Le bonifiche tra semplificazione e necessità di risorse
Il d.l. 24.6.2014, n. 91 convertito nella l. 11.8.2014, n. 116 contiene una delle più importanti novità normative intervenute negli ultimi anni in materia di bonifiche. Si tratta, in ordine di tempo, dell’ultimo di una serie di interventi normativi che hanno ridisegnato negli ultimi dieci anni la disciplina originaria contenuta negli artt. 239-253 cod. amb. L’intervento normativo del 2014, a differenza di altre modifiche precedenti che avevano riguardato questioni di carattere generale (livello di rischio accettabile; competenza; regime di privilegio per i siti militari; terre e rocce da scavo; materiali da riporto e acque emunte) riguarda gli aspetti procedimentali e s’inserisce nel filone della semplificazione procedimentale che in precedenza aveva già previsto la scomposizione della procedura per fasi; la possibilità di accordi di programma; l’introduzione di procedure semplificate sia di carattere generale che riferite allo specifico ambito della rete carburanti. Con tale norma si cerca di risolvere la difficoltà di individuare il responsabile dell’inquinamento (e quindi il soggetto che deve assumersi i costi della bonifica) creando condizioni più vantaggiose per chi si proponga di effettuare gli interventi di bonifica.
La normativa sulle bonifiche, di cui il legislatore ha iniziato a occuparsi in tempi relativamente recenti e che trova ancora oggi la sua disciplina essenziale nel codice dell’ambiente del 2006 (artt. 239-253) (d’ora in poi semplicemente codice dell’ambiente o cod. amb.), nel corso dell’ultimo anno ha visto un intervento normativo di notevole importanza: l’inserimento dell’art. 242 bis sulle procedure semplificate per le operazioni di bonifica ad opera dell’art. 13 del d.l. n. 91/2014, conv. in l. n. 116/2014.
Tale norma va ad aggiungersi agli otto interventi modificativi del codice dell’ambiente susseguitisi negli ultimi otto anni (e iniziati appena a ridosso dell’approvazione del codice), quasi tutti collocati in decreti legge o nelle successive leggi di conversione, che possono essere sistematicamente ricondotti da una parte al tema delle semplificazioni procedimentali e, dall’altra, a questioni di carattere generale, che si vanno di seguito sinteticamente a elencare.
Il primo intervento è costituito dal d.lgs. 16.1.2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante norme in materia ambientale), che costituisce il cd. “secondo correttivo” al codice dell’ambiente e che ha “aperto” il filone delle semplificazioni in materia introducendo l’art. 252 bis sui siti di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale; il secondo intervento è stato il d.l. 30.12.2008 n. 208 conv. in l. 27.2.2009, n. 13 (Misure straordinarie in materia di risorse idriche e pubbliche amministrazioni) con il quale il legislatore è intervenuto per tentare di porre rimedio al problema dei contenziosi in materia di danno ambientale e, prendendo atto della difficoltà di pervenire alla quantificazione degli oneri di bonifica, ha scelto la strada dell’accordo volontario o delle transazioni al fine di velocizzare i processi1; il terzo intervento è stato il d.l. 6.11.2011, n. 201 conv. in l. 22.12.2011, n. 214 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici - Salva Italia) che, sempre nella linea delle semplificazione, ha reintrodotto (modificando l’art. 242 cod. amb.) la possibilità di articolare per fasi temporali e/o spaziali la progettazione degli interventi di bonifica di particolare complessità e ha semplificato le procedure per gli interventi di bonifica in caso di manutenzione ordinaria e straordinaria e di messa in sicurezza di impianti industriali; il quarto intervento è costituito dal d.l. 25.1.2012, n. 2 conv. in l. 24.3.2012, n. 28 (Misure straordinarie e urgenti in materia ambientale) che contiene un’altra modifica di grandissima importanza, quella sulla “delegificazione” degli allegati al codice; il quinto intervento è stato il d.l. 9.2.2012, n. 5 conv. in l. 4.4.2012, n. 35 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo) che ha proceduto ad un ulteriore rafforzamento degli strumenti di semplificazione amministrativa già esistenti per la gestione degli interventi di bonifica in siti in esercizio promuovendo lo strumento dell’Accordo di Programma; il sesto intervento è stato il d.l. 22.6.2012, n. 83 conv. in l. 7.8.2012, n. 134 (Misure urgenti per la crescita del paese. Decreto crescita) che ha introdotto innovazioni in tema di disciplina degli interventi di bonifica dei siti contaminati con particolare riferimento a siti produttivi e/o oggetto di riqualificazione industriale; il settimo intervento è costituito dal d.l. 21.6.2013, n. 69 conv. in l. 9.8.2013, n. 98 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia-Decreto del fare) che si è occupato di questioni generali di grande rilievo come quella delle acque emunte o delle terre e rocce da scavo; l’ottavo intervento è stato il d.l. 23.12.2013, n. 145 conv. in l. 21.2.2014, n. 9 (Interventi urgenti di avvio del piano Destinazione Italia per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015) che, sempre sul versante delle semplificazioni, ha completamente riscritto l’art. 252 bis cod. amb. al fine di consentire la stipula di accordi di programma con uno o più proprietari di aree contaminate o altri soggetti interessati ad attuare progetti integrati di messa in sicurezza o bonifica, e di riconversione industriale e sviluppo economico produttivo nei SIN.
