Latte
Il latte è il prodotto della secrezione delle ghiandole mammarie funzionanti nelle femmine dei Mammiferi destinato ad alimentare la prole. Si presenta come un liquido bianco opaco ed è un alimento completo e indispensabile nel primo periodo della vita. Nell'alimentazione umana, anche dopo lo svezzamento, figurano vari tipi di latte, di animali di specie diverse, dei quali il più usato è quello di vacca. Il latte è ricco di sostanze nutritive e, insieme ai suoi derivati, costituisce uno dei 7 gruppi principali di alimenti che devono essere sempre presenti in una dieta bilanciata. Numerosi sono i suoi derivati, tra cui lo yogurt, ottenuto dalla fermentazione a opera di specifici microrganismi, e l'ampia varietà di formaggi, caratterizzati da un elevato valore nutritivo.
L'importanza del latte come primo e principale alimento di tutti i neonati dei Mammiferi è riconosciuta universalmente fin dall'antichità. Nel mito, neppure Zeus, re degli dei, poté sfuggire a questa legge della natura: la tradizione vuole infatti che egli sia cresciuto nell'isola di Creta, nutrito dal latte di una capretta bianca, Amaltea. L'etimologia stessa della parola latte, come il vocabolo latino lac e il corrispondente greco γάλα, si ricollega alla più antica radice glu, gla, gal, gar che indica onomatopeicamente il deglutire del neonato durante l'allattamento. La conoscenza del latte nasce quindi con l'uomo, ma per la sua utilizzazione nella produzione di cibo bisogna attendere il passaggio dal Paleolitico al Neolitico, ovvero il passaggio dall'economia di caccia e raccolta a quella basata su agricoltura e allevamento, quando l'uomo, stabilizzato in comunità più ampie e affrancato, sia pure parzialmente, dai vincoli ambientali, fu in grado di affrontare il grande problema della fame. Gli insediamenti temporanei, risalenti alla media Età del Bronzo, ritrovati sui due versanti degli Appennini sembrano anche indicare una prima attività di transumanza, cioè di movimenti stagionali di greggi dalle sedi invernali di pianura o collina ai pascoli estivi di montagna.
L'uso del latte e dei prodotti derivati era diffuso in molte civiltà antiche. Secondo quanto narra una leggenda, il formaggio sarebbe stato ottenuto per la prima volta casualmente da un mercante arabo il quale, durante un viaggio attraverso il deserto, avrebbe tentato di conservare il latte nello stomaco di un capretto sacrificato ancora lattante. Il latte coagulò rapidamente, separandosi dal siero: la mucosa gastrica di capretti, agnelli e, in particolare, di vitelli lattanti, contiene infatti la rennina, un enzima che a temperature prossime ai 40 °C fa coagulare la caseina, che è la principale proteina del latte. Nell'antico Egitto il latte era impiegato, sotto forma di una specie di burro oppure come formaggio, per la cottura dei cibi. Dall'area mesopotamica provengono alcune tavolette di argilla, conservate al Vorderasiatisches Museum di Berlino, su cui un anonimo allevatore sumero, vissuto oltre 3000 anni prima di Cristo, ha inciso in alfabeto cuneiforme la sua contabilità, la consistenza del gregge e gli incrementi nella produzione di burro e di formaggio. Nella Bibbia, il primo riferimento al latte e al formaggio si trova nel Libro di Giobbe (10,10): "Invero come latte mi hai fatto scorrere ed ora come il formaggio mi hai rappreso". Il latte acido o cagliato mescolato con miele viene menzionato come bevanda dissetante, e la Terra Promessa è spesso descritta come "il paese in cui scorre latte e miele" (Ezechiele, 20,6) per indicarne la fertilità e la prosperità. Latte e formaggio non potevano mancare in una civiltà prevalentemente pastorale come quella della Grecia antica. Formaggio di capra grattugiato e mischiato al vino Pramnio, rosso e corposo, viene offerto da Nestore a Macaone ferito (Iliade, 11, 624-43). Ulisse descrive Polifemo mentre munge a turno le pecore e le capre, fa cagliare il latte e lo pone in canestri intrecciati (Odissea, 9, 231-49). Il ciclope applicava le regole casearie apprese da Aristeo, mitico figlio di Apollo e Cirene, che le aveva a sua volta acquisite dal centauro Chirone.
