Le alterne sorti del 'risorgimento' italiano
Le alterne sorti del ‘risorgimento’ industriale italiano
L’Italia alle soglie del 19° sec. è un ‘paese povero’, ma soprattutto è ancora un Paese soggetto al dominio politico delle grandi potenze europee che ora, caduto Napoleone, tendono a restaurare il proprio influsso, non solo economico e amministrativo. L’ampio decennio della dominazione francese che sotto varie forme istituzionali ha governato l’Italia non è passato indenne e, se pure i segni della conquista sono tangibili, alcuni aspetti positivi non devono essere trascurati.
Il Piemonte è diventato parte della Francia e i quattro dipartimenti in cui è stato suddiviso non segnano soltanto diverse regole del gioco, diverse strutture amministrative, una diversa lingua, ma anche il totale smantellamento di ogni attività produttiva e culturale, ormai trasferita nella capitale Parigi. A Torino l’Università degli studi è soppressa, l’Accademia delle scienze è trasformata in Académie imperiale di cui è presidente lo stesso Napoleone Bonaparte, l’Arsenale militare e le annesse Scuole tecniche di artiglieria sono chiuse: i tecnici e specialmente la produzione delle armi sono trasferiti al di là delle Alpi. Ma accade anche che i giovani più meritevoli vengano inviati a frequentare l’università e soprattutto le Grandes écoles a Parigi: la cultura si sprovincializza e gli italiani incominciano a prendere coscienza di una nuova dimensione europea. I savants della Rivoluzione del 1789, nello spirito dell’égalité, hanno creato il Système métrique décimal che assumerà un ruolo di dimensione internazionale: non soltanto da un punto di vista pratico, confermando così il desiderio del marchese di Condorcet che concepiva il sistema metrico destinato «à tous les hommes, à tous les temps».
L’aventure du mètre era iniziata in Italia domenica 29 luglio 1798 quando l’Accademia delle Scienze di Torino aveva ricevuto un invito da parte dall’ambasciatore francese con la richiesta di inviare un rappresentante presso la Commissione parigina per la definizione del nuovo sistema di misure. A questo importante incarico fu destinato il conte Prospero Balbo a cui nel 1792 subentrò l’abate Anton Maria Vassalli-Eandi che nel 1805 riceverà da Napoleone la Legion d’onore. Lo stesso Giuseppe Luigi Lagrange, dopo il suo soggiorno a Berlino, aveva partecipato alla vita scientifica parigina sin dal 1786, riuscendo a superare le traversie politiche della Rivoluzione e dal 1797 insegnò all’École polytechnique. Insignito da Napoleone della Legion d’onore, sarà eletto al Senato di Francia e nominato conte dell’impero. Anche Alessandro Volta, che negli ultimi decenni del Settecento aveva molto viaggiato respirando la cultura europea e che nel 1801 aveva presentato di persona all’imperatore Napoleone Bonaparte il prototipo della sua pila elettrica, troverà nel contesto francese le ragioni del suo successo: nominato nel 1802 dallo stesso Napoleone membro dell’Istituto lombardo (dal 1810 Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti), nel 1805 sarà insignito della Legion d’onore e nel 1810 riceverà la nomina di conte del Regno d’Italia.
Ma se il neologismo polytechnique era nato in Francia nell’ambito della scuola tecnica militare fondata da Jacques-Élie Lamblardie (1747-1797), Gaspard Monge (1746-1818), Lazare Carnot (1753-1823) e Claude-Antoine Prieur-Duvernois (1763-1832), altra sarà la cultura politecnica che sorgerà in Italia, anche sotto l’influsso di altre ‘scuole’ mitteleuropee. Così si poteva leggere sul Vocabolario universale italiano, compilato a cura della Società tipografica Tramater e c. (5° vol., 1835):
Politecnico: dal latino polytecnicus (da polys molto, e techne arte). Aggiunto d’istituto o di scuola, in cui si insegnano molte arti. Si adopera anche in forza di s.f. Politecnica, per iscuola destinata a formare degli allievi per l’artiglieria, pel genio militare, e per gli altri rami del pubblico servizio. Tale fu la prima scuola di tal nome istituita in Parigi nel 1794; da essa escono tutti gli uffiziali di artiglieria ec. E tutti gli ingegneri pubblici di Francia.
«Il Politecnico. Repertorio mensile di studj applicati alla prosperità e coltura sociale» è il titolo della rivista fondata nel 1839, diretta e quasi interamente redatta dal milanese Carlo Cattaneo. Nella Prefazione al primo volume Cattaneo scrive:
Sotto un titolo che ad alcuno sembrerà per avventura ambizioso, noi divisiamo annunciare la più modesta delle intenzioni, quella cioè di appianare ai nostri concittadini con una raccolta periodica la più pronta cognizione di quella parte di vero che dalle ardue regioni della Scienza può facilmente condursi a fecondare il campo della Pratica, e crescere sussidio e conforto alla prosperità comune e alla convivenza civile. […] Possa il Politecnico arrecare qualche eccitamento e qualche utile consiglio ad una generazione intraprendente, da cui lo Stato sembra potersi attendere nuovi incrementi di opulenza e di splendore.
Pienamente consapevole delle grandi trasformazioni che la rivoluzione industriale avrebbe innescato sia sul piano culturale sia su quello economico e politico, Cattaneo, di fervente spirito repubblicano, intendeva con la sua rivista favorire il progresso scientifico e tecnologico dei suoi lettori perché solo tramite il progresso si sarebbe potuto rinnovare l’impegno civile della società:
Il più grave ostacolo alla popolarità delle scienze deriva da ciò appunto che più contribuisce al loro continuo progresso, vale a dire, dalla loro tendenza a suddividersi sempre più in nuovi rami, e dalla giusta predilezione degli studiosi a quei lavori speciali, che per verità condussero sempre alle più luminose scoperte le dottrine esperimentali. […] E gli scienziati non disdegnino avvicinare in riassunti popolari il frutto faticoso degli studi speciali, e per diffondere il culto della scienza, e perché solo dall’accoppiamento armonico delle singole dottrine può erompere l’elettrica corrente d’una genuina scienza dell’uomo e dell’universo («Il Politecnico», 1841, 31, pp. 3, 14).
I temi trattati nel Politecnico spaziavano nell’intero universo culturale del tempo e venivano suddivisi in quattro categorie che dimostrano la vastità degli interessi del suo fondatore: 1. Applicazioni fisiche e matematiche, agraria, tecnologia, storia naturale, medicina; 2. Arte sociale, studj economici, amministrativi, legali, istorici; 3. Studj mentali, metodi d’istruzione, nuovi instituti; 4. Belle arti e belle lettere.
In un clima di restaurazione che sempre più difficilmente riusciva a riportare allo status quo antea, lo spirito di rinnovamento non si incentra però soltanto intorno a Milano, ma coinvolge l’intera penisola, come dimostrano i Congressi degli scienziati italiani che a partire da Pisa nel 1839 toccheranno Torino (1840), Firenze (1841), Padova (1842), Lucca (1843), Milano (1844), Napoli (1845), Genova (1846), Venezia (1847).
