LAURENTINA-ACQUA ACETOSA
Il sito posto all'ottavo km da Roma dell'attuale Via Laurentina, in località Acqua Acetosa, ha conosciuto una ricca serie di vicende dall'epoca protostorica fino ai nostri giorni.
Quasi ignorato dalla letteratura archeologica, salvo una breve nota dell'Abeken sul Bollettino dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica del 1839, ove si ricordano resti di epoca romana e una tomba a camera, si è imposto all'attenzione degli studiosi dal 1976 a seguito dell'individuazione di un centro abitato protostorico e della relativa necropoli con tombe databili all'VIII e VII sec. a.C. La presenza di una sorgente di acqua minerale e la posizione dell'attigua collina, dominante la valle del fosso dell'Acqua Acetosa, a poca distanza dal Tevere, devono aver favorito la scelta del luogo come abitato, a partire dagli inizî dell'VIII sec. a.C. In questo periodo si formano nel Lazio nuovi insediamenti; questi, insieme ad altri di origine più antica, fra i quali la stessa Roma, vengono ad assumere un carattere più unitario, chiusi da imponenti opere difensive tipiche dell'area laziale, articolate essenzialmente nella successione di un aggere e di un fossato artificiale.
Il centro abitato dell'Acqua Acetosa, pur di modeste dimensioni, dovette avere una certa importanza determinata dalla sua posizione ai confini del territorio di Roma, in prossimità del Tevere, importante via commerciale e di comunicazioni e pertatìto in diretto contatto con l'area veiente e falisca. Anche se per ora resta problematica l'identificazione del sito protostorico con uno dei nomi dei centri latini «scomparsi senza lasciare tracce» tramandatici da Plinio (Nat. hist., II, 68-70), la sua ubicazione a S di Roma non lontano da Ficana (odierna Acilia) e da Castel di Decima potrebbe orientarci a una scelta fra Politorium e Tellenae, che insieme a Ficana furono distrutti da Anco Marcio per realizzare l'espansione di Roma verso il mare (Liv., 1, 33, 1-4; Dion. Hal., m, 37-38), tanto più ora che sappiamo che il sito identificato dal Nibby come Tellenae in località La Giostra (v.), presso Via di Fioranello, è in realtà una delle cittadelle fortificate erette da Roma a presidio del suo territorio nel IV sec. a.C. in occasione delle guerre contro le popolazioni confinanti. Dai dati raccolti finora si può ipotizzare una decadenza del sito alla fine del VII sec. a.C. Le testimonianze di vita attestate per i secoli successivi non sembrano togliere necessariamente credibilità alle fonti che parlano della distruzione di questi centri da parte di Roma. La conquista romana segna infatti la loro fine politica, con lo smantellamento delle fortificazioni, ma la vita dovette continuare anche se solo a livello di insediamenti molto verosimilmente di carattere agricolo (e questo era certo uno degli scopi della conquista romana), insediamenti che la ricerca archeologica va accertando anche nei territori di pertinenza di questi centri.
L'area dell'abitato protostorico occupa il pianoro della collina tufacea di forma allungata leggermente semicircolare, orientata E-O, prospiciente il fosso dell'Acqua Acetosa, presso Via dei Casali di S. Sisto. La collina presenta due soli accessi antichi, uno a E e uno a O, in posizione facilmente difendibile. Mentre sul lato S era difesa da alte pareti a strapiombo, a Ν fu scavato un profondo fossato nel tratto in cui l'altura era legata al pianoro antistante, dove si è sviluppata la necropoli. Tale taglio artificiale, lungo c.a 200 m e affiancato da un terrapieno costituito contemporaneamente sul ciglio della collina, in modo da accentuare il dislivello, conservato tuttora per un'altezza di 11 m, veniva a formare un'efficace barriera difensiva e contemporaneamente permetteva il passaggio di una strada che dal fondovalle, a O, risaliva verso E, costeggiando la collina, e attraversava poi il pianoro della necropoli piegando verso NE. Alcuni saggi nel terrapieno hanno rivelato una frequentazione del sito fin dall'Età del Bronzo Finale (XII-X sec. a.C.). Lo scavo del fossato risalirebbe però agli inizî dell'VIII sec. a.C., datazione confermata dalle tombe più antiche della necropoli che si estendeva sul pianoro a NE dell'abitato.
