Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il mondo medievale, malgrado la vivacità delle realtà urbane, è ancora eminentemente rurale. I tempi del suo mutamento sono molto lenti, soprattutto se si guarda alle tecniche e alle rese colturali; tra XIII e XIV secolo, tuttavia, nell’organizzazione produttiva, nella struttura della proprietà e nelle condizioni dei lavoratori rurali si profilano trasformazioni gravide di conseguenze lungo tutta l’età moderna. Solo in parte, per queste trasformazioni, la crisi del Trecento rappresenta un vero momento di svolta.
Tra Duecento e Trecento il panorama produttivo europeo comincia a includere alcuni nuclei di intensa attività commerciale, bancaria e industriale, ma l’agricoltura rimane l’attività economica predominante e la quasi totalità della popolazione europea trae il proprio sostentamento direttamente dalle campagne. Anche il commercio e le manifatture, d’altro canto, si reggono sui prodotti della coltivazione o dell’allevamento. Dal punto di vista demografico, l’epoca è quella della massima espansione, che ha effetti più visibili e lascia attestazioni più evidenti nelle principali città del tempo, ma in realtà la crescita urbana è tanto palesemente sostenuta da quella rurale che già fra XII e XIII secolo le città cominciano a regolare con provvedimenti restrittivi l’afflusso di popolazione dalle campagne.
L’espansione demografica, in corso da oltre due secoli, ha da tempo infranto le forme di inquadramento e di valorizzazione più diffuse nelle campagne altomedievali, quelle della curtis, che – senza mai aver assunto carattere esclusivo, né omogeneità organizzativa interna – aveva mantenuto ampia diffusione fino alla fine del X secolo.
I mansi sono quasi ovunque soggetti a sovrappopolamento e frazionamento; anche il dominico si assottiglia per effetto di successioni ereditarie, usurpazioni e donazioni, ma è contemporaneamente interessato da processi di ricomposizione che tendono a dare maggiore compattezza territoriale alla grande proprietà laica ed ecclesiastica. Muta anche il modo di mettere in valore queste terre, con la riduzione del lavoro servile e delle prestazioni d’opera (meno sensibile in Inghilterra e nell’area germanica, più accentuata in aree come quella italiana, catalana e della Francia meridionale, ove anche in precedenza se ne era fatto un uso minore).
Nello stesso periodo, proseguono crescita e stabilizzazione delle rese agricole (il rapporto fra raccolto e semente passa da due o tre a uno fino a quattro e, nelle aree migliori, anche cinque o sei a uno), anche grazie a qualche miglioramento nell’attrezzatura contadina, che tuttavia rimane molto costosa e quindi non ampiamente diffusa. L’interesse per una pratica non solo empirica dell’agricoltura sembra accrescersi: fra XIII e XIV secolo si diffondono trattati di agronomia; anche in questo caso, tuttavia, è probabile che essi rappresentino solo un aspetto del rinnovato interesse per i classici latini, più che l’attestazione di pratiche colturali realmente diffuse.
Prodotti principali dell’agricoltura restano i cereali; molto rare sono le colture specializzate; gli orti si allestiscono soprattutto presso e dentro i centri abitati; alcune aree, particolarmente favorite per il clima e la facilità degli approvvigionamenti, possono dedicare più spazio a vigneti e oliveti (per esempio in Liguria o in Francia). Più vario, per ragioni climatiche e per le antiche commistioni con il mondo arabo, è il panorama colturale delle aree mediterranee, ove ai sempre dominanti cereali si accompagnano agrumi, fichi, palme, susine e altri frutti, destinati al consumo, alla pasticceria e all’industria dei profumi.
I proprietari fondiari e i contadini fronteggiano e orientano le trasformazioni in corso, anche in considerazione delle diverse sollecitazioni del mercato urbano.
I primi mirano alla ricostituzione della proprietà, assottigliata dalle spartizioni ereditarie e dalle donazioni, mediante dissodamenti di nuove terre; i secondi ne sono gli artefici diretti, e spesso riescono a bilanciare la particolare onerosità delle pratiche di dissodamento ottenendo condizioni di affitto particolarmente vantaggiose, quando non addirittura l’affrancamento da una precedente condizione di servitù.
I possidenti, inoltre, impiegano i loro poteri di coercizione sugli uomini, accresciuti all’epoca delle signorie territoriali, per ottenere nuovi servizi di lavoro e nuove contribuzioni in natura e in denaro; i contadini tentano almeno di ottenere che i loro oneri siano messi per iscritto, attraverso le carte di franchigia (consuetudines, Weistümer, statuti).
