Le città costantiniane: da York a Gerusalemme
Se ci si sofferma a considerare quale sia stato il rapporto che ha legato, nel corso del suo regno, Costantino e le città dell’Impero, inevitabilmente il nostro campo visivo sarà attratto e catalizzato dall’immagine delle due capitali. L’antica Roma da un lato, con i suoi tanti monumenti pubblici e le immense basiliche fatte costruire per ordine dell’imperatore, e la Nuova Roma dall’altro, voluta da Costantino, che le dà il proprio nome e la consacra nel 330, finiscono per mettere ai margini tutta una serie di altre città che, a vario titolo, segnano tappe importanti della vita dell’imperatore e serbano, in modo più o meno evidente, la memoria delle sue provvidenze. Cercando di seguire, ove possibile, il filo della storia pubblica e privata dell’imperatore, ci si propone in questa sede di tracciare un quadro complessivo delle ‘città di Costantino’: di quelle, ovvero, che furono sede di replicati e prolungati soggiorni da parte dell’imperatore e, assieme a esse, anche delle altre poco o punto da lui frequentate, ma che, per ragioni di varia natura, furono gratificate da speciali committenze architettoniche e per le quali a tutt’oggi manca uno studio d’insieme1.
Stando a quanto riportano alcune fonti, sembrerebbe addirittura che l’attenzione particolare rivolta da Costantino alle due capitali – e in special modo alla Nuova Roma – abbia finito per arrecare danno a tutte le altre città. Un passo, fin troppo abusato, di Girolamo, a proposito dei bronzi e dei marmi trasportati a Costantinopoli per adornare gli spazi pubblici della città e farle assumere d’un sol colpo la fisionomia di una grande metropoli così da elevarla al rango di capitale, sottolinea il fatto che tutto ciò era stato ottenuto a prezzo della spoliazione delle altre città dell’Impero2. Parimenti, le disposizioni restrittive nei riguardi degli edifici templari, sostanziatesi nelle requisizioni di ornamenti, materiali di valore e dotazioni mobili ricordate a più riprese da Eusebio3, si inscrivono in un quadro politico e normativo di più ampio respiro, che non è rivolto soltanto a soddisfare le esigenze della nuova capitale o a esprimere le istanze filocristiane di Costantino, ma lascia intravedere, più in generale, una congiuntura sfavorevole per il prestigio politico delle cittadinanze, che vedevano in questo modo diminuire le proprie autonomie a vantaggio della res privata4.
Esistono però altri dati storici, epigrafici e archeologici che danno la misura dell’impegno con cui Costantino, come princeps romano, assolve ai suoi obblighi nei confronti delle città.
In atti ufficiali, quali sono i rescritti imperiali, l’imperatore ribadisce in più di un’occasione il proprio ruolo di sostenitore delle prerogative urbane: si prenda ad esempio la risposta che egli fornisce a una petizione avanzata dagli abitanti di Orkistos, località della Frigia, che reclamavano una maggiore indipendenza amministrativa da un centro vicino, quale era Nacoleia. Costantino rassicura i petitori, ricordando in primo luogo gli elementi che assicuravano a Orkistos il rango di città: magistrature annuali, la presenza di curiales, la collocazione della città come mansio all’interno della rete delle comunicazioni stradali anatoliche, le infrastrutture (sorgenti d’acqua e mulini) e i monumenti pubblici (un foro ricco di statue) di cui era dotata; ma soprattutto conferma che la loro richiesta di uno statuto di indipendenza civica non poteva essere negata dall’imperatore, «che ha il dovere o di fondare nuove città, o di far rivivere quelle antiche, o di riparare quelle che sono sul punto di scomparire»5.
Di analogo tenore è un passo della nota iscrizione di Hispellum, con la quale Costantino concede agli umbri di erigere un «tempio dedicato alla […] gente Flavia»6. Non interessa, in questa sede, stabilire se questo atto, datato comunemente tra il 333 e il 337, costituisca un’apertura di credito nei confronti dei culti pagani o solo un semplice escamotage per consentire alla popolazione locale d’indire giochi e trarne i conseguenti benefici economici7. Più significativa, ai fini del presente discorso, è la dichiarazione d’intenti posta a preambolo del testo, nella quale Costantino afferma che «il compito massimo dei nostri provvedimenti è che tutte quelle città che entro i confini di ogni provincia e regione si distinguono per l’aspetto e per la bellezza non soltanto conservino la dignità d’un tempo, ma anche s’innalzino a migliore condizione, grazie alla nostra benevola generosità»8.
Se pure non dobbiamo dare eccessivamente credito all’enfasi retorica e al gusto dell’iperbole palesati dall’anonimo autore del panegirico del 310, inneggiante agli innumerevoli centri che sorgono al passaggio dell’imperatore9, va comunque detto che Costantinopoli non è l’unica città di nuova fondazione promossa da Costantino. Accanto a essa, ve ne sono altre, sorte a fini celebrativi e insieme strategici, per il controllo del territorio e l’incremento del culto cristiano, anche se rispetto alla capitale non conobbero uguale fortuna. Mi limito a segnalare solo un paio di casi: per Heleno(u)polis, fondata nel 327 in onore della madre Elena sulla costa meridionale del golfo di Nicomedia10, sembrerebbe che la scelta del sito, fronteggiante la neonata Costantinopoli, sia stata condizionata dalla presenza in loco delle spoglie di un importante martire, san Luciano di Antiochia, cui la pia imperatrice voleva rendere omaggio11. Anche in questo caso, tuttavia, assieme a istanze religiose, ve n’erano altre, d’indole logistica e strategica, legate all’esigenza di ampliare e diversificare i collegamenti della capitale con la penisola anatolica. Non è noto quanto fosse vasta e articolata la fondazione costantiniana, situata probabilmente nell’area attualmente occupata da Hersek, ma certo non dovette conoscere un grande sviluppo: probabilmente a motivo di una posizione rivelatasi infelice, in un’area fortemente soggetta a sedimentazione della costa, essa, già due secoli dopo, doveva apparire talmente dimessa da suggerire a Giovanni Malalas giochi di parole allusivi allo stato miserando delle sue strutture12. I restauri promossi da Giustiniano, relativamente al ripristino di un acquedotto, di due impianti termali e di altri edifici, offrono un’immagine solo molto indiretta della facies costantiniana della città13 e non ebbero comunque neppure essi grande efficacia, considerato che il centro costiero più importante e vitale divenne poi Pylae, da riconoscersi nell’attuale Karakilise14.
Altro caso di rifondazione, con conseguente cambio di denominazione, è quello offerto da Cirta. La città della Numidia, già duramente colpita nell’epoca delle persecuzioni, più tardi vedrà la propria sede episcopale occupata con la forza dai donatisti, con l’evidente conseguenza della pronta reazione del vescovo, che si rivolgerà a Costantino per un arbitrato, e della successiva concessione di una domus di proprietà imperiale da trasformare in basilica episcopale a spese del fisco15.
L’antica Eburacum è il teatro del primo decisivo passo della carriera politica di Costantino: deceduto in questo centro il padre Costanzo Cloro il 25 luglio del 30616, il futuro imperatore accetta la nomina a Cesare dopo aver ricusato, per saggio calcolo politico, l’immediata elezione ad Augusto che i legionari erano pronti a concedergli. York, da fortezza legionaria – qui era di stanza la VI Victrix – era passata a essere prima colonia e poi capitale della Britannia Inferior; nel 296 era infine divenuta capitale della provincia denominata Flavia Caesariensis in ragione della residenza di Costanzo. Negli anni successivi alla sua proclamazione, Costantino sposta il proprio raggio d’azione nell’area di Treviri, per condurre al meglio le campagne belliche contro i germani, ma, come lascerebbero intendere alcune emissioni monetali17, con ogni probabilità fa ritorno in Britannia e presumibilmente anche a York. La questione concernente l’esistenza in città di un palazzo adatto a ospitare la corte è tuttora aperta: l’eccessiva disinvoltura con cui alcune fonti parlano di tale edificio, addirittura all’epoca di Settimio Severo e poi in quelle di Costanzo e di Costantino, è stata messa in evidenza dagli studiosi: soprattutto nel resoconto dell’elezione del 306, con ogni evidenza sia il panegirista del 310 sia Eusebio non si rifanno a testimonianze oculari, ma attingono al cerimoniale previsto dal protocollo per supplire alle lacune delle loro fonti. In realtà, tanto la visita di Settimio Severo quanto quella costantiniana del 306 sono frutto della contingenza e in nessun modo prevedevano una presenza stabile, tale da richiedere la realizzazione di strutture particolari. Il teatro della cerimonia è il praetorium locale, forse da identificarsi con un’ampia struttura, scavata nel 1939 a nordovest della strada principale che conduce alla porta pretoria della fortezza, caratterizzata da un grande edificio absidato e ritenuta in un primo tempo un impianto termale18. Per la struttura, riconosciuta in seguito quale sala di udienza con ipocausti, del tipo di quelle ben più note di Treviri e di Savaria, è proposta ora una datazione al III secolo19, sebbene la presenza di contrafforti aggettanti alla base dell’abside richiami alla mente analoghe sistemazioni absidali in più tardi edifici tessalonicesi, come ad esempio la basilica di Odós 3 Septembriou20. D’altronde, la creazione della nuova provincia settentrionale, dopo la riconquista della Britannia da parte di Costanzo Cloro nel 296, rende necessari alcuni adeguamenti di determinati settori della fortezza, come la monumentalizzazione della fronte sudoccidentale e la ricostruzione dei principia, ascrivibili proprio a Costanzo e Costantino, dalla cui area proverrebbe anche la testa più grande del vero ora conservata presso lo Yorkshire Museum, riconosciuta come un ritratto del giovane Costantino21. Malgrado un recente tentativo di anticipare la loro erezione a età severiana, la spettacolare parata delle monumentali torri poligonali lungo il settore sudoccidentale della cinta sarebbe da ascriversi agli inizi del IV secolo, sulla base degli stringenti confronti istituibili con il disegno delle torri nel muro di cinta di Romuliana (oggi Gamzigrad), residenza imperiale e luogo di sepoltura dell’imperatore Galerio22.
Con la nomina prima a Cesare e poi ad Augusto, Costantino stabilisce a Treviri la propria principale residenza. Dalla città posta sulle rive della Mosella, egli coordina le sue numerose campagne contro i barbari e medita le mosse successive che lo porteranno allo scontro con Massenzio e quindi al dominio incontrastato di tutta la pars occidentalis dell’Impero. Tra il 307 e il 317, ma anche successivamente, grazie alla presenza del figlio Crispo, Costantino fa di Augusta Treverorum la sua capitale, riplasmandola con un imponente programma di committenze architettoniche. Il senso di questo work in progress è restituito dalle parole del panegirico del 310, recitato a Treviri da un anonimo retore di Autun: come in una sequenza di fotogrammi, appaiono «un Circo Massimo che può, credo, far concorrenza a quello di Roma […] le basiliche, il foro, opere davvero degne di un re, e il palazzo di giustizia levarsi così in alto, che sembrano protendersi agli astri e al cielo, di cui queste opere sono degne: e si tratta certo di benefici dovuti tutti alla tua presenza»23. Non tutti i monumenti evocati si possono ascrivere interamente alla volontà di Costantino, in quanto la città, fondata da Augusto nel 15 a.C., aveva conosciuto un suo notevole sviluppo tra il I e il II secolo d.C., prima ancora di divenire sede imperiale in età tetrarchica24, ma certamente l’impegno dell’imperatore fu altissimo, con esiti paragonabili a quelli delle committenze romane e a quelli presumibilmente raggiunti a Costantinopoli.
È in particolare il quadrante nordorientale della città, delimitata dalle possenti mura del II secolo d.C.25, a essere interessato dai lavori. L’edificio forse più imponente e senz’altro meglio conservato, no;nostante tutti gli stravolgimenti, le parziali demolizioni e i restauri subiti, è la basilica o Aula palatina26: si tratta di un’immensa aula a navata unica (67 m × 27,5 m) con terminazione absidale, affiancata da due portici laterali e preceduta da un’aula trasversale, essa pure mononave e absidata. Oltre che per i rinvenimenti monetali e i mattoni bollati27, l’edificio si può datare con sicurezza all’età costantiniana per i precipui caratteri della sua architettura slanciata e monumentale, per la luminosità dell’interno garantita dal doppio ordine di finestre, per la ricchezza delle decorazioni marmoree pavimentali e parietali, di cui sono stati individuati cospicui resti28. La vivibilità dello spazio interno dell’aula, così ampio e unitario, era assicurata da un sistema di riscaldamento mediante ipocausti posti sotto i pavimenti dell’aula e dell’abside, che potevano funzionare indipendentemente e scaldare quindi settori distinti dell’ambiente. In tal modo la cosiddetta Konstantinbasilika poteva assolvere alla funzione di aula di ricevimento e di udienza dell’imperatore che, assiso al centro dell’abside, si palesava maestosamente all’assemblea, suscitando negli astanti quei sentimenti di riverenza e di timore così ben descritti nel panegirico dedicato da Ausonio a Graziano29.
Non è chiaro in che modo l’Aula palatina si collegasse con gli altri edifici che componevano la residenza imperiale e che comunque dovevano gravitare nel settore nordorientale di Treviri. Sotto questo profilo, l’ippodromo doveva rivestire un ruolo di spicco, sebbene non si possa escludere che esso fosse in funzione prima del IV secolo, come farebbero ritenere alcuni mosaici pavimentali, rinvenuti in domus private della città, decorati con soggetti correlati con le corse dei cavalli30. Sporadiche indagini archeologiche seguite alle trasformazioni urbanistiche di questa parte della città prospiciente il Petrisberg hanno permesso di determinare grosso modo le dimensioni dell’impianto (450 m × 100 m), mentre la sua collocazione si può dedurre dal particolare orientamento degli assi stradali. Sono stati intercettati anche tratti dei porticati e del muro di spina, e infine di un condotto idrico, la cui destinazione d’uso erano principalmente le terme imperiali, ma che grazie a un’apposita diramazione alimentava pure un bacino ornamentale della spina. Il circo non è ricordato dalle fonti prima del IV secolo, segno che è a partire da quest’epoca, probabilmente per il suo rapporto privilegiato con il palazzo imperiale, che esso comincia ad assumere una particolare importanza. Sebbene non siano noti specifici interventi di riqualificazione promossi da Costantino, al IV secolo è da assegnare un capitello figurato rinvenuto a sud del circo: sui quattro lati del manufatto, inquadrati da Vittorie angolari, appaiono busti maschili, di cui uno, racchiuso entro un clipeo, potrebbe riconoscersi come un ritratto di un membro della famiglia imperiale31.
