LAURIYĀ-ΝAΝDAN'GARH (v. vol. IV, p. 509)
Località del Bihar (India) situata lungo l'Uttarāpatha, la Via del Nord che dalle città del Magadha, Pāṭaliputra (v.) e Vaiśālī (v.), costeggiando le pendici himalayane portava verso il Nord-Ovest del subcontinente. Come in altri siti lungo questo itinerario, vi sorge una colonna fatta innalzare dall'imperatore maurya Aśoka intorno al 250 a.C. Interpretato come liṅga (v.), il monumento dà il nome alla località (laur significa «fallo» nella lingua locale).
La colonna è l'unica che sia al tempo stesso in situ e intatta insieme con quella di Vaiśālī, rispetto alla quale è però assai più alta (c.a 12 m) e slanciata. Essa poggia in fondazione su una piattaforma litica, particolare che la fa effettivamente ritenere opera di Aśoka (altre colonne, inserite nel terreno senza alcun tipo di fondazione, sarebbero più antiche). Il fusto di arenaria polita è rastremato, avendo un diametro di oltre 1 m alla base e di 0,9 m alla sommità, e termina con un capitello formato da un elemento lotiforme, un abaco su cui è rappresentata una fila di oche col becco verso terra, e l'emblema, un leone in posa araldica. Estraneo all'India, il leone sembra essere stato introdotto come emblema proprio da Aśoka, che lo mutuò dalle iconografie vicino-orientali e iraniche, e lo assunse come simbolo di un nuovo tipo di regalità. Secondo altri, il leone sarebbe piuttosto simbolo del Buddha, uno dei cui epiteti è «Leone degli Śākya». Sul fusto della colonna sono riportati i primi sei editti su colonna di Aśoka, quelli, cioè - dei sette iscritti sulla colonna-prototipo di Delhi-Toprā riproposti su diverse altre colonne, tra cui quella della non lontana Lauriyā-Arārāj.
Il monumento si trova in prossimità di una serie di tumuli, quasi tutti di grandi dimensioni, disposti su tre file: la prima con andamento E-O, le altre, sulla sinistra, con andamento N-S. T. Bloch, che nel 1905 ne aprì quattro senza però metterne in chiaro la pianta, li interpretò come tombe reali di epoca pre-maurya attestanti rituali vedici. Questa teoria gode ancora di un certo credito (si veda p.es. J. Irwin), benché N. G. Majumdar, riprendendo lo scavo del sito negli anni '30, abbia mostrato che si trattava di stūpa buddhisti rivestiti di mattoni cotti.
Lo stūpa A, p.es., nella prima fila, risultò avere pianta circolare con pradakṣiṇāpatha pavimentato: all'interno conservava un recipiente contenente ossa umane. La sua data, come quella degli altri stūpa, non è mai stata stabilita con certezza, ma sulla base di alcuni ritrovamenti si ritiene che risalga, con gli altri monumenti del gruppo, al III sec. a.C., almeno nella sua forma originaria (peraltro mai chiarita). Lo stūpa A rimase comunque oggetto di culto fino intorno al VII sec., come mostrano le tavolette votive in terracotta venute alla luce tutt'attorno.
L'uso di inumare i resti dei confratelli negli stūpa era corrente presso le comunità buddhiste antiche, come recentemente è stato ribadito da G. Schopen, ma va pur detto che a L. non si è trovata traccia di monasteri, e che secondo una notizia del Bengal Administration Report per il 1868-69 in uno dei tumuli erano state trovate «alcune bare di piombo contenenti scheletri umani insolitamente alti» - una pratica non attestata nei monasteri. Bloch, che nei tumuli M e Ν (terza fila) da lui aperti aveva rinvenuto resti ossei, aveva creduto che fossero costruiti con strati alterni di argilla gialla e paglia, rivelatisi invece più tardi - come vide A. Ghosh, che alla fine degli anni '30 continuò gli scavi di N. G. Majumdar - mattoni crudi. I tumuli M e Ν avevano in origine al proprio interno, come asse, un palo ligneo; nel tumulo Ν ne rimaneva la parte inferiore, del diametro di m 1,30 circa. Si trattava, in questo come in altri casi, dello yüpa, su cui era innestato un secondo palo ligneo (yaṣṭi), rappresentante l’Indrakīla o asse cosmico intorno al quale questo e altri stūpa sarebbero poi stati costruiti. Irwin considera gli stūpa (ν.) con yūpa e yaṣṭi come appartenenti a una classe arcaica di monumenti, precedenti l'uso di interrare reliquie, ma va osservato che proprio nei tumuli M e Ν di L., Bloch trovò sia le evidenze lignee sia i depositi ossei. La documentazione archeologica rimane a tutt'oggi inadeguata per farsi un'idea credibile del modello a cui questi monumenti si rifanno.