Si arriva, quindi, all’ultimo intervento, quello del 2014, che è costituito dal d.l. 24.6.2014, n. 91 (Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea - Decreto competitività) conv. in l. 11.8.2014, n. 116 che inserisce nel codice dell’ambiente due nuovi articoli di “forte semplificazione”: l’art. 242 bis che prevede una procedura semplificata per le operazioni di bonifica e messa in sicurezza e l’art. 241 bis per la bonifica dei siti militari.
La semplificazione consiste nel fatto che in tale norma viene posposta la fase dell’approvazione del piano di caratterizzazione consentendo all’operatore di procedere immediatamente alla bonifica riservandosi, ovviamente, l’amministrazione il potere di controllare ex post l’operato del privato (peraltro con un meccanismo di silenzio assenso).
L’importanza della norma sta nel fatto che la procedura semplificata è a tutti gli effetti divenuta la procedura ordinaria, come comprovato anche dal fatto che la procedura semplificata si applica a tutti i procedimenti di bonifica (iniziati sulla base degli artt. 242 e 252) in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione.
Dal punto di vista procedimentale la valenza sistematica di tale modifica è grande: si tratta di una sorta di liberalizzazione della fase delle analisi,mentre prima il privato proponeva quali analisi voleva svolgere e occorreva attendere il provvedimento di approvazione di tale progetto da parte dell’amministrazione, a seguito di tale norma il privato può partire subito con le analisi e la bonifica salvo il controllo ex post da parte della amministrazione.
Si noti che presupposto fondamentale di tale procedura è l’istanza del soggetto interessato: si tratta dunque di una procedura che si attiva volontariamente e a condizione che si voglia ridurre la contaminazione del sito a livelli non superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (cd. bonifica a CSC).
Il nuovo art. 242 bis del d.lgs. n. 152/2006 disegna, quindi, una procedura semplificata “ordinaria” per gli interventi di bonifica dei siti contaminati finalizzati a ridurre la contaminazione a livelli non superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) che si compone dei seguenti passaggi: una prima fase di avvio della procedura mediante istanza del soggetto interessato, una seconda fase di autorizzazione regionale, una terza fase di esecuzione della bonifica (che prevede, peraltro, la priorità per il riutilizzo in situ dei materiali trattati nonché particolari prescrizioni per le acque di falda), una quarta fase di verifica dei risultati raggiunti sulla base del piano di campionamento di collaudo effettuato sulla base del piano di caratterizzazione (con la previsione del silenzio assenso) che può concludersi con esito positivo (e in questo caso si ha la certificazione dell’avvenuto bonifica del suolo e la sua utilizzabilità in conformità alla destinazione d’uso) o con esito negativo.
In dettaglio l’operatore interessato ad effettuare, a sue spese, bonifiche del suolo, può avviare la procedura mediante la presentazione di uno specifico progetto alle amministrazioni competenti (che sono quelle indicate negli artt. 242 e 252 del Codice, vale a dire, rispettivamente, Regioni ed enti locali oppure, nel caso di siti di interesse nazionale, il Ministero dell’Ambiente).
Una volta ricevuto il progetto di bonifica gli Enti competenti convocano, entro i successivi trenta giorni, un’apposita conferenza di servizi che adotta, entro i novanta giorni successivi alla convocazione, la determinazione conclusiva di autorizzazione dello stesso.
Ricevuta la comunicazione dell’autorizzazione da parte della Regione, l’operatore che intende procedere alla bonifica ha trenta giorni di tempo per comunicare la data di avvio dell’esecuzione dei lavori all’amministrazione competente e all’ARPA territorialmente competente. Per concludere l’esecuzione della bonifica l’operatore ha diciotto mesi di tempo (erano solo dodici nel testo iniziale poi modificato in sede di conversione dal Senato), prorogabili di non più di sei mesi.
Decorso tale termine, salvo motivata sospensione, deve essere avviato il procedimento ordinario di bonifica, vale a dire quello disciplinato dagli artt. 242 o 252 del d.lgs. n. 152/2006.
Solo una volta ultimati gli interventi di bonifica l’interessato presenta alle amministrazioni competenti il piano di caratterizzazione (che nel procedimento ordinario si presenta all’inizio), al fine di valutare il raggiungimento dei valori di CSC della matrice suolo per la specifica destinazione d’uso.
Entro i successivi quarantacinque giorni l’autorità titolare del procedimento deve provvedere all’approvazione del piano di caratterizzazione. Si noti che in via sperimentale e solo per i procedimenti avviati fino al 31.12.2017 (con seri dubbi di compatibilità con la regola per cui in materia ambientale non si può utilizzare lo strumento del silenzio assenso), è previsto il silenzio-assenso dell’amministrazione: decorso inutilmente il citato termine di quarantacinque giorni, il piano, infatti, si intende approvato.
L’esecuzione del piano di caratterizzazione è effettuata in contraddittorio con l’ARPA territorialmente competente, che procede alla validazione dei dati sul conseguimento dell’obiettivo di riduzione della contaminazione e li comunica (entro 45 giorni) all’autorità competente per il procedimento.
