Vedi LAURION dell'anno: 1961 - 1995
LAURION (v. vol. IV, p. 508)
A partire dal 1962 notevoli passi avanti sono stati fatti nella conoscenza del L. grazie alle numerose ricerche compiute sul terreno. La maggior parte delle strutture rinvenute, attinenti alla lavorazione dell'argento, sono datate al V-IV sec. a.C. Gli scavi hanno permesso di approfondire lo studio del funzionamento degli ergastèria per la concentrazione del metallo; si ricordano in particolare per la loro ampiezza quelli effettuati nella valle di Soureza e in quella di Agrileza, nella quale il Kakavoghiannis ha suggerito di riconoscere la località di Ano Sounion, menzionata in un'iscrizione (Crosby, 1950). Le officine venivano costruite accanto alle zone di estrazione del metallo: si componevano di una o più corti, dove i minerali erano compressi e macinati, e attorno a esse si disponevano varî ambienti, alcuni per la lavorazione del metallo, altri per gli operai che in maggioranza erano schiavi (è stato calcolato che il loro numero nel IV sec. a.C. era di 10.000-11.000 c.a), altri ancora per i servizi. Nel pavimento di alcuni ambienti sono state rinvenute piccole fosse tagliate nello schisto, che sono state collegate con il processo di coppellazione per la presenza di numerosi frammenti piatti di litargirio.
La corte era affiancata da un'area dove le particelle di minerale venivano «lavate», così da dividere quelle più pesanti a forte tenore di piombo, destinate alla fusione, da quelle più leggere; C. E. Conophagos riconosce due tipi principali di tali aree.
Le officine più diffuse sono quelle piane, composte da un serbatoio dell'acqua di forma rettangolare munito sulla fronte di fori posti all'incirca a metà altezza dalla base. Davanti è uno spazio rettangolare, dove doveva essere sistemata una tavola di legno leggermente inclinata, con cavità nelle quali si depositavano le particelle di minerale ricche di piombo, mentre le altre venivano trascinate via dall'acqua che fuoriusciva dai fori del serbatoio. L'acqua defluiva poi nel canale che circondava un'area quadrangolare, posta dinnanzi alla precedente, dove si poneva il materiale a seccare. Il canale era fornito di due bacini di sedimentazione negli angoli esterni dell'officina e convogliava l'acqua in un serbatoio sito ai piedi di una tavola, sulla quale venivano posti gli scarti tolti dai canali e dai bacini. Il tutto era alimentato da cisterne. Il sistema permetteva la completa circolazione e riutilizzazione dell'acqua nel processo di lavaggio; la sua efficienza dipendeva dalla presenza di una malta idraulica di ottima qualità che ricopriva i varî elementi dell'impianto, della quale di recente è stata studiata la composizione. La presenza di basi di colonne lungo uno dei lati dell'area dove si depositava il materiale a seccare e di numerosi frammenti di tegole di copertura e gocciolatoi suggeriscono che il luogo destinato alla lavatura del minerale era coperto da un portico mentre il resto era a cielo aperto. In questo modo l'evaporazione dell'acqua nei canali posti nella zona coperta si riduceva e l'ombra favoriva il lavoro degli schiavi, mentre la zona centrale scoperta facilitava l'essiccazione del materiale. Si può supporre che per evitare l'evaporazione dell'acqua anche le cisterne fossero coperte, come sembrerebbe confermare il rinvenimento di una di esse a SE della valle di Agrileza, che conserva parte del tetto. Questo tipo di officina si divide in due sottotipi distinti dalla presenza (tipo I) o dall'assenza (tipo II) del ripiano per porre gli scarti.
Più rare e di datazione più recente sono le officine elicoidali: si compongono di blocchi di marmo disposti probabilmente in cerchio, incavati superiormente a formare un canale per l'acqua, nel quale sono cavità a forma di ellisse. Questo canale aveva la stessa funzione della tavola di legno delle officine piane.
