LAVORO
(XX, p. 650; App. I, p. 780; II, 11, p. 166; III, 1, p. 968).
Legislazione del lavoro.
Provvedimenti legislativi. - La legislazione del l., negli ultimi quindici anni, ha compiuto notevoli progressi nei campi dove maggiormente si sentiva l'esigenza che la legge, almeno sul piano formale, intervenisse ad adeguare la realtà sociale all'impegno costituzionale: durata del rapporto, stabilità dell'occupazione, interventi in caso di disoccupazione, specie giovanile, mobilità di l., parità tra l. maschile e l. femminile, ecc.
Il campo dove, in seguito all'azione organizzata dei sindacati e alla pressione del movimento cosiddetto spontaneistico dei lavoratori, si è maggiormente diffuso l'intervento legislativo è quello relativo al "diritto al lavoro" di cui all'art. 4 Cost.; diritto che si presta a una vasta gamma d'interpretazioni che vanno dalla possibilità di mantenere il posto a quella di trovare un'occupazione; dalla capacità di svolgere un'azione autonoma per rendere operante il diritto, con tutto ciò che vi è connesso, allo stimolo dei provvedimenti legislativi che ne consentono la realizzazione pratica. La legge più significativa in tale senso è senza dubbio lo Statuto dei lavoratori (v. oltre) che ha risposto all'esigenza, più vivamente sentita nell'ordinamento del l., di superare le strettoie dei principi di diritto comune rispetto alla possibilità di ripristinare la situazione in caso di licenziamento ingiustificato. Infatti, se è vero che la l. 15 luglio 1966 ha costituito una svolta decisiva nel settore dei licenziamenti individuali, in quanto ha segnato, rispetto alle imprese di una certa dimensione, il tramonto del recesso ad nutum dell'imprenditore, è pur vero che tale legge arrestava il suo effetto più immediato ed essenziale di fronte all'alternativa che la riassunzione potesse essere sostituita dal risarcimento del danno. Lo Statuto dei lavoratori consente invece la possibilità della reintegrazione nel posto di lavoro. Per quanto riguarda i licenziamenti collettivi, il d.P.R. 14 luglio 1960, n. 1019, prevede l'obbligo del procedimento di conciliazione tra le organizzazioni sindacali competenti nel caso in cui l'imprenditore industriale ravvisi la necessità di attuare una riduzione collettiva di personale, nell'ambito di accordi interconfederali (si ricordano quelli del 20 dic. 1950 e del 5 maggio 1965). La l. 2 apr. 1968, n. 482, disciplina l'assunzione obbligatoria presso le pubbliche amministrazioni e presso le aziende private con più di 15 dipendenti di determinate categorie di lavoratori svantaggiati e bisognosi (invalidi, ciechi, sordomuti, orfani e vedove dei caduti in guerra o per servizio o sul lavoro, ex tubercolotici e profughi). Dove non è possibile mantenere il posto di l. o garantire un'occupazione, la legislazione è stata rivolta al miglioramento delle condizioni e del trattamento dei sospesi dal l. e dei disoccupati.
Nell'ambito dell'organizzazione del l. non sono mancati tentativi nazionali e internazionali di procedere a una ristrutturazione del rapporto, in modo che le parti si trovino nelle migliori condizioni di svolgimento dei loro compiti. La rappresentanza dei lavoratori nei luoghi di l., già attribuita alle commissioni interne (accordo interconfederale 18 aprile 1966), riceve, sempre dallo Statuto dei lavoratori, una disciplina che privilegia le rappresentanze sindacali aziendali, con ampie possibilità di sviluppo.
Lavoro a tempo determinato. - L'art. 2097 cod. civ., che stabiliva una presunzione a favore del contratto a tempo indeterminato, è stato sostituito dalla disciplina che la l. 18 aprile 1962, n. 230, è venuta a dettare in materia.
Il contratto si reputa a tempo indeterminato, salve le eccezioni che consentono l'apposizione di un termine, e precisamente: che il termine sia richiesto dalla speciale natura dell'attività lavorativa (carattere stagionale); che l'assunzione abbia luogo specificamente per sostituire lavoratori assenti per i quali sussista il diritto alla conservazione del posto (cosiddetta supplenza); che l'assunzione avvenga per l'esecuzione di un'opera o di un servizio definiti e predeterminati; che lavorazioni occasionali richiedano maestranze diverse da quelle normalmente impiegate; che si tratti di scritture del personale tecnico e artistico della produzione di spettacoli.
L'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta da un atto scritto, di cui il datore di l. deve consegnare copia al lavoratore. La scrittura non è tuttavia necessaria quando la durata del rapporto puramente occasionale non sia superiore a 12 giorni. Il termine del contratto può essere eccezionalmente prorogato con il consenso del lavoratore non più di una volta e per un tempo non superiore alla durata stabilita inizialmente. Se il rapporto continua dopo la scadenza del termine, il contratto si considera a tempo indeterminato fin dalla prima data di assunzione. Per evitare i licenziamenti e le riassunzioni fatte allo scopo di rendere vana la disciplina del contratto a tempo indeterminato, il contratto si considera a tempo indeterminato quando il lavoratore venga riassunto a termine entro un breve periodo (15 giorni se la durata è inferiore a sei mesi; un mese se la durata è superiore a sei mesi) e, in ogni caso, quando risulti che l'assunzione è fatta per eludere le disposizioni della legge. L'onere della prova è a carico del datore. Al prestatore di l. a tempo determinato spettano ferie, gratifica natalizia o tredicesima mensilità in proporzione al periodo prestato, nonché un premio di fine lavoro, sempreché ciò non sia incompatibile obbiettivamente con la natura del rapporto. Sono esclusi dal campo di applicazione della legge i rapporti con salariati fissi in agricoltura che hanno una disciplina specifica (l. 15 agosto 1949, n. 533) e i rapporti di pubblico impiego, non perché la legge n. 230 non possa esservi applicata in senso assoluto, ma perché la pubblica amministrazione ha un potere di assunzione che è legato a precise disposizioni di legge che prevedono anche la disciplina della durata del rapporto. La legge si applica, invece, ai rapporti aventi origine contrattuale dei dipendenti da enti pubblici economici e non economici.
Lavoro a tempo indeterminato. - La l. 15 luglio 1966, n. 604, è intervenuta a coronare gli sforzi dei sindacati più rappresentativi degl'interessi dei lavoratori (specialmente i metalmeccanici) che, con il sostegno della dottrina più illuminata, si battevano per dare al recesso del datore di l. una disciplina che tenesse conto degl'interessi dei lavoratori e delle esigenze obbiettive dell'impresa.