Il 1848 con i nuovi moti rivoluzionari interrompe la fortunata serie che ebbe il merito di creare un tessuto connettivo italiano su una base scientifica e tecnologica. A Torino, dove già dai primi anni del secolo si erano sperimentate le potenzialità comunicative delle esposizioni di arti e industrie, si erano svolte importanti manifestazioni di prodotti di una società che stava abbandonando la sua dimensione artigianale e che scopriva le logiche dei nuovi consumi. Osservatore e per molti versi fautore di questi processi di rinnovamento era Carlo Ignazio Giulio, docente di meccanica all’università subalpina, di cui diventerà rettore. Giulio aveva compreso che solo con un’ampia diffusione della cultura scientifica e tecnica si sarebbe potuto cercare di superare il gap rispetto alle altre nazioni europee e aveva convinto alcuni suoi colleghi che questo processo non dovesse soltanto interessare le élites, in quanto era necessario che partisse dalle classi più umili. Una Scuola di meccanica e chimica applicata alle arti destinata a promuovere la formazione professionale degli operai fu così inaugurata nel 1845 nelle sale dell’Accademia delle scienze torinese e il successo fu immediato tanto che gli stessi allievi universitari di Giulio affluirono entusiasti. I corsi serali, tenuti da docenti universitari (tra cui Giovanni Gastaldi, Ascanio Sobrero e Quintino Sella), saranno all’origine della istituzione dell’Istituto tecnico torinese nel 1852. Nel 1847 il successo di queste scuole fece nascere a Genova, per iniziativa della locale Camera di commercio, le Scuole tecniche serali in cui venivano impartite materie tecniche tra le quali la scienza nautica e le costruzioni navali.
Sarà la legge Casati del 1859 a riorganizzare gli studi superiori nel Regno di Sardegna e a stabilire l’istituzione presso le università degli studi delle Scuole di applicazione per gli ingegneri, nonché dell’Istituto tecnico superiore di Milano e della Scuola di applicazione per gli ingegneri di Torino. Questa legge continuerà a regolare l’istruzione superiore nel Regno d’Italia sino all’avvento della riforma Gentile nel 1923.
A Milano uno degli artefici della cultura politecnica di questa città sarà Giuseppe Colombo, docente di meccanica e ingegneria industriale dell’Istituto tecnico superiore, nonché autore del famoso Manuale dell’ingegnere civile e industriale uscito in prima edizione nel 1877 e divenuto il best seller della casa editrice Hoepli. Nel 1881 Colombo entrerà in contatto con Thomas Alva Edison e quindi presenzierà all’inaugurazione della prima centrale elettrica costruita dalla Edison illuminating company a New York in Pearl Street. Il 28 giugno 1883 a Milano, sotto la sua guida, sarà realizzata in via Santa Radegonda la prima centrale elettrica dell’Europa continentale.
E mentre a Milano la Società Edison continuava a sviluppare nuove tecnologie e impianti elettrici, a Torino Galileo Ferraris ebbe l’intuizione del motore a induzione. Il suo allievo Camillo Olivetti affronterà anche lui la strada dell’industria elettrotecnica, ma ben presto ripiegherà su un altro settore che gli darà fama mondiale.
Gli sforzi per rinnovare la cultura tecnico-scientifica non si limitarono però alle scuole di applicazione e, nel 1862, quando il senatore Giuseppe Devincenzi, commissario del governo italiano all’Esposizione di Londra, ebbe modo di confrontarsi con le istituzioni per la formazione tecnico professionale e in special modo con il South Kensington Museum, nacque la proposta, subito accolta in Parlamento, di fondare a Torino un Museo industriale italiano destinato alla formazione dei quadri tecnici delle industrie, ma anche della nuova classe di docenti degli istituti tecnici che stavano sorgendo su tutto il territorio nazionale. Dalla fusione della Scuola di applicazione per gli ingegneri di Torino con il Regio museo industriale italiano nel 1906 nascerà il primo Politecnico del nostro Paese. Alla connessione tra politica e sviluppo della cultura tecnologica e industriale non solo contribuirono personaggi come i già citati Sella, che sarà ministro delle Finanze, e il senatore Devincenzi, ma anche il matematico e senatore per meriti scientifici Vito Volterra, primo commissario del Politecnico e futuro primo presidente del Consiglio nazionale delle ricerche dal 1923 al 1927.
Per la crescita di un Paese non sono importanti soltanto le istituzioni per la cultura e la formazione, ma è necessario procedere a investimenti nelle infrastrutture soprattutto per unire ciò che troppo a lungo era stato diviso. In quegli anni il sistema viario in Italia, ancora legato ai trasporti su strada, incominciava a trovare nelle nuove tecnologie costruttive dei ponti metallici sospesi nuove soluzioni; ben presto, però, con l’avvento delle strade ferrate tutto doveva essere rivoluzionato. Le frontiere rimanevano, ma si radicava sempre più la convinzione che le ferrovie potessero unire popoli e culture diverse.
Il bergamasco Pietro Paleocapa (1788-1869), dopo aver studiato a Padova, prosegue la sua formazione all’Accademia militare di Modena e diventa tenente del Genio. Ufficiale dell’esercito napoleonico, nel 1817 entra nel Corpo degli ingegneri di acque e strade di Venezia, occupandosi di infrastrutture e diventando nel 1840 direttore generale delle Pubbliche costruzioni a Venezia. Trasferitosi nel Regno di Sardegna, deputato al Parlamento subalpino e più volte ministro dei Lavori pubblici, promuoverà lo sviluppo delle ferrovie per unire l’Italia al resto dell’Europa.
Intanto, nel 1845, Carlo Ilarione Petitti di Roreto aveva pubblicato Delle strade ferrate italiane e del migliore ordinamento di esse. Cinque discorsi e finalmente, dopo vari ‘esperimenti’ ferroviari, dalla Napoli-Portici (1839) alla Milano-Monza (1840) alla Leopolda, ossia la linea Firenze-Livorno, in Toscana (1848), nel 1854 la ferrovia che già nel 1848 aveva unito Torino a Trofarello collegherà senza interruzioni la capitale con il porto di Genova, attraversando l’Appennino con il traforo dei Giovi.
Nonostante i vani sforzi compiuti per trovare soluzioni innovative per superare i piani inclinati, soprattutto su un territorio orograficamente corrugato come quello italiano, si arriva infine alla constatazione che i convogli ferroviari devono viaggiare in piano, superando al massimo debolissime pendenze: la soluzione è quindi la costruzione di viadotti e gallerie. L’invenzione di Germano Sommeiller della perforatrice pneumatica rende fattibile il traforo del Fréjus (1871) e le nuove tecnologie di carpenteria metallica, sviluppate e prodotte dalla Società nazionale delle officine di Savigliano, associate alle nuove metodiche delle fondazioni pneumatiche per rendere solidi i pilastri delle strutture, permetteranno in alcuni decenni alle ferrovie di tessere una rete tale da coprire quasi l’intero territorio nazionale. Tra gli imprenditori e i progettisti in questo settore non si devono dimenticare Alfredo Cottrau (1839-1898) e Domenico Borini (1861-1919).
Cresciuta inizialmente intorno a cinque società (Società per le strade ferrate dell’Alta Italia, Società per le strade ferrate romane, Società per le strade ferrate meridionali, Società per le strade ferrate calabro-sicule, Compagnia reale delle ferrovie sarde), la rete nazionale, dopo innumerevoli aggregazioni e spartizioni di gestione, troverà la sua unità nel 1905 con la legge di istituzione dell’Amministrazione autonoma delle Ferrovie dello Stato (l. 22 aprile 1905, nr. 137).
