Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dalla loro nascita, avvenuta nel XVII secolo, ai giorni nostri, le banche centrali si sono progressivamente trasformate diventando, da banche del sovrano quali erano alla loro origine, le istituzioni incaricate di mantenere un equilibrio nel mercato del credito e di tutelare il valore della moneta. Nello scacchiere mondiale attuale sono due i punti di riferimento nell’ambito della politica monetaria: la Federal Reserve americana e la Banca Centrale Europea.
Come garantire la stabilità dei prezzi e l’affidabilità delle banche
Le banche centrali vengono create in Europa dopo il XVII secolo. Al loro debutto sono le banche delle banche e le banche del sovrano; successivamente diventeranno le banche dei governi designati in liberi Parlamenti. Nel club delle banche centrali la old lady è la Bank of England che venne creata dai sovrani inglesi nel 1694. Essa avrebbe dovuto gestire il debito pubblico necessario per garantire il finanziamento dell’espansione coloniale e mercantile del Regno Unito. In altre parole doveva essere la banca preferenziale del governo. E, in effetti, nella prima fase della loro recente esistenza, sembrerebbe che l’unico problema del banchiere centrale sia stato garantire la copertura di spesa per il sovrano, allora, e per il parlamento, oggi. Durante il XX secolo nasce la banca centrale americana, il sistema della Riserva Federale – la Federal Reserve – che rispecchia, già nel proprio nome, la natura del processo di aggregazione che condusse, nel secolo precedente, alla formazione degli Stati Uniti. L’unico Paese al mondo senza nome se non il riferimento alla sua organizzazione cooperativa tra molti Stati, ciascuno dotato di un nome. Parallelamente, nel corso del Novecento, si afferma l’esigenza di creare un’area di libero scambio tra alcune nazioni europee che evolverà in una vera e propria istituzione di tipo politico proprio attraverso la creazione di una moneta comune – l’euro – e di una Banca Centrale Europea – la BCE – sul finire del secolo.
Ripercorriamo, per capire meglio la natura degli attuali protagonisti della scena mondiale in materia monetaria (la BCE e la Federal Reserve) la missione delle banche centrali e la storia della loro formazione. Guido Carli, che governò la Banca Centrale Italiana nel difficile trapasso da un’economia agricola a un’economia industriale negli anni Sessanta, definì un “gesto sedizioso” del banchiere centrale rifiutarsi di adempiere alla copertura dei fabbisogni finanziari dello Stato. Egli spiegò che sarebbe stato un gesto sedizioso tagliare i fondi alla sanità e al funzionamento dei tribunali e, dunque, avrebbe inasprito la politica monetaria, tagliando i fondi alle imprese attraverso il rialzo dei tassi di interesse. E lo fece effettivamente nella prima pesante crisi congiunturale dell’economia italiana nel 1964.
Terminata la seconda guerra mondiale, insomma, le banche centrali si trasformano progressivamente: la loro missione si sposta dal reperimento di fondi per gli Stati al mantenimento di un ragionevole equilibrio nel mercato del credito e alla tutela del valore della moneta. La missione del banchiere centrale diventa quella di ricordare che le risorse sono limitate nel tempo e che bisogna scegliere come impiegarle tra destinazioni alternative che, ovviamente, avrebbero effetti diversi sull’efficienza e sulla equità del sistema economico in cui quegli impieghi vengono realizzati.
Sempre Guido Carli sostenne che, essendo stati sedotti da Faust i titolari del potere – sovrani o parlamenti che fossero – mostrando loro come aggirare quel vincolo, svilendo la moneta che essi emettevano, diventava necessario arginare la seduzione di Faust. La banca centrale doveva diventare il banchiere dei banchieri e il banchiere del governo per finanziare il secondo indirettamente, mantenendo l’equilibrio tra massa monetaria, credito concesso alle imprese e dinamica dei prezzi.
Nel corso del tempo, e durante il ciclo altalenante delle grandezze economiche, si possono registrare crescite continuate e sostenute dei prezzi assoluti, dei prezzi denominati nella quantità di moneta. La crescita sostenuta e continuata dei prezzi assoluti nel tempo viene definita “inflazione” nel linguaggio economico. L’inflazione riduce l’onere del debitore e svuota il patrimonio dei creditori. Ma, senza banche, entrambi, il creditore e il debitore, non esisterebbero. Lo sviluppo dei commerci che si osserva in Europa dagli anni del Rinascimento in poi, si realizza in parallelo con la crescita del sistema bancario. William Shakespeare nell’Amleto riporta un giudizio preoccupato sul manifestarsi di questa realizzazione.