La validazione operata dall’ARPA del rispetto dei valori CSC nei suoli costituisce certificazione dell’avvenuta bonifica del suolo e il sito, a norma del co. 6 del nuovo art. 242 bis, può essere utilizzato secondo la destinazione d’uso prevista dagli strumenti urbanistici.
Nel caso, invece, venga riscontrato il mancato rispetto delle CSC nella matrice suolo, l’ARPA comunica le difformità all’autorità titolare del procedimento di bonifica e all’operatore. Quest’ultimo, ricevuta la comunicazione, dovrà presentare entro quarantacinque giorni le necessarie integrazioni al progetto di bonifica, che sarà istruito con le procedure ordinarie previste agli artt. 242 o 252 cod. amb. La norma del 2014, che si innesta chiaramente nel filone delle semplificazioni procedimentali, comporta che mentre in passato, almeno sulla carta e nella migliore delle ipotesi, occorrevano venti mesi dalla scoperta della contaminazione per avviare il progetto di bonifica, oggi ne occorrono solo quattro!
Il legislatore tenta in tal modo di “favorire” ulteriormente l’azione volontaria di chi può bonificare cercando di disinnescare o comunque di diminuire i contenziosi che si sono formati in questi ultimi anni in relazione alle questioni di cui si dirà nei paragrafi che seguono.
Per comprendere la ratio ispiratrice dell’intervento normativo del 2014 occorre prendere le mosse da quanto osservato di recente dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti2.
In essa si conferma un dato di fondo: la gestione dei siti con contaminazione derivante da attività industriali, stoccaggio di rifiuti, attività minerarie, perdite da serbatoi e linee di trasporto degli idrocarburi rappresenta una delle più importanti minacce per l’ambiente e per la salute dell’uomo e ciò vale sia per il nostro paese (si stima che il 3% del territorio nazionale sia contaminato)3 sia per gli altri paesi europei.
Pur di fronte a tale gravissima minaccia le bonifiche sono praticamente ferme (si parla di “quadro desolante” e di “disastro ambientale” e di “risultati inconsistenti”4) e le ragioni possono essere sintetizzate come segue: le operazioni di bonifica hanno un costo altissimo (si pensi che soltanto per l’area industriale veneziana l’Avvocatura dello Stato nel corso del processo relativo all’area di Porto Marghera iniziato negli anni ’90 aveva stimato un danno pari a 35 miliardi di euro e che, a marzo 2012, il totale dei fondi derivanti dalle transazioni ammontava a ben 696 milioni di euro!)5; non si riesce ad individuare il soggetto che debba addossarsi i costi della bonifica (le difficoltà finanziarie delle amministrazioni sono a tutti note e le difficoltà di individuare il responsabile dell’inquinamento hanno prodotto contenziosi imponenti nei confronti del Ministero dell’Ambiente6); i procedimenti durano moltissimo tempo (si parla di “procedure non fluide”, di “elefantiaca macchina burocratica destinata ad un inaccettabile immobilismo”, di bilancio “fallimentare”, di “pesantezza e di vischiosità delle procedure”).
A ciò si aggiunge quella serie di altre criticità che sono state di volta in volta evidenziate in relazione a vari profili: mancanza di un sistema centralizzato di rilevazione dei dati7;mancanza di adeguati controlli8; parziale sovrapposizione tra controllanti e controllati; costante deroga alle regole ordinarie attraverso la dichiarazione dello stato di emergenza e la creazione di strutture commissariali; affidamento diretto di una serie di attività.
Proprio con la norma del 2014 si è inteso dare una risposta ad alcune delle criticità individuate: in primo luogo alle lentezze e alle lungaggini procedimentali prevedendo una forte semplificazione del procedimento che si sostanzia, come si è visto, nella posticipazione, all’interno della procedura disegnata dall’art. 242 cod. amb. che prevede ben otto fasi9, della fase dell’approvazione del progetto di caratterizzazione che peraltro era una di quelle che richiede più tempo10.
Ma, soprattutto, si è tentato di dare una risposta al problema dell’individuazione di colui che si assume i costi della bonifica cercando di favorire l’iniziativa volontaria offrendo come contropartita in primo luogo il vantaggio della possibilità di utilizzazione del terreno e poi, strumentalmente, un procedimento celere.
Come si è detto, infatti, il procedimento semplificato si attiva su iniziativa dell’operatore, indipendentemente dal fatto che si tratti o meno del responsabile dell’inquinamento, e quindi del tutto volontariamente.
Si è tentato, in tal modo, di superare le questioni relative all’individuazione del responsabile del procedimento che tanto hanno affannato la giurisprudenza negli ultimi anni.
La gran parte delle contaminazioni nel nostro paese è avvenuta negli anni cinquanta e sessanta: da una parte quelli sono stati gli anni dello sviluppo industriale, soprattutto dell’industria di base chimica, siderurgica e petrolifera ma anche di quella manifatturiera (soprattutto il tessile, le ceramiche e la componentistica), dall’altra mancava ancora in quel periodo la consapevolezza della necessità di tutelare l’ambiente e, peraltro, non si avevano le conoscenze tecniche necessarie a comprovare gli effetti di tali attività sulla salute dell’uomo.