Tale legge segna il tramonto del recesso cosiddetto ad nutum ai sensi dell'art. 2118 cod. civ., con il quale, pur nell'apparente riconoscimento della facoltà concessa a entrambi i contraenti di segnare una scadenza al contratto stipulato a tempo indeterminato, in realtà si sanciva una facoltà di cui finiva per godere solo il datore di lavoro.
La l. n. 604 stabilisce il principio che il licenziamento del prestatore di l. non possa avvenire che per giusta causa ai sensi dell'art. 2119 cod. civ. o per giustificato motivo; e prescrive, inoltre, che il licenziamento debba essere comunicato per iscritto, consentendo che il prestatore di l. possa chiedere, entro otto giorni dalla comunicazione, i motivi che hanno determinato il recesso. L'imprenditore deve, entro cinque giorni dalla richiesta, comunicare i motivi, sempre per iscritto. Rilevante scopo della disposizione, prima ancora di erigere il motivo a condizione di validità del recesso, è quello di appagare l'interesse del lavoratore a conoscere il perché del licenziamento e a fornirgli una base documentale per la ricerca di un nuovo lavoro.
Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso può essere determinato solo da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del l. e al regolare funzionamento di essa. Ai sensi della successiva l. 24 maggio 1970, n. 300, nota come Statuto dei lavoratori, resta precisato che il licenziamento motivato da notevole inadempimento non si configura come sanzione disciplinare, dovendo questa essere considerata come rimedio interno a piccole infrazioni dell'organizzazione del l. o a inadempimenti contrattuali di scarso rilievo.
I punti in cui si articola la legge sui licenziamenti individuali sono, sostanzialmente, i seguenti: sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo per poter legittimamente licenziare; onere della prova a carico del datore di lavoro; possibilità d'impugnare il licenziamento ritenuto ingiusto con qualsiasi atto scritto, anche extra-giudiziale, entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione; competenza del pretore.
Quando il prestatore di l. non possa avvalersi delle procedure previste dai contratti collettivi o dagli accordi sindacali (29 aprile 1965, sui licenziamenti individuali) può promuovere, entro venti giorni dalla comunicazione del licenziamento o dei motivi non contestuali, il tentativo di conciliazione presso l'ufficio provinciale del lavoro. Il verbale di conciliazione acquista forza di titolo esecutivo con decreto del pretore.
In caso di licenziamento ingiusto, era prevista la riassunzione o il risarcimento del danno valutato in misura di un minimo di cinque a un massimo di 10 mensilità; ora, ai sensi dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, il pretore può ordinare al datore di l. la reintegrazione nel posto di l. del lavoratore ingiustamente licenziato. Sempre ai sensi dello Statuto dei lavoratori, il numero dei dipendenti richiesto per l'applicazione della legge, è diminuito da 35 a 15 (5 se agricoli).
Lavoro femminile. - Il l. femminile può essere considerato sotto il profilo soggettivo e sotto il profilo oggettivo. Sotto il profilo soggettivo, non afferente alla prestazione in sé ma ad alcuni caratteri ed eventi tipici di chi la adempie, la legge tende a proteggere la lavoratrice da eccessivi disagi e da pericoli relativi alle lavorazioni. E così, ai sensi dell'art. 5 l. 17 ottobre 1967, n. 977, contenente norme sulla tutela del l. dei fanciulli e degli adolescenti, non possono essere adibite a lavori pericolosi, faticosi e insalubri nonché alla pulizia e al servizio dei motori e degli organi di trasmissione delle macchine in moto, le donne fino ai 18 anni.
La tutela delle lavoratrici madri ha trovato rielaborazione nella l. 30 dicembre 1971, n. 1204, che prescrive, a favore di tutte le lavoratrici madri, comprese le lavoratrici a domicilio, il divieto di licenziamento dall'inizio del periodo di gestazione fino al compimento di un anno di età del bambino, salvi i casi di colpa grave costituenti giusta causa di risoluzione del rapporto di l., di cessazione dell'attività dell'azienda o di scadenza del termine di assunzione.
È interdetto adibire la gestante, o la puerpera, al l. rispettivamente nei due mesi precedenti il parto (data presunta) e nei tre mesi dopo. Prima del periodo d'interdizione, la gestante non può esser addetta a l. pericolosi, insalubri e faticosi e analogo divieto vale per la puerpera fino a 7 mesi dopo il parto. Oltre alle norme protettive della maternità sono disposte anche norme riguardanti il trattamento economico delle gestanti e delle puerpere nel periodo di astensione dal l. nonché l'assistenza medica e ospedaliera.
Per quel che riguarda poi il profilo oggettivo, pertinente alla prestazione in sé, è evidente, invece, che la legge tende a sopprimere ogni distinzione, in aderenza al dettato costituzionale (art. 3). In termini che dovrebbero essere definitivi, è intervenuta la l. 9 dic. 1977, n. 903, a sancire la parità di trattamento tra uomini e donne in materia di l. e a vietare qualsiasi discriminazione fondata sul sesso circa l'accesso al l., a tutti i livelli della gerarchia professionale.
Lavoro minorile. - La materia è stata ristrutturata dalla l. 17 ottobre 1967, n. 977, che tuttavia esclude dalla sua applicazione i fanciulli e gli adolescenti addetti ai servizi familiari, lavoranti a domicilio, occupati a bordo delle navi in quanto tutelati da specifiche disposizioni, occupati nelle aziende e negli uffici pubblici, sempreché sia loro assicurato un trattamento più favorevole.
Per "fanciulli" s'intendono i minori che non hanno compiuto i 15 anni e per "adolescenti" i minori d'età compresa fra i 15 e i 18 anni. L'età minima per l'ammissione al l., anche degli apprendisti, è fissata a 15 anni compiuti, fatta eccezione per i l. leggeri (determinati con d.P.R. 4 genn. 1971, n. 36) svolti in attività non industriali e che siano compatibili con le particolari esigenze della salute e con l'adempimento dell'obbligo scolastico, e al di fuori di orari notturni o festivi. Gli adolescenti inferiori ai 16 anni (e le donne inferiori a 18) non possono essere adibiti a l. pericolosi, faticosi e insalubri, all'uso di macchine in moto, a mestieri girovaghi in genere.
In nessun caso, i minori degli anni 18 possono essere adibiti a l. sotterranei ed estrattivi, alla manovra e al traino di vagonetti, carriole e carretti a braccia; alla somministrazione di bevande alcooliche, alle sale cinematografiche e alla preparazione di spettacoli.
