QUIRINI, Lauro
– Figlio di Pietro di Giorgio e di Franceschina Duodo, appartenne a quella cerchia di patrizi veneziani che attorno alla metà del Quattrocento, con l’affermarsi dell’Umanesimo fiorentino, abbracciarono con entusiasmo il nuovo corso di studi facendosene partecipi e sostenitori. Incerti risultano sia l'anno di nascita, indicato nel 1420 – in quanto ammesso nel 1438 al Maggior Consiglio, al quale si accedeva a 18 anni – sia il luogo, Venezia o per altri Candia, dove la famiglia paterna e quella materna possedevano beni e dove egli stesso si trasferì definitivamente dopo il 1452.
Nella decina d’anni, o poco più, che precedettero questa data si svolse la maggior parte dell’attività letteraria del Quirini, contraddistinta da un fervente impegno letterario, dapprima a Venezia, poi a Padova e Firenze, quindi ancora a Padova, dove soggiornò abitualmente dal 1443 al 1448, e poi di nuovo a Venezia. Gli studi filosofici gli furono riconosciuti nel 1440 dal Collegio padovano degli Artisti per l’ammissione al dottorato, seguito dalla laurea in arti nell’aprile di quell’anno. Di questo periodo è l’opuscolo dedicato ad Andrea Morosini, pretore di Padova, «in quo Aristotelem introduximus disputantem et declarantem platonicorum dogmata» (in Segarizzi, 1903), in cui immagina un dialogo col filosofo che si confronta con la dottrina di Platone e col cristianesimo.
Nel 1441 soggiornò a Firenze in casa del Bessarione, che presenziava al Concilio ecumenico. I rapporti col cardinale, che ritroviamo più tardi, furono favoriti anche dalla comune conoscenza del greco, di cui dette prova traducendo l’orazione di Cesare dalle storie di Dione Cassio, dedicata a Leone Molin, edita da Federicomaria Muccioli, il De sacerdotio Jesu Christi da Suda, dedicato a Niccolò V (Mercati), e una redazione greca della donatio Costantini, edita da Wolfram Setz. Durante la permanenza a Firenze Quirini prese parte, almeno indiretta, al Certame coronario organizzato da Leon Battista Alberti producendo un commento latino ai versi sull’amicizia di Ciriaco d’Ancona, di cui aveva progettato di scrivere la vita, e il Dialogus in gymnasiis Florentinis, edito da Ludwig Bertalot, identificabile col Tractatus perlepidus segnalato da Niccolò Degli Agostini e col Tractatus de invidia perché comincia nella forma dialogica alla maniera di Luciano per passare alle lodi dell’Alberti e quindi a trattare dell’invidia.
A questo periodo risalgono anche due lettere a Leonardo Bruni. Dalle pungenti risposte che gli indirizzò l’Aretino è possibile ricostruire le quattro questioni, desunte dall'Etica aristotelica, sollevate nel primo scritto, e arguire l’arroganza del secondo dalla sferzante replica, una vera e propria invettiva (ripresa anche da Felice Vismara: 1900, pp. 19 s.; poi da Segarizzi, cit., p. 7), che suscitò il riso del Bessarione per l’impertinenza del giovane, come racconta Vespasiano da Bisticci (cfr. ed. 1976, II, pp. 65-67). Accostabile ai precedenti dialoghi è il De pace Italiae (edito anch'esso da Segarizzi), forse successivo alla pace di Cavriana (20 novembre 1441), in cui l’Italia, lacerata dalle discordie e dalle guerre, viene consolata da Mercurio, mentre la Fama le annuncia una lunga pace per opera di Alfonso di Napoli, del doge Foscari e di Filippo Maria Visconti.