Le tecnologie edilizie, sino alla metà del secolo rimaste su schemi tradizionali, ben presto si rinnovano, soprattutto in campo industriale con i nuovi materiali che passano dalla ghisa all’acciaio, e, al volgere del Novecento, incontrano il calcestruzzo armato, di invenzione francese, che, sotto la concessione dell’impresa Hennebique, troverà importanti progettisti tra cui Giuseppe Porcheddu.
Sono questi gli anni in cui nascono le prime grandi imprese industriali. Avviate invero già all’inizio del secolo con l’industria laniera – si ricordino Luigi Marzotto a Valdagno (Vicenza), Alessandro Rossi a Schio (Vicenza) e Maurizio Sella a Biella – esse trovano nella meccanica e nella chimica la prima frontiera da conquistare. Giovanni Ansaldo a Genova, Giovanni Battista Pirelli a Milano, Carlo Erba a Milano e Ignazio Florio a Palermo sono soltanto alcuni dei protagonisti di un’Italia che, tra mille difficoltà, cerca di inseguire l’Inghilterra, la Francia e la Germania.
Inventori di grande fantasia nascono e crescono nelle città più industrializzate, ma spesso trovano difficoltà a ricevere dalle business communities locali i finanziamenti necessari per rendere sostenibile e ingegnerizzabile l’invenzione: Eugenio Barsanti e Felice Matteucci inventano a Lucca un ‘motore a gas’; Alessandro Cruto ad Alpignano, nei pressi di Torino, riesce a fabbricare lampadine elettriche di gran lunga più efficienti di quelle allora prodotte da Edison; Galileo Ferraris sviluppa il motore a induzione con cui finalmente si riesce a completare il sistema di produzione-utilizzazione della corrente elettrica alternata, la quale, a differenza di quella continua, con l’impiego dei trasformatori permette il trasporto dell’energia elettrica su lunghe distanze consentendo così di svincolare l’utenza dal luogo di produzione.
Già si è fatto cenno alla chimica che aveva trovato all’inizio del 19° sec. grandi scienziati, tra cui aveva primeggiato Amedeo Avogadro, e che, nella tradizione di una scienza solidamente fondata, ma rivolta alle applicazioni pratiche, aveva continuato a vedere illustri presenze come Stanislao Cannizzaro, Raffaele Piria, Ascanio Sobrero. Ma sarà con i primi decenni del Novecento, anche sotto la spinta dei nuovi venti di guerra, che l’industria chimica troverà imprenditori e ingegneri destinati a lasciare tracce indelebili come Guido Donegani e Giacomo Fauser, entrambi legati al colosso della Montecatini.
L’industria ha bisogno di ferro e le acciaierie di Genova, di Milano, di Piombino e di Napoli non sono più sufficienti: per poter disporre di un’industria siderurgica nazionale, nel 1883 l’ammiraglio Benedetto Brin, in quel momento presidente della commissione parlamentare delle industrie meccaniche e navali, propone la costruzione di un centro siderurgico che possa fornire l’acciaio necessario alle corazze delle navi da guerra, e l’anno successivo viene scelta la città di Terni che gode della vicinanza di un’importante sorgente idroelettrica. Il 10 marzo 1884 viene fondata la Società degli alti forni, fonderie ed acciaierie di Terni, SAFFAT, con le garanzie dello Stato e con il supporto finanziario della Banca generale, del Credito mobiliare e della Banca nazionale. Alla costruzione dello stabilimento contribuisce l’acciaieria francese Schneider.
Nuove avventure si affacciano all’inizio del 20° sec. e tra queste di certo l’aviazione è quella che più stimola inventori e imprenditori. Il pallone dirigibile, più leggero dell’aria, sembra la soluzione tecnicamente più sostenibile: Almerico da Schio, Gaetano Arturo Crocco ed Enrico Forlanini si cimentano in sempre nuove strutture che aprono un’era di grandi conquiste. Ma intanto l’impresa dei fratelli Wright lascia tracce che non si possono trascurare e i costruttori di nuovi aeromobili ‘più pesanti dell’aria’ sorgono numerosissimi.
Dal 27 marzo al 4 aprile del 1910 la Società d’aviazione di Torino organizza la prima Esposizione internazionale di locomozione aerea della città. Nel settembre il Touring club italiano pubblica per la prima volta l’Annuario dell’aeronautica.
Aristide Faccioli scrive un Trattato di aviazione. Dell’equilibrio degli aeroplani (1911), che viene venduto a 8 lire, e il 14 ottobre 1911 Maurizio Ramassotto è il primo torinese a conseguire sul campo di Mirafiori il brevetto di aviatore civile, utilizzando un aeroplano Chiribiri.
Per iniziativa della SAT (Società d’Aviazione di Torino), nella primavera del 1911 era stato inaugurato il campo d’aviazione di Mirafiori, dove nel giugno ha luogo la settimana aerea torinese con la partecipazione di 13 aviatori. Alle grandi manovre militari che si svolgono nel Monferrato dal 22 al 29 agosto partecipano 2 sezioni aerostatiche, 2 dirigibili e ben 8 aeroplani. Alla fine di settembre ha inizio la guerra di Libia: vi parteciperà la 1ª Flottiglia aeroplani (11 piloti e 9 aeromobili) e la Squadriglia aeroplani di Bengasi (5 piloti e 3 aeromobili). Viene invece costituita dall’onorevole Carlo Montù la Flottiglia degli aviatori volontari per la Cirenaica.
Al Politecnico di Torino, il Consiglio di amministrazione accoglie la proposta del professor Modesto Panetti e nel 1912 dà il via a un ciclo organico di conferenze di aerodinamica: nasce al contempo il primo nucleo del Laboratorio di aerodinamica. L’occasione di poter disporre di un banco di prova per motori aeronautici fa nascere una Convenzione, firmata il 12 dicembre 1912 dal presidente del Politecnico, onorevole Paolo Boselli, con il ministero della Guerra, nella quale si stabilisce che il Politecnico fornirà l’area e i locali, mentre il ministero «farà costruire e sistemare nella sezione destinata alla prova motori il macchinario. La spesa per la posa delle condutture elettriche occorrenti per la forza motrice sarà sostenuta in parti eguali dalle due Amministrazioni; […] in seguito questa sezione, con tutto il materiale sistematovi, diverrà piena proprietà del Politecnico» dando così il via alla prima Scuola di ingegneria aeronautica.
Il 1912 segna anche la costituzione del Battaglione Aviatori (1° luglio), che ha sede a Torino nella caserma Lamarmora, e la dislocazione in città del ‘reparto tecnico’ i cui compiti sono lo studio, la sperimentazione e il collaudo dei nuovi mezzi aerei. Il tenente colonnello Vittorio Cordero di Montezemolo assume il comando del battaglione; vicecomandante è il maggiore Giulio Douhet che è un teorico della guerra aerea. Si programma il potenziamento dell’aeronautica militare per la primavera del 1913 (10 squadriglie, 150 aerei, 10 dirigibili). Nell’agosto si inaugura il campo volo di Venaria Reale dove avrà sede la scuola di aviazione.
