, I-II, Città del Vaticano 1998-2000, ad ind.; M. Cignoni, L. R. (1509-1559). Dalla repubblica di Siena alla Ginevra di Calvino, Firenze 2001; E. Garavelli, I “Nicodemiana” di Calvino. Storia di un libro perduto e ritrovato, Manziana 2004, pp. 20 s.; L. Addante, Valentino Gentile e il dissenso religioso nel Cinquecento. Dalla Riforma italiana al radicalismo europeo, Pisa 2014, pp. 127 s.; E. Bonora, Aspettando l’imperatore. Principi italiani tra il papa e Carlo V, Torino 2014, passim.