La grande diffusione del formaggio in Grecia, chiunque ne fosse l'inventore, è dimostrata dalla stessa etimologia della parola. Formaggio deriva infatti dal greco ϕορμός, il canestro dove era collocato il caglio, latinizzato poi, nel primo Medioevo, in formaticum. Nella cucina ellenica il formaggio, prevalentemente di pecora e di capra, era consumato fresco o stagionato, conservato nel vino, mescolato con erbe, affumicato o cotto al forno ed era servito abitualmente all'inizio o alla fine del pasto, pur potendo costituire a volte un piatto unico. Per i romani il formaggio è cibo di ogni classe sociale: lo si mangia in abbondanza nelle popolari insulae; fa parte della razione del legionario e della dieta degli atleti; è sempre presente nelle cucine dei benestanti. I romani danno alla produzione del caseus, da cui il termine italiano cacio, uno sviluppo e una diffusione enormi e sono molti gli scrittori, i poeti e gli storici latini che ne parlano. Il più antico trattato sull'agricoltura, il De agri cultura di Catone il Censore (3°-2° secolo a.C.), delinea un panorama preciso della produzione agricola e zootecnica dell'epoca e fornisce una raccolta di ricette di cucina con ingredienti e metodi di cottura. Particolarmente diffusa risulta essere la puls punica, che, secondo la ricetta di Catone, era una minestra a base di farina, formaggio fresco, miele e uova mescolati e cotti in acqua: un connubio di ingredienti forse sgradevole al nostro palato, ma di indubbio valore nutritivo. Nel 1° secolo a.C. Varrone, nel Rerum rusticarum libri tres, tratta delle caratteristiche dei vari prodotti caseari, e in particolare del procedimento di cagliatura, e Columella (1° secolo d.C.) dedica un intero capitolo della sua opera più nota, il De re rustica, alla fabbricazione dei formaggi. Ancora, Plinio il Vecchio nella Naturalis historia enumera e descrive una lista di 13 formaggi diffusi nella Roma imperiale, e Apicio ne ha lasciata una classificazione nel suo De re coquinaria. Vi troviamo il caseus recens o fresco, quello mollis e il caseus manu pressus, fresco e modellato a mano con acqua bollente, di cui era ghiottissimo Augusto, che ai cibi elaborati della cucina imperiale preferiva, secondo Svetonio, pane, formaggio e frutta. Molto gradevole doveva essere il moretum, un piatto a base di formaggio grattugiato condito, nella versione salata, con aglio, spezie ed erbe aromatiche e, nella versione dolce, con frutta secca e vino cotto. Quest'ultima ricetta ricorda un dolce tradizionale che, ancora nel corso del 20° secolo, si preparava nella campagna abruzzese mescolando il latte con caglio, gherigli di noce e zucchero.
