PALLAVICINO, Lazzaro Opizio
PALLAVICINO (Pallavicini), Lazzaro Opizio. – Nacque a Genova il 30 ottobre 1719 da Paolo Girolamo, senatore della Repubblica di Genova, e da Giovanna di Luciano Serra.
Era pronipote di Opizio e nipote di Lazzaro. I suoi fratelli Giovan Francesco e Giovanni Carlo furono entrambi senatori. Avviato alla carriera ecclesiastica, iniziò gli studi a Roma nel Collegio Clementino, dove fu convittore dal 1732, e li portò a compimento con il dottorato in utroque iure ottenuto alla Sapienza. Dal Ruolo pontificio del 1° settembre 1740 risulta abbreviatore di parco maggiore, ufficio che mantenne almeno fino al 1757. Nel maggio 1745 divenne referendario delle due Segnature e nel 1746 ponente della Sacra Consulta. Nella primavera del 1746 portò la berretta cardinalizia al vescovo di Liegi, Giovanni Teodoro di Baviera, fratello dell’imperatore Carlo VII, creato cardinale in pectore nel 1743 e pubblicato nel gennaio 1746. Il 13 dicembre 1751 fu nominato governatore generale delle Marche, restando in carica fino al dicembre 1753. Il 1° aprile 1754 divenne arcivescovo di Lepanto (Naupactensis) in partibus.
Il vicegerente di Roma Ferdinando Maria de Rubeis gli aveva conferito gli ordini minori e il suddiaconato il 17 febbraio, il diaconato e il presbiterato rispettivamente il 10 e il 19 marzo. Aveva celebrato la prima messa il 24 marzo nella chiesa della Casa della Missione a Montecitorio, nella quale aveva dimorato a lungo.
Fu consacrato vescovo il 7 aprile 1754 a Roma dal cardinale Federico Marcello Lante. Il 16 aprile divenne assistente al soglio pontificio e il 21 maggio fu inviato nunzio a Napoli, dove arrivò nel pomeriggio del 1° giugno. Il 5 giugno presentò le credenziali al segretario di Stato, marchese Giovanni Fogliani Sforza d’Aragona, e il 12 giugno si recò a Portici per rendere visita ai sovrani, Carlo e Maria Amalia. Nel maggio 1756 gli fu conferita in commenda l’abbazia di S. Sofia di Benevento.
La sua attività alla corte napoletana fu caratterizzata dalla difesa del concordato (2 giugno 1741). Dovette confrontarsi con Bernardo Tanucci, che nel giugno 1755 aveva sostituito il marchese Fogliani, inviato a governare la Sicilia; il nuovo ministro, che, in quanto segretario di Grazia e giustizia, era responsabile delle questioni ecclesiastiche patrimoniali e giurisdizionali, era orientato a una progressiva restrizione dei tradizionali diritti ecclesiastici.
Nel dicembre 1758 Ferdinando VI, re di Spagna, designò come erede universale il fratello Carlo, che gli succedette il 10 agosto dell’anno seguente. Pallavicino informò puntualmente la Santa Sede circa i provvedimenti presi dal nuovo re di Spagna per regolare la successione: inabilitazione del primogenito Filippo, afflitto da problemi mentali, scelta del secondogenito Carlo a succedergli sul trono di Spagna e attribuzione del trono di Napoli al terzogenito Ferdinando, minorenne, per il quale si costituì un consiglio di reggenza.
Quando Carlo III lasciò Napoli, il 6 ottobre 1759, a Roma fu deciso l’avvicendamento dei nunzi; Pallavicino fu così destinato alla Spagna. A metà novembre affidò l’amministrazione corrente all’uditore Giovanni Battista Ruffini, ma partì da Napoli solo verso la fine di dicembre. La nomina formale gli fu notificata con un breve del 9 febbraio 1760 ed egli si mise in viaggio nei primi giorni di giugno, per giungere a Madrid il 2 luglio, accolto dal cardinale Giacomo Spinola, suo predecessore. Il giorno seguente i due prelati furono ricevuti dal ministro Richard Wall e sabato 5 luglio, nell’udienza presso i sovrani, Pallavicino fu ufficialmente introdotto, mentre Spinola si congedò.
Nonostante l’apprezzamento di cui godeva presso il sovrano, fin dall’inizio della sua attività il Consiglio di Castiglia limitò le sue prerogative, essendo la politica del nuovo sovrano orientata a incrementare il centralismo monarchico, riducendo i tradizionali privilegi del clero. La pubblicazione in Spagna del catechismo di François-Philippe Mésenguy nel 1761, condannato da Roma, fu l’occasione per introdurre l’exequatur per tutte le ordinanze romane, cui seguirono provvedimenti per limitare l’acquisto di beni immobili da parte degli ecclesiastici. La nomina a fiscal del Consiglio di Castiglia di Pedro Rodríguez de Campomanes (1762) e la costituzione di un gabinetto di governo composto da Leopoldo de Gregorio, marchese di Squillace, Julián de Arriaga e Girolamo Grimaldi, cugino del nunzio (1763), produssero un’accelerazione delle politiche riformatrici. Alla fine del 1765 Roma cercò di richiamare Pallavicino, ritenendolo inadeguato a fronteggiare la situazione, ma le trattative furono interrotte poiché Grimaldi pretendeva di indicare il successore.
