Lavoro autonomo
Il contributo verte sulla l. 22.5.2017, n. 81, in materia di lavoro autonomo. Dopo avere collocato sistematicamente la nuova disciplina nell’ambito del progetto riformatore realizzato dal cd. Jobs act, si scompongono ed analizzano le principali novità normative, introdotte al fine di tutelare il lavoratore autonomo: a) nel contratto con il committente; b) nel mercato del lavoro; c) nello spazio dei diritti previdenziali e di assistenza. Infine, viene affrontato il tema della nuova nozione di “coordinamento” delle collaborazioni personali e continuative e del collegamento con la disciplina delle collaborazioni cd. etero-organizzate, proponendo una chiave di lettura complessiva del metodo “per effetti” utilizzato dal legislatore del Jobs act.
2.2 Ambito di applicazione e finalità della l. n. 81/2017 2.3 La tutela nel contratto con il committente 2.4 La tutela assistenziale e previdenziale 2.5 La tutela nel mercato del lavoro 3. I profili problematici 3.1 Lavoro autonomo vs. piccolo imprenditore 3.2 Co.co.co. e definizione di “coordinamento” 3.4 Conclusioni: una regolazione “per effetti”
Il Jobs act, inteso come il complesso di decreti legislativi scaturiti dall’esercizio della delega contenuta nella l. 10.12.2014, n. 183 ha, per la prima volta dopo circa due decenni di riforme orientate alla moltiplicazione delle forme contrattuali del lavoro, semplificato il quadro delle tipologie contrattuali, riportando al centro del sistema il contratto di lavoro subordinato1, sia attraverso una semplificazione e chiarificazione delle regole connesse allo svolgimento ed alla risoluzione del rapporto di lavoro, che attraverso una riduzione dei costi economici ad esso associati. Inoltre, in coerenza con tale obbiettivo, sono state eliminate alcune forme contrattuali non standard, troppo spesso utilizzate in funzione elusiva, come il lavoro a progetto e l’associazione in partecipazione con conferimento di prestazione di lavoro; o di scarsa utilità pratica, come il lavoro ripartito. Al contempo, è stato affrontato l’annoso problema rappresentato da quella vasta zona “grigia” di rapporti che, sotto la mentita veste di collaborazioni autonome, nascondono in realtà un lavoro privo di reale autonomia organizzativa nel rendere la prestazione: un mondo parallelo fatto di finto lavoro autonomo, per lo più popolato da giovani disponibili ad un lavoro purchessia, pagati una frazione dei minimi previsti dai contratti collettivi e impropriamente utilizzati dalle imprese come quota variabile della propria dimensione occupazionale. Di fronte a questa platea di lavoratori di incerta qualificazione e ontologicamente precari si poteva agire in due diverse direzioni: riconoscere loro uno statuto speciale, in qualche modo proseguendo nel modello del cd. “lavoro a progetto”, magari introducendo qualche nuova forma di tutela, ma confermandone definitivamente la segregazione in un sottogenere del lavoro autonomo; oppure – più semplicemente – ampliare l’area di copertura dell’intera disciplina del lavoro subordinato fino a ricomprenderli. La scelta compiuta con l’art. 2, d.lgs. 15.6.2015, n. 81 – su cui si tornerà in seguito – va in questa seconda direzione, a fronte dell’estensione della disciplina del lavoro subordinato alle cd. “collaborazioni eteroorganizzate” (v. infra, § 3.2).
Nel ricco dibattito teorico e mediatico che ha preceduto la riforma, un simile approccio non era affatto scontato, a fronte della crescente vulgata secondo la quale la travolgente evoluzione delle tecnologie informatiche sarebbe destinata a produrre il superamento del concetto stesso di subordinazione e di lavoro stabile, che dovrebbe cedere il passo ad un lavoro strutturalmente svincolato dall’organizzazione dell’impresa. In coerenza a questa chiave di lettura si è prodotta una corposa letteratura – sviluppata soprattutto nel mondo anglosassone – su un prossimo futuro fatto di lavoro “a rubinetto”, “on demand”, o “usa e getta”, secondo una terminologia più prosaica ma forse più efficace nel rendere il senso di precarietà ad esso associato. In un simile contesto, la scelta del legislatore italiano di ricentralizzare il modello classico del lavoro alle dipendenze dell’impresa non poteva essere disgiunta da una importante opera di aggiornamento del quadro regolatorio di tale modello, per adeguarlo alla trasformazione del contesto economico e produttivo in cui operano le imprese. Si spiegano così gli interventi, tra gli altri, di modifica delle regole sul contratto a tempo parziale, sulla somministrazione di lavoro, sulle mansioni e sui poteri di controllo, per fare solo qualche esempio. Mancava, tuttavia, nella l. delega n. 183/2014, una disposizione che consentisse di far evolvere compiutamente il lavoro subordinato a tempo indeterminato oltre il modello di organizzazione dell’impresa di tipo fordista, mettendo i lavoratori dipendenti in condizione di lavorare ordinariamente anche fuori dai locali dell’azienda e dagli schemi predefiniti degli orari di lavoro, quindi anche a prescindere dal tempo messo a disposizione dell’imprenditore.