Le grandi compromissioni dell’ambiente, che oggi producono gli effetti nocivi sulla salute dell’uomo che sono sotto gli occhi di tutti, sono state, dunque, prodotte dalle società o comunque dagli operatori che operavano in quel periodo storico.
Con il passare degli anni ovviamente alcune di tali società si sono estinte, altre si sono fuse, altre ancora sono state incorporate e i terreni su cui insistevano le relative attività, a loro volta, sono stati trasferiti a tali nuovi soggetti.
E, dunque, quando, con il passare del tempo, si è iniziato a prendere consapevolezza del problema (e siamo ancora agli inizi dato che, come si è detto, non vi è stata ancora una mappatura completa – e neppure parziale – di tutto il territorio nazionale) volendo applicare il principio “chi inquina paga” nel frattempo affermatosi nel diritto internazionale e in quello europeo e che costituisce il criterio di base per l’attribuzione della responsabilità in caso di danneggiamento dell’ambiente (e che non è altro che la trasposizione dell’art. art. 2043 c.c. per cui il danno deve essere riparato da chi lo ha cagionato e non addossato all’intera collettività)11, si è prodotta quella situazione di stallo e di notevoli contenziosi stigmatizzata dalla più volte citata relazione della Commissione d’inchiesta.
Paradossalmente è stata proprio l’applicazione del (tanto osannato) principio “chi inquina paga” a costituire una delle criticità più rilevanti in materia di bonifiche: dato che la dir. 2004/35 afferma al secondo considerando che «l’operatore la cui attività ha causato un danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno sarà considerato finanziariamente responsabile in modo da indurre gli operatori ad adottare misure e a sviluppare pratiche atte a ridurre al minimo i rischi di danno ambientale» e al considerando diciottesimo che «quando l’autorità competente interviene direttamente o tramite terzi al posto di un operatore, detta autorità dovrebbe far sì che il costo da essa sostenuto sia a carico dell’operatore» e dato che, come affermato anche dalla giurisprudenza, l’obiettivo del principio “chi inquina paga” è quello di “internalizzare” i costi necessari per la riparazione del danno ambientale cagionato e di disincentivare i comportamenti scorretti evitando che tali costi siano addossati alla collettività12, si è affermato il principio per cui il costo della bonifica deve essere sopportato solo ed esclusivamente da chi ha causato l’inquinamento.
In altre parole le risorse finanziarie necessarie per la messa in sicurezza e la bonifica, in base all’applicazione del principio “chi inquina paga”, devono essere messe a disposizione solo ed esclusivamente dal soggetto responsabile dell’inquinamento (se poi tale responsabilità vada ricostruita in senso oggettivo e, quindi, presupponga il solo nesso causale13 o in senso soggettivo, e, quindi, anche la colpa o il dolo diventa questione di secondaria importanza)14.
E, dunque, una volta affermatasi la valenza non solo programmatica ma direttamente precettiva, vincolante per tutti i soggetti dell’ordinamento15, di tale principio “chi inquina paga”, che oggi, peraltro, costituisce uno dei principi espressamente menzionati dall’art. 3 ter, d.lgs. n. 152/2006 (e che è principio fondante il sistema delle tariffe nei vari settori in tema di servizi idrici, in tema di tariffe per il servizio idrico integrato, in tema di tariffe per il servizio fognature e depurazione, in tema di gestione dei rifiuti), si è finito con l’escludere direttamente e totalmente la responsabilità della collettività (e quindi dell’amministrazione).
Si è creata, dunque, la situazione di stallo stigmatizzata dalla più volte citata Commissione parlamentare d’inchiesta: una gran parte dei terreni e delle acque sotterranee del nostro paese sono gravemente inquinate; per contenere gli effetti dannosi sulla salute dell’uomo o addirittura per “riparare” l’ambiente occorrono ingenti risorse finanziarie; l’inquinatore non si individua (perché non esiste più o perché è molto difficile ricostruire il processo causale); la collettività e l’amministrazione non possono pagare (perché si violerebbe il principio “chi inquina paga”) e, quindi, le varie attività di bonifica si paralizzano.
Questi sono gli effetti (sicuramente non voluti) dell’applicazione di un principio “chi inquina paga” costruito sulla falsariga del sistema della responsabilità civile: eppure lo stesso legislatore europeo nella direttiva sul danno ambientale al tredicesimo considerando aveva affermato che «la responsabilità civile non è uno strumento adatto per trattare l’inquinamento a carattere diffuso e generale nei casi in cui sia impossibile collegare gli effetti ambientali negativi ad atti od omissioni di taluni singoli soggetti» e la stessa dottrina aveva avuto modo di confermare che «la responsabilità civile in campo ambientale è fattore essenziale ma non esclusivo per amministrare disastri di massa non essendo sufficiente traslare i costi dei danni in capo ai presunti colpevoli per rendere l’ambiente più pulito»16.