I minori, anche degli anni 15, possono partecipare tuttavia alla preparazione o rappresentazione di spettacoli con autorizzazione dell'Ispettorato provinciale del lavoro su conforme parere del prefetto e con l'assenso scritto del genitore o del tutore.
Lavoratori studenti. - L'art. 10 dello Statuto dei lavoratori si occupa dei turni di l. e dei permessi di cui possono usufruire i lavoratori per frequentare corsi di studi compresi in una gamma che è stata prevista nel modo più largo possibile: istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, scuole statali, pareggiate o legalmente riconosciute fino ad arrivare a quelle comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali. I lavoratori studenti sono esonerati da prestazioni di l. straordinario o ricadenti durante i riposi settimanali e hanno diritto a permessi giornalieri retribuiti, con modalità che possono essere integrate dalla contrattazione collettiva, per sostenere prove di esame.
Migrazioni e collocamento. - In Italia, per favorire le migrazioni interne, la l. 10 febbraio 1961, n. 5, abroga le leggi 9 aprile 1931, n. 358, e 6 luglio 1939 contro l'urbanesimo, consentendo che il lavoratore, senza cambiare residenza, possa trasferire la sua iscrizione alle liste di collocamento del luogo dove aspira a trovare occupazione.
Sempre lo Statuto dei lavoratori prevede che la commissione per il collocamento, di cui all'art. 26 l. 29 aprile 1949, n. 264, sia obbligatoriamente costituita presso le sezioni zonali, comunali e frazionali, quando ne facciano richiesta le organizzazioni sindacali più rappresentative. I sindacati richiedono, comunque, una riforma organica del collocamento che tenga conto anche della soluzione dei problemi dell'occupazione e della formazione professionale.
Cassa integrazione e assegni familiari. - La l. 17 ottobre 1961, n. 1038, apporta modifiche al testo unico delle norme concernenti gli assegni familiari e la determinazione del contributo per la cassa per l'integrazione dei guadagni degli operai dell'industria nel senso che il limite d'età per i figli a carico è elevato da 14 a 18 anni, se i figli non svolgano attività retribuita e fino a 21 anni per i figli che frequentino una scuola media e professionale e fino a 26 anni per tutta la durata del corso legale per i figli studenti universitari.
Con l. 14 luglio 1967 gli assegni familiari sono stati estesi ai coltivatori diretti, ai mezzadri e coloni e ai compartecipanti familiari.
Ma una nuova fisionomia più schiettamente sociale è stata data alla materia dalla l. 5 novembre 1968, n. 1115, modificata e integrata dalla l. 8 agosto 1972, n. 464. Il Comitato dei ministri per la programmazione economica può procedere a esami periodici annuali, a richiesta delle organizzazioni sindacali dei lavoratori o degl'imprenditori, dell'andamento dell'occupazione con riferimento sia a situazioni congiunturali sia al processo tecnico e alle conseguenti ristrutturazioni delle attività produttive.
In conseguenza dell'accertamento di situazioni dovute a crisi economiche settoriali o locali o a riorganizzazione o ristrutturazioni aziendali, può accadere che le aziende industriali, edilizie o affini procedano a sospensione dal l. o a riduzione di orari. Gli operai e gl'impiegati sospesi dal l. o lavoranti a orario ridotto possono fruire, per la durata di tre mesi, prorogabili, dell'integrazione salariale nella misura dell'80% della retribuzione globale che sarebbe ad essi spettata. In caso di disoccupazione derivante da licenziamenti da parte d'imprese industriali, diverse da quelle edili, per cessazione di attività aziendali, di stabilimento o di reparto o per riduzione di personale, il lavoratore che abbia prestato un l. retribuito per un trimestre e non a termine, ha diritto, per la durata di 180 giorni prorogabili, a un trattamento economico speciale misurato sulla retribuzione percepita; i lavoratori anziani, che abbiano compiuto i 57 anni se uomini, e i 52 se donne, in possesso dei requisiti previdenziali, hanno invece diritto a un assegno pari alla pensione determinata ai sensi delle leggi in vigore.
I lavoratori licenziati hanno titolo preferenziale di avviamento al l. in aziende analoghe a quelle presso le quali erano occupati. Per i lavoratori agricoli, è la l. 8 agosto 1972, n. 457, a prevedere, oltre a miglioramenti dei trattamenti previdenziali e assistenziali, anche l'integrazione salariale, in seguito a sospensione del l. per intemperie stagionali o per altre cause obbiettive, nella misura di due terzi della retribuzione e per la durata massima di 90 giorni nell'anno. Un trattamento speciale in luogo dell'indennità di disoccupazione loro spettante è previsto per i lavoratori agricoli a tempo determinato che abbiano effettuato almeno 151 giornate di l. durante l'anno solare.
Organizzazione internazionale del lavoro. - La Carta sociale europea, adottata a Torino il 18 ottobre 1961 e ratificata con l. 3 luglio 1965, n. 929, ha compiuto una rielaborazione in materia. I governi firmatari (Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Rep. Fed. di Germania, Italia, Grecia, Irlanda, Lussembrugo, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia, Turchia, Gran Bretagna e Irlanda del Nord) convengono su alcuni punti fondamentali quali la libertà di l., di associazione e di contrattazione collettiva; il diritto di sicurezza sociale, di assistenza sociale e medica; l'uguaglianza di trattamento; la protezione delle donne, dei fanciulli e degli emigrati; la prevenzione degl'infortuni. Tali governi si impegnano ad assicurare l'esercizio effettivo dei diritti dei lavoratori e, in particolare, il diritto al l. a condizioni più eque riguardo ad orario, ferie, congedi, igiene, sicurezza.
Bibl.: A. Torrente, I rapporti di lavoro, Milano 1966; G. Giugni, Diritto sindacale, Bari 1968; Roma 19732; L. Riva Sanseverino, Diritto sindacale, Torino 1968; id., Diritto del lavoro, Padova 1971; G. Mazzoni, Manuale di diritto del lavoro, Milano 1971; U. Prosperetti, Il lavoro subordinato, in Trattato di diritto civile, diretto da G. Grosso-F. Santoro Passarelli, ivi 1971; R. Scognamiglio, Diritto del lavoro, Bari 1972; F. Santoro Passarelli, Nozioni di diritto del lavoro, Napoli 1973; R. Corrado, Manuale di diritto del lavoro, Torino 1973; G. Pera, Lezioni di diritto del lavoro, Roma 1974; P. Ichino, Diritto del lavoro per i lavoratori, Bari 1976.