È da queste premesse che origina la l. 22.5.2017, n. 81, che al Capo II (artt. 1824) ha introdotto la nuova normativa sul lavoro subordinato svolto in modalità agile, costituita da pochi articoli che fissano alcuni principi inderogabili2. L’obbiettivo della nuova disciplina è che il quadro normativo così delineato possa contribuire a stimolare imprese e lavoratori a innovare il modo di lavorare, sfruttando appieno le possibilità oggi offerte dalla tecnologia informativa. Nella convinzione che le nuove tecnologie, lungi dall’essere una minaccia all’occupazione, possono invece rivelarsi preziose per allargare la platea della popolazione attiva, consentendo di meglio conciliare le esigenze di vita e di lavoro, con l’ulteriore e non trascurabile effetto di ridurre la domanda di onerosi servizi di welfare pubblico.
Una volta compiuta questa operazione di riordino della zona spuria fra autonomia e subordinazione, restava da compiere un ulteriore passo, sinora mai compiutamente realizzato nel nostro paese: proteggere, valorizzare e sostenere il lavoro genuinamente autonomo in ogni sua forma ed in ogni sua dimensione, riconoscendone in tal modo il valore strategico che ha progressivamente assunto nel tessuto economico e produttivo italiano. È, infatti, particolarmente nel lavoro dei professionisti autonomi che si concentra una quota importante delle competenze a più alto valore aggiunto, garantendo anche alle imprese medio-piccole le professionalità specialistiche richieste dal continuo processo di innovazione tecnologica e organizzativa.
È per tale ragione che il legislatore della l. n. 81/2017 ha introdotto, agli artt. 117, quello che è stato definito uno “Statuto” dei diritti e delle tutele dei lavoratori autonomi che, lungi dal mimare in scala ridotta i diritti tipici del lavoro subordinato, valorizza e protegge le specificità proprie della autonomia di organizzazione e gestione dell’attività professionale, al fine di sostenere tutte le professioni, dalle più tradizionali e già soggette a specifica regolamentazione legislativa, alle più innovative e fluide, prevalentemente presidiate da giovani in possesso di competenze alla frontiera della evoluzione tecnologica. In estrema sintesi, i tratti caratteristici alla base dell’intervento contenuto nella l. n. 81/2017 si possono individuare:
a) nella tutela nel contratto con il committente contro clausole abusive nei confronti del lavoratore autonomo (modifiche unilaterali delle condizioni del contratto, recesso unilaterale senza preavviso, termini di pagamento eccessivi);
b) nella tutela contro i ritardi nel pagamento dei compensi;
c) nel riconoscimento dei diritti di proprietà intellettuale al lavoratore autonomo;
d) nella tutela nel mercato del lavoro, con una serie di strumenti messi a disposizione dalle istituzioni pubbliche ma anche con il concorso di soggetti privati, che favoriscono sia l’orientamento nel mercato del lavoro che l’accesso a opportunità di lavoro, anche verso le pubbliche amministrazioni;
e) nell’allargamento e rafforzamento dei diritti previdenziali e di assistenza, che spazia dalla malattia e infortunio, maternità, congedi parentali, ad altre forme di welfare su base mutualistica a protezione del reddito in caso di perdita di lavoro e garanzia di una più robusta copertura previdenziale;
f) nell’alleggerimento dell’onere fiscale e stimolo al lavoro autonomo di qualità, con l’ampliamento delle deduzioni fiscali per la formazione e lo sviluppo della professione.
Tradizionalmente, il lavoratore autonomo è stato considerato un soggetto economico capace di negoziare autonomamente le condizioni contrattuali della propria attività, senza bisogno dell’intervento eteronomo del legislatore. Tale assunto ha giustificato per decenni l’assenza di un compiuto disegno legislativo in materia.
L’evoluzione del mercato del lavoro ha dimostrato che questa ipotesi non è più vera o, quantomeno, non sempre e non necessariamente.
Per questo motivo, è stata approvata dal Parlamento la l. n. 81/2017, rubricata (Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato)3. Detto intervento normativo è stato, nel dibattito che lo ha accompagnato, denominato “Statuto del lavoro autonomo”, al fine di collocarlo sistematicamente a fianco del ben noto “Statuto dei lavoratori”, (l. 20.5.1970, n. 300), che ha storicamente
rappresentato uno dei principali strumenti di riconoscimento e garanzia dei diritti dei lavoratori subordinati.
