lavoro a termine
lavóro a tèrmine locuz. sost. m. – Lavoro prestato in modo prevalentemente personale in esecuzione di un contratto al quale è stato apposto un termine di scadenza. Nell’ambito del lavoro autonomo l’apposizione del termine di durata al contratto è esclusivamente rimessa all’autonomia privata. Per il contratto di lavoro autonomo a progetto il termine deve essere in ogni caso apposto. Anche in ragione dei principi di derivazione comunitaria, nell’ambito del lavoro subordinato il contratto di lavoro a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro e da ciò deriva che l’apposizione del termine di durata al contratto è consentita solo in presenza dei requisiti legittimanti richiesti dalla legge. Nella prima regolamentazione legislativa dell’istituto risalente al 1962 l’apposizione del termine al contratto di lavoro era ammessa solo in presenza di esigenze produttive eccezionali predeterminate dalla legge, ma nel tempo è stato introdotto nell’ordinamento un crescente livello di flessibilità. Con il d. lgs. 368 del 2001 è stata introdotta la possibilità di assumere lavoratori a tempo determinato per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di natura temporanea che devono essere specificate in forma scritta all’atto dell’assunzione. Ne deriva che per l’apposizione del termine al contratto di lavoro non sono più richieste esigenze organizzative eccezionali, ma solo temporanee. Per i dirigenti è possibile apporre il termine al contratto di lavoro senza presupposti causali mentre per operai e impiegati nella riforma del lavoro varata dal governo Monti (l. 92/2012) è stato rimosso il vincolo causale per il primo contratto a termine di durata non superiore a dodici mesi. È vietato stipulare un contratto di lavoro a termine, tra l’altro, per sostituire lavoratori che esercitano il diritto di sciopero oppure per sostituire lavoratori collocati in mobilità o in cassa integrazione guadagni. Il termine originariamente apposto al contratto può essere prorogato per una sola volta in presenza di ragioni oggettive e a condizione che la prestazione si riferisca alla stessa attività per la quale è stato originariamente sottoscritto il contratto e che la durata complessiva del rapporto prorogato non superi comunque i tre anni. Al fine di evitare abusi nell’utilizzo del contratto a termine sono inoltre previsti degli intervalli minimi che devono intercorrere tra un contratto a termine e il successivo (ampliati dalla riforma del lavoro del governo Monti) e, in ogni caso, fatte salve diverse disposizioni dei contratti collettivi, tra lo stesso datore di lavoro e lavoratore non possono essere stipulati contratti a termine per un periodo complessivamente superiore a trentasei mesi per lo svolgimento di mansioni equivalenti. I contratti collettivi possono prevedere limiti quantitativi di utilizzo del contratto a termine. Alla scadenza del termine legittimamente apposto al contratto il rapporto cessa senza necessità di ulteriori comunicazioni. Prima della scadenza è consentito alle parti recedere dal contratto solo per giusta causa. In caso di assenza di una causale idonea a legittimare l’apposizione del termine, o di violazione della disciplina legale o contrattuale posta a prevenzione degli abusi nell’utilizzo di contratti di lavoro temporanei, il termine si considera come non apposto e il rapporto, pertanto, si converte a tempo indeterminato con diritto del lavoratore a riprendere servizio. Per il periodo intercorso tra la scadenza del termine illegittimamente apposto e la ricostituzione del rapporto il lavoratore ha diritto a un risarcimento del danno nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Per potere agire per la ricostituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato e per il risarcimento del danno il lavoratore deve impugnare il termine illegittimamente apposto entro il termine di decadenza di 120 giorni dalla cessazione del contratto. Il lavoratore assunto a termine non può essere discriminato rispetto ai lavoratori assunti a tempo indeterminato, avendo diritto ai medesimi trattamenti economici e normativi. Il datore di lavoro è tenuto al versamento di un contributo addizionale pari all’1,4% della retribuzione del lavoratore per tutto il periodo di lavoro a tempo determinato.