LAURIO (Λαύριον o Λαύρειον, Laurium)
Questo nome, che oscillava in antico fra la località detta propriamente Laurio (oggi Ergastēria) e tutta la regione circostante, indica le famose miniere di piombo argentifero estendentisi per lungo tratto (circa 17 km. da nord a sud, circa 8,5 da est a ovest) nella parte SE. della penisola attica, quel tesoro che l'Attica - nel resto arida e povera - aveva largito ai suoi figli, e che questi misero sotto la protezione degli dei (Atena, Dioniso), considerandolo giustamente come fonte principale del loro benessere. Per la ricchezza ch'essa celava, tutta la regione, con i suoi porti che animavano la costa sinuosa (Torico, Laurio, Panormo), con i demi notevoli situati dentro terra (Maronea, Besa, ecc.), veniva detta τὰ ἀργύρεια. Il lavoro ferveva, ai tempi di Atene, con intensità mirabile per opera di schiavi e di operai specializzati, sia nelle vene stesse della terra, sia all'aperto nelle officine dove il metallo veniva pestato, lavato, fuso. Le tracce più notevoli del lavoro antico sono presso l'antica Maronea (oggi Kamáriza), dove si vedono ancora i pozzi (profondi fino a 119 m.) nei quali gli operai si calavano, gallerie sostenute da poderosi pilastri, e poi resti di forni, di cisterne, ecc.
Le miniere del Laurio erano in antico proprietà dello stato ateniese. Si è molto discusso se tale proprietà era dovuta al fatto che, al momento della scoperta dei filoni argentiferi, lo stato era proprietario del suolo, oppure se essa dipendeva dal diritto di proprietà (diritto di regalia) che lo stato si arrogava su tutti i beni del sottosuolo, qualunque fosse il proprietario del suolo. La questione ha molto interesse anche perché nel tardo diritto romano e romano-barbarico si vede affermarsi il concetto della regalia delle miniere, che era estraneo al diritto classico, e si pone quindi il problema se questo nuovo istituto non sia sotto l'influenza di concetti del diritto greco. E ormai non è dubbio che ad Atene esisteva il diritto di regalia sulle miniere. Non solo non si conoscono miniere di privati, ciò che sarebbe molto strano se lo stato fosse stato possessore soltanto di determinati territorî minerarî, ma le iscrizioni, per indicare le miniere, fanno il nome dei proprietarî del suolo in cui quelle miniere sono situate. Nello stato ateniese vigeva dunque la convinzione che i beni del sottosuolo non potessero già appartenere a questo o a quel privato, ma fossero ricchezza collettiva. Questo carattere dei beni minerarî è confermato dal modo stesso con cui lo stato se ne valeva nei tempi più antichi; perché Erodoto ci testimonia indirettamente (VII, 143) che prima della scoperta di nuovi importanti filoni, avvenuta nel 483 circa a. C., i proventi delle miniere erano senz'altro distribuiti in parti uguali ai cittadini. Poiché Erodoto ci parla anche della distribuzione di 10 dramme a testa come si trattasse della distribuzione normale, e poiché d'altro lato la popolazione di Atene intorno al 480 annoverava circa 30.000 cittadini, è facile arguire che i proventi netti delle miniere in questo periodo più antico erano di 50 talenti all'anno, cioè di più di 1800 kg.: dal che si può anche dedurre che la quantità di piombo argentifero scavata in un anno era di 600 tonnellate, considerando come abituale nei sistemi antichi che da 1000 kg. di piombo si ricavassero 3 di argento. S'intende che questo sistema di distribuzione diretta, se è il più antico che noi conosciamo, non poteva essere compatibile che con un governo sia pure moderatamente democratico: e perciò è senz'altro da escludere, ad es., che Pisistrato e i Pisistratidi rinunciassero a favore del popolo a queste ricchezze. Sappiamo infatti, sempre da Erodoto (I, 64), che uno degli elementi maggiori della forza di Pisistrato era il possesso di miniere, tra cui erano quelle del Laurio; ciò vuol dire che egli, trovatosi, come capo dello stato, con le miniere a sua disposizione, ne incamerò i redditi. Con la scoperta di nuovi filoni nella località di Maronea nel 483 il sistema di amministrazione delle miniere dovette cambiare. Poiché una tradizione assai attendibile (Aristotele, Costituzione