Le terme imperiali, poste in un’area sudoccidentale rispetto al circo, non figurano tra i monumenti menzionati nel passo del panegirico del 310 già richiamato, ma sono senz’altro un impianto da ricollegare all’ampliamento della residenza imperiale dei primi decenni del IV secolo, per le cui esigenze si riteneva necessario un complesso termale autonomo, distinto dalle precedenti e pur grandi terme pubbliche, denominate comunemente Barbarathermen, collocate in un’area sudoccidentale rispetto al Foro32. Le Kaiserthermen si pongono a mo’ di cerniera e insieme di diaframma tra il settore occupato dalla residenza imperiale e l’abitato antico, che peraltro sostanzialmente vanno a coprire, obliterando un’area vasta quasi quanto il Foro, in cui prima sorgevano domus private. Rispetto alle Barbarathermen, da cui sostanzialmente non si differenziano nella planimetria, le terme imperiali appaiono d’impianto più compatto e monumentale, mostrano una marcata predilezione per le soluzioni curvilinee nel disegno degli ambienti e un’efficace rete di corridoi e spazi sotterranei destinati al passaggio delle tubature e all’alimentazione delle fornaci. Curiosamente, questo evoluto impianto termale che può essere accostato, oltre a monumenti romani del calibro delle terme di Diocleziano, a quelle costantiniane della più vicina Arles, non viene concluso e forse nemmeno messo in funzione33. In un periodo più tardo, probabilmente sotto Valentiniano e Graziano, le strutture abbandonate delle Kaiserthermen sono radicalmente trasformate, restringendo il blocco formato dalla sequenza frigidarium, tepidarium, caldarium, e ampliando invece considerevolmente il portico antistante, lungo le cui pareti è ricavata una serie regolare di ambienti: questi, secondo alcuni studiosi, avrebbero potuto fungere da hospitalia per la guardia imperiale34.
Per individuare altre possibili porzioni della residenza imperiale di Treviri occorre spostarsi nella zona dell’attuale cattedrale: una tradizione risalente all’alto Medioevo vuole che qui sorgesse un precedente palazzo di Elena, trasformato in chiesa per ospitare preziose reliquie provenienti dalla Terrasanta, sul modello di quel che era avvenuto a Roma per il palazzo del Sessorium35. Gli scavi seguiti ai lavori di restauro compiuti al termine della Seconda guerra mondiale hanno stabilito che la cattedrale e la contigua Liebfrauenkirche s’impostano su due aule basilicali parallele, suddivise in tre navate, databili sulla scorta dei rinvenimenti monetali non prima del terzo decennio del IV secolo36. L’aula settentrionale, quella su cui ora insiste la cattedrale, a sua volta si imposta sui resti di un edificio residenziale di altissimo livello, eventualmente riferibile ad ambienti del palazzo imperiale: si tratta in particolare di un’aula rettangolare, al di sotto del santuario della basilica settentrionale, famosa per aver restituito alcuni frammenti di affreschi atti a decorare il soffitto a cassettoni. Gli affreschi, che sono straordinari per qualità e propongono quadretti con coppie di putti che si alternano a busti di figure muliebri riccamente abbigliate, a giudizio di qualche critico potrebbero anche essere i ritratti di Elena, Fausta ed Elena minore, rappresentate in un ambiente che doveva commemorare le nozze di quest’ultima con Crispo. La celebrazione, attraverso la pittura, di felici eventi familiari non sarebbe cosa inusitata nei programmi decorativi dei palazzi imperiali dell’epoca, come si vedrà più avanti a proposito del palazzo di Aquileia, ma in questo caso la collocazione defilata e la genericità delle figure pongono qualche problema per la loro identificazione con personaggi storici, sebbene l’opzione, di segno ben diverso, che si tratti di rappresentazioni allegoriche sollevi essa pure non minori difficoltà37.
In base ai ritrovamenti numismatici, dopo il 326 l’edificio residenziale che racchiude gli affreschi viene obliterato e al di sopra di esso è costruito un imponente complesso destinato al culto cristiano38: due basiliche parallele, suddivise ciascuna in tre lunghe navate e precedute da atrio, poste in reciproco contatto da alcuni ambienti, tra i quali trova posto un battistero39. I lavori per il completamento del vasto complesso episcopale, che occupa l’area di due insulae, si protraggono a lungo, se è vero che nel 348 Atanasio di Alessandria assiste alle celebrazioni pasquali in una chiesa che gli appare ancora non finita40. Le indagini archeologiche permettono di delineare un quadro costituito da molteplici adattamenti architettonici e liturgici che perdurano anche nella seconda metà del IV secolo41, concentrati in special modo nell’area presbiteriale della chiesa settentrionale, caratterizzata dalla presenza di una struttura centralizzata, il ‘Quadratbau’, da interpretarsi probabilmente come un corpo di fabbrica che enfatizzava il punto in cui era conservata una preziosa reliquia, forse una particola della vera croce o la veste di Cristo42. La fusione della struttura quadrata con il corpo basilicale richiama modelli ben noti di martyria di Terrasanta, nella fattispecie la Natività di Betlemme.
Assieme a Treviri, nella politica costantiniana Arles gioca un ruolo importante, che non può essere disconosciuto, nonostante taluni eccessi d’enfatizzazione da parte della letteratura locale43; lo stesso appellativo di Constantina Urbs, con cui è ricordata dalle fonti e dalle emissioni monetali della zecca, dal 328 al 340, probabilmente a memoria dei natali del figlio Costantino II, è presto esteso, nel comune sentire, alle provvidenze dell’Augusto a favore della città44. Il dibattito storiografico più recente ha spinto poi alcuni studiosi a collocare ad Arelate avvenimenti significativi, come il matrimonio di Costantino con Fausta, nel settembre del 307, forse proprio nello stesso palazzo in cui Costantino accoglierà Massimiano all’indomani della conferenza di Carnuntum45. Arles sarà poi scelta dall’imperatore come sede, nel 314, di un importante concilio dei vescovi delle province occidentali, chiamati a dirimere la questione donatista46. Oltre alle fonti, non mancano poi indicatori archeologici, come la cospicua quantità di pietre miliari rinvenute nella Gallia Narbonese, a testimonianza delle cure che, tra il 307 e il 310, Costantino, assieme a Massimiano, profonde in favore di quella regione47.
All’interno della città di Arles, il monumento tradizionalmente messo in rapporto con Costantino è il palazzo della Trouille, un insieme di strutture poste sulle rive del Rodano nella parte settentrionale dell’abitato che vanno più opportunamente riconosciute, secondo quanto ribadiscono i sondaggi archeologici più recenti, come un grande impianto termale simile e cronologicamente prossimo alle Kaiserthermen di Treviri48. Tracce più cospicue di interventi evergetici di età costantiniana si apprezzano ad esempio nel rimaneggiamento della facciata del Foro, con il reimpiego di membrature architettoniche di età flavia e l’inserimento di un’iscrizione oggi di non agevole lettura, risalente su base prosopografica al periodo compreso tra il 324 e il 32649. Un’altra acquisizione recente è l’individuazione, a sud delle terme, di un edificio pubblico di vaste proporzioni (58 m × 20 m), a navata unica, forse desinente in un’abside, illuminato da una fila di ampie finestre: tutte caratteristiche iconografiche e architettoniche, queste, che rimandano al tipo di aula palatina esemplificata da quella di Treviri. Sulla scorta dei magri e incompleti materiali ceramici raccolti, essa potrebbe essere collocata sul finire del IV secolo e, in via ipotetica, accostata alla basilica Constantia citata nella Vita di Sant’Ilario dei primi del V secolo50. Dall’immagine che si ricava della Arles tardoantica non emergono con chiarezza strutture riconducibili a una residenza imperiale, nemmeno nell’area prossima all’ippodromo: intorno all’impianto, costruito alla metà del II secolo d.C. al di fuori della città, si forma presto un’area funeraria, cui pare debba riferirsi un edificio cupolato, ritenuto comunemente un mausoleo51. Va tuttavia detto che di recente Noël Duval ha proposto di interpretare l’edificio come sala di accoglienza o vestibolo per il cerimoniale delle corse circensi52. Un atto sommamente indicativo della predilezione mostrata da Costantino verso l’ippodromo di Arles, e che ne sottolineerebbe il ruolo non solo ludico ma anche propagandistico e cerimoniale, è infine rappresentato dal trasporto e dalla collocazione sulla spina di un obelisco in granito troadense, ora ricollocato dinanzi al municipio53. Anche se mancano elementi storici o epigrafici per sostanziare questa attribuzione, non si vede altro personaggio al di fuori di Costantino in grado di avere l’autorità e l’intenzione di gratificare, con una tale prestigiosa donazione, l’ippodromo della gallula Roma54.
Nei drammatici momenti della discesa in campo di Costantino contro Massenzio, nell’autunno del 312, sono molte le città dell’Italia settentrionale che oppongono resistenza. Anche Aquileia, in ossequio forse a un radicato temperamento lealista, che già in occasioni precedenti l’aveva portata, in presenza di scontri tra pretendenti al trono imperiale, a prendere le parti del rappresentante legittimo, si schiera con Massenzio, fino ad arrendersi, tuttavia, dopo la conquista di Verona da parte delle truppe costantiniane. Non sembrerebbero queste le premesse ideali per l’avvio di un rapporto positivo tra Costantino e la città: viceversa, come afferma Nazario nel suo panegirico, l’imperatore non solo non cede all’ira, ma anzi colma Aquileia di «incredibilium bonorum commoditates»55. Tale tratto di benevolenza è confermato dai dati storici che, negli anni successivi, registrano una frequentazione della città costante da parte di Costantino e talvolta per periodi discretamente lunghi56. Prima ancora di questi eventi è comunque forse possibile ricavare un contatto tra il sovrano e la città, in un celebre quanto suggestivo passo del Panegirico 6 del 307 in onore di Massimiano e Costantino. In esso si rievoca un dipinto nella sala di apparato del palazzo di Aquileia – «imago […] in Aquileiensi palatio, ad ipsum convivii posita adspectum» – ove un Costantino ancora giovanissimo riceve da un’ancor più giovane Fausta, quale pegno di fidanzamento, «un elmo splendente d’oro e di gemme, con in cima belle piume d’uccello»57. Di questo palazzo, definito in un altro passo del panegirico «iucundissima sedes laetitiae», è ancora incerta l’ubicazione. Già nel XIX secolo, Pietro Kandler lo poneva nell’area nordoccidentale della città, ultima zona di espansione della colonia dedotta dai romani nel 181 a.C., caratterizzata tra l’altro dalla presenza dell’ippodromo58. In seguito sono state avanzate altre candidature, come l’area a sud della basilica, in coincidenza con strutture rivelatesi poi pertinenti a magazzini alimentari59, o gli ambienti stessi sottostanti al complesso teodoriano60. Altri studiosi ancora hanno rivolto la propria attenzione al grande complesso monumentale presso il teatro, le Grandi terme, nel quale hanno voluto vedere una residenza privata di altissimo livello61. Più di recente si è tornati a guardare alle aree adiacenti all’ippodromo: in particolare lungo il versante ovest gli scavi hanno messo in luce, in località Marignane, una vasta residenza che, per la spiccata sontuosità dei suoi apparati decorativi, è parsa meritarsi l’appellativo di imperiale62. Il ritrovamento nell’area di un’iscrizione relativa a Costantino rafforzerebbe ulteriormente questa ipotesi63. Il limite di questa ricostruzione risiede, tuttavia, nella collocazione extraurbana del cosiddetto palazzo, in quanto il tratto di ampliamento della cinta muraria che transita in questo settore e ingloba l’ippodromo, sfruttandone il muro occidentale, lascia all’esterno proprio il complesso di Marignane64. Per questa ragione, altri studiosi preferiscono collocare il palazzo lungo il lato opposto dell’ippodromo, dove pure altre presenze archeologiche sono state accertate65, e attribuire invece alla villa di Marignane un carattere di residenza privata, destinata a un funzionario di altissimo rango66.
Aquileia, che già con Diocleziano era divenuta capitale della Venetia e sede di zecca imperiale, agli inizi del IV secolo è comunque una città di straordinaria importanza. Ne fanno fede, oltre al già citato ampliamento urbano, gli abbellimenti del Foro e la realizzazione di imponenti monumenti pubblici, come le terme presso il teatro, che un’iscrizione frammentaria rinvenuta negli anni Ottanta del secolo scorso consente di ricollegare alla committenza costantiniana67. Disposte su un’area di circa due ettari, le thermae felices Constantinianae – questo è l’appellativo che si ricava dal dettato dell’epigrafe – costituiscono un esempio notevole di terme imperiali, le quinte per grandezza in tutto il mondo romano, caratterizzate da un maestoso frigidarium pavimentato in opus sectile e affiancato da due aule simmetriche, che prendono il posto usuale della palestra, con pavimenti musivi figurati a soggetto venatorio68.
Vi è chi ha inoltre visto un qualche coinvolgimento di Costantino anche nel più importante monumento paleocristiano di Aquileia: sito nella parte meridionale della città, il complesso episcopale69, articolato in due aule parallele connesse da una terza trasversale, deve il proprio nome al vescovo Teodoro, ricordato da un’iscrizione nel mosaico pavimentale dell’aula sud, quella su cui poi si impianterà la basilica post-teodoriana70, e appare in buona sostanza il frutto di una committenza tutta interna all’episcopato locale. L’articolazione delle due aule parallele, raccordate da ambienti trasversali, richiama alla mente lo schema del complesso episcopale di Treviri. Nel ricchissimo pavimento musivo dell’aula sud di Aquileia, che accoglie, tra gli altri, soggetti simbolici, figure allegoriche e il miracolo di Giona, spiccano alcuni clipei con busti maschili e femminili che si è tentato di riconoscere come ritratti di membri della famiglia di Costantino71. L’assenza di indicazioni epigrafiche e la genericità nella resa dei volti non permettono, però, di suffragare con dati certi l’idea suggestiva di cogliere nel mosaico dell’aula di Teodoro un’eco dei ritratti imperiali descritti nel Panegirico del 30772. Ancor più recente è la lettura in chiave politico-teologica del ciclo di Giona, visto come riflesso del diretto coinvolgimento di Costantino nel dibattito sulla controversia donatista all’indomani del concilio di Arles73.
