Kasdan, Lawrence
Regista e sceneggiatore statunitense, nato il 14 gennaio 1949 a Miami Beach (Florida). Il cinema di K. è un abile miscuglio di generi e di tonalità. I suoi film più riusciti (The big chill, 1983, Il grande freddo; The accidental tourist, 1988, Turista per caso; Grand Canyon, 1991, Grand Canyon ‒ Il cuore della città, Orso d'oro al Festival di Berlino nel 1992) sono attraversati da una vena dolceamara e da un'ambizione corale vicina al cinema di Robert Altman, con la differenza che mentre per il regista di Nashville e di Short cuts l'affresco collettivo è lo scopo primario, K. non perde mai di vista la dimensione squisitamente individuale.
Dopo aver ottenuto la laurea in letteratura inglese all'Università del Michigan, si è trasferito a Los Angeles, dove ha vissuto per alcuni anni come copywriter pubblicitario, finché George Lucas e Steven Spielberg lo hanno assunto come co-sceneggiatore di The empire strikes back (1980; L'impero colpisce ancora) di Irvin Kershner, Raiders of the lost ark (1981; I predatori dell'arca perduta) diretto dallo stesso Spielberg e The return of Jedi (1983; Il ritorno dello Jedi) di Richard Marquand. È passato alla regia con Body heat (1981; Brivido caldo), rivisitazione in chiave erotica del noir degli anni Quaranta. Nel 1983 ha realizzato il suo film più noto, The big chill, ritratto generazionale di un gruppo di sessantottini che si riunisce dopo quindici anni in occasione del suicidio di uno di loro, privo di qualsiasi sentimentalismo e venato di una malinconia dolceamara. Come già nei due primi lavori, nell'opera di K. si sono avvicendati, con risultati e successi alterni, film citazionistici ‒ il western con Silverado (1985) e Wyatt Earp (1994), la commedia con il farsesco I love you to death (1990; Ti amerò… fino ad ammazzarti) e il romantico French kiss (1995) ‒ e progetti più personali, in cui ha dato il meglio di sé: The accidental tourist, forse la sua prova migliore, Grand Canyon e Mumford (1999). Il successo dei film di Lucas e Spielberg ha permesso a K. di ottenere credibilità e indipendenza artistica all'interno del sistema hollywoodiano, compensando i rischi di un'impresa come Wyatt Earp, che si è rivelato uno dei più grandi insuccessi commerciali degli anni Novanta, con il successo di The bodyguard (1992; Guardia del corpo) di Mick Jackson, di cui il regista aveva scritto la sceneggiatura nel 1975. Raffinato direttore di attori, è stato tra i primi a sfruttare le doti di William Hurt, Kathleen Turner, Kevin Kline, Jeff Goldblum, Glenn Close, Kevin Costner, Danny Glover e Geena Davis (che grazie a lui ha ottenuto l'Oscar come migliore attrice non protagonista per The accidental tourist). Nella confezione dei suoi film appaiono particolarmente curate le fasi di montaggio (sono memorabili l'inizio di The big chill e le transizioni di Grand Canyon) e di missaggio, dove spesso la colonna sonora riveste un ruolo a sé, come le canzoni degli anni Sessanta e Settanta in The big chill che, tra le note di Marvin Gaye, dei Rolling Stones, dei Procol Harum e di Aretha Franklin, diventano il simbolo per eccellenza di un immaginario comune. I personaggi di K. sono spesso soggetti a crisi esistenziali provocate dal disincanto professionale e affettivo (gli ideali giovanili del gruppo di The big chill, che si scontrano con le difficoltà dell'età adulta e con il pragmatismo degli anni Ottanta; l'inafferrabilità dei sentimenti messa in luce dall'eccentricità del falso psicoanalista in Mumford) e dall'irruzione di una realtà dalla violenza incontrollabile (il suicidio in The big chill, la morte di un figlio in The accidental tourist, la sensazione d'insicurezza anche fisica che pervade Grand Canyon, la brutalità del Far West in Wyatt Earp). K. li osserva sforzarsi di mantenere intatte le apparenze, rinchiudersi nella difesa di uno spazio vitale sempre più minacciato (esemplare in tal senso la figura di William Hurt che, in The accidental tourist, scrive guide turistiche a uso di viaggiatori americani terrorizzati dallo spaesamento), conservando un'ambiguità psicologica, una sospensione tra dramma e commedia appena corretta dal lieto fine.
Lawrence Kasdan, in "Film dope", March 1984; A. Cappabianca, La trama dei destini, in "Filmcritica", maggio 1992, 425, pp. 251-55.