A S del villaggio di L. si trova il colossale stūpa di Nandangarh, scavato anch'esso negli anni '30. Si tratta di una struttura a terrazze di c.a 400 m di diametro. La base e le due prime terrazze sono cruciformi, e presentano in ciascun quadrante tredici aggetti triangolari e quattordici rientranze, mentre le due terrazze superiori sono circolari. All'interno del monumento, il cui anda è perduto, si trova un piccolo stūpa , anch'esso a base poligonale e conservante tamburo, aṇḍa e harmikā, il quale sembra essere il modello dello stūpa maggiore. In un piccolo reliquiario trovatogli accanto furono rinvenuti frammenti di un manoscritto databile al IV sec. d.C. In una fase imprecisabile, le tre terrazze inferiori dello stūpa vennero circondate da mura circolari a terrazze, rimosse da Majumdar.
I materiali necessari per costruire lo stūpa - uno dei più grandi di tutta l'Asia, per diversi aspetti avvicinabile a quelli di Antichak (v.), Pahārpur e ai grandi monumenti del Sud-Est asiatico - costituiscono parte del deposito dell'antico insediamento databile tra il periodo maurya (IV-III sec. a.C.) e quello kuṣāṇa (I-II sec. d.C.) ai limiti del cui perimetro (di km 1,6) lo stūpa sorge. L'asporto diede luogo, in particolare, alla formazione della grande vasca situata a S del monumento, all'interno del quale si rinvennero dunque numerosi materiali provenienti dall'antica zona abitata, quali figurine fittili umane e animali, monete punzonate e monete di rame, sigilli e oggetti di ferro. Si ricordano una statuetta femminile acefala e la testa di un bambino, lavorate a tutto tondo e avvicinabili alla produzione maurya di Pāṭaliputra, e alcune placche di epoca śuṅga (ΙΙ-inizî I sec. a.C.).
L'insediamento, che non è mai stato indagato archeologicamente, costituisce l'abitato a Ν del quale Aśoka fece innalzare la colonna e in cui vennero eretti gli stūpa più antichi.
Bibl.: A. C. L. Carlleyle, Report of Tours in Gorakhpur, Saran, and Ghazipur in 1877-78-79 and 80 (ASI Reports, 22), Calcutta 1885, pp. 36-47; T. Bloch, Excavations at Lauriya, in ASIAR 1906-07, pp. 119-126; M. Ḥ. Ḳuraishī, List of Ancient Monuments Protected Under Act VII of 1904 in the Province of Bihar and Orissa (ASI, New Imperial Series, 51), Calcutta 1931, pp. 9-16; N. G. Majumdar, Explorations at Laiiriya-Nandangarh, in ASIAR 1935-36, pp. 55-66; id., Excavations at Lauriya-Nandangarh, in ASIAR 1936-37, pp. 47-50; J. E. van Lohuizen-de Leeuw, South-East Asian Architecture and the Stūpa of Nandangarh, in ArtAs, XIX, 1956, pp. 279-290; D. R. Patil, The Antiquarian Remains in Bihar, Patna 1963, pp. 234-244; J. Irwin, Aśokan Pillars: a Reassessment of the Evidence, in The Burlington Magazine, CXV, 1973, pp. 706-720; CXVI, 1974, pp. 712-727; CXVII, 1975, pp. 631-643; CXVIII, 1976, pp. 734-753; S. H. Mukhopadhyay, Terracotta from Lauriya-Nandangarh in the Indian Museum, Calcutta, in Lalit Kalā, XVIII, 1977, pp. 31-35; J. Irwin, The Stūpa and the Cosmic Axis, in M. Taddei (ed.), SAA 1977, II, Napoli 1979, pp. 799·845; A. Ghosh, in A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, II, Delhi 1989, pp. 254-255, s.v.; G. Schopen, An Old Inscription from Amarāvati and the Cult of the Local Monastic Dead in Indian Buddhist Monasteries, in The Journal of the International Association of Buddhist Studies, XIV, 1991, pp. 281-329.