Statuto dei lavoratori. - Sindacati, movimenti cosiddetti spontanei dei lavoratori e stato, saldandosi variamente fra loro, hanno realizzato nel corso dell'ultimo decennio nuovi equilibri e nuove forme di organizzazione giuridica del lavoro: lo storico conflitto che i lavoratori conducono non tanto per trasferire al salario una parte del profitto quanto per partecipare in vario modo all'organizzaziione del processo produttivo e all'organizzazione politica ed economica generale viene a rivestire la funzione di socializzare la conflittualità, caratteristica del rapporto.
Il sistema legale, in questa materia, non si limita a disciplinare, sia pure nell'interesse generale, rapporti che riguardino solo le parti direttamente interessate, ma, nel momento in cui dà riconoscimento a un certo tipo di azione latamente sindacale, finisce per coinvolgere anche le altre componenti sociali.
La l. 20 maggio 1970, n. 300, nota come "Statuto dei diritti dei lavoratori", o più semplicemente come "Statuto dei lavoratori", riflette il momento storico in cui i lavoratori italiani ottengono che lo svolgimento di attività sindacali avvenga all'interno dell'impresa con il sostegno di una struttura normativa: questa legittima, fra l'altro, l'esercizio di un potere di controllo su quelle che sono le normali operazioni direttive e prevede la garanzia del ricorso all'intervento rapido ed efficace dell'autorità giudiziaria.
Lo Statuto, quindi, da un lato amplia i diritti e i poteri dei lavoratori, come singoli e come organizzazione, e, dall'altro, richiede alle loro rappresentanze interne una preparazione adeguata alle prospettive della partecipazione all'organizzazione aziendale.
Lo Statuto contiene un primo nucleo di enunciazioni di principio ("tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro"), che si risolvono in divieti e in obblighi per il datore e riguardano la generalità dei lavoratori subordinati, mentre un altro gruppo di norme, relative ai licenziamenti, alla reintegrazione nel posto di l., ai trasferimenti, ai permessi, all'assemblea, al referendum, alle affissioni e ai contributi sindacali, si applica alle imprese industriali e commerciali con più di 15 dipendenti e a quelle agricole con più di 5 dipendenti nell'ambito dello stesso comune nonché alle sedi, filiali, uffici o recapiti autonomi, rispettivamente con lo stesso numero di dipendenti.
In primo luogo la legge tutela il lavoratore subordinato contro gli abusi del potere direttivo e fornisce al lavoratore gli strumenti idonei per sottrarsi, eventualmente con l'aiuto delle rappresentanze sindacali, a pratiche mortificanti, offrendogli anche il necessario sostegno legale: è prevista l'azione penale (art. 38) contro il datore di l. per le violazioni dei diritti dei lavoratori consistenti in abusi commessi nell'impiego di guardie giurate (art. 2) e di impianti audiovisivi (art. 4); nel compimento di accertamenti sanitari (art. 5); nelle visite personali di controllo (art. 6); nelle indagini sulle opinioni (art. 8); nelle assunzioni (art. 15); nel collocamento (art. 33).
L'art. 7 prescrive l'obbligo di affiggere l'elenco delle infrazioni disciplinari che possono dar luogo a sanzioni disciplinari secondo una certa procedura e impedisce l'irrogazione di sanzioni che si risolvano in mutamenti definitivi del rapporto di l., fermo quanto disposto dalla l. 15 luglio 1966, n. 604 sui licenziamenti (v. sopra), la cui applicazione viene estesa dalle imprese con non meno di 35 dipendenti a quelle con 15. Per quanto la formulazione dell'art. 7 abbia sollevato qualche perplessità, esso segna tuttavia un passo in avanti nell'interpretazione della sanzione disciplinare: infatti una volta distinta dal licenziamento, la sanzione disciplinare viene ad acquistare il preciso e ben circoscritto ruolo di pertinenza esclusiva dell'organizzazione interna dell'impresa.
L'art. 13 modifica l'art. 2103 del codice civile, relativo al cosiddetto ius variandi dell'imprenditore, nel senso d'impedire che il lavoratore possa essere adibito a mansioni inferiori a quelle per cui fu assunto. Esso introduce il cosiddetto principio di effettività che stabilisce la prevalenza in ogni caso, sia come qualifica sia come retribuzione, delle mansioni che il lavoratore effettivamente svolge, escludendo la possibilità del declassamento. Lo stesso articolo consente il trasferimento del lavoratore solo per ragioni tecniche, organizzative e produttive.
Un altro insieme di norme si ricollega all'enunciato dell'art. i in forza del quale i lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione: l'art. 8 vieta al datore di effettuare indagini, sia ai fini dell'assunzione, sia durante lo svolgimento del rapporto, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali o su fatti estranei alla valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore; l'art. 9 consente ai lavoratori di controllare mediante le loro rappresentanze l'applicazione delle norme per la prevenzione degl'infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l'elaborazione e l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la salute e l'integrità fisica.
Tale prescrizione era già contenuta sostanzialmente nell'art. 2087 cod. civile, ma la norma dello Statuto innova radicalmente rispetto al codice, perché indica gli organi (rappresentanze aziendali) cui è affidata la possibilità di attuazione pratica di questa sua disposizione e parla esplicitamente di un "diritto di controllare" da esercitare collettivamente e autonomamente.
La più importante innovazione dello Statuto riguarda, però, il potere di organizzarsi che hanno i lavoratori per svolgere attività sindacali all'interno dell'impresa (artt. 14, 19, 20, 21, 25).
Lo Statuto da un lato, secondo il dettato costituzionale degli artt. 39 e 40 in tema di libertà di associazione sindacale e di diritto di sciopero, riafferma che la difesa della libertà e della dignità è soprattutto un fatto autonomico, cui la legge presta le sue garanzie e i suoi presidî; dall'altro, introduce un procedimento di sostegno dell'attività del sindacato che richiede l'intervento del pretore (art. 28). L'art. 14 riafferma solennemente il diritto di tutti i lavoratori di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacali all'interno dei luoghi di lavoro.
Per rendere valido e operante tale diritto, l'art. 15 prevede la nullità di patti o atti discriminatori che vengono individuati nel subordinare l'occupazione di un lavoratore all'adesione o non adesione a una determinata associazione sindacale, nel licenziare un lavoratore o nell'assegnare qualifiche o mansioni o nel trasferire o prendere provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio, per motivi sindacali o per una sua partecipazione a uno sciopero. D'altro canto, gli artt. 16 e 17 vietano la concessione di trattamenti economici di maggior favore aventi carattere discriminatorio e la costituzione o il finanziamento di sindacati di comodo.