In alcuni di questi ergastèrìa sono stati portati alla luce alcuni andrònes, sale da banchetto riservate agli uomini liberi. La loro presenza indica che la mano d'opera non era soltanto servile, ma che anche uomini liberi venivano impiegati, verosimilmente, in lavori specializzati o di sorveglianza.
Le fonderie rinvenute hanno dimostrato che in genere si trattava di stabilimenti separati. I forni a tino in schisto, dei quali rimangono tracce, erano posti ognuno in un ambiente aperto sulla fronte, nel pavimento del quale si sono rinvenuti i canali e gli incavi per la fuoriuscita del metallo fuso e delle scorie. Sopra al muro di fondo è una piattaforma in muratura dalla quale si caricava il combustibile e il materiale nella fornace. La fonderia meglio conservata fra quelle conosciute è quella presso Panormos dov'è stato rinvenuto l'impianto per nove forni. La tecnica di fusione e il successivo processo, la coppellazione, per il quale pochi sono i dati certi, sono stati studiati dal Conophagos.
Numerose sono inoltre le installazioni artigianali, collegate con le attività metallurgiche, delle quali si conservano tracce nel Laurion. Fra queste è da ricordare il rinvenimento ad Anemones di un piccolo edificio rettangolare in muratura a secco costituito in origine da un solo vano diviso successivamente in due, in uso dal IV sec. a.C. a tutta l'età ellenistica. La grande quantità di scorie rinvenuta nella stanza O ha fatto supporre che fosse utilizzato per immagazzinare i resti della concentrazione.
Forse identificabile con un insediamento industriale collegato con l'antico porto è il grande edificio (56 x 6i m) portato alla luce tra il 1979 e 1983 a Passalimani, in uso dal IV sec. a.C. al I sec. d.C.: attorno a una corte centrale, con portico sul lato N, si dispongono magazzini, ergastèria, latrine e bagni. A tale ipotesi si oppongono alcuni studiosi che vedono in questa struttura parte di un agorà ellenistica, forse l'agorà έν κοίλη che gli abitanti di Salamina fecero costruire a Sunio, menzionata in alcune iscrizioni dell'agorà di Atene.
Sono state anche scavate alcune aree cimiteriali; tra queste si distingue per la particolare ampiezza del ritrovamento (più di 200 tombe) quella portata alla luce nella valle tra il L. e Soureza, che si compone principalmente di tombe a fossa con inumazioni. La maggior parte delle sepolture è databile al 480/460 a.C. Tra i rinvenimenti sono da ricordare le lèkythoi attribuite al Pittore di Haimon e all'officina del Pittore di Beldam e un'iscrizione che riguarda l'affitto di una miniera, reimpiegato come coperchio di una tomba della prima metà del V sec. a.C. La vastità della necropoli e la presenza, accanto a essa, di tracce di officine ha fatto proporre l'identificazione di questo complesso con l'antica Maròneia, uno dei più importanti centri metallurgici del Laurion.
Tracce di un'altra vasta area cimiteriale sono state rinvenute nell'area di Spitharopoussi dove è stato scavato un piccolo recinto funerario quadrato in blocchi di calcare. Oltre all'estrazione del minerale argentifero, bisogna ricordare che nell'area della valle di Agrileza si cavava un marmo che si ritrova abbondantemente impiegato nei monumenti dell'Attica quali il tempio di Capo Sunio, le torri della regione, gli edifici di Thorikòs. Numerosi sono inoltre i resti antichi portati alla luce, non direttamente collegati con i lavori delle miniere. A Kamariza, presso la Chiesa di Haghios Konstantinos, è stato scavato nel 1975 un piccolo complesso santuariale del IV-I sec. a.C., che si compone in una prima fase di un témenos circondato da un muro circolare (IV-III sec. a.C.), sostituito nella seconda metà del III sec. a.C. da un muro rettilineo di contenimento sui lati Ν ed E. Nel II sec. a.C. sarà costruita una stanza, forse un deposito per offerte, e nel I sec. a.C. un naìskos, che parrebbe distilo in antis. Frammenti di una statua di marmo, probabilmente femminile, potrebbero appartenere all'immagine di culto. Sempre in quest'area è stata rinvenuta una costruzione, forse in origine un impianto termale (IV sec. a.C.), in alcune stanze della quale fu installata in un secondo tempo un'officina metallurgica, in uso fino all'epoca romana.