Ben prima del trasferimento della capitale da Roma nella seconda metà del IV secolo, il ruolo di Milano come sede frequentata dagli imperatori è esplicitato dalle fonti che rimontano alla prima età tetrarchica e dai dati storici che attestano la presenza in città di Costanzo I e di Flavio Severo74. Il primo contatto di Costantino con Milano si registra durante la campagna contro Massenzio nella primavera del 312: è celebrato con parole entusiaste dal panegirista del 31375 e sembra essere indizio di una particolare benevolenza dell’imperatore verso la città, che non gli aveva opposto resistenza. Forse anche per queste considerazioni, Costantino vi ritorna in più occasioni, di cui la più famosa cade nell’inverno del 313: oltre che per la celebrazione delle nozze della sorella Costanza con Licinio, la data è passata alla storia per la promulgazione del cosiddetto editto di Milano, più propriamente un’ordinanza imperiale espressa congiuntamente dai due Augusti, che concedeva a tutti i cittadini, cristiani e non, di seguire liberamente la propria fede, nell’auspicio che le loro preghiere, a qualsiasi entità divina fossero indirizzate, avrebbero comunque contribuito al bene e alla sicurezza dell’Impero. Altri sporadici passaggi di Costantino per Milano si ricavano dalla promulgazione di leggi e da altre fonti76, forse troppo brevi per lasciare un segno tangibile delle sue provvidenze attraverso la committenza di qualche monumento. Non è del resto cosa agevole definire la fisionomia della città nei primi decenni del IV secolo: il ritratto ammirato che ne presenta Ausonio77, lodandone l’espansione, il raddoppio della cinta muraria, la presenza di luoghi di intrattenimento, il palazzo imperiale, la zecca, i cortili adorni di statue marmoree, restituisce l’immagine di Milano tra il 380 e il 390 d.C., alla fine di un processo di accrescimento cui avevano dato il loro contributo gli imperatori – Costanzo II, Valentiniano I, Graziano, Valentiniano II, Teodosio I – che maggiormente vi avevano risieduto78.
Una recente proposta di Federico Guidobaldi consentirebbe, però, di assegnare a epoca costantiniana un edificio di grande importanza, quale è la basilica di S. Simpliciano: tradizionalmente collocata in età ambrosiana, se non addirittura fatta risalire al V secolo, la maestosa basilica, cui i restauri avviati nell’immediato dopoguerra hanno restituito gran parte della sua facies paleocristiana, mostra infatti tanto nell’icnografia (la grande navata unica del braccio longitudinale) quanto soprattutto nei prospetti (scansione degli esterni con ordini di arcate cieche su lesene entro cui si aprono grandi finestre) stringenti contatti con edifici come la basilica di Treviri, la cui assegnazione all’epoca di Costantino è sostanzialmente acclarata79. Guidobaldi propone di identificare il S. Simpliciano con la basilica Portiana, chiesa già era già esistente quando Ambrogio divenne vescovo di Milano, e che, come si ricava dalle fonti, durante l’episcopato ambrosiano era stata oggetto di contesa con il clero ariano.
Con il deterioramento dei rapporti con Licinio e l’intensificarsi delle occasioni di attrito, nel periodo compreso tra i negoziati di Serdica dell’inverno del 317 e la definitiva vittoria di Chrysopolis del 324, Costantino tende a spostare il proprio centro d’azione dalla Gallia e le regioni renane allo scenario balcanico, più prossimo ai territori oggetto di contesa con il rivale. Per tale ordine di motivi, in questi anni sono frequenti gli spostamenti e i soggiorni dell’Augusto nelle più importanti città dell’area; a queste presenze vanno ricollegate, in qualche caso e sempre con beneficio di inventario, committenze e provvidenze di varia natura a vantaggio delle popolazioni locali, il cui appoggio è ovviamente determinante per il buon esito della lotta che porterà Costantino a essere rector totius orbis80. Nel valutare lo speciale interesse dell’imperatore per questi territori non va sottovalutato poi il fatto che egli era originario di una delle principali città balcaniche, quella Naissum (oggi Niš) che non manca di dotare di nuovi monumenti, tra cui una sontuosa villa suburbana a Mediana81.
Le emissioni monetali, la promulgazione di rescritti, la traccia lasciata da altre fonti storiche consentono, pur con qualche incertezza, di ritessere la trama dei movimenti dell’imperatore, che fa proprio di Serdica, sentita come una Roma personale, la propria base di manovra82.
Particolare importanza sembra assumere anche Sirmium, la città sulle rive della Sava posta nell’immediato retroterra del limes danubiano che, con Diocleziano, era divenuta capitale della Pannonia Secunda. Qui viene attivata una zecca tra il 320 e il 325-326, anni in cui è accertata la presenza, talvolta prolungata, di Costantino. Le risultanze delle indagini archeologiche, condotte in maniera intermittente nell’abitato moderno a partire dalla seconda metà del secolo scorso, confermano il quadro di una significativa ricostruzione in chiave monumentale dell’abitato tra la fine del III e la metà del IV secolo83. Interventi riferibili alla prima metà del IV secolo – e solo eventualmente riconducibili alla volontà di Costantino – si individuano in alcuni robustamenti nel tratto meridionale delle mura urbane del III secolo e nella realizzazione di vasti horrea a ridosso delle mura; in particolare si è voluto qualificare un complesso monumentale sito nella parte orientale del centro come residenza imperiale, per alcune caratteristiche planimetriche (resti di un edificio absidato), funzionali (presenza di ambienti riscaldati), decorative (mosaici pavimentali), ma soprattutto per la prossimità all’ippodromo. Un edificio facente le funzioni di palazzo è senz’altro accertato per l’epoca di Giuliano84, ed è presumibile che esso sia stato realizzato per consentire la permanenza in città di Costantino e di Licinio; l’associazione di questa residenza con l’ippodromo, secondo il paradigmatico modello dell’architettura palaziale tardoantica85, è considerata, tuttavia, con forte perplessità da Duval, che restringe tale schema solo a pochi casi evidenti, espungendo, tra gli altri, proprio quello di Sirmium86. I recenti sondaggi archeologici, effettuati tra il 2005 e il 2007, spingerebbero comunque a riconsiderare la consistenza dell’intervento costantiniano anche in rapporto alla realizzazione dell’ippodromo87.
Un altro centro frequentato sovente da Costantino nei primi anni del terzo decennio del IV secolo è Tessalonica. La città, di remota fondazione ellenistica, divenuta capitale della provincia romana di Macedonia nel 146 a.C., sale alla ribalta tra la fine del III secolo e i primi anni del IV, allorché l’imperatore Galerio vi si trattiene in lunghi soggiorni. Ne rendono testimonianza sia l’arco trionfale, eretto a cavaliere del tratto urbano della via Egnatia, che celebra i successi della spedizione contro i Persiani del 29888, sia il palazzo imperiale, adiacente all’ippodromo, che si distende sul lato opposto della strada fino ad arrivare alla linea di costa89. Le ricerche archeologiche e gli studi attorno alla vasta area del complesso palaziale, sconvolta da una devastante urbanizzazione moderna, non sono ancora in grado di fornire tutte le risposte ai quesiti circa la cronologia – se del tutto riconducibile a Galerio ovvero caratterizzata da una diversificazione di fasi –, la natura degli edifici e la loro effettiva congruenza con il palazzo, che va inteso ovviamente come un sistema articolato di edifici abitativi e di rappresentanza intercalati a passaggi e spazi aperti90. L’eventuale riconoscimento di parti del palazzo a Costantino, cui le fonti attribuiscono invece la realizzazione di un porto91, non è stato finora avanzato, anche se Duval non manca di notare l’analogia di impianto e di articolazione degli alzati tra l’aula absidata mononave tangente l’ippodromo e l’Aula palatina di Treviri92. Diverso è il discorso per il monumento più celebre di Tessalonica, la Rotonda, che sorge sul lato opposto della via Egnatia, ma in asse con il palazzo. Anche qui l’attribuzione tradizionale è quella galeriana e i dubbi erano legati piuttosto alla funzione originaria dello straordinario monumento (ossia se si trattasse di mausoleo destinato all’imperatore o di aula templare sul modello del Pantheon93), oltre ovviamente alla vexata quaestio attorno alla datazione dei mosaici che decorano la cupola e le volte delle nicchie. Recentemente Slobodan Ćurčić ha riacceso il dibattito proponendo l’avvio della costruzione del monumento per iniziativa in realtà di Costantino tra il 322 e il 323, con l’intento di farne il suo mausoleo, in una fase della politica imperiale che vedeva Tessalonica proiettata a divenire una nuova capitale94. Il progetto si sarebbe però presto arrestato – e questo spiegherebbe il mancato completamento della Rotonda – per la decisione presa dall’imperatore di creare, invece, la nuova capitale, Costantinopoli, sul sito dell’antica Bisanzio. Sulla scia di questa intuizione, che ha il limite di congestionare la realizzazione di ben tre mausolei (tutti più o meno riconducibili alla committenza di Costantino: oltre alla Rotonda, quello romano di Tor Pignattara e l’Apostoleion di Costantinopoli) nell’arco di pochissimi anni, Charalambos Bakirtzis e Pelli Mastora provano addirittura ad attribuire gli stessi mosaici della cupola a Costantino, secondo una lettura iconografica che li epurerebbe da ogni significato cristiano, per riconoscervi invece un’apoteosi dell’imperatore portato in volo dalle Vittorie al cospetto della corte e di rappresentanti delle élite, di cui le iscrizioni ricorderebbero il nome, l’attività professionale e il mese di nascita95. La recentissima ipotesi è stata ritenuta discutibile sul piano iconologico96, ma bisogna dire che, se si guarda allo stile, si fa fatica a collocare al secondo quarto del IV secolo i pur dibattuti mosaici della Rotonda, tuttora oscillanti tra una datazione alta di età teodosiana e una bassa di età giustinianea.
La ragione storica che lega Costantino alla città di Nicea è universalmente nota: qui nel 325 l’imperatore decide di radunare i vescovi delle comunità cristiane per quello che sarà il primo concilio ecumenico della storia della Chiesa (figg. VII 1, 2; secondo volume III 6). Esigenze normative, come l’individuazione di un criterio condiviso per la definizione delle ricorrenze pasquali, e dogmatiche, incentrate soprattutto sul dibattito attorno all’eresia ariana, nonché il desiderio nutrito dall’imperatore di vedere regnare la concordia tra i sudditi cristiani della terra abitata, sono alla base della decisione di indire questo concilio, che in prima istanza si sarebbe dovuto tenere ad Ancyra. La constatazione che la posizione di questa città, nel cuore dell’altopiano anatolico, avrebbe tuttavia dissuaso i vescovi occidentali dal partecipare, suggerisce a Costantino di ripiegare su Nicea, un centro che alla più agevole raggiungibilità univa i pregi della salubrità dell’aria e soprattutto della vicinanza a Nicomedia, la città dove l’imperatore risiedeva e da cui avrebbe potuto muoversi per prendere parte alle assemblee97. La città, di antichissima fondazione, sviluppatasi sulle rive del lago Ascanius in età ellenistica e già capitale del regno di Bitinia fino alla fondazione di Nicomedia, aveva conosciuto un radicale sviluppo e ampie ricostruzioni in età romana, segnatamente sotto Traiano e Adriano, nonché la realizzazione di una possente cinta muraria nella seconda metà del III secolo, in seguito più volte restaurata ma comunque ancora ben leggibile98. Proprio reimpiegati in alcuni tratti delle mura, presso la porta di Lefke e lungo il settore meridionale, si conservano i resti di un monumento di età tetrarchica, che celebrava la vittoria ottenuta nel 298 da Costanzo Cloro sugli alamanni a Vindonissa99; ed è suggestivo pensare che Costantino, residente per l’appunto in quegli anni a Nicomedia, presso la corte di Diocleziano, non sia stato estraneo alla decisione di celebrare, con questo monumento, le gesta belliche del padre.
Ma torniamo al momento del concilio: il 21 maggio del 325 Costantino, «simile a un angelo di Dio […] smagliante nei bagliori di fuoco della sua porpora arricchita di oro e pietre preziose»100, presiede l’assemblea che dà inizio alle riunioni, ospitate non già in un edificio di culto, ma nella sala centrale del palazzo. Non si conosce pressoché nulla di questo palazzo, che si è soliti ubicare nei pressi del lago, dove affiorano alcuni resti di strutture antiche, ma indubbiamente esso doveva essere di una certa vastità, se la sua sala di rappresentanza era in grado di ospitare i partecipanti alle sedute, che, tra vescovi, accompagnatori e personale della corte imperiale, potevano forse superare le quattrocento unità101. Altro quesito destinato a rimanere irrisolto è se il palazzo, oltre che da sede delle sessioni plenarie, servisse anche da base logistica per i delegati, un po’ come, due secoli più tardi, sarà per il palazzo costantinopolitano di Hormisdas, che gli imperatori Giustiniano e Teodora mettono a di;sposizione dei vescovi e degli egumeni monofisiti intervenuti al concilio del 533102. Ciò che si evince da alcune fonti seriori103 è che l’aula del palazzo di Nicea, evidentemente in qualche maniera distinta dal resto del palazzo, viene in seguito trasformata da Costantino in edificio di culto a memoria del primo concilio ecumenico104: la pianta, probabilmente mutuata, con qualche indispensabile adattamento, da quella dell’Aula palatina, doveva ricordare, a detta del pellegrino Willibald, quella di un’altra fondazione costantiniana, ovvero il santuario dell’Eleona sul monte degli Ulivi a Gerusalemme, mentre all’interno era possibile ammirare alcune pitture che rappresentavano i vescovi riuniti in assemblea. La santità del luogo era poi confermata, secondo il testo di una nota Laudatio bizantina, dall’essudazione di un particolare olio santo fuoriuscente da una lastra di marmo all’interno della chiesa. Non è possibile stabilire in quale epoca nella cosiddetta chiesa del Concilio compaiano sia il ciclo iconografico commemorativo sia le prodigiose manifestazioni taumaturgiche: l’eventuale trasformazione di una parte del palazzo in aula di culto, che le fonti lasciano intendere come iniziativa costantiniana, non pare comunque inverosimile per quell’epoca, essendo confortata dall’illustre esempio offerto dalla trasformazione a Roma del palazzo del Sessorium nella chiesa di Santa Croce in Gerusalemme, realizzata per ospitare la reliquia gerosolimitana della vera croce105.