Con il declino dell'Impero la diffusione del formaggio non viene meno: Rutilio Tauro Palladio (4° secolo d.C.), nell'Opus agriculturae, sottolinea l'importanza dei diversi tipi di caglio, della temperatura e del sale. I processi di lavorazione, così codificati, furono impiegati nei monasteri benedettini e cistercensi per organizzare una pionieristica industria casearia durante le invasioni barbariche, e rimasero immutati fino a tutto il Medioevo. In quel periodo i formaggi, preziosi e facili da trasportare, furono anche utilizzati per effettuare pagamenti. È frequente trovare, nelle cronache dell'epoca, ricevute di imposte espresse in quintali di formaggio. Il primo trattato organico sul latte e i suoi derivati è comunque la Summa lacticiniorum, scritta nel 1477 da Pantaleone da Confienza, medico di Vercelli, in cui l'autore affronta problematiche diverse come la genesi e le caratteristiche del latte nelle varie specie animali, le tecniche di coagulazione, la scelta del caglio, le varietà e i tipi di formaggio, con scrupolose annotazioni sul valore alimentare di ogni prodotto. Nel 1836, don Ignazio Malenotti, canonico toscano, elaborò un manuale del formaggio, che descrive tecniche di produzione confrontabili con le attuali e in cui si menzionano cagliata e formaggio prodotti con il latte di mucca, di pecora, di capra o di bufala.
Latte e derivati, a dimostrazione della loro essenziale funzione, costituiscono da soli uno dei 7 gruppi di alimenti che devono essere sempre presenti in una dieta completa e bilanciata. L'importanza alimentare del latte, a prescindere dalla specie animale di provenienza, è sostanzialmente dimostrata dalla funzione che esso svolge come esclusiva fonte di nutrimento per i piccoli dei Mammiferi, fornendo loro tutte le sostanze necessarie al rapido sviluppo che caratterizza il primo periodo di vita. La velocità di questa crescita varia con la specie ed è correlabile con la quantità di elementi nutritivi fondamentali, in particolare proteine e sali di calcio, contenuti nel latte. Per es., 100 g di latte di coniglia contengono 11,5 g di proteine e 640 mg di calcio, mentre 100 g di latte umano contengono appena 1,3 g di proteine e 33 mg di calcio: ciò trova riscontro nel fatto che il coniglio raddoppia il proprio peso nei primi 6 giorni di vita, mentre per fare ciò il bambino impiega 6 mesi. Tra i vari tipi di latte, quello di asina è stato a lungo impiegato, specialmente tra le classi più povere, per l'allattamento artificiale. Attualmente, a questo scopo viene invece utilizzato il 'latte umanizzato', cioè latte vaccino adattato nella composizione per renderlo simile al latte umano (v. allattamento). Anche dopo lo svezzamento, inserito in una dieta sempre più variata e completa, il latte continua a rappresentare una delle più importanti fonti di calcio e di proteine. In particolare, queste ultime, costituite per l'80% dalla caseina e per il 20% da albumina (lattoalbumina) e globulina (lattoglobulina) hanno un alto valore biologico, presentando nelle giuste quantità e proporzioni tutti gli aminoacidi essenziali, quelli cioè che l'organismo non è in grado di sintetizzare e che deve assumere tramite la dieta.
Oltre ad apportare nutrienti fondamentali, le proteine del latte, attraverso alcuni frammenti peptidici derivanti dalla loro demolizione a opera delle proteasi, svolgono anche attività biologica anti-ipertensiva, immunomodulatrice, endorfinica e antitrombotica, contribuendo in tal modo a conferire effetti benefici tanto al latte quanto ai prodotti da esso derivati. Il latte garantisce inoltre un ottimo apporto di calcio sia nei bambini sia negli adolescenti, che di questo elemento necessitano per la formazione di ossa e denti, e nel caso degli anziani, in particolare delle donne, per prevenire la progressiva decalcificazione delle ossa. Il calcio rappresenta un nutriente essenziale ed è implicato anche nella conduzione degli impulsi nervosi, nella contrazione dei muscoli, nella coagulazione del sangue, nella permeabilità delle cellule ecc. Rispetto alle fonti vegetali (cereali in particolare), il calcio contenuto nel latte e nei formaggi, probabilmente per la presenza della caseina e del lattosio, è più facilmente utilizzabile (biodisponibile) per il nostro organismo. Inoltre, nel latte è importante il rapporto tra il contenuto di calcio e quello di fosforo che risulta superiore all'unità. La componente lipidica del latte, estremamente complessa, è costituita per il 98% da trigliceridi contenenti acidi grassi saturi e insaturi a catena lunga e da acidi grassi saturi a catena media e corta.
