PAPI, Lazzaro
(Carmelo Dionisio Lazzaro). – Nacque a Pontito, nei pressi di Lucca, il 23 ottobre 1763 da Alberto e da Fiora Pierini.
Ricevette i primi rudimenti scolastici a Pontito da un sacerdote del luogo, quindi il padre lo mandò a studiare a Lucca all’età di 12 anni nel seminario di S. Martino, sperando «di destinarlo pel sacerdozio, e vestitolo in abito clericale» (Dal Poggetto, 1839, p. 12). Lì passò quasi otto anni coltivando lo studio non solo dell’italiano e del latino, ma anche del greco, insegnamento impartitogli dal cappuccino Barnaba da Pedona. Proseguendo gli studi con la matematica e la filosofia e ponendosi in contrasto con i suoi genitori, Papi maturò la scelta di non continuare la carriera sacerdotale. Ciò lo portò ad allontanarsi da Lucca e ad approdare a Napoli nel 1783, dove per un breve periodo «si dette al mestiero delle armi nelle truppe napolitane» (Dal Poggetto, 1839, p. 13). Rientrato in Toscana e riappacificatosi con la famiglia, che lo lasciò libero di seguire le sue inclinazioni, si diede alla chirurgia, prima nella stessa Lucca (1785) sotto la direzione del dottor Domenico Luigi Moscheni e quindi a Pisa (1786), dove frequentò le lezioni universitarie di Francesco Vaccà Berlinghieri.
Negli anni pisani compose un’operetta in versi, Il Clearco (Pisa 1791), da lui ripudiata in seguito come lavoro giovanile e poco riuscito. A Pisa ebbe poi modo di apprendere l’inglese, che gli sarebbe tornato utile nei suoi viaggi, e sposò Carlotta Ulivieri Beccani (febbraio 1789), morta prematuramente di tisi dopo avergli dato una figlia, Albertina.
Affidata la bambina alla madre, Papi – che non si sarebbe più risposato – accettò l’invito di imbarcarsi per le Indie e nel 1792 salpò su una nave mercantile, la Ferdinando III, con la carica di chirurgo, approdando a Calcutta dopo più di un anno. Da Calcutta si trasferì a Travancore (oggi Trivandram) – dove risiedette per lo più ad Aleppi sulla costa del Malabar – e lì ebbe modo di curare il rajà che aveva un dito quasi in cancrena.
L’esito felice di tali cure gli valse la possibilità di entrare nell’esercito di quel sovrano e il 5 giugno 1794 fu nominato capitano al comando delle due compagnie di Ragiaput. Papi fece una rapida carriera nell’esercito: nel 1797 venne promosso maggiore e quindi, nel 1798, colonnello con il comando di un reggimento di Sipai. L’anno successivo, a fianco degli inglesi, combatté contro le truppe del sultano di Mysore, Tippoo Sahib, rischiando anche di perdere la vita. Sperimentò inoltre sui soldati indiani l’inoculazione del vaiolo, seguito in ciò dal governatore inglese che ordinò di praticarla sui figli dei sipai (Lettere sulle Indie orientali, II, Lucca 1829, p. 41, lettera XV). Molti dei suoi contatti con figure di rilievo del governo britannico in India – come lord Harris e il colonnello Arthur Wellesley – si devono far risalire proprio a questi avvenimenti, che lo videro coinvolto sul fronte bellico.
Al principio del 1800 rientrò a Calcutta ma, come si evince da alcune lettere di quel periodo (cfr. Lucca, Biblioteca statale, Mss., 3181) iniziò a provare nostalgia per la patria e per la sua famiglia. Decise dunque di rientrare in Italia: il 3 dicembre 1801 lasciò Calcutta e il 7 febbraio 1802 si imbarcò da Bombai su una prima nave che lo condusse a Moka. La presenza di razze e costumi differenti sulla nave furono poi fonte di ispirazione per il racconto del suo periglioso viaggio: dopo essere sbarcato a Suez, attraversò l’Egitto giungendo ad Alessandria e solo intorno al 18 ottobre di quell’anno sbarcò a Livorno per ristabilirsi poi a Lucca.
