Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il terreno di sfida per eccellenza anche per gli architetti del Medioevo è quello della progettazione e costruzione di macchine capaci di portare pesi ingenti a notevoli altezze. La civiltà delle macchine perfezionatasi tra l’età ellenistica e l’Impero romano era stata tramandata al Medioevo occidentale prima da Bisanzio e poi dall’islam. Un decisivo progresso si compie nel Trecento.
Friedrich Klemm
Il vasto lavoro di un architetto e ingegnere medievale del XIII secolo ci viene vivacemente rappresentato dal Libro di cantiere di Villard de Honnecourt, originario della Piccardia. Quest’album composto di 33 fogli di pergamena, messo insieme attorno al 1235, è una raccolta di esempi per scopi didattici, e comprende progetti architettonici, costruzioni geometriche per l’architetto, problemi di misurazione, disegni di apparecchi e macchine per la guerra e per la pace, un progetto di perpetuum mobile, studi di anatomia artistica e di proporzioni. Secondo lo spirito di Vitruvio, anche qui la costruzione di macchine appartiene alla sfera dell’attività dell’architetto. Vicino a grosse macchine di legno, quali un dispositivo di sollevamento e una catapulta, sono descritti piccoli apparecchi per usi di chiesa, come una piccola sfera con braciere a sospensione cardanica per scaldarsi le mani, un angelo che indica sempre con il dito la posizione del sole, un’aquila meccanica che volge il capo verso il sacerdote. In questi dispositivi si può riconoscere l’influenza della tecnica alessandrina ed araba. La sega con avanzamento automatico, azionata da una ruota idraulica, è invece una realizzazione propria della tecnica medievale. Il moto perpetuo, realizzato con una ruota munita di un numero dispari di martelli mobili, che dovrebbe girare eternamente da sola, viene qui incontrato per la prima volta nella tecnica occidentale. Il moto rotatorio perpetuo è un fenomeno delle sfere celesti; esso appartiene, nel senso dell’aristotelismo medievale, al mondo translunare. I tentativi effettuati dall’uomo, a partire dal XIII secolo, per riprodurre qui sulla terra, un simile moto perpetuo possono forse venire definiti come una profanazione del pensiero aristotelico, che attribuiva soltanto al cielo la possibilità di moti rotatori perpetui: e ci si imbatte in questi primi tentativi di profanazione dell’idea aristotelica dei moti celesti proprio quando, a partire dal principio del XIII secolo, comincia a essere conosciuto in Occidente attraverso gli Arabi tutto Aristotele, e in particolare la sua cosmologia e la sua fisica. L’uomo occidentale, nel suo sforzo di plasmare la natura, vorrebbe dare il via ad un moto circolare perpetuo sulla terra che fosse un’immagine dei moti divini delle sfere celesti.
F. Klemm, Storia della tecnica, Milano, Feltrinelli, 1959
Le gru descritte da Vitruvio ed Erone di Alessandria, le macchine usate da Apollodoro di Damasco erano sopravvissute sia attraverso l’esperienza dei costruttori, sia grazie alla conservazione dei testi. Già ampiamente collaudate, le gru a due e quattro montanti, la gru calcatoria, il piano inclinato e altre combinazioni tra le cinque macchine di base continuano a risolvere i problemi che ne avevano determinato l’invenzione. Nei codici del XIII secolo, illustrati con scene di cantiere, compaiono non solo argani e carrucole, ma anche la carriola, utilissima per il trasporto di materiali pesanti da parte di una sola persona.
Col Trecento compaiono alcune significative innovazioni volte a migliorare il lavoro degli addetti alle macchine, semplificandone il compito e velocizzando i tempi. Tra queste, notevole importanza ha la gru girevole, raffigurata per la prima volta nel manoscritto di Minnesinger, conservato nella biblioteca dell’Università di Heidelberg e risalente al 1310, capace di ruotare sul proprio asse facendo un giro completo grazie a una piattaforma posta alla base.
Il testo che meglio permette di avvicinarci all’organizzazione del cantiere è quello di Villard de Honnecourt, architetto piccardo vissuto nel corso del XIII secolo. Il suo quaderno di appunti, il Livre de portraiture, è ricco di informazioni per capire la formazione dell’architetto: dalle nozioni di carpenteria alla costruzione in muratura, dalla meccanica alla geometria pratica fino alle norme per il disegno delle parti ornamentali. Si tratta di appunti che Villard prende direttamente sul cantiere, ma vi sono anche immagini delle cattedrali di Reims, Chartres, Laon e Losanna osservate nel corso di alcuni viaggi. Come altri architetti e tecnici specializzati nelle diverse arti, Villard si sposta di luogo in luogo, ovunque ne venga richiesta la professionalità o vi sia qualcosa di interessante da vedere. La sua fama è legata soprattutto ai disegni contenuti nel Livre de portraiture: si tratta di 33 fogli di pergamena con immagini corredate da didascalie relative alle tecniche architettoniche del cantiere gotico; gli schizzi di Villard non riguardano solo le architetture, ma anche la rappresentazione della figura umana mediante un reticolo geometrico, elementi della natura, paesaggi, animali vivi che serviranno da modello agli scultori e dispositivi meccanici diversi, come un’aquila che si gira verso il diacono nel momento in cui legge il Vangelo, oppure uno scaldino che mantiene la fiamma sempre accesa. Molto interessante è la parte dedicata alla geometria, che ha un forte carattere applicativo. Anche se alla metà del secolo XIII la cultura scientifica greca e araba è ormai accessibile agli studiosi dell’Europa occidentale, Villard e gli altri architetti hanno una preparazione di tipo soprattutto pratico. Illuminante è il caso della norma del raddoppio del quadrato, applicata alle varie parti dell’edificio da costruire. Relativamente alla fabbrica di un chiostro porticato con cortile, Villard rimanda il lettore a una figura che mostra un quadrato esterno che è il doppio di quello interno.