Si dovrebbe al contrario ritenere che quando vi sia impossibilità assoluta di accertare il nesso di causalità (si pensi alle ipotesi di danno diffuso come le piogge acide ma ancor più e appunto alle ipotesi di contaminazioni storiche) o vi sia un’estrema difficoltà di accertamento del danno multicausale il principio “chi inquina paga” dovrebbe essere messo da parte e lasciare spazi a soluzioni di tipo diverso che non consistono certamente nel tentativo di trovare un “inquinatore” a tutti i costi su cui addossare i costi della bonifica.
Purtroppo in questa linea sembra essersi mossa quella parte della giurisprudenza che, nel tentativo (lodevole) di uscire dall’impasse della difficoltà di individuare l’inquinatore per “trovare un colpevole a tutti i costi” ha tentato di chiamare in causa il proprietario del terreno contaminato (il cd. proprietario incolpevole) ricostruendo le fonti della sua responsabilità attraverso la responsabilità per cattiva custodia (art. 2051 e 2053 c.c.).
Il ragionamento sviluppato soprattutto dal Consiglio di Stato17 per arrivare a sostenere che il proprietario dell’immobile, pur incolpevole, non è immune da ogni coinvolgimento nella procedura relativa ai siti contaminati e dalle conseguenze della constatata contaminazione si è fondato, oltre che sull’applicazione dei principi della precauzione e dell’azione preventiva, su alcuni dati testuali: in primo luogo, il proprietario è comunque tenuto ad attuare le misure di prevenzione di cui all’art. 242 (si richiama al riguardo l’art. 254 cod. amb.); in secondo luogo, il proprietario, ancorché non responsabile, può sempre attivare volontariamente gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale (si richiama al riguardo l’art. 245 cod. amb.); infine, il proprietario è il soggetto sul quale l’ordinamento, in ultima istanza, fa gravare – in mancanza di individuazione del responsabile o in caso di sua infruttuosa escussione – le conseguenze dell’inquinamento e dei successivi interventi (si richiama la norma di cui all’art. 253 cod. amb.).
Per il giudice amministrativo di secondo grado dato che l’applicazione del principio “chi inquina paga” esclude che i costi derivanti dal ripristino di siti colpiti da inquinamento possano essere sopportati dalla collettività, occorre porli a carico di chi ha un rapporto di particolare vicinanza con il bene ossia a carico della proprietà.
Mentre, infatti, la responsabilità dell’autore dell’inquinamento presuppone sempre il rapporto di causalità tra l’azione (o l’omissione) dell’autore dell’inquinamento ed il superamento o pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti di contaminazione, sensibilmente diversa si presenta, invece, la posizione del proprietario del sito: chi è proprietario o chi subentra nella proprietà o possesso del bene subentra anche negli obblighi connessi all’onere reale ivi previsto, indipendentemente dal fatto che ne abbia avuto preventiva conoscenza.
Quella posta in capo al proprietario è pertanto una responsabilità “da posizione”, non solo svincolata dai profili soggettivi del dolo o della colpa, ma che non richiede neppure l’apporto causale del proprietario responsabile al superamento o pericolo di superamento dei valori limite di contaminazione18.
Sempre in questa linea la Cassazione ha sostenuto che nonostante la corresponsabilità del proprietario richieda che la violazione sia a lui imputabile a titolo di dolo o colpa grave, le esigenze di tutela ambientale rendono evidente che il riferimento a chi è titolare di diritti reali o personali di godimento vada inteso in senso lato, essendo destinato a comprendere qualunque soggetto si trovi con l’area interessata in un rapporto, anche di mero fatto, tale da consentirgli – e per ciò stesso imporgli – di esercitare una funzione di protezione e custodia finalizzata ad evitare che l’areamedesima possa essere adibita a discarica abusiva di rifiuti nocivi per la salvaguardia dell’ambiente19. La Corte in pratica sostiene che proprio l’omissione degli accorgimenti e delle cautele atte a realizzare un’efficace custodia e protezione dell’area possano integrare il requisito della colpa previsto dalla norma.
In tale linea si sono mosse anche varie sentenze del giudice amministrativo di primo grado20.
Tale giurisprudenza, benché (ovviamente) sostenuta dal Ministero dell’Ambiente (desideroso di reperire in qualche modo le risorse per poter provvedere alle bonifiche), è rimasta minoritaria di fronte a quella giurisprudenza che in applicazione letterale del principio “chi inquina paga” ha affermato che potessero essere addossati al proprietario incolpevole solo i costi della prevenzione21 e non anche quelli della bonifica22 e della messa in sicurezza23.
Per la gran parte della giurisprudenza l’applicazione del principio “chi inquina paga” serve proprio ad escludere la responsabilità del proprietario incolpevole: si è così sostenuto che gli artt. 242, 252, 253, d.lgs. n. 152/2006 non consentono all’Amministrazione di imporre ai privati che non abbiano alcuna responsabilità, né diretta, né indiretta sull’origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari o gestori o addirittura in ragione della mera collocazione geografica del bene, l’obbligo di bonifica, di rimozione e di smaltimento dei rifiuti e, in generale, della riduzione al pristino stato dei luoghi che è posto unicamente in capo al responsabile dell’inquinamento, che le autorità amministrative hanno l’onere di ricercare ed individuare.