L’adozione dello Statuto del lavoro autonomo traccia un’importante linea di separazione con il diritto del lavoro nato e sviluppato nel secolo scorso. Con esso, per la prima volta, i lavoratori autonomi entrano a far parte di una comunità regolata da norme giuridiche pensate e costruite per rispondere alle loro specifiche esigenze. La scelta del legislatore è stata quella di creare un insieme di disposizioni che prevedessero diritti e tutele esclusivamente destinate ai lavoratori autonomi, al fine di stabilirne per la prima volta una dimensione legale identitaria comune.
L’ordinamento italiano non conosce una definizione di lavoro autonomo.
In apertura del Titolo III del Libro V del Codice Civile, rubricato (Del lavoro autonomo), l’art. 2222 definisce il contratto d’opera, erede della romana locatio operis, come il contratto in forza del quale «una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente»4.
Lungi dal fornire una distinta definizione di lavoratore autonomo, il Codice si limita a illustrare – con riferimento al contratto e non alla persona – che è autonomo il lavoro prestato senza vincolo di subordinazione. Il significato della disposizione riflette così a contrario la nozione di “lavoratore subordinato” di cui all’art. 2094 c.c., che prevede che è subordinato «chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore».
Tutt’altro che irrilevante, la definizione di cui all’art. 2222 c.c. esprime un concetto fondamentale: i rapporti di lavoro rientrano in due fattispecie generali e astratte:
a) rapporto di lavoro subordinato, di cui all’art. 2094 c.c.;
b) rapporto di lavoro autonomo – di cui all’art. 2222 c.c.
Tertium non datur: il sistema riconosce due categorie e i confini della prima si spingono fino a dove iniziano quelli della seconda.
L’ambito di applicazione della l. n. 81/2017 è stabilito dall’art. 1 tramite l’esplicito riferimento al citato art. 2222 c.c. e con l’esplicita esclusione di due categorie di soggetti: da un lato i lavoratori subordinati e, dall’altro, gli imprenditori (anche piccoli, definiti dall’art. 2083 c.c.).È importante sottolineare che il legislatore non ha creato alcuna nuova terza categoria o sottospecie di categorie esistenti: la legge si applica ai lavoratori “genuinamente” autonomi, prevedendo regole che riflettono la piena indipendenza della loro opera. In particolare, lo Statuto articola la tutela accordata ai lavoratori autonomi in tre serie principali di regole.
Lo Statuto riconosce che, a differenza del lavoratore subordinato, il lavoratore autonomo deve costantemente fare riferimento al mercato per poter offrire la propria opera principalmente attraverso il lavoro personale e auto-organizzato. Tuttavia, la legge riconosce anche che un lavoratore autonomo può trovarsi in una posizione di debolezza contrattuale rispetto ad altri soggetti e può, pertanto, incontrare difficoltà nel negoziare buone condizioni economiche in cambio dell’attività lavorativa che fornisce.
Pertanto, il primo passo compiuto dal legislatore riguarda la tutela del lavoratore autonomo proprio nella fase di negoziazione ed esecuzione del contratto con il committente.
In primo luogo, l’art. 2 della l. n. 81/2017 garantisce i crediti del lavoratore, affinché egli sia tutelato nel caso di ritardato o mancato pagamento. Per tale ragione, stabilisce che le disposizioni del d.lgs. 9.10.2002, n. 231, trovano integrale applicazione anche alle transazioni commerciali tra lavoratori autonomi e imprese, tra lavoratori autonomi e amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, co. 2, d.lgs. 30.3.2001, n. 165, o tra lavoratori autonomi, fatta salva l’applicazione di disposizioni più favorevoli. In applicazione del d.lgs. n. 231/2002, rubricato (Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali), i lavoratori autonomi hanno diritto alla corresponsione degli interessi moratori, salvo che il debitore dimostri che il ritardo nel pagamento del prezzo è stato determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Gli interessi decorrono dal termine stabilito nel contratto o, in mancanza, da quello legale (art. 4, d.lgs. n. 231/2002). Le parti, nella propria libertà contrattuale, possono stabilire un termine superiore rispetto a quello legale a condizione che le diverse pattuizioni siano stabilite per iscritto a pena di nullità. L’art. 3, l. n. 81/2017 specifica, tuttavia, che si considerano abusive ex lege le clausole in forza delle quali il committente ha diritto a pagare il lavoratore dopo più di 60 giorni dall’invio della nota di pagamento. Il lavoratore ha, altresì diritto al risarcimento dei costi sostenuti per il recupero delle somme non tempestivamente corrisposte, salva la prova del maggior danno, ove il debitore non dimostri che il ritardo non sia a lui imputabile. Infine, l’accordo sulla data del pagamento, o sulle conseguenze del ritardato pagamento, è nullo se, avuto riguardo alla corretta prassi commerciale, alla natura dei servizi oggetto del contratto, alla condizione dei contraenti ed ai rapporti commerciali tra i medesimi, nonché ad ogni altra circostanza, risulti gravemente iniquo in danno del creditore.