Negli ultimi anni sono state indagate le fattorie del L. che, secondo il Waelkens, dovevano produrre il cibo per la popolazione connessa con l'industria mineraria. La loro funzione agricola sembra confermata dal confronto con altre costruzioni simili rinvenute in Attica, a Siphnos e Thasos. Si compongono di un edificio, di una terrazza, forse coltivata a grano o utilizzata come spazio per le attività esterne quali la trebbiatura, e di una torre, alta in origine 10-13 m e divisa in due-tre piani, con probabile funzione di immagazzinaggio nei suoi piani alti e di lavoro in quello basso. Pertinenti a fattorie erano la «Princess Tower», e la «Cliff Tower» situate nella zona della valle di Agrileza, mentre per un'altra delle torri della valle, la «Golden Pig Tower», è stato supposto un uso industriale per la sua vicinanza alle installazioni metallurgiche. Un'iscrizione rupestre, rinvenuta insieme ad altre presso la «Cliff Tower», rivelerebbe che nella prima metà del IV sec. a.C. quest'ultima, e quindi la fattoria a essa collegata, apparteneva a un Timesios figlio di Lisandros. Fra le fattorie portate alla luce è da ricordare per il suo stato di conservazione, quella rilevata dal Watrous nel 1980, sita su una collina del golfo di Gaidouroumandra (Ormos Perdica). Tra i rinvenimenti sparsi vanno menzionati un relitto del IV sec. a.C. localizzato, nel 1979, nel golfo di Gaidouromandra, e una lèkythos a figure rosse ritrovata nel 1976, sul Monte Sophianos, rappresentante due donne ed Eros, ora al museo di Brauron (n. 14049), che D. Kyriakou-Zaphiropoulou ha datato al 430-425 a.C. e attribuito al Pittore della Phiàle.
I resti di una basilica paleocristiana a tre navate sono stati scoperti, nel 1981, su un'alta collina detta tou Nikoli situata a E della città di Laurion. Il pavimento del nartece è decorato da un mosaico policromo, restaurato di recente: il motivo centrale, iscritto in un cerchio decorato, rappresenta due anfore da cui fuoriescono rami di alloro.
La grotta di Kitsos. - Scavata negli anni 1968-1978 (sotto la direzione di N. Lambert), la grotta si apre a 288 m di altitudine, sul pendio E del Mikro Ripari, 5 km a O della città di Laurion. La cavità, orientata NO-SE, misura c.a 50 m di lunghezza, su 5 m di larghezza media. La prima parte della grotta è crollata tra la fine del Neolitico e l'inizio dell'Età del Bronzo. Lo sgombero dei blocchi crollati ha rivelato la presenza di un grosso muro in pietra di età neolitica che chiudeva l'apertura originaria, lasciando sulla sinistra un varco rettangolare (largo 0,90 m e alto 1,10 m). Un corridoio in discesa porta alla prima sala (sala 1) sulla quale se ne affacciano altre due (sala 2 e 3), mentre tramite un'entrata più ampia si giunge, attraverso un cunicolo^ alla sala 3. Lo scavo di un pozzo all'esterno della grotta ha rivelato la presenza di un vano inferiore, che comunicava con la sala 1.