La prima edizione delle Lettere sulle Indie orientali uscì a Pisa (con l’indicazione del falso luogo di Filadelfia) nello stesso 1802 e fu da Papi consegnata ai teologi «perché ne togliessero quello, in che egli nelle scienze sacre non abbastanza pratico […] potesse aver trascorso» (Fornaciari, in Atti della Reale Accademia lucchese…, 1835, p. 19).
Le 27 Lettere sulle Indie orientali sono divise in due volumi: le prime 22 lettere trattano dei costumi, della religione, dello stato politico, sociale ed economico degli indiani nonché dei rapporti fra questi e i conquistatori britannici; le ultime cinque si riferiscono al viaggio di ritorno (sono riedite in Ritorno dall’India. Lettere d’Arabia e d’Egitto, Roma 1992). La seconda lettera sul bramanesimo, assieme alla quinta sull’origine della mitologia indiana (in cui Papi negava che l’India fosse stata la culla della civiltà), suscitò una vivace polemica con il padre Paolino di San Bartolomeo (autore di un Systema Brahamanicum) circa l’essenza del pensiero braminico (cfr. Nuovo Giornale dei letterati, 1802, n. 4, p. 233; 1803, n. 8, pp. 85-95; 1806, n. 4, pp. 259 s., 430-434). Sebastiano Ciampi prese le difese di Papi e la lite si sedò solo in seguito alla Lettera sull’origine della mitologia indiana di Cesare Lucchesini, pubblicata nell’ultimo tomo delle Lettere di Papi, nell’edizione lucchese del 1829. Arnaldo D’Addario sottolinea come Papi basasse le sue Lettere su una lettura attenta non solo di classici del pensiero indiano come i Veda o il Mahabàrata ma anche sull’analisi critica delle ricerche inglesi sull’India. Nell’Introduzione alle Lettere Papi dichiara di non voler parlare del commercio «conciosiaché da altri libri ancor sparsi in Italia se ne può prendere bastevole contezza» (p. VI), dove il probabile riferimento è all’Histoire des deux Indes di Guillaume-Thomas François Raynal, la cui prima edizione era uscita nel 1770.
Per D’Addario le Lettere sono espressione della mentalità razionale di Papi, critico verso la divisione in caste della società indiana e la povertà dei più umili, così come verso alcune pratiche religiose: dalla morte forzata delle vedove al fachirismo: «La sua però è una critica della realtà dei fatti, non una ricerca storica che ne approfondisca i motivi lontani e vicini; il giudizio è condotto sul metro di un dover essere che proprio le profonde, lontane radici storiche della realtà a lui contemporanea rendevano difficile realizzare. L’India è esaminata come campo di possibili riforme, come complesso di situazioni anormali da correggere, alfine di instaurarvi un regime di vita più sano e civile. È, in sostanza, la reazione di una mentalità educata nell’atmosfera riformistica, della quale ha assorbito gli aspetti utilitaristici» (D’Addario, 1952, p. 58).
La critica di Papi si esercita tanto nei confronti dei missionari gesuiti (lettera XVII) nonché verso l’operato degli inglesi che non comprendono il Paese (lettere XXI, XXII). Alcuni giudizi negativi verso la Compagnia delle Indie – «è adesso tutt’altra cosa da quello che essa fu in principio, cioè una società di mercanti, il cui fine altro non era che il commercio. Ella è un sovrano europeo vivente in Europa ed avente i suoi vasti regni in India» (lettera XXI, cit. in Festa, 1942, p. 549) – furono utilizzati in funzione antinglese nella temperie politica degli anni Quaranta del XX secolo come critica del fascismo contro l’imperialismo inglese. Si comprende in tal senso quanto nel clima italiano del tempo possa avere trovato un certo favore il passo seguente: «[l’oro indiano] è quello che corrompendo i gabinetti europei e ridestandone l’ambizione scoraggiata dalle disfatte, riaccende quella guerra ch’ora inonda di sangue l’Europa e trattiene il ritorno della pace» (in Festa, 1942, p. 550).