Si considera, in particolare, gravemente iniquo l’accordo che, senza essere giustificato da ragioni oggettive, ha come obiettivo principale quello di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del lavoratore, ovvero l’accordo con il quale l’appaltatore o il subfornitore principale imponga ai propri fornitori o subfornitori termini di pagamento ingiustificatamente più lunghi rispetto ai termini di pagamento ad esso concessi.
Tali regole esplicano i propri effetti nella fase delle trattative circa le condizioni contrattuali destinate a valere tra il committente e il lavoratore autonomo, stabilendo che sono considerate abusive, e quindi nulle, le clausole in base alle quali: il committente può modificare unilateralmente il contenuto del contratto; il committente può recedere unilateralmente dal contratto senza preavviso (nel caso in cui il contratto preveda un’attività lavorativa continuativa); il committente ha diritto a pagare il lavoratore dopo più di 60 giorni dall’invio da parte di quest’ultimo della nota di pagamento (art. 3). Anche il rifiuto del preponente di concludere il contratto per iscritto è considerato abusivo ex lege.
In caso di clausole abusive – e dunque, come detto, nulle – il lavoratore ha altresì diritto al risarcimento dei danni.
La l. n. 81/2017 tutela maggiormente la posizione del lavoratore rispetto alla disciplina comune dei contratti, che, all’art. 1341, co. 2, c.c., si limita a sanzionare con l’inefficacia le clausole, prive di specifica approvazione per iscritto, che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria.
Non è ben chiaro se l’elenco delle clausole abusive debba ritenersi tassativo o se possa essere esteso per via interpretativa. Sul punto può rilevarsi che, al di fuori dell’espressa previsione dell’art. 3, la disciplina generale dell’art. 1341, co. 2, c.c. resta integralmente applicabile alle clausole – pure vessatorie – non menzionate dalla l. n. 81/2017.
L’ultimo comma dell’art. 3 dello Statuto prevede l’applicazione dell’art. 9, l. 18.6.1998, n. 192, sull’abuso di dipendenza economica. Il riferimento a tale disposizione è particolarmente rilevante. Parte della dottrina italiana, insieme ad una giurisprudenza piuttosto isolata5, ha fortemente sostenuto l’idea di una tutela specifica da dedicare ai lavoratori autonomi che si trovano in una posizione di dipendenza economica dal loro principale committente6. Tale proposta non è, tuttavia, stata accolta dal legislatore in quanto la dipendenza economica è un criterio selettivo che attribuisce rilevanza ad aspetti (la situazione economica di una delle parti) estranei alla causa del contratto e slegati dalle posizioni soggettive – obbligazioni e diritti – generate dal medesimo.
Perciò l’intervento normativo in esame ha escluso di segregare il suo ambito di applicazione in funzione di una misura della dipendenza economica determinata attraverso soglie quantitative, ma – al contrario – ha inteso riferire la nuova disciplina all’intera area del lavoro autonomo.
Tuttavia, in virtù del richiamo espresso dell’art. 9, l. n. 192/1998, l’abuso dipendenza economica è, ora, sempre vietato. Premesso che la situazione di dipendenza economica si verifica – ai sensi del principio contenuto nella l. n. 192/1998 – laddove un’impresa sia in grado di provocare uno squilibrio eccessivo nelle sue relazioni commerciali con un’altra (o, nel caso qui in esame, con un lavoratore autonomo) ed è valutata tenendo conto della reale possibilità per la parte dipendente di trovare sul mercato alternative soddisfacenti, l’abuso può anche consistere in un rifiuto di vendita o di acquisto, nell’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie o nella risoluzione arbitraria delle relazioni commerciali esistenti. L’accordo che determina, la dipendenza economica è nullo.