I proprietari hanno, infine, il proprio tornaconto nel favorire la creazione di un mercato del lavoro più libero e fanno più largo ricorso alla manodopera salariata, che l’incremento demografico ha reso meno costosa di quella servile; anche una parte del mondo contadino accoglie positivamente una novità che rende più libero l’impiego del lavoro, fin quando non mancano le opportunità di impiegarlo in modo più remunerativo altrove. Una parte decisiva di questa trasformazione passa attraverso la sostituzione degli affitti di lunga durata (tipici dell’epoca altomedievale) con contratti a scadenza determinata, che costituiscono il tratto più caratteristico dell’organizzazione del lavoro nelle campagne del Due e Trecento. Le nuove tipologie di contratto, da un lato, si adattano alle esigenze di un ceto contadino che va progressivamente spezzando i vincoli di carattere personale con il datore di lavoro; dall’altro, si rivelano soprattutto funzionali al nuovo ceto proprietario, spesso di origine cittadina, oculato nella gestione dei propri beni e avvezzo a considerare la terra e gli uomini non tanto come strumento di potere, come avveniva al signore altomedievale, quanto soprattutto come risorse economiche.
Questa tendenza si accentua progressivamente man mano che ci si avvicina alla fine del periodo di espansione: l’agricoltura pienomedievale, malgrado i progressi realizzati, è ancora poco produttiva, sicché all’inizio del Trecento cominciano a susseguirsi le crisi di sussistenza.
La proprietà contadina, ripetutamente assottigliata dalle divisioni successorie, diventa insufficiente al fabbisogno familiare; i prezzi dei cereali, in ascesa dalla fine del XII secolo, sono quasi triplicati alla fine del XIII; i salari restano piuttosto stabili; i contadini ricorrono sempre più frequentemente a prestiti in denaro per fronteggiare i rincari di terra, sementi, animali, attrezzi, nonché le crescenti richieste del fisco; molti perdono, in tal modo, le proprie terre, e si trasformano in braccianti, al servizio talvolta di contadini che riescono ad arricchirsi sfruttando le trasformazioni in corso, più spesso di proprietari fondiari che inglobano le terre dei contadini rovinati nei propri possedimenti, o di nuovi proprietari di origine borghese. Ridotti dalla condizione di affittuari a quella di braccianti sono spesso anche i contadini non più protetti dalla lunga durata dei contratti d’affitto: nelle campagne europee, tra la metà del Duecento e l’inizio del Trecento inizia il ripiegamento che sfocerà nella crisi di metà secolo.
Il mondo rurale esce apparentemente molto trasformato dalla crisi: l’alleggerimento della pressione demografica ne migliora le condizioni, riabbassando i prezzi, rialzando i salari, rendendo maggiormente disponibile la terra. La tendenza, tuttavia, non è di lunga durata, e nel giro di alcuni decenni la maggiore proprietà riafferma in modo vigoroso la propria presa sui contadini, impiegando largamente poteri di coercizione di tipo propriamente politico e imponendo contratti d’affitto a breve termine, che proseguono la tendenza precedente e che sono sempre più dettagliati nella prescrizione dei doveri del locatario.
Nell’area europea centro-occidentale, tuttavia, la struttura della proprietà si è ormai modificata, e l’antico ceto signorile ha perso terreno a vantaggio di nuovi soggetti sociali: la proprietà che riprende il sopravvento nelle campagne tardomedievali non è solo di origine signorile, ma fa anche capo a famiglie che hanno avviato le proprie fortune partendo dalla mercatura, oppure si è costituita tramite processi di differenziazione economica interni allo stesso mondo rurale.
In alcune aree (in linea generale, accomunate dalla debolezza dei poteri pubblici e da limitata differenziazione sociale), però, questa trasformazione non si determina: nella penisola iberica e nel Mezzogiorno italiano la grande proprietà esce rafforzata in ricchezza e in diritti sugli uomini; ancor più accentuato è il processo in Germania orientale, dove i signori si impossessano delle terre rimaste deserte e impiegano massicciamente una forza non contrastata da alcun vero potere statale per costringere i contadini a prestazioni d’opera sui loro domini, dando origine a nuove forme di servaggio proprio mentre nel resto dell’Occidente la servitù contadina è quasi del tutto scomparsa.