Polonio, il maestro di palazzo alla corte di Danimarca, incita il figlio Laerte a non dare e non chiedere credito perché “col prestito si perde, molto spesso, il danaro e l’amico”. Si tratta di una conclamata sanzione sociale dello scandalo realizzato dallo sviluppo dei mercati finanziari e delle banche: fare soldi con i soldi. Usare il metro per generare la cosa da misurare, la ricchezza. Eppure, proprio il credito, anticipando il valore della nuova ricchezza che ci potrebbe essere, consente a chi la sappia realizzare di generarla effettivamente. Il credito è un biglietto per entrare nel benessere del futuro ma chi lo amministra viene sanzionato sul piano morale sistematicamente. Il fatto è che il credito offre una possibilità ma punisce chi manca il bersaglio. Il banchiere viene ricordato quando ti chiede di pagare il debito e gli interessi e non quando ti offre la possibilità di scommettere sul futuro con le somme che ti concede. La moneta e il credito, insomma, e gli stessi banchieri, esistono da quando esistono lo scambio e la produzione. Mentre le banche centrali esistono solo da tre secoli. Esse servono, come abbiamo cercato di spiegare, per far convivere l’alchimia del tempo e del denaro con l’uso sconsiderato che mercanti, sovrani, banchieri e consumatori possono fare del potere associato al possesso del denaro.
La old lady, il prototipo inglese, aveva anche un modello organizzativo: le compagnie private, nate nelle province olandesi nel XVII secolo, per assecondare la crescita indotta dalla tecnologia della navigazione, dalla liberalizzazione delle attività imprenditoriali e dall’espansione coloniale. La Amsterdam Wisselbank fondata nel 1609 e la Dutch East India Company che, nel 1683, viene anche autorizzata a concedere prestiti. Questa natura privata resterà nel perimetro della cultura e delle istituzioni di stampo anglosassone. Nell’Europa continentale fu l’allora primo console, Napoleone Bonaparte, a fondare la Banque de France il 18 gennaio del 1800, con un raggio di azione limitato a Parigi.
Il compito affidatole era fronteggiare la depressione indotta dallo scossone rivoluzionario. Lo strumento operativo era rappresentato dal potere di rilasciare biglietti di banca al portatore, scontando le cambiali private detenute dai commercianti e dagli altri attori economici, artigiani e uomini d’affari, industriali. Essa era una specie di banca d’affari, così l’avrebbero definita i banchieri di Londra che, in questo stesso modo, finanziavano il commercio internazionale dei mercanti inglesi. Ma la Banque de France doveva anche combattere gli effetti della grande speculazione degli “assegnati” realizzata da John Law. Molto prima di Napoleone, Carlo III di Borbone, re di Spagna, reduce dalle riforme realizzate nel Regno di Napoli, aveva creato, a Madrid, il Banco de España, il 2 giugno 1782. Ancora prima, Johan Palmstruch, un olandese proveniente da Amsterdam, ottiene da Carlo X Gustavo, re di Svezia, l’autorizzazione per dare vita al Banco di Stoccolma, che introduce in quel Paese le banconote e si trasforma, progressivamente, anch’esso in una banca centrale. Nell’Ottocento questo affiancamento tra sovrani e banchieri diventa in Europa un mandato puntuale: dare stabilità, attraverso la qualità degli attivi bancari (i crediti), alla moneta bancaria (i depositi), e implementare l’efficienza del sistema dei pagamenti; arginare l’inflazione.
La banca centrale si afferma, nel Vecchio Continente, per gestire la moneta e il sistema delle banche: rendendo stabile nel tempo lo sviluppo economico garantito dagli investimenti privati e pubblici. La formula originaria, olandese e inglese, delle compagnie private, si ribalta in quella degli enti pubblici. Le banche centrali partecipano del processo che vede, nel XIX e nel XX secolo, allargarsi la sfera degli interventi economici dello Stato, direttamente condotti a termine o realizzati attraverso enti ad hoc controllati dallo Stato.