Sempre con riferimento alla protezione nel contratto, infine, l’art. 4 tutela la posizione del lavoratore quanto ai diritti di utilizzazione economica relativi a invenzioni ed apporti originali realizzati nell’esecuzione del contratto, stabilendo che essi spettano proprio al lavoratore, fatta salva l’ipotesi in cui l’attività inventiva sia prevista come oggetto del contratto, quindi a tale scopo compensata. La novella normativa prevede l’applicazione della l. 22.4.1941, n. 633 e del cd. codice della proprietà industriale di cui al d.lgs. 10.2.2005, n. 30. È il caso di ricordare che, all’opposto, in una relazione di lavoro subordinato, il datore di lavoro è il titolare dei diritti economici sulle invenzioni dei propri dipendenti, laddove le invenzioni siano state realizzate nell’esecuzione del contratto di lavoro, qualunque ne sia l’oggetto. Spettano, invece, al lavoratore anche subordinato i cd. diritti morali, la cui titolarità resta in capo all’autore dell’invenzione.
Come anticipato, lo Statuto smentisce l’assunto secondo cui un lavoratore autonomo è sempre in grado di negoziare adeguate condizioni di lavoro e riconosce la necessità di dotare anche questa categoria di alcune tutele fondamentali in materia previdenziale, assistenziale e assicurativa. In primo luogo, la legge contiene una delega al Governo affinché adotti uno o più decreti legislativi che rafforzino le prestazioni di sicurezza e di protezione sociale dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi, attraverso l’abilitazione degli enti di previdenza di diritto privato, anche in forma associata, ove autorizzati dagli organi di vigilanza, ad attivare, oltre a prestazioni complementari di tipo previdenziale e sociosanitario, anche altre prestazioni sociali, finanziate da apposita contribuzione, con particolare riferimento agli iscritti che abbiano subito una significativa riduzione del reddito professionale per ragioni non dipendenti dalla propria volontà o che siano stati colpiti da gravi patologie (art. 6, co. 1). Al Governo è delegato altresì di incrementare le prestazioni legate al versamento della contribuzione aggiuntiva per gli iscritti alla Gestione separata, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali, secondo i criteri stabiliti dalla legge delega (art. 6, co. 2).
Con norma di immediata applicazione, è riconosciuta alle lavoratrici autonome il diritto all’indennità di maternità per i due mesi precedenti la data del parto e per i tre mesi successivi, indipendentemente dall’effettiva astensione dal lavoro (art. 13). Pertanto, mentre le lavoratrici subordinate devono sospendere l’attività durante tale periodo di tempo, a quelle autonome è riconosciuta la libertà di scegliere se lavorare o sospendere l’attività, in quanto l’indennità è comunque corrisposta. Questa disposizione è esemplare di come il legislatore dello Statuto abbia inteso definire una tutela che si attaglia alla specificità del lavoro autonomo, anche in aperta dissonanza con i principi più radicati del lavoro subordinato, quale l’astensione obbligatoria in maternità.
È inoltre previsto che la gravidanza, la malattia o le lesioni del lavoratore autonomo che lavora in modo continuativo per conto del committente non comportano la cessazione del contratto, la cui esecuzione, su richiesta del lavoratore, è sospesa, senza diritto al corrispettivo, per un periodo non superiore a 150 giorni per anno (art. 14), ferma restando la facoltà del committente di esercitare il recesso qualora venga meno l’interesse alla prestazione. La legge prevede che le lavoratrici autonome, previo consenso del committente, possano essere sostituite da altre lavoratrici o lavoratori di fiducia in possesso dei necessari requisiti professionali, anche attraverso forme di compresenza della lavoratrice sostituita e del proprio sostituto (art. 14, co. 2). Entrambi i genitori lavoratori autonomi hanno diritto a un congedo parentale della durata massima di sei mesi, durante i primi tre anni di età del bambino. L’indennità è pari al 30% del reddito di lavoro relativo alla contribuzione versata ed è dovuta solo se il lavoratore matura almeno 3 mesi di contribuzione (art. 8, co. 2).
La l. n. 81/2017 prevede, da ultimo, una serie di strumenti che favoriscono sia l’orientamento nel mercato del lavoro sia l’accesso a opportunità professionali, anche verso le pubbliche amministrazioni. In particolare, superando l’antica tradizione dei servizi all’occupazione rivolti alla sola platea dei lavoratori subordinati, la legge stabilisce che i centri per l’impiego pubblici e gli enti autorizzati a svolgere attività di intermediazione debbano essere dotati, in ogni ufficio aperto al pubblico, di uno sportello specificamente dedicato ai lavoratori autonomi (art. 10). Tale sportello ha la funzione di raccogliere le domande e le offerte dei lavoratori, di fornire le informazioni rilevanti ai professionisti e alle imprese che ne fanno richiesta, di fornire informazioni sulle procedure per l’avvio di attività autonome sull’accesso agli appalti pubblici, nonché sulle eventuali opportunità di credito. Novità di grande impatto pratico per lo sviluppo del lavoro autonomo è la apertura del mercato rappresentato dalle commesse della pubblica amministrazione. Per superare la formulazione di gare pubbliche esclusivamente indirizzate alle imprese, la nuova legge prevede che le amministrazioni pubbliche promuovano, in qualità di stazioni appaltanti, la partecipazione dei lavoratori autonomi agli appalti pubblici per la prestazione di servizi o ai bandi per l’assegnazione di incarichi personali di consulenza o ricerca, in particolare favorendo il loro accesso alle informazioni relative alle gare pubbliche e la loro partecipazione alle procedure di aggiudicazione (art. 12). Di questa novità legislativa potranno beneficiare non solo i professionisti, ma lo stesso committente pubblico che avrà accesso ad un mercato di fornitori più vasto e aperto alla concorrenza.