L'art. 18 prevede che il giudice possa ordinare al datore di l. la reintegrazione nel posto di l. del lavoratore ingiustamente licenziato (senza giusta causa o giustificato motivo). Per i dirigenti sindacali di fabbrica, per i candidati e i membri di commissione interna che siano stati trasferiti per ostacolare l'esercizio della loro attività il sindacato può chiedere al giudice di ordinare la reintegrazione anche prima della fine del giudizio (art. 22).
Il titolo III dello Statuto dei lavoratori si occupa delle modalità per concretare la costituzione (art. 19) e la fusione (art. 29) di rappresentanze sindacali aziendali. In ogni unità produttiva con dipendenti in numero superiore a 15 (o a 5, se agricola) i lavoratori possono prendere l'iniziativa di costituire rappresentanze sindacali aziendali nell'ambito delle associazioni aderenti alle Confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale e delle associazioni sindacali non affiliate a queste, ma firmatarie di contratti collettivi nazionali e provinciali applicati nell'impresa. Il requisito della maggiore rappresentatività è stato subito messo a confronto con quello richiesto dall'art. 39 della Costituzione ("rappresentanza unitaria in proporzione degli iscritti"); requisito che è stato il maggiore scoglio all'applicazione della norma costituzionale (cosiddetti contratti con efficacia erga omnes). Si è osservato, tuttavia, non solo che la "maggiore rappresentatività", di cui allo Statuto, è molto più elastica ma che, comunque, l'ambito viene allargato dall'alternativa che le associazioni sindacali siano "firmatarie di contratti collettivi". In realtà la disposizione dell'art. 19, forse, non ha tanto voluto restringere il campo di estrazione delle rappresentanze sindacali quanto evitare il pericolo di una proliferazione sindacale che risultasse dispersiva degl'interessi dei lavoratori.
L'art. 20 concede ai lavoratori il diritto di riunirsi in assemblea all'interno dell'impresa fuori dell'orario di l. e anche, nei limiti di 10 ore annue, durante l'orario di lavoro.
Nell'ambito aziendale è anche possibile indire referendum, sia generali che per categoria, su materie inerenti l'attività sindacale con la partecipazione di lavoratori anche estranei all'unità produttiva, ma interessati ai problemi relativi alla loro categoria (art. 21).
Allo scopo di consentire il migliore svolgimento dei loro compiti di rappresentanza, possono essere concessi ai dirigenti sindacali aziendali permessi retribuiti (art. 23) e non retribuiti (art. 24) secondo certe modalità e in una certa misura. Allo scopo d'impedire l'intralcio dello svolgimento dell'attività dei dirigenti è richiesto, per il loro trasferimento da un'unità produttiva a un'altra, il nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza. Per agevolare le comunicazioni di carattere sindacale all'interno dell'azienda è permesso ai lavoratori di affiggere, su appositi spazi che il datore di lavoro ha l'obbligo di predisporre in luoghi accessibili a tutti, pubblicazioni, testi e comunicati inerenti materie d'interesse sindacale e di lavoro.
Per provvedere al finanziamento delle proprie organizzazioni sindacali, i lavoratori hanno la facoltà di raccogliere contributi e possono anche svolgere, all'interno dei luoghi di l., opera di propaganda che non rechi pregiudizio al normale svolgimento dell'attività aziendale (art. 26, primo comma). Le associazioni sindacali dei lavoratori hanno diritto di percepire, tramite ritenuta sul salario, i contributi loro versati dai lavoratori in un modo atto a mantenere la segretezza del versamento (art. 26, secondo comma). È fatto obbligo al datore di l., al fine di consentire il più tempestivo esercizio del diritto di associazione, nelle aziende con almeno 200 dipendenti, di mettere a disposizione un idoneo locale comune all'interno dell'unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa. Nelle unità produttive con un numero inferiore di dipendenti, le rappresentanze aziendali hanno diritto di usufruire, ove ne facciano richiesta, di un locale idoneo per le loro riunioni (art. 27).
A complemento delle garanzie della libertà sindacale all'interno dell'unità aziendale, lo Statuto dei lavoratori introduce la figura della condotta antisindacale (art. 28). La repressione della condotta del datore che impedisca o limiti l'esercizio della libertà e dell'attività sindacale nonché del diritto di sciopero, può raggiungere gli estremi dell'inosservanza dei provvedimenti dell'autorità, prevista dall'art. 650 cod. pen., nel caso che il datore di l., cui il pretore abbia ordinato, con decreto motivato e immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo, non ottemperi al decreto stesso. È questa un'importante innovazione che, pur deferendo all'autorità giudiziaria il compito di repressione della condotta antisindacale, non può non avere quell'effetto preventivo sul comportamento del datore che costituisce la finalità principale della norma.
Il titolo IV dello Statuto dei lavoratori contiene altre disposizioni dirette ad agevolare lo svolgimento di attività culturali, sindacali e politiche: l'art. 10 riconosce il diritto dei lavoratori studenti a un orario di lavoro che agevoli i loro impegni scolastici; l'art. 30 prevede permessi retribuiti da concedere ai lavoratori che siano impegnati negli organi direttivi provinciali e nazionali delle associazioni sindacali di cui all'art. 10; l'art. 31 prevede aspettative non retribuite per i lavoratori eletti membri del Parlamento o delle assemblee regionali o chiamati ad altre funzioni pubbliche elettive. Ai lavoratori che, essendo eletti alla carica di consigliere comunale o provinciale, non chiedono tali aspettative, dev'essere concessa autorizzazione ad assentarsi dal servizio per il tempo strettamente necessario all'espletamento del mandato, senza alcuna decurtazione della retribuzione (art. 32). Il titolo V tratta della costituzione obbligatoria della commissione per il collocamento (di cui all'art. 26 della l. 29 apr. 1949, n. 264) presso le sezioni zonali, comunali e frazionali degli uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione, quando ne facciano richiesta le organizzazioni sindacali dei lavoratori più rappresentative (art. 33). Le richieste nominative di mano d'opera sono limitate ai componenti del nucleo familiare del datore di l., ai lavoratori di concetto e agli appartenenti a ristrette categorie di lavoratori altamente specializzati.