Antiochia rientra nel novero di quelle città per le quali manca un preciso aggancio con le vicende biografiche dell’imperatore. Il panegirico del 310 e l’Anonimo Valesiano lasciano in effetti intendere che il giovane Costantino abbia accompagnato Galerio, nella primavera del 298, nelle sue campagne contro i Persiani alla volta di Ctesifonte. In quest’occasione egli potrebbe anche essere transitato nella metropoli siriana106. Comunque sia, a parte questa eventuale visita giovanile, Antiochia resta fuori dai movimenti di Costantino107, ma non certo dai suoi provvedimenti. La città, assieme ad Alessandria la più importante del Mediterraneo orientale dal punto di vista storico e culturale, purtroppo ciononostante è nota solo imperfettamente: le grandiose campagne di scavo, condotte alla metà circa del secolo scorso dalla missione archeologica americana della Princeton University, se hanno avuto l’indubbio merito di identificare vaste aree residenziali caratterizzate da grandiose domus conosciute per i loro splendidi mosaici pavimentali, non sono riuscite però a sciogliere gli interrogativi che gravano sulla topografia del centro urbano e sull’ubicazione dei monumenti più famosi108. A queste incertezze non sfugge nemmeno l’Ottagono, la grande chiesa episcopale che costituisce l’unica committenza nota di Costantino. Eusebio riferisce che l’edificio, inaugurato nel 327 ma consacrato solo nel 341 da Costanzo II, aveva impianto ottagonale con una copertura apparentemente cupolata109, ma nulla aggiunge circa la sua collocazione. Più tardi Giovanni Malalas lo pone presso le terme di Filippo, peraltro non altrimenti note110. Qualche ulteriore elemento di discussione è offerto da alcuni manoscritti che presentano la Vita greca di Simeone lo Stilita, da cui si ricava che il tragitto percorso dalla salma del santo (asportata nel 459 sotto scorta armata dall’eremo di Telanissos, ove poi sarebbe stato costruito lo spettacolare santuario di Qal’at Sim’an, per essere sepolta ad Antiochia) transita presso l’Ottagono in un luogo chiamato Metanoian presso il toro111. L’indicazione ha offerto il destro per collocare l’impianto dell’Ottagono nei pressi dell’ippodromo e del palazzo imperiale, sulla scorta degli indizi offerti dal mosaico cosiddetto della Megalopsychia di Yakto, una fonte iconografica di fondamentale importanza per la conoscenza della città di Antiochia. Tale mosaico (metà del V secolo), che ornava una delle domus dell’antico sobborgo di Daphne (oggi Yakto), è caratterizzato da un emblema centrale, con un clipeo contenente la personificazione della Magnanimità, attorniato da scene di caccia, ma è famoso soprattutto per la sua particolarissima bordura topografica, lungo la quale si snoda, attraverso vivaci vignette, un ideale percorso che dalla fonte Castalia di Daphne raggiunge Antiochia112. Tra i vari monumenti sinteticamente rappresentati e sovente accompagnati da didascalie, vi è un tratto in cui si vedono, in successione, l’ippodromo, uno spazio con costruzioni e l’incompleta scritta piana (da integrarsi eventualmente in Tauriana), una colonna con una statua sulla sommità e un edificio poligonale, davanti al quale è posta una figura apparentemente in posizione di orante: secondo Glanville Downey, la maquette poligonale rappresenterebbe allora l’Ottagono costantiniano nei pressi di un’area denominata Tauriana, eventualmente per la presenza di un gruppo statuario, peraltro noto dalle fonti113. L’ipotesi è stata però recentemente ridiscussa, sottolineando che la tessitura del mosaico non consente un’integrazione della didascalia nel senso auspicato, e che le strutture che dovrebbero rappresentare nel mosaico il palazzo appaiono troppo anguste e ordinarie per tale scopo114.
La consacrazione dell’edificio avvenuta nel 341115 consegna una costruzione dagli elementi strutturali e decorativi di spiccata originalità: ne fanno fede gli appellativi – Dominicum aureum, domus aurea – con cui è richiamata nelle fonti, che fanno sfumare nel ricordo la dedicazione originaria alla Concordia116, e sottolineano lo sfarzo e la brillantezza della cupola, il cui estradosso dorato sfavillava sotto i raggi del sole ed esaltava la ampia calotta emisferica, probabilmente realizzata con materiali leggeri e ampio uso del legno. La struttura ottagonale era circondata da ambienti e da esedre, forse articolati su due piani, mentre l’intero complesso era delimitato da un ampio peribolo. L’opera di Eusebio fornisce la descrizione dell’apparato esterno e della decorazione interna dell’edificio, arricchito da una pavimentazione a lastre e dalla presenza di statue, sia nelle Laudes Constantini, che sono scritte nel 335 (vale a dire sei anni prima della consacrazione costanziana), sia, come interpolazione, nella Vita Constantini. Altre notizie si traggono da Giovanni Malalas, secondo il quale, dopo il rovinoso terremoto del 526-528, il sisma fu soltanto causa indiretta della distruzione dell’Ottagono, in quanto la cupola, in un primo tempo rimasta integra malgrado le scosse, solo in un secondo tempo sarebbe stata devastata dal fuoco117. Questo dettaglio può avvalorare l’ipotesi di un preponderante impiego del legno tra i materiali di costruzione.
L’adozione da parte di Costantino di una tipologia centralizzata come pianta per la chiesa di Antiochia non deve sorprendere più di tanto: se la pianta basilicale a più navate sembra essere la prassi nelle fondazioni romane e in Terrasanta, non va dimenticata la predilezione, nell’architettura dell’età costantiniana, per planimetrie centralizzate: non solo nell’edilizia residenziale o negli impianti termali118, ma forse anche nell’architettura religiosa, se coglie nel segno la suggestione avanzata recentemente da Mauro della Valle a proposito della Megale Ekklesia costantinopolitana119. Alcuni studiosi hanno voluto vedere nella scelta di una pianta centrale la prova che la destinazione primaria dell’edificio fosse quella di chiesa palatina, sulla base della eventuale prossimità dell’Ottagono al palazzo, in base all’assunto che tipici della tipologia delle chiese di palazzo erano la planimetria centrale e preferenzialmente l’impianto ottagonale120.
Si è detto che, se Costantino ha fatto di Costantinopoli il centro del suo potere politico, parallelamente ha reso Gerusalemme e le altre località della Palestina il cuore del suo Impero cristiano121. Il fenomeno di monumentalizzazione della Terrasanta non si manifesta tanto in concomitanza con le misure prese dall’imperatore in favore dei cristiani all’indomani dell’editto di Milano, allorché a beneficiare delle generose committenze è soprattutto Roma, quanto invece più tardi, al termine della lotta contro Licinio e in relazione allo spostamento dell’asse di interesse di Costantino verso le province orientali122. È plausibile che, in occasione del concilio di Nicea del 325, l’imperatore abbia preso informazioni dal vescovo di Gerusalemme, Macario, sui luoghi di culto presenti nella città e sulle condizioni dei siti legati a memorie bibliche ed evangeliche. La città aveva sensibilmente cambiato la propria fisionomia dai tempi di Gesù, soprattutto in seguito alle sommosse giudaiche del 70 d.C. e del 135 d.C., all’opera di distruzione operata prima da Tito e poi da Adriano, all’abbandono dell’area del Tempio e alla trasformazione in colonia col nome di Aelia Capitolina; si era sviluppato allora un nuovo settore della città, che includeva aree prima suburbane, ove erano stati costruiti monumenti simbolo dell’autorità romana come il Foro e il Capitolium123. In questo contesto profondamente mutato, la comunità giudaico-cristiana era riuscita, per lo meno in alcuni casi, a mantenere la consuetudine di radunarsi in preghiera presso luoghi che erano stati teatro di eventi della vita di Cristo, come il monte degli Ulivi o l’orto del Getsemani, mentre in altri le informazioni a disposizione erano assai più nebulose. Dal racconto eusebiano, sembra che proprio la volontà di verificare se al di sotto della colmata formatasi per la costruzione del Capitolium si conservassero tracce del sepolcro di Cristo (dato che l’area non è distante dalla zona del Golgota) spinga a eseguire delle esplorazioni nell’estate del 325. Tali indagini portano all’individuazione di una tomba, che viene riconosciuta come quella tanto agognata. Eusebio non fa menzione, invece, di altri ritrovamenti, come ad esempio quello della croce, che tuttavia, dal senso della lettera scritta in seguito da Costantino a Macario, sarebbe stata scoperta nel medesimo frangente124. Per la realizzazione degli scavi e dei susseguenti lavori, si rende necessaria la demolizione del Capitolium e di una statua di Afrodite, operazioni per le quali l’imperatore dà il proprio consenso, anzi, nella già menzionata lettera a Macario, egli è prodigo di suggerimenti e pronto ad aiuti per edificare una chiesa che risulti magnifica e, assieme a essa, un complesso di edifici di tale valore «che tutti i monumenti di qualsiasi città siano superati»125. La lettera stabilisce con chiarezza che al vicario d’Oriente Drakiliano e al governatore della Palestina spettano gli oneri finanziari per procurare i materiali da costruzione e le maestranze adatte a lavorarli, mentre al vescovo è accordata libertà di scelta sulla quantità e la qualità dei materiali e della forza lavoro, e di conseguenza sulle dimensioni generali che il complesso monumentale assumerà. La dotazione di materiali di pregio, colonne e marmi di rivestimento, evidentemente non reperibili in loco, è assicurata dall’imperatore, sempre sulla base delle richieste avanzate da Macario126. La realizzazione del progetto e la sua esecuzione sono affidate a esperti architetti, di cui fonti successive hanno tramandato i nomi: un tale Eustazio, presbitero proveniente da Costantinopoli, e un tale Zenobio, forse di estrazione locale127.
La ricostruzione dei fatti, così come emerge dalle parole di Eusebio, è stata di recente messa in discussione da Annabelle Jane Wharton128, che non dà credito alla tesi del mantenimento di una sia pur vaga memoria della collocazione della tomba di Cristo129, ritenendo, invece, che il complesso del Santo Sepolcro nasca in prima istanza quale sede episcopale di Gerusalemme, fornita di un battistero e di un episcopio130. Nel corso dei lavori sarebbe stata poi intercettata la tomba, prontamente identificata con quella di Cristo, anche per offrire a Costantino l’opportunità di ordinare l’eliminazione delle strutture adrianee che ingombravano l’area, con la giustificazione che esse profanavano il luogo sacro131. Comunque sia, il significato memoriale della fondazione costantiniana si impone quasi subito, come attesta, oltre a Eusebio, l’Itinerarium Burdigalense, il primo, precocissimo resoconto di viaggio di un pellegrino che, partito da Bordeaux nel 333, visita i santuari della Terrasanta132. Prima ancora dell’anonimo pellegrino di Bordeaux, a far visita ai santuari ancora in costruzione è tuttavia Elena, certamente dopo l’estate del 326, inviata in veste ufficiale per ispezionare i lavori in corso a Gerusalemme e in altre località della Terrasanta133.
Si deve essere debitori ancora a Eusebio134, e in parte alle indagini archeologiche condotte da Vincenzo Corbo135, per la descrizione del Santo Sepolcro, che è andato poi profondamente trasformandosi nel corso dei secoli rispetto alla struttura originaria. Il complesso si integrava nelle maglie urbanistiche della città romana, con un accesso monumentale dal cardo maximus dotato di scalinata: qui, passato un atrio di forma trapezoidale per regolarizzare gli orientamenti, rivolta a occidente si apriva una maestosa basilica a cinque navate, provviste di gallerie, coperte da un soffitto ligneo rivestito a lacunari dorati – secondo il consiglio dato dallo stesso Costantino al vescovo Macario –, e desinente in un’unica abside, circolare all’interno e inglobata da un muro rettilineo all’esterno. Alle spalle dell’abside vi era uno spazio aperto circondato su tre lati da portici con colonne. Sul versante del portico opposto alla basilica sorgeva la struttura dell’Anastasis che, con un complesso sistema a doppio involucro, racchiudeva l’edicola del Santo Sepolcro136: questa si trovava infatti quasi al centro di un colonnato circolare formato da tre coppie di pilastri e dodici colonne, probabilmente ricavate da fusti già in opera nella facciata del distrutto Capitolium adrianeo, che determinava lo sviluppo di un corridoio anulare delimitato da un muro di cinta semicircolare, da cui emergevano tre absidiole. A nord dell’Anastasis sorgevano costruzioni riconducibili alla sede del Patriarchio, mentre a sud si distingueva un gruppo di tre ambienti absidati comunicanti tra loro, riconosciuti ora, pur nella loro riedificazione in epoca medio-bizantina, come l’impianto originario del battistero di età costantiniana137.
L’altro fulcro del culto dedicato alle memorie evangeliche gerosolimitane era la grotta posta sulle pendici del monte degli Ulivi, nel luogo chiamato Eleona, nella quale la tradizione locale inscenava gli ultimi discorsi rivolti da Gesù ai suoi discepoli e individuava il punto da cui egli era asceso al cielo. Anche in questo caso abbiamo una basilica, in questo caso a tre navate e preceduta da un atrio, insieme con una struttura circolare, il cosiddetto Imbomon, che individuava l’accesso alla grotta138. Non è escluso che i due edifici fossero indipendenti l’uno dall’altro e che il complesso si presentasse nelle forme della doppia basilica, secondo un modello già adombrato a Treviri139.
Nel corso del suo lungo regno, Costantino riplasma la fisionomia di molte città dell’Impero fondando nuovi edifici, completando la costruzione di quelli in corso d’opera e restaurando quelli fatiscenti. Se è vero che solo in alcuni casi, come dimostrano gli esempi dei santuari di Terrasanta, il suo coinvolgimento nell’ideazione e nell’esecuzione dei progetti risulta evidente140, nondimeno appare nel complesso comune e coerente l’impronta che egli seppe dare alla propria politica di riqualificazione urbana. Dal momento che la documentazione materiale è largamente incompleta e i monumenti, se non sono perduti, sono stati drasticamente trasformati, per ritessere la trama delle committenze costantiniane si dipende oggi in larga misura da fonti (specie le opere di Eusebio e i panegirici) che, considerate la loro natura encomiastica e la loro finalità, tendono a fornire un quadro parziale e unilaterale. Da un lato Eusebio, e con lui altre fonti di medesima ispirazione come il Liber Pontificalis, si prodigano a enfatizzare l’impegno di Costantino nella costruzione delle basiliche destinate al culto cristiano141; dall’altro i panegiristi celebrano, in modi generici e sintetici, quelle opere di carattere pubblico che possono rientrare nel loro discorso retorico142.