Tornato a Padova, Quirini si mise in mostra con iniziative vòlte ad affermare la propria cultura umanistica e il prestigio di Venezia. Nel gennaio 1443 recitò un’orazione alle esequie del Gattamelata celebrandone le imprese accostate agli esempi degli antichi. Pochi mesi dopo con un’altra orazione salutò, a nome dell’Università e della città, il ritorno a Padova del vescovo Pietro Donato. Dello stesso anno è la gratulatoria a Leonardo Giustinian, eletto procuratore di San Marco, e forse la consolatoria a Paolo Dotto, in esilio a Creta, mentre risale all’anno dopo l’omaggio per l’ingresso a Padova del pretore Francesco Barbaro, che lo ringraziò scrivendogli da Milano (l’orazione è segnalata dal Degli Agostini). L’ambiente universitario servì a rafforzare amicizie e scambi letterari. Fu presente a dottorati e pronunciò egli stesso nel 1445, secondo la consuetudine, l’orazione per la laurea di Girolamo Leonardi, elogiando anche gli studi del padre Nicolò nella medicina e nelle lettere.
Il desiderio di esibirsi in difesa di un sapere che non stravolga la dottrina degli antichi lo spinse a misurarsi anche con Lorenzo Valla, cui indirizzò una lettera dai toni aggressivi, edita da Segarizzi, che provocò una risposta secca e sprezzante. La sua avversione verso l’aristotelismo padovano si palesa nella lettera a Isotta Nogarola, edita da Eugen Abel, in cui, fondandosi su una conoscenza del filosofo ricavata dai testi, la stimola a diffidare dei moderni sofisti, che lacerano nei loro commenti la vera dottrina di Aristotele.
Lo spirito di casta, che lo portò a dirigere una gratulatoria a Jacopo Foscari e al padre stesso per il ritorno del figlio esiliato, lo spinse a indirizzare una lettera, in accordo con due giovani compagni, Niccolò Barbo e Francesco Contarini, a un altro esponente del patriziato cultore di studi umanistici, Pietro Tommasi, per invitarlo a intervenire in difesa della nobiltà veneta, screditata nel trattato De nobilitate che Poggio Bracciolini, con cui Tommasi era in rapporti, aveva da poco composto. Forse la lettera, edita in Lauro Quirini, ebbe più redazioni. Poggio, che ne fu informato, se ne giustificò, pur spiacendosi per la iattanza del giovane. Più tardi Quirini stesso ripropose la questione, dibattuta anche da altri umanisti, scrivendo a sua volta il De nobilitate contra Poggium florentinum (edito in Lauro Quirini), facendo l’apologia del regime veneziano, che imitava il modello di Roma repubblicana, con argomenti ricavati dall’Etica e dalla Politica di Aristotele, ma anche da Cicerone e altri autori greci e latini. Che lo scritto sia di qualche anno posteriore, e cioè successivo alla laurea in utroque iure, conseguita nel marzo del 1448, lo si deduce da una lettera di Francesco Barbaro a Quirini del 18 maggio 1449 in cui si menziona l’operetta («Statui et partes nobilitatis defendere, iniuste, ut nosti, a Poggio Florentino accusate: hoc meum propositum laudes necesse est, nobilissime Barbare»). Non ha rapporto con la polemica un terzo scritto sulla nobiltà, la Responsio, quid iuris, che si limita a esporre un consilium legale sul problema della legittimazione dei figli naturali, pure riportato in Lauro Quirini. Il volume contiene anche il De Republica, in due libri, che, diversamente dagli scritti sulla nobiltà, non ha specifici riferimenti alla realtà veneziana, benché nel preambolo si elogi il doge Francesco Foscari come degno garante della libertà. Il trattato fu composto probabilmente in margine alla sua attività di docente a Venezia, di cui egli stesso dà notizia a Barbaro nella lettera sopra citata («Lego quotidie iam duobus mensibus publice bonis eruditisque civibus nostris Aristotelis incliti philosophi veram illam elegantemque philosophie partem que de moribus hominum deque rebus bonis ac malis docet»). Lo scritto è il primo di uno scambio epistolare ch'ebbe luogo fra il 1448 e il 1452 (tre lettere del Barbaro e quattro a lui del Quirini), che mostrano una familiarità di rapporti che trova conferma nelle parole stesse con cui Barbaro gli mette a disposizione la biblioteca («Fructum enim non mediocrem caperem librorum meorum si tibi ornamentum ac adiumentum essent»: lettera del 9 febbraio 1448).