Fra le disposizioni finali del titolo VI, riveste notevole importanza l'art. 37, che estende l'applicazione dello Statuto ai rapporti di l. e d'impiego dei dipendenti da enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica, nonché ai rapporti d'impiego di dipendenti dagli altri enti pubblici, salvo che la materia sia diversamente regolata da norme speciali. La disposizione va messa in relazione con l'art. 40 dello Statuto che abroga ogni disposizione contrastante con le sue norme. Ne consegue che le disposizioni riguardanti l'impiego pubblico, che non costituiscano una speciale regolamentazione del rapporto, ma siano eventualmente meno permissive e meno garanti della libertà dei dipendenti pubblici, sotto il profilo della libertà sindacale, devono considerarsi abrogate.
D'altra parte, l'art. 97 della Costituzione secondo cui "i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge" riguarda il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione, e non l'organizzazione dei dipendenti al fine di realizzare la libertà di associazione e la salvaguardia degl'interessi di categoria. Pertanto, almeno in questo senso, non sembra esserci incompatibilità fra lo Statuto e le norme che regolano il pubblico impiego in materie diverse dalla libertà e dignità dei lavoratori ecc., poiché ogni disposizione che fosse contraria a quanto sancito dallo Statuto è espressamente abrogata dall'art. 40, a meno che non si tratti di norme speciali che regolino la stessa materia in modo diverso.
L'ultima norma dello Statuto, l'art. 42, riguarda l'esenzione fiscale per tutti gli atti e i documenti necessari alla sua attuazione e applicazione.
Con lo Statuto dei lavoratori, le relazioni all'interno dell'azienda, già modellate giuridicamente sulla formula economica del taylorismo, cominciano ad essere sostituite sul piano legale da relazioni non più condizionate dal monopolio culturale della classe detentrice del capitale, ma fondate su un'organizzazione giuridicamente rilevante, in cui la posizione delle parti trova un equilibrio prima sconosciuto: ne fanno fede, fra l'altro, gli artt. 4, 6, 7, 12 che prevedono accordi interni fra le parti, in materia di organizzazione aziendale. Capitale e l., che la Costituzione accetta come elementi fondamentali del sistema produttivo, sono orientati verso quel comune spazio di operatività e di conflittualità formale che era stato sicuramente indicato dal costituente (artt. 2, 3, 4, 39, 40, 46), ma che non aveva, per anni, trovato attuazione.
La maggiore importanza dello Statuto non sembra tuttavia da rilevare nella norma scritta, ma nello spirito che la anima, nelle prospettive, cioè, aperte a un'azione più articolata, diretta e immediata fra organizzazioni aziendali e dirigenze, e soprattutto all'estensione dell'efficacia delle norme dei contratti collettivi stipulati a tutta l'unità produttiva interessata; unità produttiva che lo Statuto sembra considerare la cellula di un sistema organico, in cui è possibile trovare autonomamente la risoluzione dei molti problemi che investono l'economia e la società.
Bibl.: A. Freni-G. Giugni, Lo Statuto dei lavoratori, Milano 1971; D. Napoletano, Lo statuto dei lavoratori, Napoli 1971; G. Zangari, Potere disciplinare e licenziamento (problemi interpretativi ex art. 7 della legge 20 maggio 1970 n. 300), Milano 1971; C. Assanti-G. Pera, Commento allo Statuto dei diritti dei lavoratori, Padova 1972; U. Romagnoli, L. Montuschi, G. Ghezzi, G. F. Mancini, Statuto dei diritti dei lavoratori in Commentario del Codice civile, a c. di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma 1972; R. Scognamiglio, La disciplina del rapporto di lavoro (considerazioni sullo Statuto), Roma 1972; G. Mazzoni, L'azione sindacale e lo Statuto dei lavoratori, Milano 1974; Commentario dello Statuto dei lavoratori, diretto da U. Prosperetti, 2 voll., Milano 1975; E. Stolfi, Da una parte sola. Storia politica dello Statuto dei Lavoratori, ivi 1977.
Igiene del lavoro.
L'igiene del lavoro è la scienza che ha come scopo quello di prevenire la nocività e di rendere il più possibile salubre il l. umano.
La storia di questa disciplina è stata reinterpretata, negli anni recenti, per sottolineare il ruolo che hanno avuto - insieme con le ricerche scientifiche e con le leggi protettive - i movimenti sindacali e politici dei lavoratori. La sua data di nascita può essere collocata nell'anno 1700, quando apparve il libro di Bernardino Ramazzini De morbis artificum diatriba, accurata descrizione delle malattie dei lavoratori di ogni categoria (minatori, chimici, fornai, tessitori, vetrai, agricoltori, fino agli scrivani e ai becchini), e di alcune misure di prevenzione. Malgrado il moltiplicarsi di conoscenze sulle cause di malattia collegate all'attività produttiva, l'espansione capitalistica coincidente con la prima rivoluzione industriale causò tuttavia ciò che Marx definì "genocidio pacifico". La silicosi nelle miniere, la tubercolosi e il rachitismo nelle fabbriche, la malaria e la pellagra nelle campagne fecero salire ad altissimi livelli la mortalità. Alla fine del sec. 19°, mentre la mortalità media fra i 20 e i 30 anni era inferiore al 10%, raggiungeva il 17% tra i cavatori e minatori, il 20% tra i solfatari, il 27% tra i tipografi. La mortalità infantile nei comuni in rapida industrializzazione raggiunse il 50% dei nati, e vi erano pseudoscienziati che affermavano "essere la mortalità dei bambini una selezione naturale e giusta per la razza umana" (Atti I Congr. internaz. per le malattie del lavoro, Milano 1906). Nel Biellese, su 3000 iscritti di leva, solo 300, nell'anno 1896, poterono essere dichiarati abili; e tutti i riformati erano operai passati attraverso il l. minorile.
Queste condizioni cominciarono a mutare grazie alle lotte dei lavoratori contro il l. dei minori, per la giornata di 8 ore, per salari adeguati alle esigenze alimentari, per il risanamento delle abitazioni. Nel sec. 19° si svilupparono anche le ricerche sulla fatica, sull'alimentazione, sulla sicurezza dei lavoratori, e furono introdotte leggi protettive e corpi d'ispettori: dai visitors inglesi (1802), scelti fra i giudici di pace e i ministri del culto, fino agl'ispettori specializzati, dipendenti dallo stato. Fu votata la legge Althorp inglese nel 1833, e leggi analoghe in Prussia (1853), in Francia (1874), in Austria (1883). In Italia gl'ispettori delle industrie furono creati con d. 2 apr. 1879, e trent'anni dopo erano appena in numero di 3. Con la l. 22 dic. 1912 fu creato l'Ispettorato del lavoro, che integrò poi un corpo d'ispettori medici guidati da G. Loriga, che fu in Italia pioniere di questa scienza. Nelle università, lo studio fu orientato prevalentemente verso la cura delle malattie del l., con la nascita della Clinica del lavoro di Milano (1902) e di Napoli (1919), piuttosto che verso la prevenzione. Queste cliniche, e le altre che seguirono, spesso fecero più gl'interessi degl'industriali che dei lavoratori, tenuti all'oscuro delle origini delle loro malattie.
