Lauretum
È una raccolta di carmi latini di ventuno autori in lode e in onore di Lorenzo de’ Medici il Giovane, stampata in un volumetto privo di note tipografiche, ma uscito probabilmente dai torchi fiorentini dei Giunti. L’unica edizione moderna (1820) fu curata da Domenico Moreni. La silloge comprende 76 testi, in maggioranza epigrammi (ma non mancano né carmi esametrici, né poesie in metri lirici), e fu allestita per iniziativa di Severo Minervi, singolare figura di armigero e poeta, che con i suoi sedici pezzi è di gran lunga l’autore più rappresentato. In seconda e in penultima sede si trovano due epistole in prosa a Lorenzo, firmate rispettivamente dallo stesso Minervi e da Carlo Aldrobrandi.
In chiave machiavelliana, il L. riveste una qualche importanza per gli indizi che se ne possono ricavare in merito alla cronologia del Principe e alla sua dedica a Lorenzo de’ Medici. La raccolta viene tradizionalmente collocata tra 1515 e 1516 sulla base dell’epigramma di Donato Giannotti (nr. 13) che celebra la nomina di Lorenzo a capitano dell’esercito fiorentino (23 maggio 1515), ma in Bausi 1985-1986 si proponeva di spostarne la datazione al 1518, collegandola alle ambizioni principesche di Lorenzo, il quale, dal 1516 duca di Urbino, sembrava quell’anno in procinto di diventare signore assoluto di Firenze. L’ipotesi, che mirava a corroborare l’assegnazione del Principe alla medesima circostanza, si fondava su due fra i testi più ampi e impegnati della silloge, entrambi di Minervi, il Carmen elegum (nr. 72) e la Sylva (nr. 74).
Nel primo si afferma che Lorenzo sta per recarsi a Roma, dove concluderà il suo matrimonio, e che la sua sposa darà alla luce il futuro principe d’Italia. Non è però necessario supporre che il carme sia stato composto nell’imminenza delle nozze di Lorenzo con Madeleine de la Tour d’Auvergne (il fidanzamento fu concluso il 25 gennaio, e Lorenzo si recò a Roma tra fine febbraio e inizio marzo 1518, partendo poi per la Francia, dove il matrimonio venne celebrato il 2 maggio); infatti, trattative matrimoniali erano state intavolate già nell’autunno del 1514 e in quello del 1516, e in entrambi i casi la partenza di Lorenzo per Roma fu messa in relazione dai fiorentini con tali progetti. Quello di Minervi sembra in effetti solo un generico auspicio, giacché nel Carmen elegum nulla si dice né dell’identità della sposa né di un imminente viaggio in Francia di Lorenzo.
Della Sylva importano i versi finali (135-40), dove l’autore dichiara che, grazie a Lorenzo, la Toscana dominerà sull’Italia intera, sottomettendo l’uno e l’altro mare, e che una sposa regale lo glorificherà di una splendida prole. Neppur qui tuttavia è stringente il rapporto con la situazione del 1518: Minervi, che indulge alle abituali amplificazioni encomiastiche, parla infatti al futuro, e l’accenno ai due mari non si riferisce necessariamente all’avvenuta conquista del ducato urbinate (estate 1516), poiché poteva essere giustificato anche dalla carica, attribuitagli dal papa nell’agosto 1515, di gonfaloniere della Chiesa, in quanto lo Stato pontificio si estendeva dal Tirreno all’Adriatico. La Sylva, dunque, salutava probabilmente il conferimento a Lorenzo dei due titoli di capitano generale della Repubblica fiorentina e di gonfaloniere della Chiesa, e dovrebbe risalire all’estate 1515.
Tenendo conto che tutti i suoi testi certamente databili appartengono agli anni 1513-15, l’allestimento e la stampa del L. dovranno quindi collocarsi fra la tarda primavera e l’estate del 1515, quando a Firenze i medicei attendevano con ansia il ritorno di Lorenzo da Roma – dove soggiornava dal settembre 1514 – poiché si temeva l’ormai prossima invasione di Francesco I, contro cui il nipote del papa era invocato quale difensore della città e dell’intera Italia; uno spunto, questo, su cui insiste un epigramma di Bartolomeo Rigogli (nr. 73) indirizzato a Leone X affinché restituisca Lorenzo ai fiorentini, e situato forse non a caso tra il Carmen elegum e la Sylva di Minervi. Nella silloge, del resto, come nella dedica del Principe, Lorenzo è chiamato sempre e soltanto «Magnifico», e mai «Eccellenza» o «Duca»: ci troviamo dunque in epoca anteriore alla conquista di Urbino o almeno all’investitura ufficale del ducato (8 ott. 1516). Non fa difficoltà, invece, che egli non sia mai appellato «Illustris», perché tale titolo, benché dovutogli dopo la nomina a capitano delle milizie fiorentine, non soppiantò del tutto quello di «Magnifico».