Una controindicazione al consumo di questo alimento può venire appunto dall'alta concentrazione di acidi grassi saturi e dalla presenza di colesterolo, tutti principali indiziati delle malattie coronariche. Tuttavia, tanto il latte quanto i prodotti da esso derivati, quando inseriti in una dieta equilibrata e razionale, non costituiscono un significativo fattore di rischio. Il latte contiene in discreta quantità vitamine idrosolubili come le vitamine B₂ e B₁₂, mentre risulta povero di vitamina C. Sono presenti anche composti liposolubili come il β-carotene, o provitamina A, il retinolo (vitamina A) e il tocoferolo (vitamina E), che rivestono grande importanza per l'attività antiossidante oltre che per le proprietà vitaminiche. Lo zucchero caratteristico del latte è il lattosio, disaccaride formato dall'unione di glucosio e galattosio. In caso di carenza dell'enzima specifico (β-galattosidasi o lattasi) deputato alla digestione di tale zucchero, si possono riscontrare forme di intolleranza al latte. Le intolleranze che decorrono dalla nascita rappresentano generalmente forme ereditarie, tipiche in particolare di alcune popolazioni caucasiche o africane. Nell'adulto, invece, si hanno più di frequente forme acquisite che possono derivare da patologie intestinali, ma anche da prolungata astinenza dall'assunzione dell'alimento. In questo caso, l'alterazione risulta reversibile e alla riassunzione graduale può seguire una ripresa dell'attività enzimatica. Tale intolleranza non si evidenzia invece con i derivati, nei quali il lattosio viene in gran parte fermentato durante il processo produttivo, oppure con i latti delattosati, pretrattati, in fase di produzione, con l'enzima lattasi. La riduzione del lattosio non diminuisce, tuttavia, la qualità nutrizionale di tali prodotti. Questo zucchero, infatti, è essenziale solo nel primo periodo di vita neonatale, in quanto fornisce all'organismo il galattosio, che risulta molto importante nello sviluppo del sistema nervoso quale costituente dei galattolipidi cerebrali.
Nel mondo si utilizza latte proveniente da varie specie animali (per es., di renna in Lapponia, di bufala in India, Malesia e Ceylon, di zebù in Madagascar e di cammella in Medio Oriente), ma sicuramente i tipi di latte il cui uso è più diffuso sono quello di mucca, di capra e di pecora. In Italia, il latte vaccino costituisce la maggior parte del prodotto in commercio che, a norma di legge (art. 15 r.d. 9 maggio 1929, nr. 994), è ottenuto dalla mungitura regolare, ininterrotta e completa di animali in buono stato di salute e di nutrizione; inoltre, con la sola parola latte, si intende quello vaccino, mentre per gli altri tipi è necessario specificare l'animale che lo fornisce (per es., latte di capra, di asina ecc.). All'epoca in cui è stata emessa la normativa, il latte veniva raccolto, pastorizzato e distribuito al consumo dalle Centrali, successivamente è stata introdotta l'omogeneizzazione, processo di frantumazione dei globuli di grasso che, riportati a microdimensioni, si diffondono uniformemente nella parte liquida senza stratificarsi in superficie a formare la crema.