È di particolare interesse il metodo adottato dal Legislatore del Jobs act per definire i confini tra il lavoro autonomo disciplinato dal d.lgs. n. 81/2017, le collaborazioni personali e continuative di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015, cd. collaborazioni etero-organizzate e le piccole realtà imprenditoriali.
Uno degli aspetti più discussi della nuova regolazione è rappresentato dalla scelta del legislatore di limitare l’ambito di applicazione della disciplina ai soli lavoratori autonomi, escludendo i piccoli imprenditori, ai quali, tuttavia, già si applicano parte delle disposizioni richiamate dallo Statuto (si pensi alla disciplina della subfornitura). Al riguardo è stato osservato che tale opzione finisce con il tagliare fuori una fetta di lavoro sostanzialmente personale, sovente esposto alle medesime esigenze di tutela del lavoro autonomo7. A questo proposito va, tuttavia, osservato che la cifra distintiva del nuovo Statuto si riconosce proprio nella emersione di una dimensione identitaria del mondo delle professioni, distinto e separato dal mondo dell’impresa che, nel rapporto con il professionista, assume la posizione del cliente-committente e, quindi, di controparte contrattuale. In questo senso, l’assegnazione delle medesime tutele al professionista e al (piccolo) imprenditore avrebbe prodotto il paradossale effetto di assegnare ad entrambe le parti un nucleo di tutele finalizzate a contrastare proprio lo squilibrio di potere contrattuale dell’una parte nei confronti dell’altra.
Sulla dimensione complessiva del lavoro autonomo impatta anche la novella dell’art. 409, n. 3, c.p.c. introdotta con l’art. 15 della l. n. 81/2017. Al riguardo va ricordato che la l. 11.8.1973, n. 533, nell’introdurre una disciplina processuale specifica per le controversie di lavoro annoverava, all’art. 409, n. 3, c.p.c., le controversie relative a «rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato».
Il legislatore nominava, riconducendone la giustiziabilità nell’ambito del rito speciale del lavoro, le collaborazioni che fossero continuative nel tempo, che implicassero un coordinamento tra il lavoratore e il committente, che fossero svolte prevalentemente con il lavoro personale del collaboratore, e che, nondimeno, fossero rese al di fuori del regime di subordinazione e, quindi, in un regime di autonomia8.
Quale conseguenza di un’inaspettata eterogenesi dei fini, una riforma procedurale diventava così rilevante anche a livello sostanziale: legittimava un rapporto di lavoro autonomo che si caratterizzava per alcuni elementi che erano stati tradizionalmente ricondotti allo schema della subordinazione. L’effetto fu dirompente: la distinzione tra subordinazione e autonomia non si fondava più solo sulla dicotomia tra eterodirezione e autonomia, ma anche (o, piuttosto) sulla dicotomia tra eterodirezione e coordinamento, ben più difficilmente definibile in astratto e accertabile in concreto.
Quello che accadde dopo l’entrata in vigore della l. n. 533/1973 fu una lenta, ma progressiva moltiplicazione di tali collaborazioni. I datori di lavoro si sentivano in qualche modo legittimati a contrattualizzare come “collaborazioni coordinate e continuative” rapporti di lavoro sovente privi di vera autonomia, al fine di sottrarsi ai costi e agli obblighi derivanti da un rapporto di lavoro subordinato. Da tale improprio inquadramento contrattuale era derivato un nutrito contenzioso giudiziale. Alla vaghezza della disciplina corrispondeva una giurisprudenza oscillante e, spesso, insufficientemente argomentata.
Una disciplina non processuale delle collaborazioni coordinate e continuative arrivò solo nel 2003, con la “legge Biagi” (d.lgs. 10.9.2003, n. 276), che introduceva, agli artt. 61 e ss., l’inedito contratto a progetto e imponeva che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c. dovessero essere riconducibili ad uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore9. Il citato art. 15 della l. n. 81/2017 ha chiarito il concetto di “coordinamento” contenuto nell’art. 409, n. 3, c.p.c., recependo in norma primaria quanto già elaborato in sede interpretativa da un consistente filone giurisprudenziale maturato prima dell’entrata in vigore della d.lgs. n. 276/2003. La novellata disposizione prevede, infatti, che «la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa»10. Si definisce, così, un coordinamento le cui modalità vengono stabilite dalle parti tramite accordo, fatta salva l’autonomia del collaboratore nell’organizzazione dell’attività.