Divenuti reggenti a Lucca Elisa Bonaparte e Pasquale Felice Baciocchi, Papi assunse la carica di tenente colonnello e con un atto del 23 giugno 1807 venne nominato bibliotecario di corte. Nel 1809 la figlia Albertina sposò Niccolao Nicolai e Papi andò a vivere con loro (il nipote Luigi Nicolai sarebbe stato poi il curatore dell’epistolario con Pietro Giordani). Con un decreto del 19 ottobre 1813 fu quindi trasferito a Carrara come direttore del museo di scultura. L’anno successivo rientrò a Lucca. Come molti suoi compatrioti, Papi ricordò il periodo baciocchiano come uno dei momenti di vere riforme nella Repubblica lucchese.
Caduto il governo napoleonico, Papi fu richiamato in patria e partecipò al governo provvisorio (1814-17), quindi fu nominato censore del Collegio cittadino (1814). Tra gli amici di quegli anni si possono annoverare Melchiorre Cesarotti, Cesare Lucchesini, Pietro Giordani, Pietro Franchini e Vincenzo Cotenna.
Passata Lucca ai Borboni (1815), Papi fu bibliotecario della pubblica libreria (1819) e ricoprì anche la carica di segretario per la classe di Lettere della Regia Accademia Lucchese. Il duca Carlo Lodovico lo nominò precettore del figlio Ferdinando Carlo il 26 ottobre 1833.
I rivolgimenti subìti anche dalla sua terra negli anni dell’occupazione francese spinsero Papi a comporre i Comentarii della Rivoluzione Francese dalla morte di Luigi XVI fino al ristabilimento de’ Borboni sul trono di Francia (I-VI, Lucca 1830-31), seguiti dalla pubblicazione postuma di una prima parte fino ad allora rimasta inedita (Comentari della Rivoluzione francese dalla congregazione degli Stati generali fino alla morte di Luigi XVI, Bastia 1836).
L’opera non ha retto il giudizio del tempo ed è oggi dimenticata, ma tra i contemporanei ricevette elogi da Luigi Fornaciari, Niccolò Tommaseo e Pietro Giordani nonché dalla Revue encyclopédique di Parigi. I giudizi altalenanti di Papi portarono Benedetto Croce a criticare l’opera da un punto di vista strettamente storiografico: «Il Papi è imparziale, tanto imparziale da contentare tutti i partiti, e (ch’è il medesimo) da scontentarli tutti […] “Nondimeno” è la particella di congiunzione che meglio esprime il pensiero del Papi […] Onde accadde che l’opera […] che per essere stata lavorata su tutte le fonti allora accessibili aveva pregio di lavoro originale italiano sulla rivoluzione francese, non incontrò molta fortuna in Italia, dove si preferì leggere sull’argomento libri stranieri, spesso inferiori all’italiano per esattezza, veridicità e decoro letterario, ma animati da un concetto o almeno da una passione politica, che a quello mancava affatto» (Storia della storiografia, I, Bazi 1921, pp. 93, 95).
D’altro canto D’Addario osserva che nelle Lettere come nei Commentarii si opera una «feconda esperienza di metodo e di stile» in cui «si ripropone lo stesso problema, di un racconto nel quale devono confluire due esperienze, quelle di chi ha vissuto gli avvenimenti, ma li ha considerati sulla scorta delle conclusioni raggiunte da una storiografia già matura» (1952, p. 54).