Nei primi decenni del sec. 20° fu introdotta su larga scala nell'industria la cosiddetta organizzazione scientifica del lavoro, proposta da Taylor. Si tese così a intensificare i ritmi lavorativi e a esasperare la divisione delle operazioni manuali, determinando un accrescimento delle malattie del sistema nervoso e della patologia psicosomatica fra gli operai.
Attualmente, a causa della disuniformità delle condizioni di l. si ha nei paesi occidentali, e soprattutto in Italia, un intreccio di vecchi fenomeni (l. minorile, fatica muscolare) e di forme nuove di nocività che incidono sulla patologia del l. (v. lavoro: Patologia del l., XX, p. 671; App. II, 11, p. 170; III, 1, p. 960). Tra i risultati più evidenti è da ricordare la persistenza di un'accresciuta mortalità fra i lavoratori manuali: in Francia, nel gruppo di età 25-54 anni, è stata riscontrata una mortalità di 35 per diecimila fra le professioni liberali, del 54 fra i salariati agricoli e del 76 fra i manovali. Altrettanto grave è, in Italia, l'aumento degl'infortuni sul l. (v. infortunio, App. III, 1, p. 876) che nel settore delle attività industriali sono saliti da 940.000 nel 1957 a 1.301.000 nel 1971, mentre sono diminuiti nel settore dell'agricoltura da 289.000 nel 1957 a 227.000 nel 1971, in rapporto con la riduzione delle unità occupate. Anche le malattie professionali sono cresciute: la silicosi, che è la principale, da 10.766 casi nel 1961 a 27.478 casi nel 1971; le altre tecnopatie da 13.765 a 21.393.
Fattori di nocività. - Il l., in quanto bisogno fisiologico e culturale dell'uomo, può essere considerato come strumento potenziale dì salute. Nei rapporti economico-sociali, nelle tecnologie e nell'organizzazione del l. vi sono tuttavia ambivalenti influenze di salubrità e di danno, che l'igiene del l. studia in modo sistematico. La nocività può derivare innanzitutto dagl'impianti, dai macchinari, dai locali di l.: è quindi nella progettazione la fase più importante per la sicurezza degli operatori. La classificazione degli agenti patogeni e dei fattori di rischio prende in esame i seguenti punti.
Fattori fisici. - L'illuminazione influisce sull'organo della vista, accentuando i vizi di rifrazione e le malattie oculari, quando è irrazionale per eccesso, per difetto o per incongruità dell'incidenza o dei colori; ma anche le condizioni fisico-psichiche dei lavoratori e la sicurezza (maggior rischio d'infortuni) possono esser influenzate. Le norme per l'igiene del l. prevedono i seguenti minimi d'intensità luminosa: 10 lux per depositi di materiali; 20 per passaggi, corridoi e scale; 40 per lavori grossolani; 100 per lavori di media finezza; 200 per lavori fini; 300 per lavori finissimi. Questi standard sono considerati però insufficienti: per lavori finissimi, per es., è utile giungere a 1000 lux per illuminazione generale e 4000 localizzata. I rumori influiscono sull'udito, sulle glandole endocrine, sulla psiche; i livelli sonori tollerabili vanno commisurati alla durata giornaliera dell'esposizione: 85 dBA per 8 ore, 90 per 4 ore, 95 per 2 ore e 100 per il massimo di un'ora. La difesa contro i rumori dipende innanzitutto dalla progettazione delle macchine e dei locali, perché i mezzi di protezione individuali presentano scomodità e inconvenienti psicologici. Le vibrazioni e gli scuotimenti sono oscillazioni imposte al corpo, che provocano disturbi al labirinto, stanchezza, malessere e alterazioni degli apparati di sostegno e locomotore; anche in questo caso la prevenzione consiste nell'isolamento delle fonti e nell'interruzione dei fenomeni all'insorgenza. L'elettricità causa infortuni anche mortali che hanno in Italia una frequenza di 0,76/100.000, fra le più alte; sono colpiti soprattutto l'apparato cardiocircolatorio e il sistema nervoso (paralisi bulbare); la prevenzione consiste essenzialmente nell'isolamento dei generatori, dei trasformatori e dei conduttori. Le radiazioni ionizzanti possono causare lesioni acute (malattia da raggi), lesioni croniche a carico degli organi emopoietici, delle ossa, della cute e del cristallino, con maggiore frequenza di tumori e mutazioni genetiche. La dose massima tollerabile viene valutata in 5 Rem anno, e commisurata all'età del lavoratore; ma gli effetti a distanza e le conseguenze ancora imprevedibili delle radiazioni consigliano di puntare alla dose zero. Le pressioni atmosferiche, incongrue per eccesso o per difetto, costituiscono anch'esse fattore di rischio lavorativo.
Fattori chimici. - Questo capitolo ha assunto crescente rilevanza, per lo sviluppo di ogni ramo dell'industria e per l'introduzione di nuovi prodotti di sintesi. Le sostanze chimiche possono penetrare nell'organismo in forma di liquidi, polveri, gas e vapori prevalentemente per via respiratoria, ma anche digerente o cutanea. Per le sostanze tossiche vengono valutati i MAC (Concentrazioni Massime Ammissibili) o TLV (Valore Limite di Concentrazione), cioè le dosi che non produrrebbero danno alla salute per un'esposizione giornaliera media di otto ore e per tutta la vita lavorativa. Grande differenza esiste fra valori dei MAC americani e di quelli sovietici, molto inferiori. Più validi ai fini preventivi sono i MAC biologici, cioè le quantità di sostanze estranee assorbite e presenti nell'organismo umano. La prevenzione consiste essenzialmente nella conoscenza preliminare e nel controllo della produzione, per impedire la formazione di sostanze tossiche; in via subordinata, nell'ostacolarne la diffusione negli ambienti di lavoro. I mezzi personali di difesa (maschere, abiti speciali) possono avere utilità soltanto in casi eccezionali e per breve tempo.