La moneta e la stabilità delle banche sono beni pubblici: questo significa che vale la pena che esistano perché generano benefici per tutti ma che nessuno, singolarmente, ha un incentivo a crearli, proprio perché deve condividerne i vantaggi anche con gli altri che non hanno sopportato il costo della loro creazione. Dunque, in assenza di un’azione collettiva di natura cooperativa per dare vita a questo genere di istituzioni, il compito di produrli spetta allo Stato nazionale. In Italia la banca centrale nasce dalla fusione tra molte banche di emissione trent’anni dopo l’avvenuta unificazione politica del Paese. Siamo nel 1893.
Le cose vanno in maniera molto diversa negli Stati Uniti, Paese federale per eccellenza, che dispone, appunto, della Federal Reserve: la FED. Essa è costituita da un sistema a rete che include dodici Banche della Riserva Federale, ognuna delle quali governa moneta e banche in alcuni Stati, e di un’agenzia federale domiciliata a Washington. Il Federal Reserve Act viene firmato dal presidente Woodrow Wilson nel 1913. La Fed è un’entità indipendente che agisce nell’ambito del Governo del Paese ed è controllata, solo in termini contabili, dal General Accounting Office e dal Comptroller General degli Stati Uniti.
I suoi proventi sono gli interessi sui titoli acquistati nelle operazioni di mercato aperto e le fees pagate per i suoi servizi. La differenza con le uscite, eventuale, è coperta dal Ministero del Tesoro. Le banconote europee sono cambiali firmate dal governatore della banca centrale. I dollari sono moneta legale ma sono firmati dal ministro del Tesoro. Le 12 banche della Riserva Federale sono società per azioni, il capitale delle quali è sottoscritto dalle banche commerciali degli Stati cui esse sono preposte. Possedere quelle azioni consente alle banche americane di ottenere un dividendo del 6 percento annuo ma non di gestire il sistema, che resta affidato all’indipendenza del presidente della FED. Il mandato è a termine ma Alan Greenspan, l’ultimo governatore, che ha lasciato di recente il suo incarico, ha esercitato quella funzione per 18 anni.
Dopo la nascita dell’euro e dell’Unione Europea, il Vecchio Continente si è dato, invece, un nuovo assetto. Sono nati la BCE e il Sistema Europeo delle Banche Centrali. La BCE è un consorzio delle banche centrali, che agiscono nei 13 Paesi che adottano l’euro. Il Sistema Europeo delle Banche Centrali è un network che, alla scala dell’Unione, ne coordina l’azione. La sua missione è dare stabilità alla moneta legale. La vigilanza sulle banche resta nazionale; la disciplina della finanza pubblica viene dal trattato di Maastricht tra i Paesi dell’Unione Europea. I governi, ormai, si finanziano collocando sul mercato i titoli che rappresentano il proprio debito mentre il banchiere centrale, con le operazioni di mercato aperto (acquisto e rivendita dei titoli di Stato in circolazione) riduce o incrementa l’offerta di moneta e governa la massa della liquidità disponibile per gli attori economici. La scala globale del mercato finanziario e la scoperta dei derivati – che fanno circolare il rischio attraverso sistemi e istituzioni diversi tra loro – hanno enfatizzato, di nuovo, il ruolo delle banche e degli intermediari rispetto a quello delle banche centrali. Le chiusure autarchiche, il prevalere degli accordi tra Stati sulla libera circolazione delle monete e dei titoli, avevano nel XX secolo enfatizzato, al contrario, il ruolo e il peso delle banche centrali come registi dei mercati domestici. Non è detto che il mondo, un giorno, non possa disporre di una sola globale banca centrale. Il central banking, per ora, rimane un’arte necessaria ma derivata dall’esistenza della moneta e del credito. Le banche centrali sono i guardiani del gregge. Esse dovrebbe creare le condizioni perché le pecore (le banche) possano brucare (raccogliere risparmio) e farsi mungere (erogare crediti) secondo un equilibrio compatibile con l’incertezza del futuro e la distribuzione asimmetrica delle informazioni tra chi produce risparmio e chi gestisce investimenti.