La Scuola di costruzioni aeronautiche, a differenza del Laboratorio, non sarà solo lo specchio della ricerca aeronautica torinese dagli indubbi successi, ma anche il riflesso di un’Italia agitata da forti condizionamenti politici e ideologici.
Al termine del 1913 sono operanti in Torino sette costruttori di aeroplani tra cui spiccano l’Asteria, Fabbrica italiana aeroplani ing. Darbesio e C., la Fabbrica torinese velivoli Antonio Chiribiri e C., e la SIT (Società Italiana Transaerea). Si costruiscono eliche e soprattutto motori per aeromobili che entrano nella produzione anche della Fabbrica italiana motori gnome, della Fiat di corso Dante, dell’Itala, della Lancia, della Società Motori Luct (Ladetto, Ubertalli, Cavalchini - Torino) e della Società ligure piemontese automobili.
Se in questi anni è Torino la capitale industriale dell’aeronautica, a Milano non mancano le eccellenze. Gianni Caproni non è soltanto tecnico e progettista, ma anche pilota collaudatore dei propri mezzi. Forlanini diventerà presto un grande sperimentatore di nuove strutture volanti, dagli idroplani agli elicotteri, in una tradizione che più tardi sarà continuata da Corradino D’Ascanio. E l’aviazione italiana intorno ad Alessandro Guidoni, Alessandro Marchetti e Italo Balbo avrà negli anni Venti e nei primi anni Trenta rinomanza mondiale.
È proprio Balbo l’artefice politico dell’aviazione italiana. Partecipa con Benito Mussolini alla Marcia su Roma e nel 1925 è nominato sottosegretario all’Economia nazionale. Il 6 novembre 1926 diviene sottosegretario di Stato all’aviazione sostituendo il generale d’artiglieria Alberto Bonzani e avvia l’attività della regia aeronautica che, con bilanci esigui, stava muovendo i primi passi. Mussolini trova così in Balbo il collaboratore ideale per trasformare l’aviazione in un’arma propagandistica.
Balbo ottiene il brevetto di pilota nel 1927, assegna una nuova sede stabile al ministero e fa nascere la ‘città dell’aria’, Guidonia, con un modernissimo centro di ricerche d’ingegneria aeronautica. Qui lavoreranno eccellenti tecnici e scienziati come Gaetano Arturo Crocco, Luigi Crocco, Antonio Ferri e Luigi Broglio. Balbo crea inoltre la Scuola di alta velocità, a Desenzano del Garda, per consegnare all’Italia la coppa Schneider. Questa competizione per idrovolanti, istituita dal finanziere francese Jacques Schneider e disputata la prima volta nel 1913, sarà a lungo contesa tra Italia, Inghilterra e Stati Uniti; la coppa verrà definitivamente consegnata nel 1931 all’Inghilterra, vittoriosa in tre edizioni consecutive. Le vittorie italiane del 1920, 1921 e 1926 erano state nel frattempo uno stimolo a continuare le ricerche per la progettazione di un idrovolante ad alta velocità al fine di potersi aggiudicare la desiderata coppa Schneider. Fu così costruito il Macchi-Castoldi M.C.72, che non poté partecipare alla competizione a causa di problemi al motore, ma che il 23 ottobre 1934, sul lago di Garda, conquisterà il record mondiale di velocità portandolo a 709,202 km/h.
Furono però le crociere aeree a decretare la gloria di Balbo e dell’aviazione italiana. Dopo la Crociera aerea del Mediterraneo occidentale (25 maggio-2 giugno 1928) e la Crociera aerea del Mediterraneo orientale (5-19 giugno 1929) il 12 settembre 1929, a soli trentatré anni, Balbo è nominato a capo del dicastero dell’Aeronautica, sino a quel momento mantenuto dal duce.
Nel 1929, dopo aver convinto l’ingegnere Alessandro Marchetti a mettere a punto gli idrovolanti Savoia-Marchetti S.55A per una trasvolata transoceanica, Balbo decide di attraversare l’Atlantico meridionale con dodici apparecchi. Gli idrovolanti partono da Orbetello il 17 dicembre 1930, guidati personalmente da Balbo e arrivano a Rio il 15 gennaio successivo. Una seconda crociera atlantica, la crociera aerea del Decennale, viene organizzata in occasione del decennale della regia aeronautica in contemporanea all’Esposizione universale di Chicago. Dal 1° luglio al 12 agosto del 1933, Balbo comanda la spedizione di venticinque idrovolanti S.55X. La crociera, partita da Orbetello, si dirige verso l’Islanda per raggiungere il Labrador, nel Canada, atterrando infine a Chicago sul lago Michigan. Nel volo di ritorno la squadriglia fa tappa a New York, dove i trasvolatori ottengono nuovamente un’accoglienza trionfale.
I voli transoceanici in formazione furono così il segno che l’aviazione doveva abbandonare la ricerca di primati individuali e puntare invece tutto sull’affidabilità dei servizi normali di trasporto, gettando le basi per la costituzione di una ‘forza aerea’. Contrasti con la regia marina e idee non sempre in accordo con Douhet, uno dei principali teorici della guerra aerea, ostacolarono però la piena indipendenza dell’aeronautica italiana. La prematura morte di Balbo (1940) segnò un nuovo arresto nello sviluppo di questo settore in un’Italia ormai in guerra.
Non sarebbe però completa questa panoramica sul ‘risorgimento industriale’ senza fare cenno all’industria automobilistica che crescerà anno dopo anno per tutta la prima metà del secolo. Quando nel 1899 viene fondata la Fiat quasi ogni città italiana possiede garage e officine dove si costruiscono e si assemblano vetture e automobili. Presto la dura selezione per la sopravvivenza, a cui si sovrapporrà il tragico periodo del primo conflitto mondiale, ridurrà la miriade dei costruttori di vetture a poche imprese.
Nel 1907 il principe Scipione Borghese, accompagnato dal giornalista Luigi Barzini e da un fidato autista-meccanico, vince la mitica corsa Pechino-Parigi con la vettura della Società Itala, 35/45 HP modello 1907, dimostrando che il mezzo auto era adatto a cambiare il mondo dei trasporti. Interrogato sui risultati dell’impresa Barzini scrive:
Il viaggio Pechino-Parigi ha dimostrato ai tecnici che l’automobile in genere è una macchina molto più resistente e robusta di quanto poteva immaginarsi, e che gl’inconvenienti ordinari dell’automobilismo, le panne frequenti di tutti i touristes, le facili rotture, i guasti così comuni, sono dovuti a trascuratezza, a imperizia di chauffeurs più che a debolezze congenite della macchina. Al presente stadio dell’automobilismo si può dunque dire che l’industria è arrivata vicino alla sua perfezione e che nuove infinite applicazioni pratiche dell’automobile sono possibili, per servizi regolari, per comunicazioni in regioni lontane, per trasporti su strada. Ma occorre migliorare lo chauffeur […] (La metà del mondo vista da un’automobile. Da Pechino e Parigi in 60 giorni, 1908, pp. 522-23).