Nell’ottobre del 1451 Quirini lasciava «cum pena» l’ufficio di auditor veterum sententiarum, che ricopriva dall’anno precedente presso il tribunale veneziano per potersi dedicare interamente all’insegnamento della filosofia morale a Padova (Facciolati). Il 1451 fu anche l’anno del matrimonio con Pellegrina, figlia di Marino Falier, ricco possidente veneziano residente a Creta. Andava maturando, infatti, il proposito di trasferirsi nell’isola per amministrare i beni paterni.
Nel luglio del 1452 – scrivendo a Barbaro, divenuto procuratore di San Marco –, si dichiara incerto sul rinnovo della condotta padovana per motivi economici, rimettendosi all’autorevole amico («Conductus sum hoc quoque futuro anno ut dicendi artem cum philosophia morali doceam. Quid acturus sim nescio. […] Itaque tuum consilium expecto, idest praeceptum, ut, se spes aliqua sit augmenti, scribam ipse, scribat et Universitas»). Maturò invece la decisione di lasciare Venezia, annunciata come imminente nella lettera del 2 gennaio 1452 (more veneto) a Maffeo Vallaresso, arcivescovo di Zara, di cui rimangono cinque lettere a lui dirette, unica testimonianza dei loro scambi eruditi.
La permanenza a Candia fu contrassegnata dagli avvenimenti succeduti alla conquista turca di Costantinopoli (29 maggio 1453). Basandosi su particolari concernenti l’assedio e la sua capitolazione, fornitigli dai profughi e dal patriarca Isidoro di Kiev, rifugiatosi nell’isola, il 15 luglio Quirini inviò una lunga lettera a Niccolò V, ferito nell’animo per la perdita di un prezioso patrimonio culturale. La minaccia turca è argomento di altre tre lettere, pubblicate con la precedente in edizione critica da Agostino Pertusi (in Lauro Quirini).
La prima, del novembre 1458, diretta al cardinale Ludovico Trevisan Scarampo, al comando della flotta pontificia, contiene consigli sui compiti del buon capitano (vi si cita in greco un passo dei Memorabili di Senofonte), e dettagliate informazioni sull’entità della potenza militare turca. Le stesse raccomandazioni si incontrano nella lettera a Pio II del marzo 1464, alla vigilia della fallita crociata. L’ultimo scritto, del 1470, quando la flotta turca minacciava pericolosamente Negroponte e i domini veneziani nell’Egeo, è indirizzato a Paolo Morosini affinché perorasse in Senato l’invio nell’isola di galee armate e di navi.
A Candia Querini attese alla gestione del patrimonio familiare, ai commerci e a varie attività economiche (elencate nella Cronologia in Lauro Quirini). Rimasto vedovo nel 1456, si risposò nel 1459 con Pantasilea Muazzo, di Creta, da cui ebbe il figlio Niccolò e una figlia.
Un legame particolare stabilì con Michele Apostolis, esule da Costantinopoli, di cui si servì Bessarione, nominato patriarca nel 1463, per assistere economicamente i sacerdoti rimasti fedeli alla chiesa di Roma coi redditi della mensa patriarcale in Creta. Nell’ufficio fu coinvolto anche Quirini, che figura collaboratore, e talvolta procuratore del cardinale, col compito di provvedere al pagamento dello stesso Apostolis, anche per i servigi di copista e di procacciatore di codici, reperiti a Costantinopoli. Dalle dodici lettere dell’Apostolis indirizzate a Lauro, chiamato Daphnis alla greca, emergono alcuni tratti del carattere di Quirini e dei suoi interessi di erudito. Della sua tarda attività letteraria restano poche testimonianze, tra cui una lettera del 1472 a Paolo Dolfin.
Dopo il 1° marzo 1474 non si hanno più sue notizie. Era comunque già morto nel 1481, quando il figlio Niccolò continuò una lite per eredità con altri Quirini, intrapresa del padre.
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