DELLA ROVERE, Lavinia
Nacque da Niccolò Franciotti e Laura Orsini nel 1521, stando a quanto si ricaverebbe dal necrologio tratto dal Liber parrochialis di S. Maria in Vallicella che, definendola "octuagenaria", ne registra la morte nel 1601. Il cognome Della Rovere le derivò dal padre che, in quanto nipote per parte della madre Luchina di Giuliano Della Rovere (papa Giulio II), sarebbe stato da questo adottato - secondo quanto afferma P. Litta - insieme con i fratelli. Alla morte del fratello Giulio ereditò il feudo di Carbognano - assegnato da Alessandro VI a Orsino Orsini e da questo passato alla figlia Laura, madre della D. - che fu poi trasmesso dopo la sua morte senza eredi alla sorella Elena, moglie di Stefano Colonna di Palestrina.
Nel 1541 sposò Paolo Orsini di Mentana, valoroso condottiero al servizio del re di Francia, del Papato e di Venezia, città nella quale morì nel 1581.
La D., ricordata come "donna di felicissimo et fecondissimo ingegno... tutta data alla filosofia et all'altre belle lettere hurnane" (Sansovino), frequentò fino alla fine del 1550 circa la corte ferrarese insieme con la famiglia del marito, al seguito del suocero Camillo che vi si era ritirato dopo ave preso licenza dai Veneziani (1543), e delle cognate Maddalena, moglie di Lelio Orsini, e Giulia, sposa a Baldassarre Rangoni. Ivi conobbe Olimpia Morata, colta umanista convertitasi alle idee della Riforma protestante allora favorite dalla duchessa Renata di Francia. L'incontro fu determinante per la spiritualità della D. grazie al rapporto di amicizia affettuosa che ne derivò. L'insorgere di interessi religiosi nella nobildonna fu favorito dalle sofferenze dovute alla lontananza pressoché continua del marito e alla mancanza di figli che addolcissero la sua esistenza. La D. entrò in rapporti con alcuni esponenti fautori della Riforma protestante in Italia, come Pietro Carnesecchi e Fanino Fanini; trovandosi quest'ultimo in carcere a causa della sua fede luterana la D. si recò a fargli visita in compagnia dell'amica. L'amicizia e l'affinità spirituale fra le due donne ci è testimoniata dai due dialoghi dedicati dalla Morata alla Della Rovere (Moratae, Opera omnia ...).
Gli appoggi e il credito dei quali poté godere in virtù della sua nascita e del matrimonio contratto le consentirono di assistere gli amici nei momenti di difficoltà. Ella aveva promesso di far ricorso al suocero - da tempo guadagnato alle nuove idee religiose - nel tentativo, peraltro fallito, di salvare il Fanini, come risulta dalla prima delle cinque lettere inviatele da Olimpia tra il 1550 e il 1554 da diverse località tedesche e dall'unica lettera della D. rimastaci, conservata nell'Opera ornnia della destinataria. Il luogo di provenienza di questa lettera è Parma, città della quale Camillo Orsini fu nominato governatore dal papa Paolo III dopo l'assassinio del figlio Pier Luigi (1547). La protezione della D. si estese anche alla madre e alle sorelle dell'amica; raccomandazioni in questo senso da parte della Morata si trovano già nella prima delle lettere ricordate, mentre nella successiva, che sembra risalire all'estate del 1551, Olimpia poteva ringraziare l'amica perché aveva condotto con sé una sorella, che da altre lettere apprendiamo essere Vittoria.
Nella corrispondenza con la nobildonna la Morata le raccomandava il conforto della nuova fede incitandola ai "divina studia" e inviandole scritti di carattere religioso e morale, tra i quali anche alcuni di Lutero, e le comunicava i risultati della sua riflessione intorno ad alcuni dubbi non ancora risolti.
Tra il 1550 e il 1551 dovette aver luogo il trasferimento della D. a Roma. La morte di Olimpia Morata (1551), il gravitare della marchesa Giulia Rangoni nell'ambiente dei filippini e la paziente opera di persuasione di Filippo Neri determinarono il graduale abbandono del protestantesimo. Del resto, la sua adesione alla causa luterana era sempre stata contrassegnata dalla discrezione, motivata forse dalla permanenza in un ambiente ostile alle nuove idee o piuttosto da una debole convinzione; lo dimostrerebbero l'assenza di scritti originali sull'argomento e il silenzio quasi totale tenuto con l'amica, fatta eccezione per una lettera scritta dopo la partenza da, Ferrara. Persuasa dalla predicazione e dall'esempio di Filippo Neri, fin dal 1583 la D. si diede ad elargire generose elemosine e versò agli oratoriani, in diversi tempi e sotto diverse forme, la somma di 7.200 scudi; nel 1587 si trasferì in una casa attigua alla Chiesa Nuova, fino a quel momento abitata dalla marchesa Rangoni.
La D. morì a Roma il 26 luglio 1601; lasciò eredi della casa attigua alla Vallicella i padri della Congregazione dell'Oratorio e, sembra, del resto della sua fortuna alcune pie istituzioni.
Fonti e Bibl.: O. F. Moratae Opera omnia cumereditorum testimoniis, Basileae 1580, pp. 89 s.; Il primo processo per s. Filippo Neri nel codice VaticanoLatino 3798e in altri esemplaridell'Archivio dell'Oratorio di Roma, a cura di G. Incisa della Rocchetta - N. Vian - C. Gasbarri, I, Città del Vaticano 1957, pp. 45 s.; O. Morata, Opere, I, a cura di L. Caretti, in Deputazioneprovinciale ferrarese di storia patria. Atti e memorie, n. s., XI (1954), passim; F. Sansovino, De gli huomini illustri della casaOrsina, Venezia 1565, f. 23v; G. Horologi, VitadiCamilloOrsino, Bracciano 1669, p. 83; T. Maccrie, Istoriadel progresso edell'estinzionedella riforma in Italia nel secolo sedicesimo, Parigi 1835, pp. 151, 259; J. Bonnet, OlympiaMorata. Episode de la Renaissance en Italie, Paris 1866, passim; B. Amante, Giulia Gonzaga contessa di Fondi e il movimento religioso femminile nel secolo XVI, Bologna 1896, pp. 259 s., 314, 396; L. Ponnelle-L. Bordet, S. Filippo Neri e la società romana del suo tempo (1515-1595), Firenze 1931, pp. 436 ss.; G. Silvestrelli, Città, castellie terre della regione romana. Ricerche di storia medioevale e moderna sino all'anno 1800, II, Roma 1940, P. 707; P. Litta, Le famiglie celebri ital., s.v. Della Rovere, tav. II; s. v. Orsini di Roma, tav. XXVI.