A questo periodo risale senza dubbio anche la silloge di 24 carmi latini, priva di titolo, messa insieme per il giovane Medici da uno degli autori del L., Carlo Viviani; tuttora inedita, si legge nell’elegante codice di dedica, il ms. Magliabechiano VII.389 della BNCF (cfr. Bausi 1985-1986, pp. 280-82). Nella raccoltina, in cui trovano posto anche sei poesie comprese nel L., Lorenzo è appellato sia «Magnificus» sia «Illustris»: siamo dunque, di nuovo, dopo la sua ascesa alla carica di capitano delle milizie cittadine nel maggio 1515. Terminus ante quem dovrebbe invece essere, come per il L., il 16 agosto dello stesso anno, quando Lorenzo partì per l’Italia settentrionale a capo delle truppe pontificie e fiorentine.
Nel primo componimento, la Sylva ex tempore, Viviani prima agogna e poi festeggia l’arrivo di Lorenzo a Firenze perché sarà lui a difendere la città e la Toscana dalla minaccia delle «barbaricae catervae» (chiara allusione, questa, all’invasione francese). In un successivo epigramma, allo stesso modo, il nipote del Magnifico viene presentato come colui che sconfiggerà i crudeli tiranni scatenati contro l’Italia da Marte: il dio, infatti, gli cede ora le sue armi, affinché egli possa difendere e liberare la penisola. In quest’ultimo componimento, inoltre, la descrizione di un’Italia desolata e oppressa dagli stranieri, che attende e trova il suo salvatore in Lorenzo, assume toni non lontani da quelli dell’exhortatio contenuta nel cap. xxvi del Principe; cfr. i vv. 3-8 e 11-12:
Itala barbaricos iam saevus in arva tyrannos / compulerat: multo mersa cruore videt, / aequatas solo videt a radicibus urbes, / nec spes Italidis ulla salutis erat. / Occumbunt moerore senes, iam rara iuventus / squallet et occiderant per fera bella duces. [...] At pius armipotens reparas Oenotria iura; / per te pax alitur, bella parare potes.
[Marte] crudele ha già spinto i barbari tiranni sui campi italici: li vede grondanti di molto sangue, vede le città rase al suolo dalle fondamenta, né alcuna speranza di salvezza resta agli Italiani. Muoiono di dolore i vecchi, intristiscono i rari giovani e i condottieri sono caduti nelle guerre crudeli. [...] Ma tu, pio e potente nelle armi, restauri gli enotri diritti; tu promuovi la pace, e hai la forza per preparare la guerra.
Il L. e la raccolta di Viviani dovrebbero dunque aver visto la luce nell’estate del 1515, quando a Firenze venne organizzata una cospicua manovra propagandistica a sostegno di Lorenzo, per creare consenso intorno a colui che, grazie al rapido accumulo di cariche militari, alle attese riposte in lui per la guerra contro l’invasore francese e alla contemporanea malattia dello zio Giuliano, stava ormai diventando l’esponente politico di maggiore spicco della famiglia e andava preparando il terreno per un deciso incremento del suo potere. Circostanza, questa, nella quale potrebbe forse inserirsi anche la decisione di M. di dedicargli il Principe, unendosi al folto coro dei suoi celebratori, in un momento in cui tutto sembrava volgere a favore del nipote del pontefice.
Bibliografia: Fonti: Lauretum, sive carmina in laudem Laurentii Medicis, s.n.t.; editio altera, Florentiae 1820.
Per gli studi critici si vedano: I. Sanesi, La vita e le opere di Donato Giannotti, Pistoia 1889, pp. 12-13; R. Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli, Roma 1954, Firenze 19787, pp. 525-26; F. Bausi, Politica e poesia. Il Lauretum, «Interpres», 1985-1986, 6, pp. 214-82.