L’industria dell’automobile, nata in sordina per un pubblico elitario, decolla ora verso nuove dimensioni anche in Italia. Nel 1915 la Fiat produce circa mille esemplari della vettura media 501, quasi tutti forniti al regio esercito. Sarà il modello fordista a vincere e sopravviveranno quelle imprese che saranno in grado di replicare ciò che era accaduto a Chicago e Detroit: Giovanni Agnelli, ma anche i suoi ingegneri, come Bernardino Maraini, e altri carrozzieri come Giovanni Battista Farina, detto Pinin, con questi nuovi ‘gran tour industriali’ oltre oceano innoveranno i sistemi produttivi di un’industria che sempre più sarà rivolta alla produzione di massa, di cui la Balilla e la Fiat 500 Topolino saranno i primi prototipi.
Nel 1932 uscirà dagli stabilimenti del Lingotto la Fiat 508: ben presto prenderà il nome di Balilla e debutterà ufficialmente al Salone dell’automobile di Milano. La Balilla rappresenta per la Fiat l’esempio di vettura più popolare prodotta dalla sua fondazione. In versione berlina costa 10.800 lire, il motore è a quattro cilindri, dotato di freni idraulici. Si tratta di una vettura rapida in salita e solidissima. Ma anche la Fiat 500 Topolino, progettata dall’ingegner Dante Giacosa, capo dell’ufficio tecnico Fiat, costituisce una nuova sfida per un mercato che mira a un pubblico sempre più ampio.
Olivetti, che nel 1893-1894 era stato negli Stati Uniti al seguito del suo maestro Ferraris e che in quel Paese si era confrontato con la grande industria meccanica, al ritorno in Italia aveva tentato di avviare un’industria di strumentazione elettrica, la CGS (Centimetro, Grammo, Secondo), ma ben presto si era reso conto che altri erano i colossi nel settore che avevano ormai raggiunto una dimensione europea. Si era così convertito alla meccanica di precisione e nel 1908 era nata a Ivrea, nel Canavese, la ICO (Ingegner Camillo Olivetti), «prima fabbrica nazionale di macchine per scrivere». Dopo tre anni di lavoro durissimo la prima macchina da scrivere M1 era pronta a uscire sul mercato e l’Esposizione nazionale del 1911 ne decretava il successo al costo di 500 lire.
Nel 1914 dalle officine di Ivrea uscirono 23 macchine alla settimana e dopo gli anni della guerra si amplieranno gli edifici avviando anche la produzione di macchine utensili. Nel 1920 la M20 arriverà sui mercati internazionali e negli anni Trenta, nonostante le crisi internazionali, ora che anche l’ingegner Adriano, figlio di Camillo, era entrato in azienda, l’Olivetti ebbe una produzione annua di 15.000 macchine per ufficio e di 9000 portatili; i dipendenti erano 870. In Italia l’organizzazione commerciale era costituita da 13 filiali e 79 concessionari, mentre all’estero Olivetti era presente in 22 Paesi. E alla fine degli anni Trenta la produzione si amplierà nel settore delle telescriventi, delle macchine da calcolo e dei mobili per ufficio.
Le crisi provocate dallo stato di guerra, che tutta l’Europa si vide costretta ad affrontare all’inizio del 20° sec., avevano indotto gli scienziati di molti Paesi a trovare nuove forme di aggregazione per meglio finalizzare le attività di ricerca e innovazione. L’Italia rimaneva il fanalino di coda di questo processo e solo nel 1916 fu costituito un Comitato nazionale scientifico tecnico per lo sviluppo e l’incremento dell’industria italiana (CNST) con le finalità di stringere maggiormente i legami fra la scienza e le sue applicazioni.
Nel 1917 il decreto del 25 novembre (nr. 2068) destinò la cifra eccezionale di 3 milioni di lire ad ammodernare «gli impianti e gli arredamenti degli Istituti superiori di fisica, chimica e le loro applicazioni tecniche». Nello stesso anno fu istituito l’Ufficio invenzioni, che l’anno successivo divenne Ufficio invenzioni e ricerche.
Con queste premesse, anche nel nostro Paese cresceva la sensibilità nei confronti della ricerca scientifica e nel novembre del 1918 fu organizzato un Consiglio internazionale delle ricerche (CIR) a cui l’Italia partecipò assieme a Francia, Inghilterra, Stati Uniti e Belgio: il delegato italiano era Vito Volterra.
Nel febbraio 1919 si istituiva una commissione «con l’incarico di preparare un progetto di costituzione del Consiglio Nazionale delle Ricerche», struttura che «deve avere per fine di organizzare e promuovere ricerche a scopo scientifico industriale e per la difesa nazionale, secondo il piano proposto dalle conferenze interalleate per la organizzazione scientifica tenute a Londra e a Parigi dal 26 al 29 novembre 1918». Il processo di costituzione del CNR era così avviato e giunse alla conclusione il 18 novembre 1923, quando un decreto (r.d. nr. 2895) ne sancì l’istituzione. Il Consiglio nazionale delle ricerche italiano nasceva con un anticipo di ben sedici anni rispetto alla fondazione del suo analogo francese, il Centre national de la recherche scientifique. Il CNR lo stesso anno della sua fondazione aderiva al Consiglio internazionale di ricerche con sede a Bruxelles e il 24 gennaio del 1924 presso l’Accademia nazionale dei Lincei avveniva la riunione di insediamento.
Negli anni successivi verrà data vita ai vari decreti organizzativi che trasformeranno l’Ente morale in un Ente alle dirette dipendenze del governo con compiti di collegamento e coordinamento delle attività produttive e industriali con la ricerca scientifica, per arrivare nel 1937 al primo Testo unico sul Consiglio nazionale delle ricerche.
Vivi sono i rapporti che il Comitato instaura con il Sindacato nazionale ingegneri, con l’Associazione elettrotecnica italiana (AEI), con la Società italiana per lo studio dei materiali da costruzione (SIM), con l’Istituto della Vasca navale di Roma, che più tardi entrerà a far parte della struttura del CNR, e con il Comitato autonomo delle invenzioni che inizierà una collaborazione di consulenza per quanto concerne le invenzioni pervenute all’esame del CNR. Nel 1921 era stato costituito il Comitato generale per l’unificazione dell’industria meccanica, che assumerà nel 1928 la denominazione di Ente nazionale italiano di unificazione (UNI), deputato all’organizzazione della normativa tecnica, con cui il CNR entrerà in stretta collaborazione. Così come sarà rilevante la partecipazione dell’Ente alle Conferenze tecniche internazionali per l’unificazione dell’International standard association.