Le indicazioni mediche e dietologiche per la limitazione dell'assunzione dei grassi hanno poi indotto le industrie a immettere sul mercato prodotti scremati. Attualmente sono quindi disponibili il latte intero, con contenuto in grassi non inferiore al 3,2% (3,5% per il latte di alta qualità, che può essere messo in commercio solo intero), parzialmente scremato, con contenuto in grassi non inferiore all'1,5% e non superiore all'1,8% e scremato con contenuto in grassi non superiore allo 0,3%. La l. 3 maggio 1989, nr. 169, e i successivi decreti di applicazione hanno aggiornato le norme precedenti sulla disciplina della produzione, del trattamento e della commercializzazione del latte alimentare. La vendita di latte crudo è permessa solo dal produttore al consumatore e nell'azienda agricola di produzione. Data la possibilità che siano presenti microrganismi patogeni, provenienti dall'animale o dall'ambiente di raccolta o dalle manipolazioni del consumatore, il latte crudo deve essere bollito prima del consumo. Questo trattamento casalingo richiede però qualche accortezza: quando il latte forma la pellicola superficiale e tende a fuoriuscire dal recipiente, la temperatura non supera in realtà gli 80 °C e quindi non garantisce la completa sterilizzazione dell'alimento. È allora opportuno abbassare la fiamma, quindi rompere la pellicola, costituita da albumine coagulate, e continuare il riscaldamento fino a raggiungere una leggera ebollizione. Direttamente utilizzabile è, invece, il prodotto commerciale già sottoposto industrialmente ai trattamenti termici di risanamento. Fra i trattamenti termici industriali ammessi per il latte alimentare destinato al consumo umano diretto, la l. 169/89 prevede l'impiego della pastorizzazione e della sterilizzazione.
La pastorizzazione (HTST, High temperature short time) rappresenta un trattamento termico blando, 15 s a 72 °C, finalizzato alla distruzione dei microrganismi patogeni eventualmente presenti, che produce però solo minime modifiche delle caratteristiche della materia prima. In particolare, il latte pastorizzato deve presentare una reazione negativa alla prova della fosfatasi e positiva alla prova della perossidasi. Questi due test analitici, previsti dalla legge, consentono di verificare la correttezza e l'efficacia del trattamento. Il termine di consumazione del latte dopo la pastorizzazione non può superare, per legge, i 4 giorni successivi a quello di confezionamento, e deve essere riportato in modo visibile sulla confezione. I prodotti derivati da questo trattamento sono: il latte pastorizzato, il fresco pastorizzato e il fresco pastorizzato di alta qualità. Per quest'ultimo si richiede una materia prima più pregiata sia nella composizione (3,5% di materia grassa e 32 g/l di proteine, contro il 3,2% e i 28 g/l, rispettivamente, degli altri latti), sia nelle caratteristiche igienico-sanitarie (limite massimo di 100.000 germi/ml e di 300.000 cellule somatiche). Il termine fresco implica invece un tempo ridotto (massimo 48 ore) tra mungitura e trattamento di pastorizzazione. Un recente decreto (d.p.r. 54/97), riguardante il regolamento di attuazione delle direttive CEE nr. 92/46 e 92/47 in materia di produzione e immissione sul mercato di latte e di prodotti a base di latte, ha anche introdotto una nuova categoria merceologica che può presentare reazione negativa alla perossidasi, purché sulla confezione di vendita risulti con chiarezza l'indicazione 'latte pastorizzato a temperatura elevata'.
La sterilizzazione è un trattamento termico drastico, a temperatura nettamente superiore a quella di ebollizione (115-135 °C) che, per la totale distruzione della microflora contenuta nel latte, ne assicura una lunga conservazione. La sterilizzazione può anche avvenire (direttiva CEE nr. 92/46) con un unico trattamento termico di breve durata (almeno 1 s), ma a temperatura particolarmente alta (almeno 135 °C; uperizzazione), e il prodotto che ne deriva viene per questo chiamato latte UHT (Ultra-high temperature). Il latte così trattato viene raccolto in confezioni asettiche, costituite da cartone rivestito internamente di alluminio e politene, indispensabili per evitare che il prodotto si saturi di ossigeno acquistando in breve tempo sapore di cotto. Il latte UHT non richiede, a differenza del latte pastorizzato, una distribuzione in catena del freddo, cioè in ambiente refrigerato durante tutte le fasi dalla produzione al consumo, ed è caratterizzato, grazie al progressivo perfezionamento della tecnologia di produzione, da un accettabile profilo organolettico e nutrizionale. È un prodotto a lunga conservazione (90 giorni) che per la sua ridotta deperibilità arriva a toccare mercati non raggiungibili da quello fresco.
