LAVELLO
Cittadina in provincia di Potenza, situata su un'ampia e articolata collina poco distante dalla riva sinistra dell'Ofanto, c.a 30 km a O del grande centro daunio meridionale di Canosa.
Con ogni probabilità, sulla base di un rinvenimento epigrafico, L. va identificata con il Forentum ... validum oppidum tolto dai Romani ai Sanniti (nel 318/7 a.C., secondo Liv., IX, 20 o nel 315/4 secondo la cronologia di Diod. Sic., XIX, 65,7), menzionato anche da Plinio (Nat. hist., III, 11, 105) e Orazio (Carm., IV, 4, 13 ss.).
I rinvenimenti archeologici testimoniano, in tutta l'area dell'insediamento di età storica, una frequentazione a partire dal Neolitico, con importanti emergenze (tombe a deposizione plurima) relative all'Eneolitico e al Bronzo.
Piuttosto frammentarie sono invece le evidenze relative alla prima Età del Ferro, sufficienti comunque a far collocare il sito a cavallo fra l'area daunia e l'orizzonte culturale della valle del Bradano e della Lucania orientale.
Nel corso del VII sec. a.C., e soprattutto nella sua seconda metà, i varî nuclei abitativi distribuiti su tutta la sommità e lungo le pendici più elevate della collina iniziano ad accrescersi, mentre si manifestano i segni di una netta articolazione sociale, con il fenomeno delle tombe «principesche». I corredi funerari di questo tipo indicano l'esistenza di rapporti sia con l'ambito etrusco (attraverso le valli dell'Ofanto stesso e del Sele, con la mediazione delle genti appartenenti alla cultura di Cairano - Oliveto Citra), sia con le colonie greche della costa ionica (attraverso la valle del Bradano). Rituali e ceramiche subgeometriche sono invece tipicamente dauni.
Il meccanismo di crescita si mantiene attivo anche nel corso del secolo successivo, come testimonia soprattutto il numero delle sepolture - al cui interno è comune la pratica del riutilizzo affiancato secondo il costume apulo a ciascun nucleo di abitazioni. Queste ultime conoscono un'evoluzione tipologica piuttosto lenta: dalle capanne (tondeggianti, ovoidali o polilobate), quasi sempre profondamente incavate nel terreno, si passa infatti (fra VI e V sec. a.C.) a strutture dall'alzato leggero che assumono dapprima una forma absidata e poi rettangolare.
Si distinguono da questa architettura residenziale di stampo ancora protostorico solo due notevoli complessi edilizi, venuti in luce nelle contrade S. Felice e Casino. Analoghi per pianta, dimensioni e orientamento, essi si compongono di due distinti settori, uno certamente residenziale (più ambienti di ridotte dimensioni), e uno invece di assai probabile destinazione pubblica, formato da un lungo ambiente rettangolare coperto da tettoie se non del tutto scoperto, preceduto da un vestibolo a tenaglia, con contrafforti aggettanti su entrambi i lati. L'aspetto più rilevante di tali complessi è rappresentato dall'adozione di antefisse a protome gorgonica «orrida» di matrice metapontina. Si tratta probabilmente delle residenze dei gruppi gentilizi. Alla propensione di questa élite daunia per l'allevamento dei cavalli e la cavalleria (Strab., vi, 3,9) si ricollega la presenza, sporadica, di grandi acroteri raffiguranti, secondo uno schema iconografico di tipo peloponnesiaco, il «signore dei cavalli» (probabile peraltro anche un legame con la tradizione mitologica relativa alla presenza di Diomede in Daunia).
Nel corso del IV sec., nel caso della contrada Casino è provata infine l'adozione - sempre al livello sociale più elevato di una diversa tipologia abitativa, esemplata su quella greca della fattoria. Episodio saliente della fase fra l'avanzato V sec. a.C. e il momento della romanizzazione è l'emergere su una propaggine isolata della collina di una vera e propria acropoli. Sul luogo di apprestamenti ormai non più riconoscibili, viene allora impiantato un complesso sacrale formato da un piccolo òikos quasi quadrato in asse con un recinto orientato definito da una serie di bòthroi. Nel rifacimento del secondo quarto del IV sec. L’òikos viene ornato da un inedito fregio con motivi decorativi ellenici ottenuti stampigliando una fascia di intonaco già in opera, mentre il vicino períbolo conserva nei varî pozzetti gli abbondantissimi resti (ceramica fine da mensa di tipo greco) di una grande cerimonia inaugurale. Di quest'ultima struttura è stata proposta l'interpretazione come templum augurale.
Negli stessi decenni, le tombe che si distribuiscono nel la medesima zona assumono un aspetto di monumentalità, complessità di rituale e ricchezza di corredi del tutto priva di confronti. A queste trasformazioni non sono probabilmente estranei quei gruppi sanniti di cui è nota la forte pressione anche sulle coste adriatiche e ai quali appunto i Romani tolgono Forentum.
Dall'ultimo quarto del IV sec. fino all'avanzato III sec. a.C. l'insediamento, prima esteso per molte decine di ettari, si contrae in modo vistosissimo attorno alla collina stessa dell'acropoli. Sia i corredi sia il rituale funebre denunciano ora una strettissima relazione con Canosa, dalle cui botteghe proviene anche L’askòs «Catarinella», rinvenuto in una delle tombe a camera di questa fase, decorato con una scena di pròthesis e di corteo funebre in cui è ravvisabile l'influsso cultuale romano.
Le necropoli cessano di fornire testimonianze all'incirca al momento della guerra annibalica. In epoca successiva sono noti solo pochi resti di villae e titoli epigrafici, che documentano anche - nell'Alto Medioevo - la presenza di una comunità ebraica.
Bibl.: M. Torelli, Contributi al supplemento del CIL IX, in RendLinc, s. Vili, XXIV, 1969, pp. 9-48; G. Greco, Antefisse gorgoniche da Lavello, in RendAccNapoli, LII, 1977, pp. 131-146; A. Bottini, Principi guerrieri della Daunia del VII secolo, Bari 1982; M. Giorgi, S. Martinelli, M. Osanna, A. Russo, Forentum, I. Le necropoli di Lavello, Venosa 1988; A. Bottini e altri, Forentum, II. L'acropoli in età classica, Venosa 1991.