Egli disegna parti di edifici che siano la metà, il doppio, un quarto di un quadrato dato e fa altrettanto per quanto riguarda le dimensioni delle pietre da impiegare. I disegni cui rimanda per questo argomento non sono altro che la soluzione del problema classico del raddoppio dell’area del quadrato, una costruzione che ha una soluzione puramente grafica, in quanto, essendo la diagonale del quadrato radice di due, siamo davanti a un numero irrazionale la cui definizione esatta si ottiene solo graficamente. Questa conoscenza di Villard viene dall’antichità. Una chiara e efficace spiegazione del problema della costruzione di un quadrato che sia doppio di un altro si trova nell’opera di Vitruvio (IX, praef., 4-5), oppure Villard potrebbe avere conosciuto il dialogo platonico del Menone, là dove Socrate si rivolge a un ragazzo che non conosce nulla e gli domanda come sia possibile fare un quadrato che sia il doppio dell’altro (Platone, Menone, 82a-85b). L’importanza nell’applicazione di questa norma consiste nel fatto che riconduce ad un segno comune le difformità: poiché all’epoca le unità di misura variavano da una città all’altra, gli architetti e le maestranze, che pure provenivano da regioni diverse, quali che fossero le dimensioni degli edifici da costruire, potevano comunicare efficacemente. In pratica, disegnata una base quadrata, se ne poteva fare una doppia, dimezzata o corrispondente a un quarto a prescindere dalle unità di misura localmente in uso. Villard conosceva quindi il principio che permetteva di dedurre un alzato da una pianta, non trattando questa conoscenza alla stregua di un segreto.
Le conoscenze degli architetti e delle maestranze artigiane impegnate nel cantiere della cattedrale trovano uno spazio anche nel repertorio decorativo. Nello Specchio della Scienza, una delle quattro parti dello Speculum maius di Vincenzo di Beauvais, si afferma che l’uomo, grazie a un’approfondita conoscenza della natura, può cominciare il percorso di redenzione che lo porterà al cospetto del Signore.
Di questo lungo cammino fanno parte anche le arti meccaniche, perché la scienza cui fa riferimento Vincenzo di Beauvais è il lavoro in tutte le sue manifestazioni. Se il lavoro è una delle strade che conducono alla salvezza, ecco allora che nelle decorazioni delle cattedrali si possono trovare rappresentati tutti i mestieri. Nelle vetrate delle chiese di Chartres e Bourges i donatori sono rappresentati con cazzuole, martelli, pale da forno; a Notre -Dame di Semur, nella vetrata di una navata laterale sono raffigurate tutte le fasi della lavorazione della stoffa. Né si dimentica il lavoro dei campi: sopra il portale di alcune chiese sono scolpite scene di mietitura, aratura e vendemmia che ricordano al fedele la piena rispondenza tra tempo della natura e tempo dell’uomo: per questa ragione è stato creato un calendario di lavori agricoli da svolgere mese dopo mese. Le stagioni dell’anno fanno da cornice alle attività dell’uomo, scandendo il tempo del lavoro e quello della preghiera. A Chartres, Parigi, Amiens e in tante altre chiese vi sono bellissimi calendari scolpiti che rimandano ai lavori che chiunque poteva riconoscere, per averli praticati o per averli visti svolgere nella campagna intorno al centro urbano. L’arte che decora le grandi cattedrali gotiche diventa una forma di educazione per chi guarda. La storia del mondo, la creazione, le discipline contenute nelle enciclopedie, le arti e i mestieri comunicano i propri insegnamenti attraverso il repertorio decorativo che evoca agli occhi dei fedeli il complesso ordine del mondo, raccontato ricorrendo a immagini che chiunque poteva osservare. A buona ragione dunque le cattedrali sono state considerate dei libri illustrati, libri in cui è però lampante il contributo di tutte le discipline che facevano capo alle arti meccaniche. Anche le sette arti liberali trovano la loro collocazione nel repertorio decorativo delle cattedrali e a esse se ne aggiungono altre: nel XIII secolo, per esempio, compare la raffigurazione della Medicina nelle cattedrali di Sens, Laon, Auxerre, Reims.
I rapporti fra teoria e pratica trovano una nuova sistemazione nel più importante trattato dedicato alla classificazione delle scienze del XIII secolo, il De ortu scientiarum, composto verso il 1250 dal domenicano Roberto Kilwardby. Influenzato dalla conoscenza dell’opera di Ugo di San Vittore che già si era espresso su questo tema, Kilwardby sostituisce alla Theatrica, una delle sette discipline meccaniche di Ugo, l’ Architectonica, relativa a tutto ciò che riguarda le costruzioni. Tuttavia, il forte accento posto dal primo monachesimo sulle attività pratiche si va attenuando soprattutto all’interno della riflessione dei Domenicani. Infatti Kilwardby, che ha presente la lezione aristotelica, produce una nuova e interessante classificazione in base alla quale le discipline meccaniche sono dichiarate subalterne alla fisica e alla matematica. Influenzati dalla divisione aristotelica fra teoria e pratica, i Domenicani sviliscono nuovamente le arti meccaniche, come del resto si coglie nelle riflessioni di Tommaso d’Aquino e Alberto Magno. Affermando la dipendenza delle arti meccaniche dalle scienze speculative, Kilwardby indica il nuovo percorso da seguire.