Il Direttorio del CNR nel 1929 istituisce un comitato nazionale per risolvere le questioni attinenti alla produzione e alla distribuzione dell’energia elettrica: il Comitato per l’ingegneria ne diventa uno dei protagonisti, sino a quando nel 1932 tutti i comitati sono soppressi, anche se l’anno successivo un nuovo Comitato per l’ingegneria è ricostituito «per nomina governativa». Con le dimissioni di Volterra nel 1927 la presidenza del CNR è assunta dal premio Nobel Guglielmo Marconi e le attenzioni per le scienze applicate crescono. Questi nel 1932, ravvedendo lo stato di crisi in cui versava l’industria italiana così scriverà su «La ricerca scientifica»:
La Rivista del Consiglio Nazionale delle Ricerche, che fu intitolata «La Ricerca scientifica» inizia la sua vita regolare in un momento grave e preoccupante per l’umanità. Noi abbiamo però piena fiducia che questo difficile periodo passerà presto, se gli uomini di buona volontà sapranno reagire energicamente al pessimismo, e siamo convinti che l’aiuto della ricerca scientifica organizzata sarà notevolissimo per raggiungere tale risultato. […] Le cause sono evidentemente numerose e complesse e in gran parte sfuggono all’acume degli uomini. Però queste cause le possiamo far dipendere per la massima parte, e senza paura di equivoco, dagli errori degli uomini stessi, oggi in preda ad un pessimismo senza limiti e in gran parte ad un egoismo senza precedenti. […] La scienza e la ricerca scientifica devono anzitutto inspirarsi al concetto che il progresso deve dare lavoro agli uomini, non toglierlo o concentrarlo in pochi, perché il lavoro è per gli uomini scopo della vita, godimento ed orgoglio. Una società che abbia pochi uomini che lavorano e molti che non lavorano e che, destinati ad un abbrutimento progressivo, vivano a spese degli altri, è una società viziata e i popoli in queste condizioni non crescono ma deperiscono, mentre la legge etica impone alla società di aumentare e di migliorarsi. La ricerca scientifica non deve quindi portare a uno sviluppo sempre maggiore di macchine, come in un primo momento è sembrato utile, guidate da pochi privilegiati, per l’unico scopo di sostituire il lavoro degli uomini; la ricerca scientifica deve portare invece ad una migliore utilizzazione delle materie prime, ad un perfezionamento dei metodi di produzione, all’aumento ed al miglioramento del prodotto e alla diminuzione del suo costo ottenuti con l’affinamento della mano d’opera, aiutata da macchine che ne diminuiscano lo sforzo materiale, e lo rendano più duttile e più elastico, e che obblighino l’uomo ad un impiego sempre più elevato della sua intelligenza; non rendendo inutile questa, abbrutendolo. Ed i nuovi bisogni di questa società più evoluta obbligheranno ad impiegare altri uomini equamente retribuiti, in modo che tutti godano del lavoro, che solo dà all’uomo la dignità e la gioia di vivere. […] La ricerca scientifica deve distribuire equamente il lavoro a tutti gli uomini e deve renderlo sempre più facile e più giustamente retribuito rendendolo anche un godimento; questo è il suo compito vero, nobilissimo (La ricerca scientifica ed il progresso tecnico nell’economia nazionale, in Scritti di Guglielmo Marconi, 1941, pp. 403-405).
E due anni più tardi nel discorso pronunciato alla Riunione plenaria del CNR dell’8 marzo 1934 di fronte alle crescenti avvisaglie di una crisi mondiale affermerà:
[…] E prima di ogni cosa voglio reagire, una volta di più, contro l’affermazione di molti che attribuiscono alla scienza e alla macchina, sua figlia, la crisi e la disoccupazione che affligge il mondo intero. Non la macchina, e tanto meno la scienza, la quale rese possibile all’uomo di avere, con sforzo enormemente minore, tutto quanto occorre alla sua vita ed al suo diletto, hanno provocato i mali che ci fanno soffrire, ma la difettosa distribuzione della ricchezza e dei beni che la provvidenza a piene mani ci largisce, e sopratutto l’egoismo umano, che ne ha frustrato i vantaggi. […] Il Consiglio, nella sua odierna attrezzatura, risponde a compiti ben precisi e definiti. È l’organo consultivo dello Stato per le questioni tecniche. Provvede allo studio di quei problemi tecnici che interessano l’economia del Paese e che abbisognano della ricerca scientifica sistematica. Si occupa della migliore utilizzazione tecnica delle risorse del Paese e delle questioni che sono collegate con tale utilizzazione. Quando lo richieda il produttore, esercita il controllo del prodotto italiano e gli concede la sua autorevole garanzia affinché questo possa imporsi per le sue qualità e i suoi pregi. Predispone quanto occorre, affinché l’aiuto della scienza, sia nel dare informazioni, sia nel risolvere problemi nuovi, possa essere tempestivo, in modo che il Paese non si trovi impreparato tecnicamente di fronte a imprevedute esigenze. […] Ma per eseguire ricerche occorrono laboratori, ed è questa la nostra più grave preoccupazione. Noi abbiamo bisogno a questo proposito, Duce, di tutto il Vostro aiuto, che invochiamo con tutto il nostro fervore. Noi abbiamo constatato che le piccole iniziative sporadiche non danno un rendimento adeguato; è necessario concentrare gli sforzi ed i mezzi. […] Ma ora dobbiamo concentrare i nostri sforzi per completare l’Istituto elettrotecnico nazionale che sta sorgendo in Torino per iniziativa della Società Idroelettrica Piemontese ed a cura del nostro illustre collega S. E. Vallauri, con l’aiuto di quella città e di quella Scuola di ingegneria. Troppi sono ancora i problemi che, nel campo dell’elettricità e delle sue applicazioni, noi non possiamo affrontare per mancanza di mezzi adatti (in Scritti di Guglielmo Marconi, 1941, pp. 451-66).
Soprattutto nelle fasi conclusive del discorso è presente un appello a investire nella ricerca e soprattutto nei giovani, parole che nonostante la distanza epocale, ancora oggi mantengono la loro piena attualità.
Noi abbiamo bisogno che i giovani migliori, i più colti e i più adatti si dedichino a questo altissimo compito che è anche un vero e proprio apostolato. Lo studioso che si dedica alla ricerca scientifica deve essere aiutato ed onorato. Il Consiglio, in relazione ai suoi modestissimi mezzi, ha fatto ogni sforzo in questo senso. Più di duecento borse di studio ha concesso, più di cento giovani sono già stati inviati all’estero per abituarli ai metodi di ricerca in uso nei più importanti Istituti stranieri. I risultati furono eccellenti e ci fu di grande conforto la constatazione che vi sono molti giovani che sanno degnamente portare all’estero il nome italiano. Altre borse e premi di incoraggiamento, in numero cospicuo, furono conferiti con i mezzi elargiti da Enti ed industriali altamente benemeriti. Su questa via noi continueremo.
Il 22 febbraio 1929, a due anni dalla sua nomina a presidente, Marconi fonda il nuovo Comitato per la radiotelegrafia da lui presieduto, e questa diventa una disciplina autonoma separata dall’ingegneria. Così una Bozza di relazione, non datata, e risalente ai primissimi anni Trenta e oggi conservata all’Archivio centrale dello Stato di Roma (ACS, CNR, 2° vers. SN IC):
L’attività del Comitato Radiotelegrafico ebbe inizio nella seconda metà del 1928, immediatamente dopo la sua costituzione. Per iniziativa del V. Presidente Prof. Pession, e con la approvazione dell’On. Presidente Sen. Marconi, furono subito stabilite le basi dirette ad istituire e coordinare ricerche a carattere essenzialmente sperimentale intorno a problemi di radio, che presentavano particolare interesse dal punto di vista tecnico. Così, all’Istituto Sperimentale delle comunicazioni fu affidato il compito della misura delle lunghezze d’onda ed a tale scopo fu elaborato e sviluppato un metodo di misura, reso poi noto attraverso pubblicazioni varie comparse nei maggiori periodici tecnici italiani ed esteri.
