Le aristocrazie
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’aristocrazia altomedievale è collegata alla funzione svolta e al suo riconoscimento sociale. In questo contesto assume una particolare importanza la compartecipazione al potere regio attraverso l’esercizio di cariche pubbliche. In particolare in età carolingia i sovrani favoriscono l’affermazione di un’aristocrazia d’ufficio costituita da pochi ma fedeli clan familiari. Successivamente la crisi dei poteri regi permette l’affermazione di “casate” collegate a castelli e caratterizzate da un potere a raggio locale.
A lungo chi ha studiato l’aristocrazia altomedievale ha cercato di ricondurla alla tradizione guerriera germanica, contrapposta radicalmente alla tradizione sociale e giuridica romana. Si tratta di un approccio oggi perlopiù abbandonato alla luce di studi che hanno messo in evidenza i molti legami sorti in età tardoantica tra Romani e Germani e il conseguente rapporto di reciproca acculturazione.
Quando danno vita ai “regni romano-barbarici” sorti all’interno dei territori che avevano formato l’Impero romano d’Occidente, i popoli conquistatori, infatti, sono assai meno “barbari” rispetto a quanto si è a lungo creduto, e innestano la loro struttura sociale, basata sulla preminenza di un’élite di guerrieri, in un contesto nel quale permane l’importanza dell’aristocrazia senatoria, che deriva i suoi privilegi dalla funzione politico-amministrativa svolta per via ereditaria.
Particolarmente significativo da questo punto di vista è il caso dei Franchi, che con le loro conquiste influenzeranno profondamente le strutture sociali altomedievali. Come altri popoli germanici, essi sono caratterizzati da una gerarchia basata sulla distinzione tra liberi, gli unici a costituire in senso proprio il populus, e i servi, persone in condizione di dipendenza, perlopiù prive di personalità giuridica.
Accomunati da un unico status giuridico, i liberi tra i Franchi e altri popoli “barbarici” non costituiscono, però, un gruppo omogeneo da un punto di vista sociale, dal momento che si differenziano in base ai possessi fondiari, alle capacità militari e, soprattutto, alla vicinanza al re. Sono proprio i liberi “prossimi” al re a costituire il gruppo sociale preminente, i “grandi” del regno, la cui identità aristocratica è determinata dalla funzione, ma non è definita da un punto di vista giuridico. Basti pensare, per esempio, che nella Legge salica (Pactus legis salicae), la legge dei Franchi promulgata da Clodoveo attorno al 510, non solo non compare alcuna nozione di nobiltà – non si dimentichi d’altra parte che lo stesso termine nobilis per tutto l’alto Medioevo è impiegato soprattutto in un’accezione assai generica, in riferimento perlopiù a qualità morali – ma non è previsto nemmeno alcun guidrigildo (valore patrimoniale della persona) che distingua i nobili dagli altri liberi.
Composti da liberi di varia condizione sociale che si distinguono dai servi principalmente per il diritto/dovere di prestare servizio militare nell’esercito regio, i Franchi, come altri popoli “barbarici”, quando danno vita a un proprio regno in territori già parte dell’Impero romano d’Occidente, da un punto di vista politico-amministrativo si pongono in continuità con la tradizione precedente.
Nel Regnum Francorum, per esempio, molti esponenti dell’aristocrazia senatoria gallo-romana sono mantenuti nelle loro funzioni e non sono rari i casi di apparentamento con rappresentanti dell’aristocrazia franca. Anzi, è proprio il loro modello di aristocrazia a rivelarsi vincente e a essere assunto dai Franchi, tra i quali ben presto può appellarsi vir illuster, distinguendosi dagli altri liberi, solo chi detiene un ufficio (carica pubblica). Questi “uomini illustri”, che come i conti (comites) avevano compiti di giurisdizione civile e militare, costituivano un’aristocrazia di ufficio, superiore rispetto a quella dei liberi che a livello regionale erano riusciti ad assumere una posizione di preminenza soprattutto grazie alle loro proprietà fondiarie. È proprio tra questi “nobili di ufficio” che emerge una famiglia – i Carolingi – destinata a modificare, tra le molte cose, anche la composizione dello stesso ceto aristocratico.
A partire dal VII secolo i Carolingi riescono a rendere ereditaria la principale carica del regno franco, quella di “maestro di palazzo” o “maggiordomo”, che prevedeva il controllo delle terre demaniali (fisco regio) e dell’esercito. Nella loro ascesa favoriscono l’allargamento del ceto eminente attraverso il vassallaggio, grazie al quale legano a sé numerosi guerrieri, uomini liberi perlopiù di condizione medioalta che, in cambio della fedeltà militare, ricevono dei beni fondiari a titolo vitalizio (“benefici”, solo dalla fine del secolo IX “feudi”) decisivi in molti casi per la loro ascesa sociale.