Tra il 1763 e il 1765, obbedendo alle disposizioni del governo destinate a migliorare l’aspetto e l’efficienza degli edifici situati nel centro di Madrid, il palazzo della nunziatura fu oggetto di lavori di manutenzione straordinaria, sotto la direzione dell’architetto Carlo Bernasconi, che comportarono, oltre al rifacimento delle facciate, l’incanalamento delle acque piovane e la costruzione di fognature.
La tematica principale della nunziatura fu legata alle sorti dei gesuiti, a partire dalla difesa del nunzio in Portogallo Filippo Acciaiuoli, espulso dal regno nel giugno 1760 a motivo del sostegno prestato ai padri della Compagnia nella loro contesa con il governo. Scettico circa il coinvolgimento dei gesuiti nella sommossa che provocò la caduta del marchese di Squillace (1766), Pallavicino non previde il loro bando, fidandosi delle rassicurazioni ingannevoli che gli vennero comunicate fino alla vigilia degli avvenimenti. Mostrò comunque di approvare l’operazione di espulsione portata a termine tra la notte del 31 marzo e il 2 aprile 1767, giustificata, a suo dire, dalla «religione superlativa» del re e dai «copiosi ed uniformi» pareri di «non pochi teologi e due vescovi almeno» (Lettera al cardinale segretario di Stato, 7 aprile 1767, in Arch. segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Spagna 303, f. 266r).
Il 26 settembre 1766 fu creato cardinale e gli fu ordinato di tornare a Roma dopo l’arrivo del successore designato, Cesare Alberico Lucini, al momento nunzio a Colonia. Il 18 marzo 1767 nel palazzo del Pardo il re gli impose la berretta cardinalizia. L’8 aprile 1767 fu colpito da una grave malattia che lo afflisse fino al mese di settembre. Ricevette il viatico e delegò i suoi poteri a Ippolito Vincenti, uditore della nunziatura, in modo che il tribunale continuasse a funzionare. Il 6 luglio arrivò il nuovo nunzio Lucini, che entrò immediatamente in carica; tuttavia Pallavicino rifiutò di passare le consegne, al punto che alla fine di settembre il segretario di Stato dovette ordinare all’uditore Vincenti di aprirgli l’archivio.
Giovedì 19 maggio 1768 il papa impose a Pallavicino il cappello cardinalizio e il 20 giugno gli assegnò il titolo dei Ss. Nereo e Achilleo, che il 14 dicembre 1778 avrebbe lasciato per quello di S. Pietro in Vincoli. Il 21 maggio 1768 fu nominato legato di Bologna, rinnovando una nomina del 1° dicembre 1766 rimasta senza effetto. Prese possesso dell’ufficio per procura il 4 giugno, nominando suo rappresentante il vicelegato Ippolito Boncompagni Ludovisi, al quale affidò la conferma dei funzionari che egli ritenesse più idonei; si recò personalmente a Bologna il 28 ottobre e fece il solenne ingresso il 3 novembre. In seguito alla morte di Clemente XIII (2 febbraio 1769), il 9 marzo si recò a Roma per partecipare al conclave, affidando l’amministrazione corrente al vicelegato.
Clemente XIV, eletto il 19 maggio 1769, il giorno stesso scelse Pallavicino come segretario di Stato, accogliendo le richieste della Francia e della Spagna, che pensavano di poter contare su di lui per la questione dei gesuiti. Il segretario di Stato si insediò il 22 maggio, ma i rapporti con il pontefice non furono di particolare collaborazione, dato anche lo stile di governo molto personalistico del papa.
Pallavicino, nella sua carica di segretario di Stato, fu tra i principali esecutori del breve Dominus ac Redeptor con il quale il 21 luglio 1773 Clemente XIV abolì la Compagnia di Gesù. La sua attività in tal senso si dispiegò anche nel tentare di impedire la sopravvivenza dell’ordine in Russia durante il regno di Caterina II.
Nel conclave apertosi il 5 ottobre 1775 la Spagna promosse la sua candidatura, ma l’opposizione della parte imperiale e la protesta dei cardinali zelanti lo indussero a ritirarla. Il nuovo pontefice Pio VI lo confermò nella carica di segretario di Stato grazie alle pressioni della Spagna e per riguardo del cardinale François-Joachim de Pierre de Bernis, nonostante la scarsa stima che nutriva nei suoi confronti; tuttavia si valse poco della sua opera.
Pallavicino fece parte di numerosi organismi di governo: fu camerlengo del Sacro Collegio dal 29 gennaio 1776 al 17 febbraio 1777; nel 1784 era prefetto della Sacra Consulta, della Congregazione dello Stato di Avignone e della S. Casa di Loreto, membro delle congregazioni del S. Ufficio, del Concilio, di Propaganda fide, della Visita Apostolica, dei Vescovi e regolari, dei Riti, del Cerimoniale, dell’Immunità, della Concistoriale e delle Acque. Fu titolare di alcune protettorie: arciconfraternita di S. Girolamo della Carità, canonici regolari del Ss. Salvatore, celestini (13 aprile 1774), domenicani (16 gennaio 1781), monasteri di S. Giacomo alla Lungara e di S. Maria Maddalena al Corso, chiesa di S. Petronio e nazione Bolognese, Castel San Giorgio detto il Porto di Fermo, Accademia degli Infecondi, città di Cesena e di Alatri.
Morì a Roma il 23 febbraio 1785.
I funerali furono celebrati nella basilica di S. Maria sopra Minerva e il corpo tumulato, in ossequio alla sua volontà, nella chiesa di S. Nicola da Tolentino delle monache battistine.
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