Ai fini dell’attribuzione della responsabilità in questione, per tale giurisprudenza, è perciò necessario che sussista e sia provato, attraverso l’esperimento di adeguata istruttoria, l’esistenza di un nesso di causalità fra l’azione o l’omissione e il superamento o il pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti di contaminazione, senza che possa venire in rilievo una sorta di responsabilità oggettiva facente capo al gestore, al proprietario o al possessore dell’immobile meramente in ragione di tali qualità24.
Com’è noto tale orientamento contrario a riconoscere la responsabilità del proprietario incolpevole è stato sposato dal Consiglio di Stato nell’ultima Adunanza plenaria inmateria (25 settembre 2013, n. 21) che ha appunto richiamato l’applicazione del principio per il quale (solo) “chi inquina paga”25.
Per i giudici di Palazzo Spada ai sensi dell’art. 242, d.lgs. n. 152/2006, è il responsabile dell’inquinamento il soggetto sul quale esclusivamente gravano gli obblighi dimessa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale a seguito della constatazione di uno stato di contaminazione. Il proprietario non responsabile, dal canto suo, è gravato di una specifica obbligazione di “facere” che riguarda, però, soltanto l’adozione delle misure di prevenzione ex art. 242. Conseguentemente a carico del proprietario dell’area inquinata, che non sia altresì qualificabile come responsabile dell’inquinamento, non incombe alcun ulteriore obbligo di “facere”; in particolare, egli non è tenuto a porre in essere gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza e di bonifica, ma ha solo la facoltà di eseguirli per mantenere l’area libera da pesi (ex art. 245).
Nell’ipotesi di mancata individuazione del responsabile, o di mancata esecuzione degli interventi in esame da parte dello stesso – e sempreché non provvedano spontaneamente né il proprietario del sito né altri soggetti interessati – le opere di recupero ambientale sono eseguite dall’amministrazione competente (ex art. 250), che potrà rivalersi sul proprietario del sito, nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi.
L’analisi di tali orientamenti giurisprudenziali dimostra che l’errore è stato quello di voler trattare situazioni differenti (le contaminazioni storiche e quelle presenti e future) con lo stesso paradigma normativo.
Il principio “chi inquina paga” e il sistema della responsabilità civile va senz’altro bene per gli inquinamenti presenti e futuri dal momento che oggi, in base alla maturata consapevolezza della necessità di preservare lematrici ambientali e in applicazione del principio di prevenzione si è diffuso il sistema delle autorizzazioni ambientali26 e, dunque, appare assai più semplice individuare colui il quale deve pagare se l’ambiente viene danneggiato.
Per le contaminazioni storiche, che peraltro sono le più diffuse e le più consistenti (praticamente tutti gli attuali 37 SIN sono siti contaminati storicamente) e sono state realizzate in periodi storici in cui non si aveva consapevolezza dei pericoli dell’inquinamento (si racconta che a Marghera nelle vasche del cloruro di vinile gli operai mettevano a raffreddare le angurie!) e non vi erano normative ad hoc (in gran parte i luoghi sono stati contaminati nel rispetto delle leggi. Delle leggi di allora è ovvio…pochissimi inquinamenti al tempo erano fuorilegge anche perché la dannosità di alcuni composti è stata scoperta solo in seguito), l’applicazione di tale principio non ha funzionato o comunque ha richiesto di essere integrata da un approccio diverso.
E dunque posto che comunque occorre continuare per quanto possibile a tentare di superare le difficoltà di accertamento del nesso eziologico magari prevedendo un sistema di accertamento del nesso di causalità fondato su presunzioni semplici o anche su presunzioni legali iuris tantum (ad es. la vicinanza dell’impianto di un operatore ad un determinato inquinamento o la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati dall’operatore nell’esercizio della sua attività)27, occorre fondamentalmente favorire il più possibile le iniziative volontarie offrendo in contropartita agevolazioni economiche o possibilità di utilizzare le aree.
E in questa linea si muove la norma del 2014 che in qualche modo tenta di favorire l’iniziativa volontaria offrendo come contropartita un procedimento breve e la possibilità di utilizzare il terreno bonificato in conformità degli usi stabiliti.
Si tratta di un passo importante anche se non decisivo per risolvere le criticità che si sono più volte evidenziate (individuazione del soggetto che si assume i costi della bonifica e lentezza del procedimento) a cui, però, per tentare di dare un vero “scossone” all’attuale situazione, potrebbero aggiungersi una serie di altri interventi de iure condendo con i quali si completerebbe il quadro della normazione sulle bonifiche.
1 Pernice, M., Bonifica e danno ambientale: l’utilizzo dei moduli negoziali, in Ambiente e sicurezza, 2011, 56 ss.
2 Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti istituita con l. 6.2.2009, n. 6, Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia: i ritardi nell’attuazione degli interventi e i profili di illegalità (approvata il 12.12.2012), doc. XXIII, n. 14 della XVI legislatura, approvata pag. 11.