Al periodo lucchese risalgono anche la traduzione dall’inglese di The art of preserving health (1744) di John Armstrong (Igèa ovvero l’arte di conservare la salute, Lucca 1806, ristampa Lucca 1832), del Paradis lost (1667) di John Milton (Paradiso perduto, Lucca 1811), dal greco del Manuale di Epitteto (Lucca 1812), nonché la maggior parte dei suoi modesti componimenti lirici (31 sonetti, uno scherzo anacreontico, un inno per musica e alcuni versi latini) editi in Alcune traduzioni e rime di Lorenzo Papi (Lucca 1832). Nel genere della poesia encomiastica, si possono annoverare anche alcuni sonetti in onore di Maria Luisa di Borbone e del figlio Carlo Lodovico.
Tra le traduzioni la più importante fu senza dubbio quella del Paradiso perduto di Milton, che ebbe sette edizioni fino al 1833. Dedicata a Elisa Baciocchi, fu giudicata positivamente in Inghilterra dallo Spectator e vinse un premo della History Society di Londra. Gli venne però rimproverato, tra gli altri dal suo amico Pietro Giordani (lettera del 3 dicembre 1812), di avere eliminato dal poema i passi più eterodossi e ispirati al protestantesimo.
Papi si ammalò di una violenta epatite il 14 dicembre e morì a Lucca il 25 dicembre 1834.
I funerali si tennero nella basilica di S. Frediano. L’elogio funebre fu tenuto dall’avvocato Luigi Fornaciari, segretario della Regia Accademia. Nella stessa basilica gli fu eretto un monumento con accanto al busto la statua della dea della storia Clio e la seguente iscrizione di Pietro Giordani: «Lazaro Papi/ colonnello per gl’Inglesi nel Bengala/ poi lodato scrittore di versi e di storie/ in tenue fortuna per molta prudenza e bontà/ riverito e amato visse anni LXXI/ gli fecero il monumento gli amici MDCCCXXXV». I suoi 8000 volumi passarono nella Regia biblioteca confluita poi nella Palatina. Il 12 febbraio 1835 presso l’Accademia si tenne una giornata in memoria di Papi aperta dal suo successore alla biblioteca pubblica Telesforo Bini.
Opere. Traduzione in verso sciolto della Licca istoria Alemanna posta nuovamente in verso sciolto da L.P.C.L. (in Nuovo giornale dei letterati, 1803, n. 8; per l’attribuzione al barone di Eckartshausen, cfr. T. Bini, Elogio di L. P., in Atti della Reale Accademia lucchese, 1835, p. 35); trad. dal latino della Navis Ragusina idylium Marci Faustini Gagliuffi…, Lucca 1819; Sulle cause e sugli effetti della confederazione renana (compendio dall’opera di Girolamo Lucchesini, Firenze 1825), in Nuovo giornale dei letterati, 1824, nn. 14-15 (Lucca 1832); Traduzione letterale di tre epigrammi del Lucchesini, Lucca 1833 (composti da Cesare Lucchesini per le nozze di Carlo Lodovico e Maria Teresa); Lettera aperta ad Elisa Baciocchi sulla fondazione di una città, 28 maggio 1813, in Archivio storico italiano, n.s., XIII (1861), 2, Firenze 1861.