La base monetaria e la liquidità disponibile per gli attori economici: moneta legale e moneta bancaria
La nascita delle banche centrali, tra il XVII e il XIX secolo in tutta l’Europa, completa la trasformazione della moneta dal prototipo metallico, governata direttamente dalla forza del potere politico – dai re e dagli imperatori – alla moneta legale emessa dalle banche centrali nell’interesse degli Stati nazionali.
Le banconote della banca centrale – cambiali firmate dal creditore del sovrano – diventano la moneta legale dei sistemi nazionali: esse possono essere utilizzate per acquistare beni o servizi o per liberarsi dai propri debiti e dalle proprie obbligazioni e tutti i cittadini devono accettarle e non possono rifiutarle. La banca centrale, grazie a questa funzione di creditore degli Stati e di produttore dei mezzi per la circolazione monetaria, diventa anche la banca delle banche, rilasciando crediti e banconote anche per scontare i titoli che rappresentano il debito degli Stati o il credito commerciale delle banche ai banchieri che necessitano di liquidità per erogare crediti alle imprese loro clienti. La moneta emessa dalla banca centrale viene chiamata oggi “base monetaria” o “moneta ad alto potenziale”. In ogni momento una parte di quella moneta circola nel sistema in forma di banconote. Una parte ulteriore, quella che le imprese e i consumatori non spendono, viene depositata nelle banche. Ma non tutti i depositi vengono reimpiegati dalle banche per concedere crediti. Una frazione dei depositi viene depositata dalle banche nella banca centrale e assume il nome di riserva obbligatoria delle banche. La frazione dei deposti che deve essere depositata viene indicata alle banche dalla stessa banca centrale.
La base monetaria del sistema, dunque, è rappresentata dalle banconote in circolazione e dall’ammontare delle riserve obbligatorie. La somma di queste due grandezze coincide con le dimensioni quantitative delle passività della banca centrale: i debiti verso il pubblico che detiene le banconote e i depositi di banconote realizzati dalle banche centrali per creare le riserve obbligatorie.
La liquidità complessiva del sistema, invece, cioè i titoli che rappresentano il valore della spesa, per consumi e investimenti, che potrebbe essere realizzata da tutti gli attori economici, viene indicata come M2 nel lessico della finanza. Questa sigla rappresenta la somma delle banconote in circolazione e dei depositi bancari. Perché ognuno potrebbe utilizzare quei depositi, mediante assegni, assegni circolari o carte di credito, per comprare beni e servizi. I depositi, insomma, sono una moneta bancaria che si affianca alla moneta legale. E, infatti, mentre la moneta legale, in Europa, è un debito della banca centrale ed era, originariamente, un debito del sovrano, la moneta bancaria è, per definizione, il debito delle banche.
M2 è anche il secondo aggregato monetario significativo per la descrizione della circolazione di monete, banconote e titoli. M3, ad esempio, indica le dimensioni di M2 cumulate con quelle dello stock di titoli a breve termine (in Italia i BOT) emessi dallo Stato. Anche quei titoli sono liquidabili, cioè si possono facilmente trasformare in moneta, ma non così facilmente, e sopportando bassi costi di transazione, come accade con i depositi bancari. La dinamica di questi fenomeni ci conferma che esiste uno stretto legame tra la dinamica dell’economia monetaria di produzione e le istituzioni (regole e organizzazioni) che consentono lo sviluppo della civiltà degli scambi. Anche gli intermediari e i contratti finanziari, come tutta la tipologia dei titoli che essi emettono per raccogliere e gestire il patrimonio dei risparmiatori, sono il frutto di regole e di organizzazioni, che quelle regole rispettano e applicano. In una parola istituzioni che consentono alla civiltà degli scambi di allargare le dimensioni della ricchezza e incrementare il benessere della popolazione.
Attraverso le tasse e le imposte gli Stati – ancora altre istituzioni – prelevano una parte di quella ricchezza e la utilizzano per finanziare una redistribuzione dei valori prodotti che privilegia i deboli rispetto ai titolari di grandi patrimoni. Lo sviluppo di queste politiche di redistribuzione ha generato molte altre forme di istituzioni, dai fondi pensione alle organizzazioni not for profit, che rappresentano la struttura interna del welfare state : la complessa rete di regole e organizzazioni che ha sostituito nelle democrazie contemporanee, durante il XX secolo, lo Stato liberale, le funzioni del quale erano assai più contenute e limitate.