di Atene, 22, 7) ci asserisce che in seguito a questi nuovi proventi Temistocle poté costruire con 100 talenti 100 navi per Atene, è da credere che i nuovi filoni avessero più o meno raddoppiato le rendite e che queste rendite non fossero più distribuite fra i cittadini, ma usate direttamente dallo stato. Ma se per un lato le stesse condizioni politiche ed economiche di Atene, duramente provata dalle guerre persiane, dovevano consigliare a non sminuzzare capitali preziosi, per un altro lato la maggiore importanza dei giacimenti doveva rendere ardua l'amministrazione diretta dello sfruttamento a uno stato così poco attrezzato negli ordinamenti burocratici, quale era Atene. È naturale quindi che intorno a quel tempo avvenisse la cessione in appalto ai cittadini dello sfruttamento delle miniere e così lo stato si garantisse un reddito sicuro per suo uso e nello stesso tempo desse modo almeno a determinate categorie di cittadini di profittare delle miniere. Che questa trasformazione dell'ordinamento delle miniere rientrasse in tal modo in quel favoreggiamento delle classi commerciali e industriali, che caratterizza tutta la politica imperialistica di Atene dalle guerre persiane alla guerra del Peloponneso, è ovvio; ma non va dimenticato che talune delle concessioni documentate dalle epigrafi sono estremamente esigue e che inoltre il rinnovo delle concessioni avveniva ogni tre anni per le miniere già precedentemente sfruttate e quindi di reddito certo (mentre durava qualche anno di più per le miniere i cui giacimenti erano appena sospettati), sicché effettivamente era assai facile avere una concessione, sia perché si esigeva un ristrettissimo capitale, sia perché la rotazione dei concessionarî era, se non obbligatoria, almeno possibile frequentemente. Del resto, se sappiamo di società per lo sfruttamento che impiegavano anche mille schiavi, sappiamo d'altra parte che c'erano degli appaltatori che lavoravano essi medesimi, e essi soltanto, nelle loro miniere. Non pare quindi dubbio che anche il sistema degli appalti, pur con la preoccupazione di assicurare un utile fisso allo stato e di favorire le classi plutocratiche, non dimenticava la massa popolare e la compensava almeno in parte della soppressione delle distribuzioni dirette. Non c'è poi bisogno di avvertire che, se lo stato ateniese poté permettersi le diarie, che largiva ai suoi cittadini in molte occasioni (tipico il ϑεωρικο0ν), lo poté fare in grazia dei redditi delle miniere.
Quanto al sistema preciso usato negli appalti, i testi non lasciano dubbio che nel sec. IV l'appaltatore pagava una somma complessiva per l'usufrutto della miniera durante il numero di anni stabilito dalla legge. Dato che le miniere avevano un reddito approssimativamente conosciuto, non era difficile stabilire un canone medio. Ma dalla fine del sec. IV a. C. in poi cominciò la decadenza economica di Atene, per lo spostamento dell'asse del commercio mondiale seguito alle conquiste di Alessandro Magno: profluvî d' oro e d' argento vennero dalla Macedonia e poi dall'Oriente a svalutare l'argento prodotto in Grecia. D'altro lato sembra anche accertato che le miniere cominciassero allora a produrre meno, tanto che si hanno indizî per credere che il piombo argentifero già in periodi precedenti sottoposto alla coppellazione per l'estrazione dell'argento ora fosse nuovamente trattato per sfruttare i residui. Date queste sfavorevoli condizioni, si comprende che nessuno più volesse pagare un canone prima di avere la certezza di poter trovare e poi smerciare l'argento. Si spiega quindi che Suida in una sua glossa (ἀγράϕου μετάλλου δίκη) asserisce che l'appaltatore pagava un ventiquattresimo (4,16%) del reddito delle miniere allo stato. Questa testimonianza è stata spesso riferita all'età classica, con il solo risultato di creare contraddizioni insanabili con gli altri testi. E invece s'intende assai bene quando la si riferisca all'età ellenistica, nel periodo, cioè, di decadenza: allora era naturale che si pretendesse un canone molto esiguo in sé e in ogni caso proporzionato non al reddito presumibile, ma al reddito accertato.