La più antica presenza dell'uomo all'interno della grotta è presunta nella fase musteriana e risalirebbe a 40.000 anni fa: nella sala 1 sono i resti di un focolare (ossa bruciate di orso, cervo e lepre e qualche conchiglia marina), mentre gli oggetti (reperti in quarzo locale, rari oggetti in osso) provengono tutti dall'esterno della grotta. Due frammenti di tibia sarebbero i più antichi resti di uomo fossile rinvenuti in Grecia e alcune delle specie animali qui testimoniate costituiscono la prima attestazione in un contesto greco.
Il successivo periodo di occupazione è stato datato, tramite il CI4, in età neolitica e precisamente al 4900-4220 a.C. Per contenere l'erosione del terreno venne allora costruito a c.a 10 m dall'entrata della grotta, un muro che segue la costa per c.a 15 m. Un'occupazione del sito esterno alla grotta è rivelata dalla presenza di tracce riconducibili, probabilmente, a una capanna. I reperti collocano la grotta di Kitsos nella sequenza degli strati neolitici della Grecia meridionale.
Al momento più antico, che non corrisponde a uno stanziamento permanente, sono ascrivibili pochi manufatti litici, perlopiù in ossidiana di Milo lavorata in loco (sono presenti scarti di lavorazione), e le prime ceramiche, tra cui compaiono le coppe indicate come «pseudo-cicladiche» (di forma conica con linee sobrie e slanciate). Solo alla metà del V millennio a.C. pastoricacciatori soggiorneranno stabilmente nella grotta. L'abbondante materiale sia litico che ceramico rivela una crescente influenza tessalica. Appaiono i primi vasi di produzione indigena, nuove forme e nuovi procedimenti nella decorazione (levigatura, incisione). Una tonalità complementare è data da qualche ceramica fine del Peloponneso. Particolare menzione meritano le ciotole arrotondate su base sopraelevata incise a punteggiatura, vicine a quelle della Grotta di Pan (Maratona). Notevoli, inoltre, due rappresentazioni femminili, una realizzata in osso, simile ai ciondoli di Ruse, l'altra modellata in argilla, che presenta punti di contatto con oggetti simili rinvenuti in Bulgaria e Romania (Bouthiu); un ciondolo anulare in schisto simile a quello in oro di Gumelnitsa, e una spilla in rame.
Nel periodo più tardo di occupazione neolitica il materiale rivela lo stabilirsi di relazioni tra il mondo egeo e gli abitanti di Kitsos: i vasi decorati con bande opache risparmiate sul fondo levigato, che compongono motivi rettilinei, ricordano quelli di Egina, le coppe grigio scuro con bordo rinforzato e scanalato richiamano la produzione del Bronzo Antico dell'Anatolia centrale, mentre un ciondolo fallico scolpito e levigato in roccia silicea rimanderebbe a un contesto elladico o cicladico. È stata quindi supposta la presenza di un traffico marittimo tra il continente e le isole, proponendo che il L. costituisse un approdo per gli abitanti di Milo che commerciavano l'ossidiana fino in Tessaglia. Per la sua originalità merita di essere menzionato un grande vaso senza fondo, decorato con un motivo zoomorfo in rilievo, rinvenuto nel focolare Σ della capanna antistante la grotta.
In un lasso di tempo tra il secondo e il terzo periodo di occupazione neolitica si datano resti umani rinvenuti nella grotta. La mancanza di indizî di sepoltura rivela che probabilmente i cadaveri furono abbandonati quando la cavità era disabitata.
Per l'epoca post-neolitica i reperti testimoniano una prima breve incursione micenea, ma la maggior parte dei ritrovamenti appartiene al VI-V sec. a.C. e proviene soprattutto da un focolare scoperto nella sala I, che potrebbe testimoniare un culto celebrato nella grotta; la mancanza di dati impedisce di identificare la divinità venerata. Il rinvenimento di una coppella in ceramica utilizzata nella lavorazione dell'argento conferma che i visitatori della grotta erano collegati con il mondo delle miniere. Questa frequentazione si protrasse fino al IV-V sec. d.C.
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