Organizzazione del lavoro. - I fattori organizzativi della produzione (orari, ritmi di l., parcellizzazione delle mansioni, monotonia e ripetitività, sottoutilizzazione delle facoltà umane, gerarchia aziendale, ecc.) influiscono sia sulla salute psichica, causando le "nevrosi industriali" e facendo esplodere malattie mentali latenti, sia su altri organi e apparati, per via psicosomatica o cortico-viscerale (malattie gastroenteriche, cardiocircolatorie, disturbi della sfera sessuale). Si afferma solitamente che alla fatica fisica si è sostituita quella mentale, ma vi è in realtà un intreccio fra l'una e l'altra. Misure preventive parziali consistono nella riduzione degli orari, nell'allentamento dei ritmi, nell'ampliamento delle mansioni e nello sviluppo delle qualifiche professionali; molto dipende tuttavia dal ruolo complessivo dei lavoratori nell'azienda e nella società.
Ambiente e rapporti esterni. - Esaminando i fattori più semplici di nocività, cioè gli orari in rapporto alla fatica e le sostanze chimiche in rapporto alla tossicologia, appare evidente che gli effetti nocivi dipendono anche dalle condizioni esterne alla fabbrica. L'orario reale comprendè anche il trasporto, gravoso soprattutto per i lavoratori pendolari, l'ampiezza e il silenzio dell'abitazione, la vita familiare (doppio lavoro della donna). Le sostanze chimiche assorbite in fabbrica si sommano, o hanno effetti sinergici, con quelle derivanti dall'inquinamento atmosferico, dalle sofisticazioni alimentari, dalle intossicazioni "volontarie" (fumo, alcool, ecc.). Anche i fattori più complessi di nocività, come l'organizzazione del l., interferiscono con l'insieme del territorio e l'organizzazione sociale.
Strumenti della prevenzione. - Le preesistenti norme per la tutela igienico-sanitaria dei lavoratori (v. anche sociale, legislazione: Igiene del lavoro, App. III, 11, p. 759) sono state integrate o modificate da più recenti disposizioni, fra cui le leggi per la tutela del l. dei fanciulli e degli adolescenti (17 ott. 1967, n. 977), e della lavoratrice madre (30 dic. 1971, n. 1204).
Le istituzioni che hanno poteri in questo campo sono i comuni, che in base al T.U. delle leggi sanitarie possono vigilare sulla salubrità degli opifici; l'Ispettorato del l., organo statale per la vigilanza sulle leggi igieniche e di sicurezza; il Corpo delle miniere, istituito nel 1861; l'Associazione nazionale per il controllo della combustione, consorzio obbligatorio fra le aziende; l'Ente Nazionale per la Prevenzione degli Infortuni (ENPI), ente parastatale che svolge consulenza antinfortunistica per le aziende e propaganda per la sicurezza. Non esiste coordinamento e unitarietà di interventi fra queste istituzioni.
I servizi tecnici sono costituiti dai medici (o servizi sanitari) di azienda, non regolati per legge, che svolgono principalmente opera di controllo sulla salute dei lavoratori all'assunzione e con visite periodiche; e i laboratori di analisi, spesso collegati ai laboratori d'igiene e profilassi delle province o alle università, dotati di apparecchi per la misurazione del microclima, dei rumori, dell'illuminazione, delle sostanze nocive.
Nuovi orientamenti e ruolo dei lavoratori. - Nell'analizzare il rapporto fra industrializzazione e salute, si è constatato che la patologia del l. ha una "contagiosità" esterna: in dosi e forme più diluite, gli stessi agenti patogeni che colpiscono in modo intensivo i lavoratori agiscono su tutta la popolazione, attraverso gl'inquinamenti ambientali, i prodotti, le forme organizzative della società. L'igiene del l. si collega quindi all'igiene sociale e tende a coinvolgere l'intera collettività. Dagli anni 1967-69, in Italia i movimenti sindacali e politici dei lavoratori sono intervenuti con vigore per la tutela della salute, introducendo nuovi concetti e strumenti igienici: dalla "monetizzazione della salute", cioè dalla richiesta d'indennità monetarie per i lavori nocivi, si è passati ai tentativi di controllo e di modifica dell'ambiente e dell'organizzazione del l.; nei "contratti collettivi di lavoro" sono state inserite norme protettive, fra le quali la determinazione dei MAC, assente nella legislazione italiana; fra i criteri scientifici di valutazione della nocività si è accentuato il ruolo della "soggettività", cioè l'accertamento compiuto attraverso la partecipazione dei gruppi omogenei di lavoratori; nella l. 20 marzo 1970, n. 30, conosciuta come Statuto dei lavoratori, è stato inserito il diritto dei lavoratori alla conoscenza e al controllo delle condizioni ambientali. Parallelamente all'accresciuto intervento delle classi lavoratrici, molti comuni e province, e dal 1970 anche regioni, hanno creato servizi d'igiene del lavoro. Anche tra i medici, studenti e altri tecnici (chimici, biologi, ingegneri) si è accresciuto l'interesse per la tutela della salute nelle fabbriche. Sul piano scientifico, questi orientamenti si collegano agli sviluppi dell'ergonomia, scienza che studia non più l'adattamento dell'uomo alla macchina, bensì la costruzione di sistemi uomo-macchina-ambiente idonei alle esigenze fisiologiche, psicologiche e sociali dei lavoratori.
Questi temi sono emersi con particolare acutezza nel luglio 1976, quando dalla fabbrica ICMESA, nel comune di Meda, si sprigionò una nube di triclorofenolo contenente circa 2 kg di tetraclorodibenzoparadiossina, che si sparse su Seveso e sulle zone vicine, provocando imponenti danni sanitari, oltreché economici. Apparvero chiare le responsabilità della ditta Hoffman-La Roche, per aver localizzato in Italia una produzione inquinante, e delle autorità italiane per averlo permesso. Risultò che la valvola di sicurezza era posta a protezione dell'impianto, non della popolazione o dei lavoratori. Dopo questo episodio, altri ne scoppiarono a Manfredonia, per inquinamento da arsenico causato da una fabbrica ANIC, in Sardegna per colpa dell'industria petrolchimica, a Priolo e Gela in Sicilia, mostrando un livello di contaminazione interna ed esterna alle fabbriche ben oltre i limiti di sicurezza.
Bibl.: G. Marri, I. Oddone, L'ambiente di lavoro, Roma 1967; Encyclopédie de médecine, d'hygiène et de sécurité du travail, Ginevra 1973; G. Pancheri, Igiene del lavoro, Roma 1973; G. Berlinguer, La salute nelle fabbriche, Bari 19754.