Fonti e Bibl.: Firenze, Archivio privato, Carte Giuseppe Pardini, Monumento funerario a L. P. in S. Frediano a Lucca, 1834-1839; Lucca, Biblioteca statale, Mss., 1367, c. 49 (lettera di L. P. a Cesare Lucchesini, 18 ottobre 1802), 2728: Documenti autentici riguardanti L. P., 3306: Bozze di stampa delle Lettere delle Indie orientali di L. P. (il manoscritto fu distrutto dallo stesso Papi); 3181: Abbozzi, copie di lettere, memorie, efemeridi … di L. P., 3274: Zibaldone di L. P., 3278: Miscellanea di L. P., 3281-3284: Zibaldone di L. P.; C. Lucchesini, Della storia letteraria del Ducato lucchese: libri sette, V, p. 171, VII, p. 170, in C. Lucchesini, Memorie e documenti per servire all’istoria del Ducato di Lucca, IX, Lucca 1825; L. Fornaciari, Nella morte di L. P. …, Lucca 1834, pp. 5-20; T. Bini, Elogio di L. P., in Atti della Reale Accademia lucchese in morte di L. P., Lucca 1835, pp. 23-66; G. Giannelli, Elogio di L. P., in Atti della Reale Accademia dei Filomati in morte di L. P., Lucca 1835, pp. 3-26; A. Mazzarosa, Notizie intorno alla vita e agli scritti di L. P., premesse ai Commentarii della Rivoluzione Francese…, Bastia 1836, pp. I-VIII; A. Vannucci, P. (L.), in Biografia degli Italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti del secolo XVIII, e de’ contemporanei, a cura di E. de Tipaldo, V, Venezia 1837, pp. 411-418; R. Dal Poggetto, Memorie sulla vita e le opere di L. P., Lucca 1839; A. Mazzarosa, Opere, III-IV, Storia di Lucca dalle origini fino a tutto il 1814, Lucca 1842; Lettere inedite di Pietro Giordani a L. P., a cura di L. Nicolai, Lucca 1851, pp. 131-148 (88 lettere, in appendice Sulle varie forme di governo, frammento di L. P., dove si tenta un parallelo sul sistema politico inglese e la Costituzione francese del 1791); G. Zanella, Storia della letteratura italiana dalla metà del Settecento ai giorni nostri, Milano 1880, p. 207; S. Nicastro, I commentari della Rivoluzione francese di L. P., in Studi storici di A. Crivellucci, X, 1-2, Pisa 1901, pp. 41-72, 127-188; C.F. Ansaldi, L. P.: in occasione delle onoranze, in Nuova antologia, 1° settembre 1905, pp. 82-93; R. Biagini, Relazione della solenne commemorazione di L. P. tenuta dalla R. Accademia lucchese il 15 settembre 1905, Lucca 1906; P. Pardini, L.P.: biografia, Lucca 1906; E. Fiorentino, L. P. nella vita, e nelle opere, Palermo 1907; B. Croce, Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono, I, Bari 1921, pp. 92-95; C. Frati, Dizionario bio-bibliografico dei bibliotecari e bibliofili italiani dal sec. XIV al XIX, Firenze 1933, pp. 436 s.; M. Rosi, L. P., in Dizionario del risorgimento nazionale. Dalle origini a Roma capitale. Fatti e persone, a cura di M. Rosi, III, Milano 1933, p. 779; A. Boselli, La prima lettera di Pietro Giordani a L. P., in Bollettino storico Piacentino, XI (1916), pp. 76 s.; G. Briganti, Commemorazione di L. P., letta il 13 gennaio 1935, in Atti della R. Accademia di Scienze, Lettere e Arti, n.s., 1935, t. 4, pp. 33-54; A. Festa, Giudizi e considerazioni sulla Compagnia delle Indie, dalle “Lettere” di L. P., in Rivista delle Colonie, XVI (1942), 6, pp. 548-552; A. D’Addario, Inghilterra e inglesi nei giudizi di L. P., in Atti del V convegno storico toscano. Relazioni tra Inghilterra e Toscana nel Risorgimento…, Lucca 1952, pp. 51-64; C. Dionisio, L. P.: un italiano alla corte del Rajah di Travancore, in Almanacco italiano 1968, Firenze 1968, pp. 42-49; E. Panattoni, Il Malabar nelle “Lettere sulle Indie Orientali” di L. P., in Indologica Taurinensia, II (1974), pp. 199-233; S. Parmegiani, Ipocondria, scienza medica e poesia. Una congiuntura settecentesca, in Quaderni d’italianistica, 2007, n. 28, pp. 124 s., 141.