Seguendo Costantino nel suo incessante muoversi nei territori dell’Impero, è possibile comunque individuare tempi, modi e finalità delle sue iniziative evergetiche: in favore delle città con cui entra in contatto, egli, come è lecito attendersi, è prodigo di concessioni e di benefici, ma lo stesso avviene anche nei confronti di quelle frequentate solo sporadicamente, o persino mai visitate: si pensi non solo ai casi di Antiochia e Gerusalemme, ma anche a quello della stessa Roma, oggetto di visita sostanzialmente soltanto in occasione dei decennalia e dei vicennalia, ma che non di meno è onorata di magnifiche opere pubbliche e private. Ciò che determina l’intervento di Costantino come conditor urbium è in realtà quasi sempre l’opportunità politica, la ricerca del consenso dei cittadini di quei territori dell’Impero che, a mano a mano, egli guadagna alla propria causa, e il mantenimento della coesione e dell’armonia tra le varie componenti del tessuto sociale: l’avvio della costruzione di spettacolari aule di udienza e di complessi termali a Treviri, Arles e Aquileia negli anni in cui egli consolida il proprio potere in Occidente; la fondazione di un porto a Tessalonica come base logistico-militare nel momento che precede lo scontro finale con Licinio; la promozione del culto dei loca sancta della Terrasanta come antidoto alle forze centripete e disgregatrici all’interno della comunità cristiana: è anche attraverso questa accorta politica evergetica che Costantino pone le basi per l’affermazione del proprio potere.
1 Oltre agli studi specifici dedicati a singoli insediamenti, dei quali si darà conto nelle successive note, trattazioni d’insieme, seppure inevitabilmente sintetiche, si possono trovare nelle principali monografie dedicate alla vita e alle opere di Costantino. Si veda, a titolo esemplificativo, M.J. Johnson, Architecture of Empire, in The Cambridge Companion to the Age of Constantine, ed. by N. Lenski, Cambridge 2006, pp. 278-297.
2 Cfr. Hier., chron a. Abr. 2346: «dedicatur Constantinopolis omnium paene urbium nuditate».
3 Eus., v.C. III 54,4-55,5; l.C. 8,1-7.
4 Cfr. G. Bonamente, Sulla confisca dei beni mobili dei templi in epoca costantiniana, in Costantino il Grande. Dall’Antichità all’Umanesimo, Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico (Macerata 18-20 dicembre 1990), a cura di G. Bonamente, F. Fusco, Macerata 1993, I, pp. 171-201.
5 MAMA VII 305, ll. 13-15: «enim studium est urbes vel novas condere vel longaevas erudire vel intermortuas reparare»; cfr. S. Mitchell, The Cities of Asia Minor in the Age of Constantine, in Constantine. History, Historiography and Legend, ed. by S.N.C. Lieu, D. Montserat, London-New York 1998, pp. 52-73, in partic. 52-53; D. Feissel, L’adnotatio de Constantin sur le droit de cité d’Orcistus en Phrygie, in Antiquité Tardive, 7 (1999), pp. 255-267.
6 Si tratta del noto rescritto costantiniano in favore di Spello, riportato in CIL XI 5265 (per il passo citato, si vedano in partic. le ll. 41-44: «in cuius gremio aedem quoque Flaviae, hoc est nostrae gentis, ut desideratis, magnifico opere perfici volumus». Si veda ora Aurea Umbria. Una regione dell’Impero nell’era di Costantino (catal.), Spello 2012.
7 La questione è riassunta e commentata in K. Tabata, The Date and Setting of the Constantinian Inscription of Hispellum (CIL XI 5265 = ILS 705), in Studi Classici e Orientali, 45 (1995), pp. 369-410.
8 CIL XI 5265, ll. 9-14: «provisionum nostrarum opus maximus est, ut universae urbes, quas in luminibus provinciarum ac regionum omnium species et forma distinguitur, non modo dignitate pristinam teneant, sed etiam ad meliorem statum beneficentiae nostrae munere probeantur». Il concetto è ribadito da altre testimonianze epigrafiche: cfr. per esempio CIL VIII 1179, ove Costantino è definito «conditor atque amplificator orbis populi Romani sui ac singularum quarumque civitatum».
9 Paneg. 7(6)22,6: «Quaecumque enim loca frequentissime tuum numen inlustrat, in his omnia et hominibus et moenibus et muneribus augentur; nec magis Iovi Iunonique recubantibus novos flores terra submisit quam circa tua, Constantine, vestigia urbes et templa consurgunt». Cfr. Panegirici Latini, a cura di D. Lassandro, G. Micunco, Torino 2000, pp. 252-255. Sulle finalità propagandistiche di questi testi si veda ora B. Warmington, Aspects of Constantinian Propaganda in the Panegyrici Latini, in Latin Panegyric, ed. by R. Rees, Oxford 2012, pp. 335-348.
10 Cfr. al riguardo C. Mango, The Empress Helena, Helenopolis, Pylae, in Travaux et Mémoires, 12 (1994), pp. 143-158; S. Mitchell, The Cities of Asia Minor, cit., pp. 52-53.
11 Probabilmente anche per potenziare il culto martiriale nel circondario di Bisanzio, città povera di eroi delle persecuzioni, tanto che Costantino promuoverà più tardi la traslazione delle reliquie degli apostoli Andrea, Timoteo e Luca per ospitarli nel suo Apostoleîon: cfr. D. Woods, The Date of the Translation of the Relics of Ss. Luke and Andrew to Constantinople, in Vigiliae Christianae, 45 (1991), pp. 286-292. L’associazione alla memoria di Giuliano ha fatto ritenere a T.D. Barnes, The New Empire of Diocletian and Constantine, Cambridge (MA) 1982, p. 77, che la fondazione vada assegnata al 7 gennaio 328, giorno della ricorrenza del santo. Infondate appaiono le tesi secondo cui il sito ove sorge la città, ovvero l’antica Drepanon, fosse il luogo di nascita di Elena.
12 Cfr. Malal., Chron. XIII 323, ove è infatti indicata col nome di Eleeinoupolis, ovvero ‘città che suscita compassione’.
13 Cfr. Procop., Aed. V 2.
14 Cfr. C. Mango, The Empress Helena, cit., pp. 150-158.
15 Cfr. P. Ruggeri, Costantino conditor urbis. La distruzione di Cirta da parte di Massenzio e la nuova Constantina, in Id., Africa ipsa parens illa Sardiniae: studi di storia antica e di epigrafia, Sassari 1999, pp. 61-72; P. Liverani, L’architettura costantiniana, tra committenza imperiale e contributo delle élites locali, in Konstantin der Große. Geschichte – Archäologie – Rezeption, hrsg. von A. Demandt, J. Engemann, Trier 2006, pp. 235-244, in partic. 235. Vi sono evidentemente anche altri casi di rifondazione o ridedicazione di città antiche meritevoli di menzione. Maiuma di Frigia fu rinominata Constantia: secondo Eusebio, in onore di Flavia Iulia Constantia, cognata di Costantino; secondo Sozomeno, diversamente, per onorare Costantino il Giovane. Arelate (oggi Arles) divenne Constantina in onore di Costantino, secondo la testimonianza di Leone Magno, epist. 65. Salamina di Cipro fu chiamata Constantia in onore di Costantino il Giovane quando divenne Augusto, probabilmente in coincidenza con la ricostruzione seguita al terremoto del 342. Antarados di Fenicia, denominata Constantia in onore di Costantino secondo Teofane il Confessore (cfr. Chron. a.m. 5838), va forse identificata con un centro fenicio cui fa riferimento Sozomeno. Augustodunum fu indicata col nome di Flavia Aeduorum (Paneg. 8). Anche le epigrafi ricordano nuove denominazioni di Portus come Flavia Constantiniana (CIL XIV 4449) e di Lucera in Apulia come Constantiniana (CIL IX 801). Per elenchi di città rifondate e/o ridedicate, si veda anche P. Maraval, Constantin le Grand. Empereur romain, empereur chrétien (306-337), Paris 2011, p. 182.
16 Per P. Dräger, Trier als Sterbeort des Konstantios Chlorus und Schauplatz der Machtergreifung Kon;stantins, in Kurtrierisches Jahr;buch, 47 (2007), pp. 55-76, la morte, o quanto meno la sepoltura, dell’Augusto sarebbe avvenuta in realtà a Treviri.
17 Cfr. RIC VI, pp. 129, 134-135, 143-145.
18 Cfr. Royal Commission for Historic Monu;ments (England), An Inventory of the Historical Monuments in the City of York, I, Eburacum, Roman York, London 1962, n. 34d. In realtà già il fortuito rinvenimento in loco, alla metà dell’Ottocento, di due tavolette bronzee menzionanti il culto di divinità del pretorio induceva a pensare di collocare la struttura proprio in quest’area. Resti più plausibilmente riferibili a un impianto termale sono stati poi trovati in un’altra area della città: cfr. S.S. Frere, M.W.C. Hassal, R.S.O. Tomlin, Roman Britain in 1989, part I, Sites Explored, in Britannia, 21 (1990), pp. 304-364, in partic. 325-326, fig. 15.
19 Cfr. P. Bidwell, Constantius and Constantine at York, in Constantine the Great: York’s Roman Emperor (catal.), ed. by E. Hartley, J. Hawkes, M. Henig, York 2006, pp. 31-40, in partic. 32-34.
20 Cfr. H. Torp, Thessalonique paléochrétienne. Une esquisse, in Aspects of Late Antiquity and Early Byzan;tium, ed. by L. Ryden, J.O. Rosenqvist, Stockholm 1993, pp. 113-132, in partic. 123.
21 L’identificazione della testa, rinvenuta prima del 1823 e raffigurante un Costantino ancora giovane, si deve a J.A. Richmond, Three Fragments of Roman Official Statues from York, Lincoln and Silchester, in Antiquaries Journal, 24 (1944), pp. 1-9, in partic. 1-5. Per una scheda del pezzo, si veda S. Rinaldi Tufi, Ritratto di Costantino, in Costantino il Grande. La civiltà antica al bivio tra Occidente e Oriente (catal.), a cura di A. Donati, G. Gentili, Cinisello Balsamo 2005, pp. 288-289.
22 P. Bidwell, Constantius and Constantine, cit., p. 39 (con bibliografia precedente), pensa addirittura a uno stesso architetto per le due cinte murarie.
23 Paneg. 7(6)22,5: «Video circum maximum aemulum, credo, Romano, video basilicas et forum, opera regia, sedemque iustitiae in tantam altitudinem suscitari ut se sideribus et caelo digna et vicina promittant. Quae certe omnia sunt praesentiae ‹tuae› munera». Per la traduzione, ci si rifà a quella offerta in Panegirici Latini, cit.
24 Sulla città in generale, cfr. E.M. Wightman, Roman Trier and the Treveri, London 1970; Führer zu vor und frühgeschichtlichen Denkmälern, XXXII/1-2, Trier, hrsg. von Römisch-Germanisches Zentral;museum Mainz, Mainz 1977; Trier: Augustusstadt der Treverer. Stadt und Land in vor und frührömischer Zeit. Katalog zur Ausstellung des Rheinischen Landesmuseums Trier, Trier 1984; S. Rinaldi Tufi, Treviri, città regale sulla Mosella, in Storia di Roma, III/2, L’età tardo antica. I luoghi e le culture, a cura di A. Carandini, L. Cracco Ruggini, A. Giardina, Torino 1993, pp. 113-119. Per la bibliografia relativa ai monumenti di età costantiniana, si veda infra.
25 Nonostante in Paneg. 7(6)22,4 si faccia riferimento alla città che risorge «in tutte le sue mura con uno splendore tale da rallegrarsi quasi di essere andata in rovina in passato, al veder come è diventata più bella per la tua generosità», le fortificazioni, celebri soprattutto per la munita Porta Nigra, vanno assegnate al II secolo d.C.
26 W. Reusch, Die Basilika in Trier. Festschrift für Wiederherstellung 9. Dezember 1956, Trier 1956; R. Krautheimer, The Constantinian Basilica, in Dumbarton Oaks Papers, 21 (1967), pp. 115-140, in partic. 117-119; R. Günter, Wand, Fenster und Licht in der Trierer Palastaula und in spätantiken Bauten, Herford 1968; Trier, Kaiserresidenz und Bischofssitz: Die Stadt in spätantiker und frühchristlicher Zeit (catal.), Trier 1984; E. Zahn, Die Basilika in Trier. Römisches Palatium-Kirche zum Erlöser, Trier 1991. Sulle trasformazioni ottocentesche dell’edificio, cfr. J. Werquet, Der Wiederaufbau des Trierer Konstantinbasilika unter Friederich Wilhelm IV. Die Planungs und Baugeschichte 1844-1856, in Trierer Zeitschrift, 65 (2002), pp. 167-214.
27 Una moneta di bronzo del 305 fu rinvenuta immorsata nella muratura, mentre bolli laterizi trovano confronto con quelli in opera nel Castrum Divitia, una fortificazione sul Reno posta dinanzi a Colonia e datata, assieme al ponte antistante, da un’iscrizione al 310; cfr. E.M. Wightman, Roman Trier, cit., p. 103; K.-P. Goethert, Die Basilika, in Führer zu vor und frühgeschichtlichen Denkmälern, cit., pp. 141-153, in partic. 144-146; N. Hanel, Gestempelte Ziegel aus dem spätrömischen Kastell Divitia (Köln-Deutz), in Kölner Jahrbuch, 38 (2006), pp. 213-252.
28 Per l’individuazione degli elementi distintivi dello stile dell’architettura costantiniana, si rinvia a F. Guidobaldi, Caratteri e contenuti della nuova architettura dell’età costantiniana, in Rivista di Archeologia Cristiana, 80 (2004), pp. 233-276; per le decorazioni in sectile dell’aula di Treviri, cfr. Id., Sectilia pavimenta tardoantichi e paleocristiani a piccolo modulo dell’Italia settentrionale, in Rivista di Archeologia Cristiana, 85 (2009), pp. 355-420, in partic. 409.