Tali misure furono effettuate anche in collaborazione con gli Istituti E. e C. della R. Marina e del R. Esercito. Il Prof. Trabacchi si assunse il compito dello studio del comportamento delle pile avuto riguardo alle applicazioni che queste hanno nella radiotelegrafia in genere. La Società Italo Radio istituì presso la sua stazione transoceanica ricevente di Malnome, un laboratorio sperimentale allo scopo di eseguire misure periodiche del campo elettromagnetico ivi prodotto dalle maggiori emissioni R.T. europee. Parallelamente a tali ricerche, il Comitato R.T. invitò varie ditte costruttrici italiane a studiare determinati problemi suggeriti dal Comitato medesimo […].
A causa dell’invasione dell’Etiopia, all’Italia sono applicate le sanzioni da parte della Lega delle Nazioni e il Comitato per l’ingegneria si impegna a studiare e a trovare «ogni mezzo conveniente per la migliore utilizzazione dei materiali italiani e per eliminare l’impiego di quelli che provengono dai paesi che hanno votato le sanzioni». Incomincia il ‘mito’ dell’autarchia. Anche l’Istituto superiore di ingegneria di Torino si attiva per potenziare i propri laboratori. Il 30 aprile 1936 il professore Panetti chiede un aiuto finanziario per il suo Laboratorio di aeronautica, che sta fornendo «le caratteristiche aerodinamiche dei modelli che un gruppo notevole di Fabbriche di apparecchi gli trasmettono quali la SIAI, l’Aeronautica d’Italia, la FIAT Aviazione, la Macchi, la SAI, i cantieri aeronautici bergamaschi, ecc.». Il 27 maggio dello stesso anno il presidente del Comitato scrive una lettera «urgente e riservata» al Direttorio del CNR con l’invito a rivedere l’ordinamento dell’Ente poiché i «Comitati così come sono ora costituiti sono troppo numerosi e come tali non rispondenti allo scopo di un agile e pronto funzionamento». In una relazione per l’anno 1935 consegnata al Direttorio il 10 giugno 1936, sono esposte con chiarezza le linee lungo le quali si sta sviluppando l’attività di ricerca nei laboratori delle università italiane.
Nel campo delle costruzioni civili si studiano le caratteristiche dei «materiali nazionali». Ormai è entrato in attività dal 1934 l’Istituto elettrotecnico nazionale Galileo Ferraris di Torino e la Commissione di aerodinamica, presieduta dal professor Crocco, organizza le ricerche sulle alte velocità nei Laboratori di Pisa, di Torino e di Guidonia. I motori a combustione interna sono studiati dai professori Antonio Capetti a Torino e Pericle Ferretti a Napoli. Per le costruzioni navali si studiano motori veloci, leggeri costruiti dalla Fiat e dalla Tosi. Il 20 dicembre 1937 il nuovo presidente del CNR generale Badoglio, subentrato alla morte di Marconi:
osserva come dall’enunciazione generale dei compiti del C.N.R., precisati dalla recente legge, risultino chiari i compiti del Comitato Nazionale per l’Ingegneria, come specificazione dei primi nell’ambito appunto del campo dell’ingegneria.
Secondo lo spirito della legge e, più ancora, secondo la esplicita consegna del Duce, l’attività del C.N.R., e quindi quella del Comitato per l’Ingegneria, dovrà essere costantemente improntata a fini pratici e concreti, con particolare riguardo, oggi, a tutti i problemi scientifico-tecnici, la cui soluzione possa portare un qualche contributo alla battaglia che il Paese sta combattendo per la propria emancipazione delle importazioni di materie prime e di manufatti: per il raggiungimento dell’autarchia. […]
Sarebbe quindi più opportuna la costituzione del C.N.R. di una “Commissione permanente di studio per i problemi minero-metallurgici”, piuttosto che di un analogo reparto presso il Comitato per l’Ingegneria (Insediamento del Comitato per l’ingegneria 1a riunione del nuovo Consiglio direttivo, 20 dicembre 1937, ACS, CNR, 2° vers. SN IC).
Il 25 marzo 1939 il presidente del reparto delle costruzioni segnala l’attività svolta dall’ingegner Massimo Olivetti intorno alle norme di controllo delle macchine utensili. Si continua intanto a potenziare la ricerca sul cemento armato e sulle norme di accettazione dei materiali da costruzione e si evidenzia la necessità di tradurre le Norme tedesche. Nel reparto per l’ingegneria meccanica si studiano nuovi combustibili nazionali, le norme per le macchine utensili e si promuovono, anche con cospicui finanziamenti, le ricerche sui materiali leggeri. Nel 1940 si costituirà una Commissione permanente del CNR per lo studio delle sabbie ferrifere del litorale italiano. Il Comitato radiotelegrafico si attiva alacremente per trovare nuove innovazioni che possano sopperire al blocco di risorse materiali e di know-how che sta isolando l’Italia.
Il professor Pio Calletti, presidente del Comitato di ingegneria, investito del grave compito di soccorrere con la propria scienza il destino dell’Italia, invia un messaggio che lascia trasparire, pur nella sua retorica, le paure per una guerra imminente:
Si aduna oggi questo Consiglio direttivo del nostro Comitato mentre divampa in fragore di aspri combattimenti la Guerra, che nuovamente travaglia tanta parte della vecchia Europa.
Con animo e sentimento di italiani e di fascisti eleviamo il pensiero al Grande Pilota che guida la nostra adorata Patria nella furiosa tempesta attraverso i più perigliosi frangenti, tenendo sempre alta la bandiera dell’onore e del valore, che il tricolore italico simboleggia e che l’emblema del Littorio irradia di una nuova luce di certezza nel patrio del destino.
Noi, come tutti gl’Italiani meritevoli di questo nome, oggi più che mai, adottiamo a nostro motto le fatidiche tre parole, che sono la eloquente sintesi della odierna legge morale dell’Italia Fascista:
Credere – obbedire – combattere.
Ma ben presto arriveranno le delusioni perché le aspettative di un più diretto coinvolgimento della ricerca nell’ambito dei comitati e, di conseguenza, delle università ivi rappresentate, sono riprese ‘politicamente’ all’interno dell’Ente:
Successivamente, però, il C.N.R. è andato creando la sua organizzazione interna, a mezzo della quale ha gradualmente, ma anche con crescente intensità di azione, cominciato ad avocare a sé i compiti fissatigli dalla Legge istitutiva. I Comitati quindi sono stati riportati alla semplice funzione consultiva in rapporto ai quesiti che di volta in volta la Presidenza del C.N.R. reputa necessario di prospettare a scopo di studi e di formulazione di pareri. […] Ma nel Comitato inquadrandosi le più spiccate personalità dell’ingegneria italiana, raggruppate nei Reparti specializzati a cui sono preposti eminenti maestri delle varie branche della tecnica, il Comitato ha pur sempre il grande compito di guidare e coordinare gli studi e le ricerche che in Italia vanno eseguendosi nel campo dell’Ingegneria, e di costituire autorevole elemento di regolazione e propulsione per lo sviluppo e per le maggiori affermazioni della tecnica italiana (Comitato nazionale per l’ingegneria, Appunti per la riunione del Consiglio direttivo, 21 giugno 1939, in ACS, CNR, 2° vers., SN IC).