A questa decadenza si deve se il numero degli schiavi che nel secolo I a. C. lavorava nelle miniere era ridotto a 1000 (Ateneo, VI, 272 e), mentre si calcola che nel sec. IV ascendesse a circa 10.000. E nel sec. II d. C., al tempo di Pausania (I, 1), le miniere erano già cosa del passato, né più mai nell'età antica fu ritentato lo sfruttamento. L'impero aveva altrove, soprattutto in Spagna, le sue miniere d'argento e non si servì più delle miniere ateniesi.
Le miniere del Laurio sono il fedele specchio delle vicende economiche di Atene. Il periodo di maggior fiore delle miniere corrisponde al periodo di maggior fiore di Atene, nel V e nel IV secolo, soprattutto nel V, quando la moneta di Atene, formata appunto con l'argento del Laurio, era la moneta più apprezzata della Grecia, era l'unica anzi che fosse considerata come moneta "buona" tra quelle greche, e Atene poteva fare allora anche il tentativo d'imporre a tutta la prima Lega delio-attica l'adozione obbligatoria della sua moneta. Tanta era la fiducia degli Ateniesi nelle loro miniere, che Senofonte sul suo libro sulle Entrate (Πόροι) poteva sostenere il suo ideale di una politica ateniese pacifica e tutta rivolta all'ordinaria amministrazione civica senza velleità imperialistiche con il programma di uno sfruttamento intensivo delle miniere, che avrebbe compensato dell'abbandono dell'impero: sfruttamento che naturalmente presupponeva l'inesauribilità delle miniere stesse! Ma con Filippo di Macedonia il mercato greco era inondato per la prima volta d'oro (i darici persiani che apparivano precedentemente erano piuttosto rari: e al grave danno per l'economia di Atene subito si accompagna la decadenza politica. Da allora decadenza economica e decadenza politica agiranno scambievolmente fino a far tacere il lavoro nelle miniere del Laurio.
Le antiche miniere rimasero abbandonate sino alla seconda metà del sec. XIX, allorché una società italo-francese (Serpieri e Roux) ottenne dal governo greco una concessione per lo sfruttamento del Laurio, di cui l'italiano G. B. Serpieri era riuscito a riconoscere la possibilità di ulteriore utilizzazione (1864). Ma, estesasi tale utilizzazione grazie a progressi tecnici alle scorie (ἐκβολάδες), non contemplate dalla concessione, ne risultò un clamoroso processo durato 6 anni fra il governo greco e la società, sostenuta dall'Italia e dalla Francia. Il processo, che ebbe grande risonanza nella vita politica ed economica greca finì nel 1875 con la cessione dei diritti della società concessionaria alla Banca di Costantinopoli, da cui trasse origine una nuova società greca che rilevò l'impresa. Attualmente le miniere sono sfruttate da più società, di cui le principali sono la greca ‛Ελληνικὴ ἑταιρεία τῶν μεταλλουργείων e la francese Société-française des mines du Laurion. I metalli estratti, oltre all'argento, principale cespite in epoca classica, sono oggi soprattutto il piombo, la colamina e il manganese.
Bibl.: A. Boeckh, Über die laurischen Silberbergwerke in Attica, in Kleine Schriften, XI, p. 1 segg.; J. H. Hansen, De metallis atticis, Amburgo 1885; E. Ardaillon, Les mines du Laurion dans l'antiquité, Parigi 1894 (Bibliothèque des Écoles Françaises d'Athènes et de Rome, LXXVII); A. Schönbauer, Beiträge zur Geschichte des Bergbaurechts, Monaco 1929 (Münchener Beiträge zur Papyrus forschung, XII); A. Momigliano, Sull'amministrazione delle miniere del Laurio, in Athenaeum, n. s., X (1932), p. 247 segg.