L’autonomia negoziale può dunque regolare, in funzione delle esigenze concrete, le modalità con cui le parti possono coordinare le rispettive sfere di organizzazione, senza, tuttavia, che si possa, tramite accordo, consentire al committente un livello di ingerenza tale da sfociare in un vero e proprio potere organizzativo. In questo caso, infatti, il rapporto ricadrebbe sotto disciplina dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 e verrebbe, pertanto, attratto nella sfera di applicazione delle tutele riconducibili al lavoro subordinato. Proprio l’art. 2, d.lgs. n. 81/2015, risulta essere la disposizione del Jobs act con la quale maggiormente si salda l’intervento dello Statuto del lavoro autonomo, rivelando il disegno complessivo e coerente della azione riformatrice iniziata nel 2015. In tale norma si è stabilito, infatti, che a far data dal 1° gennaio 2016, la disciplina del rapporto di lavoro subordinato trova applicazione anche ai «rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro» (art. 2, co. 1). Sono tuttavia previste alcune tassative eccezioni, in presenza delle quali l’effetto di estensione della disciplina del lavoro subordinato è escluso (art. 2, co. 211). Risulta di tutta evidenza che la norma del 2015 sulle collaborazioni etero-organizzate si completa con la previsione dello Statuto del lavoro autonomo del 2017, assumendo rilievo dirimente – ai fini della individuazione della disciplina applicabile alle collaborazioni personali e continuative – la titolarità della gestione dell’organizzazione: se il contratto l’assegna al committente, la disciplina applicabile è quella del lavoro subordinato; se invece viene spostata sul collaboratore, l’ambito di riferimento è quello del lavoro autonomo, oggi non più abbandonato alla disciplina generale dei contratti.
In conclusione è interessante rilevare la cifra distintiva che accomuna il percorso riformatore del Jobs act, proprio analizzando il metodo regolativo utilizzato nella disciplina delle collaborazioni eteroorganizzate. Nella tradizione del legislatore italiano la riconducibilità di determinati effetti giuridici ad una specifica condotta contrattuale delle parti deriva dalla sussumibilità del caso concreto alla fattispecie generale e astratta definita dalla norma. Tale approccio era stato, in realtà, già messo in crisi dal prevalere nella giurisprudenza del cd. metodo tipologico12, sull’assunto che alcuni elementi di fatto concorrono a caratterizzare il modello social-tipico del lavoratore subordinato e devono, pertanto, essere presi in considerazione nel processo investigativo circa la qualificazione di un rapporto di lavoro, anche se non espressamente contemplati dalla definizione legale13. Con la conseguenza che si riduce la utilità della fattispecie generale ed astratta ai fini qualificatori, facendo assurgere meri elementi di fatto a elementi definitori, pure taciuti dalla norma14. Nell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 è lo stesso legislatore a superare il passaggio per la definizione generale e astratta, ove si afferma che la disciplina del lavoro subordinato è applicabile tutte le volte in cui alcuni elementi di fatto (la etero-organizzazione della prestazione del collaboratore) ricorrono nel caso concreto.
Il risultato non è l’allargamento di una categoria già presente nell’ordinamento giuridico (la subordinazione) o la creazione di una nuova (tertium genus). È il superamento della stessa: il fatto che il collaboratore si veda organizzare la propria prestazione dal committente diventa il test per verificare l’applicabilità della disciplina, non per verificare la sussistenza della subordinazione.
La scelta di non intervenire sull’articolo 2094 c.c. segna un metodo regolativo diverso dal tradizionale procedere per definizioni di categorie generali (subordinazione/autonomia) alle quali ricondurre effetti giuridici, in favore di un approccio direttamente orientato agli effetti, vale a dire all’applicabilità di una determinata disciplina al ricorrere di elementi della fattispecie concreta. Sicché dall’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 e dal suo combinarsi con quanto previsto dall’art. 15 della l. n. 81/2017, scaturisce un nuovo sillogismo: se, nel caso concreto, la prestazione del collaboratore è organizzata dal committente, allora si applica la disciplina del lavoro subordinato, senza bisogno di intervenire sulla nozione di subordinazione descritta nell’art. 2094 c.c. In tale prospettiva il dibattito circa l’eventuale intervenuta mutazione della nozione di subordinazione perde rilievo. Quanto sopra osservato riflette la cifra metodologica dell’intervento riformatore del Jobs act che, pur preservando intatti i principi generali, ha tuttavia inciso profondamente sulle regole dei rapporti di lavoro, sia subordinati che autonomi.