Il Comitato continua a seguire i progetti già avviati, quasi a esorcizzare i pericoli imminenti. Ma è l’aeronautica a polarizzare maggiormente gli sforzi e le risorse del Comitato. Il direttore del Politecnico di Torino, professor Aldo Bibolini, si rivolge ufficialmente a questo Comitato per sollecitare il riconoscimento ufficiale del Laboratorio di ricerche aeronautiche come già a suo tempo aveva fatto il professor Panetti. Così scrive Calletti al Comitato il 19 maggio 1940:
Il Laboratorio di Torino è l’unico veramente efficiente in Italia oltre quello di Guidonia, e soddisfa a reali necessità cui quest’ultimo non provvede […] è necessario integrare i fondi occorrenti all’impianto di nuove importanti attrezzature e in particolare di una nuova galleria aerodinamica, che sorgerà nella nuova sede del Politecnico di Torino, sia per le ricerche di aerodinamica, sia per lo studio dei motori. In particolare è degna d’essere citata per la sua importanza la Galleria stratosferica con tutti i mezzi di condizionamento atti a riprodurre le condizioni delle altissime quote (Comitato nazionale per l’ingegneria, Consiglio direttivo, Allegato all’attività dei reparti dell’anno XVII, Ricerche in corso XVIII (1940), Programma di lavoro per il prossimo avvenire, 13 aprile 1940, in ACS, CNR, 2° vers., SN IC).
Alla vigilia della guerra, lasciando da parte ogni considerazione politica, vale la pena di ricordare ciò che Renzo De Felice affermava nella sua opera Mussolini, il duce, 2° vol., Lo Stato totalitario, 1936-1940 (1981):
Nonostante tutto ciò non si può negare che per il regime i risultati fossero positivi. Se si tengono ben presenti i limiti insuperabili che ostavano alla realizzazione di una vera economia autarchica, è un fatto che, alla vigilia della guerra l’apparato industriale si presentava certamente più vario e completo di un decennio prima e (salvo che per l’aspetto tecnologico e, ovviamente, per quello degli approvvigionamenti di materie prime) non inferiore a quello delle altre grandi potenze sia per l’efficienza degli impianti sia per la molteplicità di produzione.
Le esigenze autarchiche da un lato e la necessità di materiali sempre più resistenti spingono a nuove ricerche tecniche e sperimentali su resine sintetiche per costruzioni aviatorie. Si parla in Germania di «tentativi di costruire ali senza centine irrigidite con membrature, e eliche stampate cave in bachelite con rinforzo di materiale cordonato, nonché le realizzazioni di eliche e di longheroni in legno migliorato a base di resine sintetiche». Il Comitato e l’Italia intera guardano con sempre più interesse alla tecnologia d’oltralpe.
In Italia, sempre per quanto riguarda il campo aeronautico, i materiali plastici artificiali hanno già ricevuto soddisfacente applicazione in forma di legno migliorato e di vetri organici di sicurezza, ma in massima parte il loro uso è limitato alla confezione di accessori. Si può dire che manchino ancora quasi del tutto da noi delle ricerche tecniche e sperimentali per l’impiego dei materiali plastico-artificiali alle parti di forza del velivolo. Questa mancanza è tanto più da deplorarsi, inquantoché i materiali a base di resine sintetiche possono essere e sono preparati da noi a partire da materie prime nazionali, talché è chiara la loro importanza ai fini dell’autarchia. L’Istituto di Tecnologia dei materiali aeronautici di Roma ha un programma di ricerche tecniche e sperimentali sulle resine sintetiche per aviazione col quale si propone di contribuire a colmare tale lacuna. In questo campo vi è molto da fare, e si può ritenere che un contributo effettivo, anche se modesto in apparenza, in realtà può avere importanza considerevole e può esser suscettibile di sviluppi imprevisti (Piani di studio per il 1941-42, 17 gennaio 1941, ACS, CNR, 2° vers. SN IC).
Per quanto concerne l’ingegneria elettrotecnica si propone la costituzione di un impianto pilota per le prove dei grandi interruttori presso l’Istituto elettrotecnico nazionale di Torino, mentre il professor Anastasio Anastasi, presidente del Reparto per l’ingegneria meccanica, ripropone un «Istituto di termotecnica e di macchine» per condurvi Ricerche sistematiche sulle macchine a fluido gassoso:
Le operatrici a fluido gassoso hanno applicazioni che diventano sempre più numerose ed importanti. A parte i compressori ordinari per la preparazione dell’aria compressa occorrente in molte operazioni tecnologiche, si devono ricordare tutti i compressori degli impianti per la produzione del freddo ed anche per la liquefazione dei gas; ma interessano soprattutto i compressori rotativi (centrifughi, elicoidali, a capsula) perché fondamentali per le modernissime applicazioni alla sovralimentazione dei motori a combustione interna anche non aeronautici e specialmente per lo sviluppo della turbina a combustione interna, ormai decisamente iniziato anche in fase industriale per merito di una grande fabbrica svizzera (Piani di studio per il 1941-42, 17 gennaio 1941, ACS, CNR, 2° vers. SN IC).
Impegnato in incarichi militari, il generale Badoglio lascerà la presidenza del CNR il 24 ottobre 1941 e al suo posto sarà nominato Giancarlo Vallauri, ingegnere, docente di elettrotecnica al Politecnico di Torino e fondatore dell’Istituto elettrotecnico nazionale Galileo Ferraris.
A Torino il 7 novembre 1942 si concludono i lavori del Convegno italo-germanico dell’autarchia, inaugurato dall’Eccellenza Ermanno Amicucci, sottosegretario di Stato alle Corporazioni. Così recitava un commento stampa:
Ancora una volta Italia e Germania si sono incontrate sul campo della economia produttiva, intese a lavorare per il bene solidale dei due popoli, così come su tutti i fronti i camerati in armi solidalmente ne preparano la Vittoria. […] È risultato dal Convegno dell’Autarchia quanto notevole sia il cammino percorso sulla strada che deve portare a un regime di autosufficienza Italia e Germania, e forse così il presupposto indispensabile per l’indipendenza economica della nuova Europa. La Mostra ha un duplice scopo. Illustrare l’impiego delle materie prime autarchiche e rendere evidenti le possibilità di risparmio di materiale mediante un sistema più razionale di costruzione. Il criterio che ha guidato gli organizzatori è del tutto originale, ed aumenta notevolmente l’interesse e la pratica utilità della documentazione: accanto ai numerosi prodotti e materiali autarchici sono stati posti quelli non autarchici, da essi sostituiti (Politecnico di Torino, Centro di documentazione storica, Fondo Autarchia).
E nella relazione conclusiva di Pippo Giani si poteva leggere che «Le conferenze tecniche del Convegno Italo-Germanico hanno per l’appunto dimostrato quali e quante siano le nuovissime affermazioni autarchiche, e quale sia stato il lavoro silenziosamente svolto da scienziati e tecnici per la redenzione economica dei nostri Paesi». Parallelamente al Convegno una Mostra documentaria dei materiali autarchici di sostituzione voleva dare un esempio pratico degli sforzi che stavano effettuando i due Paesi, ormai sull’orlo del baratro.
Il 17 marzo 1943 il professor Vallauri rassegnerà le proprie dimissioni e gli succederà il chimico professore Francesco Giordani, che rimarrà in carica dal 18 marzo 1943 al 6 settembre 1944. Sono mesi terribili, di guerra e di privazioni, con un CNR che non esiste più.
Sarà la sfrenata corsa agli armamenti e la disorganizzazione di uno Stato ormai allo sbando a portare l’Italia su un piano inclinato verso una irreversibile catastrofe.