Una più lunga conservabilità (180 giorni) viene ottenuta con una sterilizzazione a 115-135 °C per 15-20 minuti in contenitore sigillato, normalmente di vetro. Si parla in questo caso di latte sterilizzato a lunga conservazione, prodotto meno pregiato, per caratteristiche organolettiche e nutrizionali, dell'UHT. Da notare che entrambi i tipi di latte, una volta aperto il contenitore, devono essere conservati in frigorifero e consumati entro un paio di giorni.
Altro metodo di conservazione consiste nella preparazione di latte 'concentrato', che può essere evaporato, se solo concentrato e sterilizzato, oppure condensato, se concentrato e zuccherato. In questo secondo caso la sterilizzazione non è necessaria, in quanto è la presenza di zucchero (18%) a impedire la crescita dei microrganismi. Il procedimento più diffuso per ottenere prodotto 'in polvere' è invece quello dell'essiccamento a spruzzo, che consiste nell'evaporazione istantanea dell'acqua in torri di essiccamento nelle quali il latte è iniettato in forma di minute goccioline. Il prodotto così ottenuto può essere intero, parzialmente scremato o scremato, è ricostituibile con l'acqua; si conserva facilmente, in quanto il contenuto residuo di acqua, inferiore al 6%, non è sufficiente per la proliferazione dei microrganismi.
Il latte condensato e quello in polvere sono destinati per oltre il 50% all'industria dolciaria, mentre il consumo nell'ambito familiare è minimo e indirizzato, più che alla ricostituzione del latte liquido, all'impiego nella preparazione dei dolci. Il mercato attuale propone anche i cosiddetti latti speciali: aromatizzati (per es., a base di frutta, miele, cioccolato ecc.), addizionati di fermenti vivi (bifidus e acidophilus), dietetici (con vitamine, sali minerali, proteine), ad alta digeribilità (latte delattosato). I latti speciali sono quindi migliorati sia nel gusto sia nelle caratteristiche nutritive e dietetiche.
Lo yogurt, caratterizzato da un valore alimentare pressoché identico a quello del latte, è ottenuto dalla fermentazione e coagulazione del latte vaccino intero, parzialmente scremato o scremato, a opera di due microrganismi lattici specifici: Lactobacillus delbrueckii ssp. bulgaricus e Streptococcus salivarius ssp. thermophilus. Questi microrganismi digeriscono parte del lattosio a una temperatura di 40-45 °C, trasformandolo in acido lattico, con conseguente coagulazione della caseina. È importante sottolineare che il lattosio residuo, nello yogurt e nei latti fermentati, risulta più facilmente digeribile e meglio tollerato per la presenza, nei microrganismi utilizzati per la fermentazione, dell'enzima lattasi. Lo yogurt esiste da millenni, ma solo dagli anni Cinquanta del 20° secolo viene prodotto in Italia su scala industriale e la sua diffusione, grazie anche a una notevole differenziazione del prodotto, si è consolidata negli ultimi anni.
Vi sono in commercio yogurt bianchi, detti anche naturali, prodotti contenenti polpa o pezzi di frutta e quelli addizionati con ingredienti diversi, come miele, cereali, caffè, cioccolato ecc. Differente può essere la motivazione dell'addizione: yogurt arricchiti con pappa reale, cereali, miele, soia garantiscono apporti nutrizionali superiori; mentre l'aggiunta di gelato, cioccolato ecc. soddisfano esigenze più edonistiche che salutistiche e si indirizzano in particolare ai consumatori molto giovani. In base alla consistenza dello yogurt; si distinguono prodotti compatti, cremosi o liquidi; mentre a seconda della percentuale di materia grassa, yogurt magri, parzialmente scremati e interi. Il prodotto magro è attualmente molto richiesto dal consumatore, il quale si rivela sempre più attento alle correlazioni tra alimenti e salute.