È tra questi fedeli che i Carolingi, assunto il titolo regio nel 751, scelgono le persone alle quali affidare importanti cariche (honores), pubbliche o ecclesiastiche. Ciò avviene in particolare nell’età di Carlo Magno quando gradualmente anche nel regno longobardo, conquistato nel 774, e nel ducato di Baviera, conquistato nel 788, i principali “uffici” sono assegnati a “fedeli” del re, appartenenti perlopiù a famiglie aristocratiche dell’area posta tra il corso del medio e basso Reno, della Mosa e della Mosella, dalla quale i Carolingi stessi provenivano. Si viene a costituire, in tal modo, un’aristocrazia “imperiale” assai ramificata, con beni e incarichi sparsi in regioni molto lontane tra loro, anche se di primaria importanza per l’identità familiare rimane il luogo d’origine. A questa aristocrazia appartengono, per fare solo alcuni esempi significativi, il prefetto di Baviera Gerold (morto nel 799) – esponente di un’importante famiglia del medio Reno – e il duca del Friuli Eric (morto nel 799), anch’egli di origini medio-renane, nominato da Carlo Magno al posto del duca longobardo Rotgaudo (morto nel 776), promotore di una drammatica sollevazione antifranca.
Gerold ed Eric sono ricordati nelle fonti contemporanee per il loro eroismo – entrambi muoiono in guerra, nella difficile campagna contro gli Avari –, e per la loro fede cristiana, attestata da donazioni a importanti abbazie.
In particolare Eric è celebrato dal patriarca del Friuli Paolino II di Aquileia, uno dei principali fautori della rinascita carolingia, in un celebre “lamento funebre”. Proprio alcuni intellettuali carolingi, come Paolino o Alcuino di York, in trattati e lettere elaborano dei principi etici per l’aristocrazia imperiale, alla quale è proposto un nuovo modello comportamentale, in cui la violenza è dichiarata lecita solo se volta alla difesa della cristianità. Non si dimentichi, d’altra parte, che tutti gli esponenti dell’alto clero in questa fase storica sono a loro volta di origine aristocratica. Lo stretto legame tra l’aristocrazia carolingia e la Chiesa è attestato dalle donazioni pie e dalla fondazione di chiese e abbazie “private”, volte a mantenere in vita la memoria familiare e ad ancorarla a un’istituzione ecclesiastica.
L’aristocrazia imperiale carolingia è costituita da un numero relativamente ristretto di “clan familiari”, dalla struttura parentale fortemente ramificata, che raramente prevede diritto di primogenitura e che, pur in un quadro patrilineare, procede anche per via femminile quando i matrimoni creano parentele con gruppi familiari di maggiore importanza.
In questi “clan” hanno rilevanza in particolare le parentele costituite per via orizzontale, tanto che la loro ricostruzione in base alla struttura dell’albero genealogico spesso può essere fuorviante, separando ciò che dai contemporanei era percepito come un legame coeso. La complessità di questi gruppi familiari è attestata dal fatto che sono perlopiù privi di un nome, assegnato loro solo dagli studiosi moderni. La memoria familiare si trasmette nell’onomastica, con la ripetizione in diverse generazioni dei nomi degli antenati e, non raramente, con l’“invenzione” di capostipiti illustri. Sarà da questi ampi clan parentali, la cui gerarchia è data anche da eventuali parentele con i Carolingi, che saranno scelti i re dei regni “eredi” dell’Impero carolingio.
Pur mantenendo una struttura ampia e ramificata, l’aristocrazia imperiale carolingia nella seconda metà del IX secolo inizia a perdere il suo carattere “internazionale” e ad ancorarsi territorialmente. Si tratta di un processo favorito dalla capacità che molti signori hanno di rendere ereditaria la loro carica, perlopiù quella comitale. Sono proprio le “dinastie comitali” nell’immediata età postcarolingia, caratterizzata dalla crisi del potere regio, ad assumere in molti casi l’effettivo controllo del territorio a livello regionale o locale. Il loro potere, però, spesso deve confrontarsi con quello di signori fondiari che, pur privi di ufficio, sono riusciti ad approfittare dell’indebolimento del potere pubblico per dar vita a proprie forme di dominio sul territorio (signoria territoriale).
È in questo contesto di frammentazione dei poteri che si afferma una nuova aristocrazia, caratterizzata dalla dimensione locale, rappresentata visivamente dai molti castelli che proprio dal X secolo iniziano a costellare le campagne e che spesso alle nuove casate danno il proprio nome. Fondamentale per l’affermazione dei nuovi signori di castello si rivela la presenza di eserciti privati, fondati sul giuramento vassallatico. Il servizio richiesto ai vassalli si specializza sempre più nel combattimento a cavallo, che in questa fase assume una rilevanza crescente anche grazie alla diffusione di nuove tecniche militari, come la carica con la lancia in posizione orizzontale. Ciò permette l’emergere di una nuova élite militare, costituita da cavalieri che col loro servizio non raramente riescono a compiere un’importante ascesa sociale. Ben presto i cavalieri eminenti vengono a costituire un unico gruppo sociale con i signori di castello che, a loro volta, fanno proprie le tecniche di combattimento cavalleresche. Sarà proprio dall’incontro e dalla sovrapposizione tra la cavalleria e l’aristocrazia che si svilupperà la nobiltà del pieno e del basso Medioevo, la quale inizia a definirsi sempre più anche da un punto di vista giuridico, chiudendosi verso il basso, e ad assumere un’identità ben espressa dallo stemma e dal sigillo familiari.