29 Ausonius, Gratiarum actio I: «in sacrario imperialis oraculi, qui locus horrore tranquillo et pavore venerabili raro eundem animum praestat et vultum tui».
30 Cfr. ad esempio il mosaico raffigurante l’auriga Polydus da una domus della metà del III secolo posta nei dintorni della palestra delle terme imperiali: su di esso, si veda J. Hupe, Mosaiken aus der spätantiken Blütezeit Triers, in Imperator Caesar Flavius Constan;tinus. Konstantin der Große (catal.), hrsg. von A. Demandt, J. Engemann, Trier-Mainz 2007, pp. 404-415, in partic. 406-407. Per altri ritrovamenti di oggetti d’arte suntuaria, soprattutto vetri decorati con tematiche circensi, si veda K. Goethert, Circus und Wagenrennen, ivi, pp. 344-349.
31 Cfr. H. Koethe, Die Hermen von Welschbillig, in Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Institut, 50 (1935), pp. 198-237, in partic. 228, figg. 33-34; K. Goethert, Circus, cit., pp. 346-347 e fig. 2.
32 Sulle terme imperiali, cfr. E.M. Wightman, Roman Trier, cit., pp. 98-102, e W. Reusch, Die Kaiserthermen, in Führer zu vor und frühgeschichtlichen Denkmälern, cit., pp. 178-189.
33 Vi sono indizi che provano cambiamenti di progetto nel sistema di riscaldamento, segno che le fornaci devono avere lavorato, sebbene non si siano poi trovate le condutture idriche all’interno degli edifici, né si sia individuata traccia di rivestimenti marmorei sulle pareti e sui pavimenti.
34 E.M. Wightman, Roman Trier, cit., pp. 113-114, pensa invece a un edificio municipale, forse la curia, cui fa riferimento Ausonio nella sua Gratiarum actio.
35 Sulla memoria medievale di Elena e in generale dei Costantinidi, cfr. E. Ewig, Kaiserliche und apostolische Tradition im mittelalterlichen Trier, in Trierer Zeitschrift, 24-26 (1956-58), pp.147-185; L. Clemens, La memoria della famiglia di Costantino nella sua residenza di Treviri, in Costantino il Grande tra medioevo ed età moderna, a cura di G. Bonamente, G. Cracco, K. Rosen, Bologna 2008, pp. 387-405.
36 I sondaggi archeologici postbellici seguivano studi e indagini intensi svolti già nel corso dell’Ot;tocento: per una rassegna critica aggiornata, cfr. H. Merten, Christliche Epigraphik und Archäologie in Trier seit ihren Anfängen, in Römische Quartalschrift, 106 (2011), pp. 5-26. Per la bibliografia sul complesso paleocristiano, si veda infra.
37 Per una panoramica sulla folta bibliografia relativa a queste pitture e alla loro esegesi, si veda almeno I. Lavin, The Ceiling Frescoes in Trier and Illusionism in Constantinian Painting, in Dumbarton Oaks Papers, 21 (1967), pp. 97-113; H. Brandenburg, Zur Deutung der Deckenbilder aus der Trierer Domgrabung, in Boreas, 8 (1985), pp. 143-189; E. Simon, Die konstantinischen Deckengemälde in Trier, Mainz 1986; E.M. Rose, The Trier Ceiling. Power and Status on Display in Late Antiquity, in Greece and Rome, 53 (2006), pp. 92-109; E. Simon, Das Programm der frühkonstantinischen Decke in Trier, Ruhpolding-Mainz 2007.
38 L’evidenza numismatica coincide suggestivamente con i drammatici eventi storici che conducono alla soppressione di Crispo e Fausta, dando sostanza all’ipotesi di un abbandono di questa parte del palazzo come forma di damnatio memoriae.
39 Sulle fasi paleocristiane del complesso episcopale di Treviri, cfr. E.M. Wightman, Roman Trier, cit., pp. 109-113; Trier, Kaiserresidenz und Bischofssitz, cit.; W. Weber, Neue Forschungen zur Trierer Domgrabung. Die archäologischen Ausgrabungen im Garten der Kurie von der Leyen, in Neue Forschungen zu den Anfängen des Christentum in Rheinland, hrsg. von S. Ristow, Münster 2004, pp. 225-234.
40 Ath., apol. Const. 15.
41 Cfr. H. Brandenburg, Die Basilika von Sankt Paul vor den Mauern in Rom und der Dom zu Trier: zwei kaiserliche Großbauten des ausgehenden vierten Jahrhunderts, in Bonner Jahrbücher, 209 (2009), pp. 147-188.
42 Cfr. W. Weber, Der «Quadratbau» des Trierer Domes und sein polygonaler Einbau – eine «Herrenmemoria»?, in Der Heilige Rock zu Trier. Studien zur Geschichte und Verehrung der Tunika Christi, hrsg. von E. Aretz, M. Embach, M. Persch, F. Ronig, Trier 1996², pp. 915-940.
43 Per un quadro generale cfr. M. Heijmans, Arles durant l’antiquité tardive. De la duplex Arelas à l’Urbs Genesii, Paris 2004.
44 Questo è ciò che intendono i vescovi della regione di Arles riuniti in assemblea nel 450 quando, in una lettera inviata a papa Leone I, sottolineano che la città aveva preso il proprio nome dall’imperatore Costan;tino: cfr. Epistolae Arelatenses, 12 (MGH Ep. III, p. 14). Sulle emissioni numismatiche di questo periodo, si veda P. Bruun, The Constantinian Coinage of Arelate, Helsinki 1953.
45 A favore della celebrazione delle nozze imperiali ad Arles è Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus. Herrschaftspropaganda in der zeitgenössischen Überlieferung, Stuttgart 1990, pp. 36-37; in precedenza, oltre a Treviri, era stata avanzata anche la candidatura di Lione: cfr. RIC VI, p. 29. Per il riferimento al ‘Palazzo’ di Arles, cfr. Paneg. 7(6)14.
46 Cfr. K.M. Girardet, Konstantin der Grosse und das Reichskonzil von Arles (314). Historisches Problem und metodologische Aspekte, in Oecumenica et Patristica. Festschrift für W. Schneemelcher, Stuttgart 1989, pp. 151-174.
47 Cfr. Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., pp. 36-37.
48 L’interpretazione palatina, sostenuta dalla letteratura antiquaria locale, è stata messa in discussione a partire dall’inizio del secolo scorso: per la bibliografia più recente, si veda M. Heijmans, Le «Palais de la Trouille»: palais impérial ou palais du préfet?, in Antiquité Tardive, 6 (1998), pp. 209-231; Id., Arles durant l’antiquité tardive, cit., pp. 139-160, che rende conto delle ultime indagini archeologiche, chiarendo definitivamente la natura termale del monumento.
49 Per la corretta lettura dell’iscrizione, nella quale sono nominati Costantino, il figlio Costantino II e Fausta, cfr. M. Heijmans, Constantina Urbs. Arles durant le IVe siècle. Une autre résidence impériale?, in Konstantin der Große, cit., pp. 209-220, in partic. 214.
50 Cfr. in proposito M. Heijmans, Arles durant l’antiquité tardive, cit., pp. 160-194; Id., La basilique civile d’Arles. Travaux 1998-1999, in Mélanges d’Antiquité Tardive. Studiola in honorem Natalis Duval, éd. par C. Balmelle, P. Chevalier, G. Ripoll, Leiden 2004, pp. 27-35; Id., Constantina Urbs, cit., pp. 214-215.
51 Cfr. M. Euzennat, Le monument à rotonde de la nécropole du cirque à Arles, in Comptes rendu des séances de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, 116,2 (1972), pp. 404-423.
52 Cfr. N. Duval, Hommage à Ejnar et Ingrid Dyggve. La théorie du palais du Bas-Empire et les fouilles de Thessalonique, in Antiquité Tardive, 11 (2003), pp. 273-300, in partic. 282-284. Si vedano in proposito le puntualizzazioni offerte in M. Heijmans, Constantina Urbs, cit., p. 216.
53 Cfr. A. Charron, M. Heijmans, L’obélisque du cirque d’Arles, in Journal of Roman Archaeology, 14 (2001), pp. 373-380.
54 Questo è l’appellativo che Ausonio impiega per indicare la città in Ordo urbium nobilium 10,2.
55 Paneg. 10,27.
56 Cfr. M. Bonfioli, Soggiorni imperiali a Milano e ad Aquileia da Diocleziano a Valentiniano II, in Aquileia e Milano, Atti della terza settimana di studi aquileiesi (Aquileia 29 aprile-5 maggio 1972), Udine 1973, pp. 125-149, in partic. 132-135; T.D. Barnes, The New Empire, cit., pp. 69-80; C. Sotinel, Identité civique et christianisme. Aquilée du IIIe au VIe siècle, Rome 2005, p. 22, calcola il tempo trascorso da Costantino ad Aquileia e sostiene che è maggiore di quello passato a Roma o a Milano e inferiore solo a quello vissuto a Treviri. In effetti Costantino vi spende buona parte del 318, ed è presente per lo meno nell’aprile e nel novembre del 326.
57 Traduzione di Paneg. 6(7)6,1-5, come sempre secondo la versione offerta in Panegirici latini, cit. Il panegirista, che ammette di non avere visto personalmente l’opera, prosegue con il consueto topos retorico del confronto con i maestri dell’antichità Apelle e Parrasio, lodando il pittore per l’abilità dimostrata «nel ricavare con cura dalla spensieratezza della vostra tenera età espressioni di fermezza e di gravità, nel render evidenti infine i taciti segni del vostro amore, cosicché i sentimenti che per verecondia non vi manifestavate, poteste liberamente riconoscerli nel dipinto». Le piume d’uccello che decoravano l’elmo sembrano rievocare fogge di elmi, come la toupha, ben noti nella tarda antichità: cfr. S. Sande, The Equestrian Statue of Justinian and the σχῆμα ᾽Αχίλλειον, in Acta ad Archaeologiam et Artium Historiam pertinentia, series altera 6 (1987), pp. 91-111.
58 Notizia riportata in H. Maionica, Fundkarte von Aquileia, in Xenia Austriaca: Festschrift der Österreichischen Mittelschulen zur 42. Versammlung Deutscher Philologen und Schulmänner in Wien, 1. Abt. Classische Philologie und Archaeologie, Wien 1893, pp. 273-332, in partic. 312 seg.
59 Cfr. M. Mirabella Roberti, Architettura civile tardo antica tra Milano e Aquileia, in Aquileia e Milano, cit., pp. 159-170.
60 Cfr. S. Ristow, Zur Problematik der spätrömischen Reste auf den Geländer der Domkirche zu Aquileia, in Jahrbuch für Antike und Christentum, 37 (1994), pp. 97-109, in partic. 105-107, con bibliografia precedente.
61 Cfr. M. Verzar-Bass, G. Mian, Le domus di Aquileia, in Abitare in Cisalpina. L’edilizia privata nelle città e nel territorio in età romana, Trieste 2001, pp. 599-628, in partic. 608.
62 Cfr. P. Lopreato, La villa imperiale delle Marignane in Aquileia, in Aquileia e Roma, Atti della XVII settimana di studi aquileiesi (Aquileia 24-29 aprile 1986), Trieste 1987, pp. 137-149.
63 Cfr. W. Rieß, Konstantin und seine Söhne in Aquileia, in Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik, 135 (2001), pp. 267-283, in partic. 274-277.
64 Sulle varie tappe della storia delle mura di Aquileia, cfr. da ultimo J. Bonetto, Le mura, in Moenibus et portu celeberrima. Aquileia storia di una città, a cura di F. Ghedini, M. Bueno, M. Novello, Roma 2009, pp. 83-92, in partic. 87-89: nel saggio si considera in special modo la fase di ampliamento denominata M2, che fu sicuramente successiva all’assedio di Massimino il Trace del 238 e nella quale furono reimpiegati molti materiali databili all’inizio del IV secolo.
65 Cfr. J.H. Humphrey, Roman Circuses. Arenas for Chariot Racings, London 1986, p. 625, che è il primo a indicare quest’ipotesi, più che altro applicando al contesto aquileiese le teorie sul binomio palazzo-ippodromo nella tarda antichità.
66 Cfr. C. Sotinel, Identité civique, cit., pp. 17 segg.; G. Mian, Riflessioni sulla residenza imperiale tardoantica, in Aquileia dalle origini alla costituzione del ducato longobardo. L’arte ad Aquileia (sec. IV al IX), Atti della XXXV settimana di studi aquileiesi (Aquileia 18-21 maggio 2005), Trieste 2006, pp. 423-444. Lussuose residenze negli immediati dintorni della città, destinate all’imperatore o più verosimilmente a qualche alto funzionario, si riconoscono nella Cercadilla di Cordoba, su cui si vedano le puntualizzazioni di J. Arce, Emperadores, palacios y villas (A propósito de la villa romana de Cercadilla, Córdoba), in Antiquité Tardive, 5 (1997), pp. 293-302, o nella stessa villa di Konz presso Treviri, su cui ha scritto A. Neyses, Die spätrömische Kaiservilla zu Konz, Trier 1987. Bisogna sottolineare che a Costan;tinopoli ritorna la disposizione sopra esaminata del palazzo imperiale su un lato dell’ippodromo e di palatia privati, segnatamente quello di Antioco e forse anche quello di Lauso, sull’altro.
67 Cfr. W. Rieß, Konstantin und seine Söhne, cit., pp. 277-278. L’iscrizione è relativa alla dedica di una statua fatta erigere da Settimio Eliano, di rango senatorio, e Flavio Mucaino, di rango equestre: elementi prosopografici interni consentono di datare l’iscrizione dopo il 312 e prima del 330.
68 Cfr. P. Lopreato, Le Grandi Terme di Aquileia: i sectilia e i mosaici del Frigidarium, in Aquileia dalle origini alla costituzione del ducato longobardo. Topografia, urbanistica, edilizia pubblica, Atti della XXXV settimana di studi aquileiesi (Aquileia 6-8 maggio 2004), Trieste 2005, pp. 339-377; L. Rebaudo, Thermae felices Constantinianae. Contributo all’interpretazione dell’edificio pubblico della Braida Murada (Aquileia), in Aquileia Nostra, 75 (2004), coll. 274-314; Id., Il frigidarium delle Thermae Felices. Caratteri strutturali e osservazioni sulla decorazione pavimentale, in Aquileia dalle origini alla costituzione del ducato longobardo. L’arte, cit., pp. 445-476. Il compimento delle parti decorative delle terme si può essere protratto fino alla metà del IV secolo, come lascia intendere il ritrovamento di una moneta di Costanzo II nel sottofondo pavimentale dei mosaici: cfr. P. Lopreato, Le Grandi Terme di Aquileia: i mosaici del Frigidarium, in La mosaïque gréco-romaine IV, IVe Colloque international pour l’étude de la mosaïque antique (Trèves 8-14 août, 1984), éd. par J.-P. Darmon, A. Rebourg, Paris 1994, pp. 87-99.