Sul mercato sono oggi reperibili anche prodotti fermentati stabilizzati termicamente, prodotti cioè i cui microrganismi sono stati uccisi con un trattamento termico quale la pastorizzazione e/o la sterilizzazione; essi non richiedono la catena del freddo e si conservano a temperatura ambiente anche per alcuni mesi. In Italia, a differenza di altri paesi dell'Europa settentrionale, a questa categoria non può però essere attribuita la denominazione di yogurt. Simile allo yogurt, e di antiche origini, è il latte fermentato che si produce in Sardegna e che viene chiamato miciuratu o mizzuraddu nella Gallura e gioddu nel resto dell'isola. Si prepara con latte di pecora, scaldato fino all'ebollizione e mantenuto in un recipiente di legno a 35-40 °C per 3-4 ore, dopo l'aggiunta di una piccola quantità di gioddu dei giorni precedenti, o di un fermento preparato riducendo in poltiglia in acqua, lievito di pane, aceto e caglio. Se ne ottiene un prodotto cremoso, cui la tradizione attribuisce importanti proprietà alimentari e terapeutiche e che oggi verrebbe chiamato alimento funzionale (v. alimento: I nuovi alimenti).
Secondo la legge italiana (r.d.l. 15 ottobre 1925, nr. 2033, art. 32), il formaggio è il prodotto ottenuto dal latte intero, parzialmente o totalmente scremato, oppure dalla crema, a seguito di coagulazione acida o presamica (ovvero con aggiunta di caglio, detto anche presame), anche facendo uso di fermenti o di sale da cucina. Nella prima fase di lavorazione, il latte viene blandamente riscaldato e addizionato con caglio, che può essere animale (ricavato dall'abomaso o quarto stomaco di animali ruminanti ancora lattanti), vegetale (fiori di carciofo selvatico, lattice di fico, funghi) o chimico (chimasi-pepsina). Il caglio provoca la coagulazione della caseina e la separazione dal siero di una pasta gelatinosa: la cagliata, in cui sono presenti, oltre alla caseina, parte delle sostanze grasse, vitamine e minerali del latte di partenza. Questa pasta, che è la base del formaggio, viene stritolata, per eliminare totalmente il siero, con utensili di forma varia a seconda delle località di produzione (lira, spino, frangicagliata, fiaccola): se ne ottengono dei granuli caseosi e a questo punto i procedimenti di lavorazione si differenziano. Il siero residuo dalla separazione della cagliata si può utilizzare, dopo riscaldamento a 80-100 °C e aggiunta di siero inacidito (agra), per la preparazione della ricotta, il cui contenuto proteico, rappresentato soprattutto dalla lattoalbumina, è modesto dal punto di vista quantitativo (circa 8%), ma qualitativamente di prim'ordine.
Sono oggi allo studio anche impieghi alternativi del siero, come quelli per la produzione di bevande dietetiche, la cui immissione sul mercato è però frenata dall'elevato costo delle lavorazioni necessarie per migliorarne le caratteristiche organolettiche ed eliminare il lattosio. I granuli caseosi separati dal siero sono posti nelle forme e pressati per ottenere i formaggi crudi, mentre per i formaggi semicotti e cotti, la massa granulosa viene sottoposta a un trattamento termico. Segue poi la salatura, a secco o in salamoia, che conferisce sapore alla pasta, contribuisce a formare la crosta ed elimina gli ultimi residui di siero. Infine, si ha la maturazione, o stagionatura: fase di durata variabile che richiede condizioni particolari di temperatura e umidità e durante la quale il formaggio assume la sua fisionomia.