1 Si consenta il rinvio a Del Conte, M., Premesse e prospettive del Jobs act, in Dir. rel. ind., 2015, 4, 939 ss.; Id., Il Jobs act e la protezione del lavoro, in Var. dir. lav., 2016, 1, 21 ss.
2 Per un primo commento alla legge sul lavoro agile: v. in questo volume, Diritto del lavoro, 1.1.2 Lavoro agile; Santoro-Passarelli, G., Lavoro eterorgnizzato, coordinato, agile e il telelavoro: un puzzle non facile da comporre in un’impresa in via di trasformazione, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 327/2017, 7 ss.; Lai, M.Ricciardi, L., La nuova disciplina del lavoro agile, in Dir. prat. lav., 2016, 707.
3 Tra i primi commenti: Perulli, A., Il Jobs act degli autonomi: nuove (e vecchie) tutele per il lavoro autonomo non imprenditoriale, in Riv. it. dir. lav., 2017, I, 173 ss.; Mazzotta, O., Jobs act autonomi fra garantismo e flessibilità: lo statuto del lavoratore autonomo e agile, in Quotidiano giuridico, 2017.
4 Perulli A., Il lavoro autonomo. Contratto d’opera e professioni intellettuali, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, XXVII, 1, 1996, 172 ss.
5 Pret. Milano, 20.6.1986, in Riv. it. dir. lav., 1987, 1, 70. Ichino, P., Il percorso tortuoso del diritto del lavoro tra emancipazione dal diritto civile e ritorno al diritto civile, in Riv. it. dir. lav., 2, 2012, 59; Nogler, L., Metodo e casistica nella qualificazione dei rapporti di lavoro, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1991, 1, 121.
6 Sul lavoro economicamente dipendente moltissimo si è scritto: Pallini, M., Il lavoro economicamente dipendente, Padova, 2013, cap. I; Razzolini, O., Lavoro economicamente dipendente e requisiti quantitativi nei progetti di legge nazionali e nell’ordinamento spagnolo, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2011, 4, 631 ss; Ead., La nozione di subordinazione alla prova delle nuove tecnologie, in Dir. rel. ind., 2014, 4, 974; Perulli, A., Un Jobs act per il lavoro autonomo: verso una nuova disciplina della dipendenza economica?, in Dir. rel. ind., 1, 2015, 109; Santoro Passarelli, G., Falso lavoro autonomo e lavoro autonomo economicamente debole, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2013, 1, 108.
7 Così anche Perulli, A., Il Jobs act degli autonomi, cit., 177; sul tema Razzolini, O., Piccolo imprenditore e lavoro prevalentemente personale, Torino, passim; Ead., Perché avviare una riflessione su piccolo imprenditore e lavoro prevalentemente personale, in Dir. rel. ind., 2013, 4, 1080 ss.
8 Pedrazzoli, M., Opera (prestazioni coordinate e continuative), in Nss.D.I, App., Torino, 1984, 472 ss.; Santoro Passarelli, G., Il lavoro «parasubordinato», Milano, 1979, passim.
9 Per un’ampia e approfondita lettura del contratto di lavoro a progetto scaturito dalla legge Biagi si rinvia a Pedrazzoli, M., Tipologie contrattuali a progetto e occasionali. Commento al Titolo VII del D. lgs. 276/2003, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 94/2004; Ballestrero, M.V., L’ambigua nozione di lavoro parasubordinato, in Lav. dir., 1987.
10 Santoro Passarelli, G., Lavoro eterorgnizzato, cit., 6 ss.; Voza, R., La modifica dell’art. 409, n. 3, c.p.c., nel disegno di legge sul lavoro autonomo, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 318/2017, 5 ss.
11 Sono espressamente escluse le collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore; le collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali; le attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni; infine, le collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I., come individuati e disciplinati dall’art. 90, l. 27.12.2002, n. 289.
12 Ichino, P., Autonomia negoziale e prestazioni di lavoro, Milano, 1993, 21.
13 Persiani, M., Riflessioni sulla giurisprudenza in tema di individuazione della fattispecie lavoro subordinato, in Studi in onore di Francesco Santoro Passarelli, Napoli, 1972, 843; Nogler, L., Ancora su «tipo» e rapporto di lavoro subordinato nell’impresa, in Argomenti dir. lav., 2002, 109.
14 Sul significato e l’uso che ha fatto la giurisprudenza dei cd. “indici della subordinazione” ci si permette di rinviare a Del Conte, M., Lavoro autonomo e lavoro subordinato: la volontà e gli indici di denotazione”, in Orient. giur. lav., 1995, 66.