69 Per le fasi paleocristiane del complesso, cfr. in generale H. Brandenburg, Il complesso episcopale di Aquileia nel contesto dell’architettura paleocristiana, in Aquileia dalle origini alla costituzione del ducato longobardo. L’arte, cit., pp. 19-60; G. Cuscito, Lo spazio cristiano, in Moenibus et portu, cit., pp. 133-151; La basilica patriarcale di Aquileia: storia, archeologia e arte, a cura di G. Cuscito, T. Lehmann, Trieste 2010.
70 Per le ricostruzioni altomedievale e romanica, cfr. X. Barral i Altet, La basilica patriarcale di Aquileia: un grande monumento romanico del primo XI secolo, in Arte Medievale, n.s. 6 (2007), pp. 29-64.
71 Cfr. H. Kähler, Die Stiftermosaiken in der konstantinischen Südkirche von Aquileia, Köln 1962.
72 Il testo è stato già considerato in precedenza. Quanto ai busti entro clipei, appaiono parimenti generici quelli offerti dai mosaici della volta anulare del Mausoleo di Santa Costanza, che di recente G. MacKie, A New Look at the Patronage of Santa Costanza, Rome, in Byzantion, 67 (1997), pp. 383-406, propone di attribuire a membri della famiglia imperiale.
73 Cfr. M. Stroumsa Uzan, Jonas of Aquileia: a Gesture to Constantine the Great, in Between Judaism and Christianity. Art Historical Essays in Honor of Elisheva (Elisabeth) Revel-Neher, ed. by K. Kogman-Appel, M. Meyer, Leiden 2009, pp. 55-71.
74 Nelle parole adoperate dal retore Mamertino (Mamertini Panegyricus dictus Maximiano et Diocle;tiano) per rievocare l’incontro che attorno al 290 si ebbe tra Massimiano e Diocleziano, è evidente l’assegnazione alla città del titolo di sedes imperii: cfr. M. Bonfioli, Soggiorni imperiali, cit., p. 129; Panegirico di Mamertino per Massimiano e Diocleziano, a cura di M.S. de Trizio, Bari 2009.
75 Cfr. Paneg. 9(7),5-8.
76 Costantino ad esempio è a Milano nell’ottobre del 315, nel settembre del 318, nel luglio e nell’ottobre del 326: cfr., per i riferimenti alle fonti, M. Bonfioli, Soggiorni imperiali, cit., pp. 134-135; T.D. Barnes, The New Empire, cit., pp. 309, 311-312.
77 Cfr. Ausonio, Ordo urbium nobilium 7.
78 Per una disamina dello sviluppo urbanistico, architettonico e artistico di Milano nel IV secolo, cfr. Milano capitale dell’impero romano 286-402 d.C. (catal.), Milano 1990. Costantino 313 d.C. L’editto di Milano e il tempo della tolleranza (catal.), a cura di G. Sena Chiesa, Milano 2012, in partic. pp. 18-39. Per il Palazzo imperiale, cfr. pure M. David, Palati;naeque arces. Temi di architettura palaziale a Milano tra III e X secolo, in Ubi palatio dicitur: residenze di re e imperatori in Lombardia, a cura di M. David, pp. 9-46.
79 Cfr. F. Guidobaldi, Per una cronologia preambrosiana del S. Simpliciano di Milano, in Domum tuam dilexi. Miscellanea di studi dedicati ad Aldo Nestori, Città del Vaticano 1998, pp. 423-450.
80 Questa è la legenda, già largamente rivelatrice delle ambizioni coltivate da Costantino, che lui stesso fa apporre su un solido coniato a Ticinum nel 316. Al riguardo, cfr. RIC VII, p. 368: Ticinum 54 (tav. 10); P. Maraval, Constantin le Grand, cit., p. 141.
81 Cfr. M. Vasić, Mediana – die kaiserliche Villa bei Niš, in Roms Erbe auf dem Balkan. Spätantike Kaiservillen und Stadtanlagen in Serbien, hrsg. von M. Vasić, U. Brandl, Mainz 2007, pp. 96-107; G. Milošević, A Residential Complex at Mediana: the Architectural Perspective, in Bruckneudorf und Gamzigrad: spätantike Paläste und Großvillen im Donau-Balkan-Raum, Akten des Internationalen Kolloquiums (Bruckneudorf vom 15. bis 18. Oktober 2008), hrsg. von G. von Bülow, H. Zabehlicky, Bonn 2011, pp. 167-176.
82 Cfr. FHG IV, p. 199. Per il dettaglio dei movimenti di Costantino in questi anni, cfr. T.D. Barnes, The New Empire, cit., pp. 74-75, e P. Bruun, Constantine and Licinius, cit., passim, non sempre concordi tra loro.
83 Cfr. V. Popovic, A Survey of the Topography and Urban Organisation of Sirmium in the Late Empire, in Sirmium. Archaeological Investigations in Syrmian Pannonia, Beograd 1971, pp. 119-148; B. Bavant, La ville dans le Nord de l’Illyricum (Pannonie, Mésie I, Dacie et Dardanie), in Villes et peuplement dans l’Illyricum protobyzantin, Actes du colloque organisé par l’École française de Rome (Rome 12-14 mai 1982), Rome 1984, pp. 245-287, in partic. 250-263.
84 Ammiano Marcellino ricorda la permanenza dell’imperatore nella Regia e l’organizzazione di giochi gladiatori per l’occasione: cfr. E. Fournier, The Adventus of Julian at Sirmium; the Literary Construction of Historical Reality in Ammianus Marcellinus, in The Rethoric of Power in Late Antiquity. Religion and Politics in Byzantium, Europe and the Early Islamic World, ed. by R.M. Frakes, E. De Palma Digeser, J. Stephens, London 2010, pp. 13-46.
85 Cfr. A. Frazer, The Iconography of the Emperor Maxentius’s Buildings in Via Appia, in The Art Bulletin, 48 (1966), pp. 385-392.
86 Cfr. N. Duval, Sirmium “ville impériale” ou “capitale”?, in Corsi di cultura sull’arte ravennate e bizantina, 26 (1979), pp. 53-90. Duval ha consacrato numerosi scritti a una critica serrata dei modelli propri dell’architettura di potere tardoantica. Tra questi, si tengano almeno presenti i saggi Existe-t-il une “structure palatiale” propre à l’Antiquité Tardive?, in Le système palatial en Orient, en Grèce et à Rome, éd. par E. Lévy, Leiden 1987, pp. 475-479; e Hommage à Ejnar, cit., pp. 273-300.
87 Cfr. M. Jeremić, L’hippodrome de Sirmium à la lumière de nouvelles recherches, in Mélanges d’Antiquité Tardive, cit., pp. 1-5; I. Popović, A Residential Complex in the South-Eastern Part of Late Antique Sirmium: Written Sources and Archaeological Evidence, in Bruckneudorf, cit., pp. 177-185.
88 Cfr. C.J. Makaronas, The Arch of Galerius at Thessaloniki, Thessaloniki 1970; M.S.P. Rothman, The Thematic Organization of the Panel Reliefs on the Arch of Galerius, in American Journal of Archaeology, 81 (1977), pp. 427-454; M. Vitti, Il Palazzo di Galerio a Salonicco, in Journal of Ancient Topography – Rivista di Topografia Antica, 3 (1993), pp. 77-106, in partic. 80, con bibliografia precedente.
89 Cfr. in generale J.-M. Spieser, Thessalonique et ses monuments du IVe au VIe siècle. Contribution à l’étude d’une ville paléochrétienne, Athènes-Paris 1984; From Roman to Early Christian Thessalonikē. Studies in Religion and Archaeology, ed. by L. Nasrallah, C. Bakirtzis, S.J. Friesen, Cambridge (MA) 2010.
90 Le questioni in sospeso sono criticamente passate in rassegna da N. Duval, Hommage à Ejnar, cit. Sul palazzo, cfr. da ultimo E. Chatzatryphonos, The Palace of Galerius in Thessalonike: Its Place in the Modern City and an Account of the State of Research, in Bruckneudorf, cit., pp. 203-217.
91 Cfr. Zos., h.e. II 22,1; J.-M. Spieser, Thessalonique et ses monuments, cit., p. 10 e note 16-17.
92 Cfr. N. Duval, Hommage à Ejnar, cit., p. 290; ma pure E. Meyer, Rom ist dort, wo der Kaiser ist. Untersuchungen zu den Staatsdenkmälern des dezentralisierten Reiches von Diocletian bis zu Theodosius II, Mainz 2002.
93 Cfr. J.-M. Spieser, Thessalonique et ses monuments, cit., pp. 125-164; H. Torp, The Date of the Conversion of the Rotunda at Thessaloniki into a Church, in The Norwegians Institute at Athens: The First Five Lectures, ed. by Ø. Andersen, H. Whittaker, Athens 1991, pp. 13-28, in partic. 15-17; A. Mentzos, Reflections of the Interpretation and Dating of the Rotunda of Thessaloniki, in Egnatia, 6 (2001-2002), pp. 57-82. L’ipotesi del mausoleo ha perso mordente da quando, nel 1990, gli scavi di Gamzigrad hanno permesso d’individuare l’antica Romuliana e il sito ove Galerio e la madre Romula furono sepolti: al riguardo, si vedano D. Srejović, Č. Vasić, Emperor Galerius’s Buildings in Romuliana, in Antiquité Tardive, 2 (1994), pp. 123-141, in partic. 127-141; N. Duval, Hommage à Ejnar, cit., p. 299; Id., Bruckneudorf, cit., passim.
94 Cfr. S. Ćurčić, Some Observations and Questions Regarding Early Christian Architecture in Thessaloniki, Thessaloniki 2000, p. 11; Id., Christianization of Thessalonikē: The Making of Christian ‘Urban Icono;graphy’, in From Roman to Early Christian Thessalonikē, cit., pp. 213-244, in partic. 215-218. M.C. Carile, The Visions of the Palace of the Byzantine Emperors as a Heavenly Jerusalem, Spoleto 2012, in partic. p. 68.
95 Cfr. C. Bakirtzis, P. Mastora, Are the Mosaics in the Rotunda into Thessaloniki Linked to Its Conversion to a Christian Church?, in Niš and Byzan;tium, Ninth Symposium (Niš 3-5 June 2010), ed. by M. Rakocija, Niš 2011, pp. 33-45.
96 Cfr. H. Torp, An Interpretation of the Early Byzantine Martyr Inscriptions in the mosaics of the Rotunda at Thessaloniki, in Acta ad Archaeologiam et Artium Historiam Pertinentia, n.s. 10 (2011), pp. 11-44, in partic. 44.
97 Cfr. Const., ep. 17 (cfr. Constantin, Lettres et discours, présentés, traduits et commentés par P. Maraval, Paris 2010).
98 Cfr. C. Barsanti, Panorama storico-artistico di Nicea, in Il Concilio Niceno II (787) e il culto delle immagini, Convegno internazionale di studio nella ricorrenza del XII Centenario (787-1987), (Messina 23-25 settembre 1987), Messina 1995, pp. 77-107; P. Guinea Díaz, Nicea: ciudad y territorio en la Bitina romana, Huelva 1997; İznik throughout History, ed. by I. Akbaygil, H. İnalcık, O. Aslanapa, Istanbul 2003. In particolare, per i monumenti di età romana e per le mura, si vedano, rispettivamente, A.M. Schneider, Die römischen und byzantinischen Denkmäler von İznik-Nicaea, Berlin 1943, e A.M. Schneider, W. Karnapp, Die Stadtmauer von İznik-Nicaea, Berlin 1936.
99 Cfr. K. Bittel, Das Alamannia Relief in Nicaea (Bithynia), in Festschrift für Peter Goessler, Stuttgart 1954, pp. 11-22.
100 Eus., v.C. III 10; per la traduzione, cfr. C. Barsanti, Panorama storico-artistico, cit., p. 86.
101 Non essendosi conservati gli atti del concilio, si attinge da altre fonti (in particolare da Eus., v.C. III 10,1) per tutte le notizie a tale riguardo. Il numero di 318 vescovi, che ricorre nelle fonti a partire dalla seconda metà del IV secolo, è fittizio, in quanto ricalca simbolicamente il numero dei servitori di Abramo secondo Gen 14,14.
102 Per una messa a punto delle complesse vicende storiche che coinvolsero il palazzo entro cui Giusti;niano aveva fatto costruire la chiesa dei Ss. Sergio e Bacco, cfr. B. Croke, Justinian, Theodora, and the Church of Saints Sergius and Bacchus, in Dumbarton Oaks Papers, 60 (2006), pp. 25-63.
103 Vale a dire la Vita Willibaldi (ed. O. Holder-Hegger), che è il resoconto del pellegrino Willibald in visita a Nicea tra il 727 e il 729 (in MGH XV, 1887, p. 101) e la Laudatio dei 318 vescovi presenti al concilio composta da Gregorio, presbitero di Cesarea di Cappadocia, in una data oscillante tra il VII secolo e la metà del IX.
104 Cfr. C. Mango, The Meeting Place of the First Ecumenical Council and the Church of the Holy Fathers ;;at Nicaea, in ΔΕΛΤΙΟΝ ΤΗΣ ΧΡΙΣΤΙΑΝΙΚΗΣ ΑΡΧΑΙΟΛΟΓΙΚΗΣ ΕΤΑΙΡΕΙΑΣ, 26 (2005), pp. 27-34.
105 Cfr. anche quel che si è detto in precedenza a proposito della cattedrale di Treviri. Sulla basilica romana si veda ora Gerusalemme a Roma. La basilica di S. Croce e le reliquie della Passione, a cura di R. Cas;sanelli, E. Stolfi, Milano 2012.