3 Nel nostro paese vi sono circa più di centomila ettari di terreno contaminato (volendo contare solo i 39 SIN che comprendono i cd. “megasiti” di Porto Marghera, Priolo, Porto Torres e Mantova nonché aree industriali ad alto pregio paesaggistico (Napoli-Bagnoli) e circa 330.000 ettari di mare contaminato. A livello regionale e locale sono stati calcolati dall’ISPRA circa 5.000 siti contaminati a cui vanno aggiunti gli oltre 1.500 siti minerari contaminati. Si veda sul punto il completo dossier di Legambiente, Bonifiche dei siti inquinati: chimera o realtà. Risanare l’ambiente, tutelare la salute, riconvertire l’industria alla green economy, 28.1.2014. Sul punto si consenta di rinviare a De Leonardis, F., La bonifica ambientale, in Picozza, E.-Dell’Anno, P., a cura di, Trattato di diritto dell’ambiente, II, Padova, 2013, 280.
4 Si noti che come è stato rilevato dal dossier di Legambiente se si volesse procedere ad un reale risanamento ambientale le somme necessarie sarebbero circa 30 miliardi di euro (Bonifiche dei siti inquinati: chimera o realtà, cit., 7) ma dal 2001 al 2012 sono stati investiti solo 3,6 miliardi (di cui 1,9 messi a disposizione dal pubblico e 1,7 messi a disposizione dai privati).
5 Dossier Legambiente, cit., 8.
6 Al 23.9.2010 erano stati censiti circa 1800 ricorsi pendenti sia in sede amministrativa che civile. Si tratta di contenziosi di estrema complessità: basti considerare che il Tribunale di Torino, con sentenza 8.7.2008, n. 4991, ha condannato la Syndial S.p.a. (già Enichem) al pagamento della somma di 1,9 miliardi di euro (si tratta di uno dei risarcimenti maggiori della storia) a titolo di danno ambientale per l’inquinamento nel lago Maggiore causato da sostanze chimiche tra cui il DDT.
7 Per la Commissione «deve rilevarsi il ritardo dell’ISPRA nell’istituzione e nell’organizzazione di un sistema informativo nazionale sui siti contaminati che consenta di raccogliere e sistematizzare i dati disponibili a livello regionale, in modo da poterne ricavare informazioni attendibili e significative ai fini del supporto alle politiche nazionali e regionali di gestione dei siti contaminati». La raccolta delle informazioni potrebbe essere realizzata attraverso un “registro” ufficiale o anche rendendo pienamente efficienti le Anagrafi bonifiche ex art. 251 d.lgs. n. 152/2006 delle aree contaminate in modo che esse possano dialogare con gli strumenti urbanistici e contribuire alla definizione dell’identità catastale degli immobili interessati.
8 Per ciò che riguarda i controlli si è rilevato che «l’intento lodevole di velocizzare le procedure si scontra con il dato obiettivo dell’insufficienza del personale ARPA, come rappresentato alla Commissione in diverse audizioni, il che rischia di tradursi, in pratica, nello svolgimento di una serie di procedure che si concluderanno con un silenzio assenso, senza che vi sia stata un’adeguata attività di controllo e di verifica».
9 Sul punto si consenta di rinviare a De Leonardis, F., La bonifica ambientale, cit., 311.
10 Come risulta dall’ultima analisi svolta da Legambiente nel 2014 (dossier Bonifiche dei siti inquinati: chimera o realtà, 6) a marzo 2013 risultava che solo in 11 SIN su 39 era stato presentato il 100% dei piani di caratterizzazione.
11 Sul principio “chi inquina paga” la letteratura è molto ampia: tra le monografie si v. Moschella, G.-Citrigno, A.M., Tutela dell’ambiente e principio chi inquina paga, Milano, 2014; Cingano, V., Bonifica e responsabilità per danno all’ambiente nel diritto amministrativo, Padova, 2014 eMeli,M., Il principio comunitario “chi inquina paga”, Milano, 1996.
12 Cfr. Conclusioni presentate il 23.4.2009, in C. giust., C- 254/08, Futura Immobiliare srlHotel Futura e altri c. Comune di Casoria (in materia di smaltimento di rifiuti).
13 Sul punto, si consideri che il Cons. St. ha precisato che la prova della responsabilità nella causazione dell’inquinamento «può essere data in via diretta od indiretta, ossia, in quest’ultimo caso, l’amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale si può avvalere anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c. , prendendo in considerazione elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi precisi e concordanti, che inducano a ritenere verosimile, secondo l’«id quod plerumque accidit» che sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori» (Cons. St., sez. V, 16.6.2009, n. 3885). Nello stesso senso si v. la sentenza del T.A.R. Abruzzo, sez. I, 13.5.2011, n. 318, ove si afferma che «il nesso di causalità tra la condotta del responsabile e la contaminazione riscontrata deve essere accertato applicando la regola probatoria del «più probabile che non».
14 In base alla disciplina previgente (art. 17 decreto Ronchi) la responsabilità veniva ricostruita in senso oggettivo facendo leva sul fatto che la norma prevedeva una responsabilità anche per una condotta accidentale ossia a prescindere da qualsiasi colpa o dolo in capo all’autore dell’inquinamento. Attualmente alla luce delle norme del codice dell’ambiente la responsabilità viene intesa, invece, come soggettiva.
15 Cfr. TAR Puglia, Lecce, sez. I, 2.11.2011, n. 1901 (da cui il principio “chi inquina paga”, addirittura, viene definito come “asse portante” in tema di tutela ambientale); TAR Toscana, Firenze, sez. II, 17.4.2009, n. 665; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 5.2.2008, n. 39 e 15.5.2009, n. 1038.