Esistono formaggi a maturazione rapida (1 mese), come robiole, provole, mozzarelle, scamorze, mascarpone, italico, crescenza, quartirolo, fresa; media (da 1 a 6 mesi), come gorgonzola, asiago, caciocavallo, provolone, fontina, bitto, montasio; lenta (da 6 mesi a 4 anni), come pecorini, grana padano, parmigiano reggiano. I formaggi possono essere anche classificati come vaccini, bufalini, pecorini e caprini, a seconda della provenienza del latte, oppure a pasta molle, con più del 40% di acqua, e a pasta dura, con meno del 40% di acqua. A loro volta, i formaggi a pasta dura possono essere, a seconda della temperatura di caseificazione, crudi (tra 32 e 35 °C), semicotti (tra 35 e 48 °C), cotti (tra 48 e 58 °C) o a pasta filata, se vengono manipolati in acqua calda a 85-90 °C. Una categoria a parte costituiscono i formaggi fusi, che si ottengono, tramite fusione, appunto, in presenza di sostanze fondenti e addensanti, da formaggi di vario tipo e a diverso stato di maturazione, opportunamente triturati ed eventualmente addizionati con crema e caseina.
I formaggi possono essere considerati veri e propri concentrati del latte, e il loro valore nutritivo è quindi molto elevato. Sono ricchi di proteine ad alto valore biologico, di calcio e di fosforo nel giusto rapporto, di vitamine A e B₂. È, tuttavia, assai alto il contenuto di grassi e in particolare di colesterolo, presente in misura variabile dai 60 ai 100 mg/100 g. Inserendo però i formaggi in un'alimentazione equilibrata o utilizzando i prodotti innovativi che il mercato offre attualmente, tale problema è facilmente superabile. I notevoli cambiamenti, verificatisi negli ultimi anni del 20° secolo, nella struttura e nelle abitudini delle famiglie italiane hanno infatti indotto l'industria casearia a modificare i prodotti offerti, per cercare di rispondere non soltanto alle esigenze nutrizionali, ma anche alle indicazioni dietetiche e mediche.
La gamma dei prodotti innovativi è estremamente ampia e risponde alle diverse attese del consumatore, che vanno dalla difesa della salute (prodotti alleggeriti nel contenuto di lipidi, con grasso sostituito, con contenuto di sale ridotto o eliminato, con aggiunta di Lactobacillus acidophilus o bifidus, con impiego di caglio vegetale o di sintesi, di proteine della soia, senza conservanti e coloranti) al soddisfacimento del piacere della buona tavola e al desiderio di novità (aromatizzati con cipolla, aglio, erbe, funghi, prosciutto o frutta ecc.), alla comodità e praticità d'uso (confezioni monodose, contenitori richiudibili), fino ad arrivare a un tipo di confezionamento in linea con la difesa dell'ambiente, con contenitori riciclabili o biodegradabili. La l. 20 febbraio 1992, nr. 142, che adempie agli obblighi stabiliti dall'Unione Europea e uniforma le norme nazionali a quelle degli altri paesi, ha consentito di mettere in commercio, non più con nomi di fantasia, ma sotto la denominazione di formaggi leggeri oppure magri, prodotti con contenuto in lipidi riferito alla sostanza secca rispettivamente tra il 20 e il 35% e inferiore al 20%. Infatti, l'art. 53 abroga il r.d.l. del 17 maggio 1938, nr. 1177, che riportava le percentuali minime di grasso per i diversi tipi di formaggio. L'articolo prevede inoltre che la quantità di grasso, se inferiore al 35%, debba essere dichiarata in etichetta nell'esatta percentuale, con la dizione qualità magra o qualità leggera. Questa nuova normativa non riguarda però i prodotti a denominazione tipica e a denominazione di origine, la cui produzione è regolamentata da una legge specifica, tuttora vigente (l. 10 aprile 1954, nr. 125), che ne stabilisce il nome, le caratteristiche organolettiche, la percentuale di grasso minima, le linee generali del processo di produzione e, nel caso dei formaggi a denominazione di origine, anche la zona di produzione.
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