latte
Nell'uso dantesco questo termine tende a valicare i limiti dell'accezione letterale, per arricchirsi di indicazioni allusive o simboliche, in direzione spirituale e intellettuale. Non fate com'agnel che lascia il latte de la sua madre, raccomanda Beatrice dall'alto dei cieli (Pd V 82), intendendo richiamare i cristiani alle fonti prime della fede, i libri sacri e il magistero del pontefice; la maggior parte delle pecore che formano il pecuglio di s. Domenico, allontanandosi da lui e disperdendosi per i greppi, tornano a l'ovil di latte vòte (XI 129), prive, cioè, " dulci doctrina qua deberent alere et cibare alios " (Benvenuto); il protendersi dei beati con le loro fiamme verso Maria è paragonato allo slancio di tenerezza del bimbo per la madre, poi che 'l latte prese (XXIII 122); in sé stesso, che un alto disio e tanta sete spingono a scoprire il vero adombrato dal fiume di luce, dai fiori e dalle faville vive, D. vede l'immagine di un bambino che, affamato, sùbito rua / col volto verso il latte (XXX 83).
Negli altri passi sopra citati D. continua una tradizionale equivalenza metaforica di l. e insegnamento cristiano (si citano segnatamente s. Girolamo e s. Bernardo); in quest'ultimo si rifà direttamente a quella che è forse la sua più lontana origine (" sicut modo geniti infantes, rationabile sine dolo lac concupiscite, ut in eo crescatis in salutem ", I Petr. 2, 2; ma v. anche PAUL. I CORINTH. 3, 1-2, Hebr. 5, 12-13), seppure rivivendola attraverso la componente aristotelica dell'innato e irrefrenabile bisogno di conseguire la verità.
A un altro tipo di nutrimento ci riporta il latte dolcissimo col quale le muse resero faconde le lingue dei più grandi poeti (Pd XXIII 57, dove D. ha portato a maturazione una metafora consegnatagli dalla tradizione: v. LATTARE).