I dati più interessanti finora sono stati ricavati dalla necropoli che, a differenza dell'abitato, è stata scavata quasi completamente con il recupero di 175 sepolture che permettono di seguire attraverso l'esame dei loro corredi e della loro organizzazione e struttura lo sviluppo sociale all'interno della comunità che, seppur esigua, mostra lo stesso processo verso una sempre maggiore articolazione e differenziazione dei gruppi familiari (le gentes di tradizione storica) attestato dalle altre necropoli laziali. Le tombe erano scavate nel banco di tufo, situato a poche decine di centimetri sotto il piano di campagna, a una profondità variabile da pochi centimetri a due metri. L'orientamento delle fosse e la deposizione degli oggetti mutano a seconda delle diverse epoche, confermando quanto avviene anche nelle altre necropoli laziali, testimonianza concreta di cambiamenti del rito funebre legati all'evoluzione sociale ed economica. Nel settore più antico della necropoli, più vicino all'abitato, databile nell'ambito della prima metà dell'VIII sec. a.C. (periodi IIB e III della cultura laziale) si hanno fosse strette e allungate con il corpo deposto al centro, orientate grosso modo E-O, e il capo volto a E. Gli oggetti del corredo, costituiti per lo più da pochi vasi d'impasto, in genere due tazze e un'anfora, sono deposti ai piedi del morto; sul corpo gli oggetti di ornamento personale. Con la fase di passaggio dal III al IV periodo (730-720 a.C.) si hanno fosse più larghe orientate SO-NE con il capo volto a SO: alcune di esse si differenziano per la presenza di una nicchia o loculo sulla parete alla destra del defunto ove sono raccolti i vasi del corredo, quasi a voler perpetuare nella tomba il concetto di tesaurizzazione dei beni di consumo.
Subito dopo, con l'Orientalizzante Antico (ultimo quarto dell'VIII sec.), tale fenomeno assume proporzioni decisamente più vistose e organizzate. Le famiglie aristocratiche, la cui autorità si basava fondamentalmente sul possesso della terra, si riservano appositi spazi nell'ambito della necropoli con la creazione di circoli o tumuli, anche di oltre 30 m di diametro. Al centro si ha la tomba più antica con intorno, disposte a cerchio, un numero variabile di sepolture collegate da evidenti rapporti familiari o sociali, e coprenti l'intero arco di tempo dall'Orientalizzante Antico a quello Recente. Le tombe dei personaggi più importanti, sia maschili che femminili, assumono la forma di pseudocamere con dimensioni fino a oltre m 4 x 3, con pilastri lignei o di pietra che sostengono un tetto di travi, sormontate da un tumulo di schegge di tufo e terra. Nella tomba 93, attribuibile al capostipite del circolo III, è attestato eccezionalmente il rito eroico dell'incinerazione come nel tumulo di Castel di Decima (v.).
L'influsso greco è palese anche nell'introduzione dell'uso del banchetto funebre, documentato dal rinnovamento del repertorio vascolare, con nuove forme sia di impasto che di argilla depurata dipinta di importazione o di imitazione greca. I corredi di queste tombe principesche arrivano a comprendere fino a un centinaio di vasi con numerosi recipienti di bronzo, soprattutto bacili, tripodi e patere baccellate. Ai coltelli, agli spiedi e agli alari in ferro si associano ricchi «servizi da vino» fra cui spiccano le anfore vinarie di importazione fenicia e i grandi hòlmoi sormontati da enormi tazze con alta ansa verticale insellata o da crateri di tipico gusto orientalizzante ornati da protomi di grifo. Gli àristoi venivano deposti nella tomba su un letto funebre, le donne con ricche acconciature costituite da vaghi d'ambra e di pasta vitrea, fibule e fermatrecce d'oro o d'argento, gli uomini con la spada e una o più lance, due o tre fibule e un cinturone di cui resta la chiusura a pettine o a semplice gancio. Dalla disposizione dei vasi è possibile supporre la presenza di tavoli o scaffali in legno; alle pareti erano appesi due o tre scudi rivestiti di lamina di bronzo decorata a sbalzo. Gli scudi sembrano finora esclusivi di un rango particolarmente elevato, insieme al carro da parata e ad altri oggetti di bronzo laminato quali i vassoi-incensieri, i flabelli e dei particolari poggiapiedi di un tipo attestato anche a Castel di Decima, in Etruria (Colonna, von Hase, 1984) e a Verucchio (La formazione della città in Emilia Romagna, Bologna 1987, figg. 161 e 163).