16 Giracca, M.P., Il danno ambientale, in Sandulli, M.A.- Ferrara, R., a cura di, Trattato di diritto dell’ambiente, II, 2014, 583 ss.
17 Il parere più importante è senz’altro quello reso da Cons. St., sez. II, 30.4.2012, n. 2038. Nello stesso senso anche Cons. St., sez. IV, 13.1.2010, n. 84.
18 Cons. St., sez. VI, 15.7.2010, n. 4561,
19 Cass., S.U., 25.2.2009, n. 4472.
20 TAR Lazio, Roma, sez. I, 14.3.2011, n. 2263 (e anche nello stesso senso TAR Lazio, Roma, sez. II bis, 16.5.2011, n. 4215). Vedila con nota critica di Cingano, V., La responsabilità nei confronti della pubblica amministrazione per contaminazione di un sito: l’individuazione degli oneri che gravano sul proprietario, in Foro amm.-TAR, 2011, 837, che riporta anche una rassegna della giurisprudenza maggioritaria che si muove nel senso opposto. Su tali tematiche v. anche Cortese, F., Bonifica dei siti inquinati e responsabilità del proprietario, in Giorn. dir. amm., 2008, 986 ss.
21 Per il TAR Toscana, Firenze, sez. II, 9.5.2013, n. 773 «il proprietario incolpevole del sito inquinato non è immune da ogni coinvolgimento nella procedura relativa ai siti contaminati e dalle conseguenze della constatata contaminazione, dovendo egli attuare le misure di prevenzione di cui all’art. 242, d.lg. n. 152 del 2006, nonché potendo sempre attivare volontariamente gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale». Nello stesso senso TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 13.1.2014, n. 108.
22 In questo senso testualmente da ultimo TAR Toscana, Firenze, sez. II, 8.10.2013, n. 1342. Cfr. anche TAR Friuli Venezia Giulia, Trieste, sez. I, 5.5.2014, n. 183 per cui la previsione dell’art. 2051 c.c. (che regolamenta la responsabilità civile del custode) costituisce un criterio che si presenta in contraddizione con i precisi criteri di imputazione degli obblighi di bonifica previsti dagli artt. 240 ss. e 252 bis (nello stesso senso anche TAR Friuli Venezia Giulia, Trieste, sez. I, 9.4.2013, n. 229 e TAR Toscana, Firenze, sez. II, 19 ottobre 2012, n. 1664). Per una rassegna della giurisprudenza si rinvia a Sabato, G., Le misure di messa in sicurezza e la bonifica a carico del proprietario incolpevole? Parola alla Corte di Giustizia, in Giorn. dir. amm., 2014, nota 22, 369. Sul punto v. anche Maschietto, E., La posizione del proprietario incolpevole nei procedimenti di bonifica e di risanamento ambientale (nota a TAR Toscana, Firenze, II, 19 ottobre 2012, n. 1664), in Riv. giur. amb., 2013, 252 ss.
23 Esclude che possano essere addossati al proprietario incolpevole i costi della bonifica o della messa in sicurezza TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 30.5.2014, n. 1373.
24 TAR Campania, Napoli, sez. I, 3.7.2013, n. 3374.
25 Per l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., A.P., 26.6.2013, n. 21). Vedila con nota di Coppini, C.L., Chi non ha inquinato non paga, in Riv. giur. amb., 2013, 745 e di Sabato, G., Le misure di messa in sicurezza e la bonifica a carico del proprietario incolpevole? Parola alla Corte di Giustizia, in Giorn. dir. amm., 2014, 365 ss. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato rimette all’esame della Corte di giustizia dell’Unione europea la seguente questione pregiudiziale
«se i princìpi dell’Unione europea in materia ambientale (…) ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli artt. 244-245 e 253 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che, in caso di accertata contaminazione di un sito e d’impossibilità d’individuare il soggetto responsabile della contaminazione o di ottenere da quest’ultimo gli interventi di riparazione, non consenta all’autorità amministrativa d’imporre l’esecuzione delle misure di sicurezza d’emergenza e bonifica al proprietario non responsabile dell’inquinamento, prevedendo, a carico di quest’ultimo, soltanto una responsabilità patrimoniale limitata al valore del sito dopo l’esecuzione degli interventi di bonifica».
26 Com’è noto nel diritto ambientale nella grande famiglia dei provvedimenti si potrebbe dire che “campeggia” l’autorizzazione. È logico che sia così perché il bene “ambiente” a differenza di altri beni non è facilmente riparabile e il risarcimento per equivalente funziona solo fino a un certo punto. Sul punto v. De Leonardis, F., Principio di prevenzione e novità normative in materia di rifiuti, in Scritti in onore di A. Romano, Milano, 2011, 2079 ss.
27 C. giust., Grande Sezione, 9.3.2010, in C-378/08 Raffinerie Mediterranee Spa, Polimeri Europa Spa, Syndial Spa c. Ministero dello Sviluppo economico, in Riv. it. dir. pubb. com., 2010, 1591, con nota di Bertolini, P., Il principio chi inquina paga e la responsabilità per danno ambientale.