Le sepolture che circondano le tombe principesche, con le loro dimensioni ridotte e il carattere più modesto dei corredi, forniscono una testimonianza concreta del processo di stratificazione sociale nel Lazio in corso di consolidamento in corrispondenza del passaggio da una fase preurbana a una fase urbana vera e propria, che si realizza per Roma nell'Orientalizzante Recente (640/30-580 a.C.). Il mutamento di rito funebre che mette fine alla deposizione di oggetti nelle tombe di VI sec. a.C. impedisce di seguire ulteriormente la storia dell'abitato dell'Acqua Acetosa in questo secolo attraverso i corredi tombali. Per la seconda metà del VI e per gli inizî del V sec. a.C. si hanno però testimonianze dirette dai resti di alcune abitazioni rinvenute in prossimità della collina dell'abitato, subito a Ν di esso, lungo il ciglio del fossato sul cui fondo passava la strada, utilizzata fino a epoca romana imperiale.
Gli edifici, occupanti un'area rettangolare con serie di vani disposti su due o tre lati di una corte centrale con pozzi, cisterne e piccole fornaci sono la prima testimonianza di architettura rurale documentata finora in area laziale. I numerosi oggetti rinvenuti negli scavi effettuati sono conservati presso il Museo Nazionale Romano.
Bibl.: A. Bedini, Abitato protostorico in loc. Acqua Acetosa Laurentina, in Archeologia Laziale I (QuadAEI, 1), Roma 1978, pp. 30-34; id., Abitato prototorico in loc. Acqua Acetosa Laurentina, in Archeologia Laziale II (QuadAEI, 3), Roma 1979, pp. 21-28; id., Abitato protostorico in loc. Acqua Acetosa Laurentina, in Archeologia Laziale III (QuadAEI, 4), Roma 1980, pp. 58-64; id., Originile Romei («Origini di Roma») (cat.), Bucarest 1980, pp. 67-71; id., Edifici di abitazione di epoca arcaica in loc. Acqua Acetosa Laurentina, in Archeologia Laziale IV (QuadAEI, 5), Roma 1981, pp. 253-257; id., Due nuove tombe a camera presso l'abitato della Laurentina. Nota su alcuni tipi di sepolture nel VI e V sec. a.C., in Archeologia Laziale F (QuadAEI, 7), Roma 1983, pp. 28-37; G. Colonna, F. von Hase, Alle origini della statuaria etrusca. La Tomba delle Statue presso i Ceri, in StEtr, LII, 1984 (1986), pp. 57-58; A. Bedini, Laurentina Acqua Acetosa, in La Grande Roma dei Tarquini (cat.), Roma 1990, pp. 171-177 e 255-260; id., Abitato protostorico in località Acqua Acetosa Laurentina, in Archeologia a Roma. La materia e la tecnica nell'arte antica (cat.), Roma I990, pp. 48-64; id., L'insediamento della Laurentina Acqua Acetosa, in Roma. 1000 anni di civiltà (cat.), Verona 1992, pp. 83-96. Per il piatto T.65: A. Bedini, in L'alimentazione nel mondo antico. Gli Etruschi (cat.), Roma 1987, p. 153. - Per graffiti e iscrizioni: F. Cordano, C. De Simone, Graffiti e iscrizioni provenienti dall'Acqua Acetosa Laurentina, in PP, XXXVII, 1981, pp. 128-142. - Per i ritrovamenti protostorici nel territorio di pertinenza: A. Bedini, Contributo alla conoscenza del territorio a sud di Roma in epoca protostorica, in Archeologia Laziale IV (QuadAEI, 5), Roma 1981, pp. 57-65; id., Scavi al Tonino, in Archeologia Laziale VI (QuadAEI, 8), Roma 1984, pp. 84-90; id., Tre corredi protostorici dal Torrino. Osservazioni sull'affermarsi e la funzione delle aristocrazie terriere nell'VIII sec. a.C. nel Lazio, in Archeologia Laziale VII (QuadAEI, 11), Roma 1985, pp. 44-63; id., Tor de Cenci (Roma): tombe protostoriche, in NSc, 1988-89, pp. 221-282.