106 Cfr. Paneg. 8,3,3 e Anon. Vales. I 2,4. Nel suo discorso All’assemblea dei santi (la nota Oratio ad sanctorum coetum), Costantino afferma di avere visto con i propri occhi le rovine delle città di Babilonia e di Memphis, e questo passo, peraltro discusso, potrebbe avvalorare l’ipotesi di un suo transito in queste regioni orientali.
107 La notizia, riferita da Giovanni Malala (cfr. Malal., Chron., ed. Dindorf, p. 318), di una visita alla città è con ogni evidenza l’eco di una tradizione locale. Anche il progetto di un viaggio nelle province orientali (avvenuto nel dicembre del 324, secondo T.D. Barnes, The New Empire, cit., p. 314), annunciato dallo stesso Costantino in una lettera da lui inviata tra il 324 e il 325 ai vescovi delle Chiese d’Oriente, è destinato a rimanere tale: cfr. P. Maraval, Constantin le Grand, cit., pp. 291-292, con bibliografia precedente.
108 Cfr. Antioch on the Orontes. Publications of the Committee for the Excavation of Antioch and Its Vicinity, 5 voll., Princeton 1934-1972; C. Kondoleon, Antioch: the Lost Ancient City, Princeton 2000.
109 Eus., v.C. III 50 e l.C. 9.
110 Cfr. Malal., Chron., ed. Dindorf, p. 418, ll. 4-6.
111 Cfr. H. Lietzmann Das Leben des Heiligen Symeon Stylites, Leipzig 1908, p. 77, par. 32, I.7-10. Sull’attendibilità della lettura, si veda B. Flusin, Syméon et les philologues ou la mort du stylite, in Les Saints et leur sanctuaire à Byzance. Textes, images et monuments, éd. par C. Jolivet-Lévy, M. Kaplan, J.- P. Sodini, Paris 1993, pp. 1-23.
112 Sul mosaico della Megalopsychia, cfr. D. Levi, Antioch Mosaic Pavements, Princeton 1947, I, pp. 323-345. In particolare, sull’importanza documentaria per la topografia della città, si veda J. Lassus, Antioche en 459, d’après la mosaïque de Yaqto, in Colloque Apamée de Syrie, Bilan des recherches archéologiques 1965-1968 = Fouilles d’Apamée de Syrie, Miscellanea 6, éd. par J. Balty, Bruxelles 1969, pp. 137-147.
113 Cfr. Lib., Or. 11: Antiochikos; G. Downey, A History of Antioch in Syria, Princeton (NJ) 1961, pp. 346-348. Libanio, il celebre retore antiocheno, menziona nel suo noto discorso del 356 una statua, eretta in un luogo non specificato di Antiochia, che raffigura Antioco IV Epifanio mentre ammansisce un toro, a memoria della pacificazione della regione montuosa del Tauro.
114 Cfr. C. Saliou, À propos de la ταυριανὴ πύλη: remarques sur la localisation présumée de la grande église d’Antioche de Syrie, in Syria, 77 (2000), pp. 217-226; Id., Le palais impérial d’Antioche et son contexte à l’époque de Julien. Réflexions sur l’apport des sources littéraires à l’histoire d’une espace urbain, in Antiquité Tardive, 17 (2009), pp. 235-250.
115 L’occasione è offerta da un concilio, detto per l’appunto della dedicazione, al quale prendono parte novanta vescovi delle diocesi orientali; note sono anche le implicazioni propagandistiche di questo atto, voluto fortemente dall’imperatore Costanzo II: cfr. al riguardo N. Henck, Constantius ὁ Φιλοκτίστης?, in Dumbarton Oaks Papers, 55 (2001), pp. 279-304, in partic. 296-297.
116 La scelta di questo nome è in linea con la tendenza a dedicare gli edifici di culto ad aspetti della divinità, come la Pace e la Sapienza a Costantinopoli, o la Vittoria per la perduta basilica a Nicomedia: cfr. Eus., v.C. III 50; G.T. Armstrong, Constantine’s Churches: Symbol and Structure, in Journal of the Society for Architectural Historians, 33 (1974), pp. 5-16, in partic. 8.
117 In altri luoghi lo storico bizantino si rivela meno attendibile: ad esempio quando attribuisce a un prefetto del pretorio del tempo di Costantino, di nome Rufino, l’iniziativa di costruire una nuova basilica, che è poi chiamata ‘rufiniana’, e precisamente sul sito ove sorgeva anticamente un tempio dedicato a Hermes, confondendosi dunque a riguardo di una reale e ben documentata basilica di Rufino, ma dell’epoca di Teodosio I.
118 Per le caratteristiche architettoniche più significative dei monumenti fatti erigere da Costantino, cfr. F. Guidobaldi, Caratteri e contenuti, cit.
119 Cfr. M. della Valle, La Santa Sofia, le Sante Sofie e la “cattedrale” nel mondo bizantino, in Medioevo: l’Europa delle cattedrali, Atti del Convegno internazionale di studi (Parma 19-23 settembre 2006), a cura di A.C. Quintavalle, Milano 2007, pp. 155-169.
120 In questo senso, la chiesa antiochena sarebbe addirittura il prototipo di questa tipologia – cfr. W. Dynes, The First Christian Palace-Church Type, in Marsyas, 11 (1964), pp. 1-9; F.W. Deichmann, Das Oktogon von Antiocheia: Heroon-Martyrion, Palastkirche oder Kathedrale?, in Byzantinische Zeitschrift, 65 (1972), pp. 40-56 – seguito poi da altri esempi, quali le chiese dei Ss. Sergio e Bacco e di S. Giovanni Battista nel quartiere dell’Hebdomon, a Costan;tinopoli, fino ad arrivare alla Cappella Palatina ad Aquisgrana. La questione, soprattutto intorno ai Ss. Sergio e Bacco, è ancora molto dibattuta: per una messa a punto, si veda A. Guiglia Guidobaldi, Chiesa e palazzo nella città bizantina, in Medioevo: la Chiesa e il Palazzo, Atti del Convegno internazionale di studi (Parma 20-24 settembre 2005), a cura di A.C. Quinta;valle, Milano 2007, pp. 193-205.
121 Cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale. Constantinople et ses institutions de 330 à 451, Paris 1974, p. 389.
122 L’incentivazione del culto dei loca sancta della Palestina poteva apparire agli occhi di Costantino anche un valido viatico per assicurare una maggior coesione tra le varie anime delle comunità cristiane, divise da contrasti che anche il recente concilio di Nicea non era stato in grado di superare. Si tenga presente, per inciso, che è Costantino il primo ad adoperare la locuzione locus sanctus in relazione al Santo Sepolcro: cfr. Const., ep. 27,1 (testo, traduzione e commento in Constantin, Lettres et discours, cit.).
123 Cfr. N. Belayche, Du Mont du Temple au Golgotha: le Capitole de la colonie d’Aelia Capitolina, in Revue de l’Histoire des Religions, 214 (1997), pp. 387-413.
124 Cfr. Const., ep. 26,4-8 (testo, traduzione e commento in Constantin, Lettres et discours, cit.). L’evi;dente ‘prova della salvifica Passione’, rinvenuta nello scavo, è intesa generalmente come un riferimento alla croce. Va sottolineato, però, che la stretta contiguità tra luogo del supplizio e luogo della sepoltura appare poco verosimile ad alcuni studiosi (tra cui, per menzionarne almeno uno, si ricorda M. Biddle, The Tomb of Christ, Glouchestershire 1999) in quanto, per ciò che si conosce delle consuetudini ebraiche, ben difficilmente un personaggio abbiente come Giuseppe d’Arimatea si sarebbe fatto costruire una tomba in prossimità di un luogo contaminato, quale doveva in effetti essere il Golgota. Sul dibattito attorno al ruolo realmente svolto da Elena nella scoperta della vera croce, si veda J.W. Drijvers, Helena Augusta: Cross and Myth. Some New Reflections, in Millennium 8 (2011), pp. 125-174, con bibliografia precedente.
125 Per il testo costantiniano, cfr. la nota precedente.
126 Se, dunque, le spese per il materiale edilizio e le maestranze erano a carico del fiscus, a quelle per i materiali suntuari doveva invece far fronte la res privata dell’imperatore: cfr. R. Krautheimer, The Constantinian Basilica, cit., p. 128; Id., The Ecclesiastical Building Policy of Constantine, in Costantino il Grande, cit., II, pp. 509-552, in partic. 515-516.
127 Per R. Krautheimer, The Ecclesiastical Building, cit., p. 516, il costantinopolitano Eustazio avrebbe portato dalla capitale il progetto del complesso monumentale: su questo cfr. pure F.W. Deichmann, Waren Eustathios und Zenobios die Architekten der Grabeskirche?, in Byzantinische Zeitschrift, 82 (1989), pp. 221-224. Questa ripartizione dei compiti – committenza imperiale, cura dell’esecuzione, sui piani sia amministrativo sia tecnico, da parte di referenti locali – ricorda a grandi linee l’organizzazione del lavoro grazie alla quale si realizza, all’epoca di Giustiniano, il monastero della Theotokos, poi dedicato a Santa Caterina, al monte Sinai: si vedano al proposito I. Ševčenko, The Early Period of the Sinai Monastery in the Light of Its Inscription, in Dumbarton Oaks Papers, 20 (1966), pp. 255-264, e C. Mango, Ihor Ševčenko and the Sinai Monastery, in St Catherine’s Monastery at Mount Sinai: Its Manuscripts and Their Conservation. Papers Given in Memory of Professor Ihor Ševčenko, London 2011, pp. 1-6.
128 Cfr. A.J. Wharton, Refiguring the Post Classical City. Dura Europos, Jerash, Jerusalem and Ravenna, Cambridge 1996, pp. 85-104.
129 Tesi sostenuta invece da diversi studiosi, tra cui: P.W.L. Walker, Holy City, Holy Places? Christian Attitudes to Jerusalem and the Holy Land in the Fourth Century, Oxford 1990; K.G. Holum, Hadrian and St. Helena: Imperial Travel and the Origins of Christian Holy Land Pilgrimage, in The Blessing of Pilgrimage, ed. by R. Ousterhout, Urbana-Chicago 1990, pp. 66-81; e, da ultimo, M. O’Connor, The Argument for the Saint Sepulchre, in Revue Biblique, 117 (2010), pp. 55-91.
130 Non va dimenticato che un canone del concilio di Nicea accorda una posizione di particolare prestigio al vescovo di Gerusalemme, la cui sede fino ad allora era suffraganea di quella di Cesarea; in questo contesto si potrebbe giustificare la realizzazione di una più ragguardevole sede episcopale.
131 Si rammenta che è sempre per riparare a un sacrilego atto di profanazione, segnalatogli dalla suocera Eutropia, che Costantino ordina di costruire presso Hebron il santuario commemorativo della quercia di Mamre, ove Abramo aveva accolto i tre angeli inviati dal Signore (Gen 18,1-6): cfr. G.T. Armstrong, Constantine’s Churches, cit., p. 14; P. Liverani, L’architettura costantiniana, cit.; N. Lenski, Empresses in the Holy Land: the Creation of a Christian Utopia in Late Antique Palestine, in Travel, Communication and Geography in Late Antiquity Sacred and Profane, ed. by L. Ellis, F.L. Kidner, Aldershot 2004, pp. 113-124.
132 Cfr. J. Elsner, The Itinerarium Burdigalense: Politics and Salvation in the Geography of Constantine’s Empire, in Journal of Roman Studies, 90 (2000), pp. 181-195.
133 Sul ruolo effettivo dell’Augusta (solo pia benefattrice o anche committente al pari del figlio), cfr. L. Pietri, Constantin et/ou Hélène, promoteurs des travaux entrepris sur le Golgotha, in L’Historiographie de l’Église des premiers siècles, a cura di B. Pouderon, Y.-M. Duval, Paris 2001, pp. 371-380.
134 Cfr. G. Davies, Eusebius’ Description of the Martyrium at Jerusalem, in American Journal of Archaeology, 61 (1957), pp. 171-173; E.D. Hunt, Constantine and Jerusalem, in Journal of Ecclesiastical History, 48 (1997), pp. 405-424.
135 Cfr. V. Corbo, Il Santo Sepolcro di Gerusalemme. Aspetti archeologici dalle origini al periodo crociato, Jerusalem 1982.
136 Sulla forma dell’edicola, anch’essa interessata nel corso dei secoli da numerosi rimaneggiamenti, che ne hanno comunque rispettato l’impianto di base, come è possibile verificare dall’esame del monumento e dal riscontro con le numerose rappresentazioni devozionali di età paleocristiana, si vedano V. Corbo, Il Santo Sepolcro, cit.; J. Wilkinson, The Tomb of Christ. An Outline of Its Structural History, in Levant, 4 (1972), pp. 83-97, in partic. 88-97; M. Biddle, The Tomb, cit.
137 Cfr. A.J. Wharton, The Baptistery of the Holy Sepulchre in Jerusalem and the Politics of Sacred Landscape, in Dumbarton Oaks Papers, 46 (1992), pp. 313-325. L’ipotesi è accolta da Marina Falla Castelfranchi, che segnala, come ulteriore confronto per l’articolazione in tre ambienti del battistero, le strutture rinvenute negli scavi condotti da Margherita Cecchelli in Santa Croce in Gerusalemme; cfr. M. Falla Castelfranchi, Costantino e l’edilizia cristiana in Oriente, in Costantino il Grande. La civiltà antica, cit., pp. 106-123, in partic. 119, con bibliografia relativa.
138 Cfr. E. Loukianoff, “‘O ‘Elaiōn”: the Basilica of Eleon in Constantine’s Time at the Mount of Olives, 326-330 A.D., Le Caire 1939.
139 Cfr. H. Bloedhorn, Die Eleona und das Imbomon in Jerusalem. Eine Doppelkirchenanlage auf dem Ölberg?, in Akten des XII. Internationalen Kongresses für Christliche Archäologie (Bonn 26-28 September 1991), I, Münster, 1995, pp. 568-571.
140 Cfr. P. Liverani, L’architettura costantiniana, cit.
141 I dati forniti da Eusebio e dal Liber Pontificalis sono stati ripetutamente passati al vaglio dagli studiosi: cfr. ad esempio R. Krautheimer, The Constantinian Basilica, cit.; Id., The Ecclesiastical Building, cit.; G.T. Armstrong, Constantine’s Churches, cit.; S. de Blaauw, Konstantin als Kirchenstifter, in Konstantin der Große, cit., pp. 163-172. Oltre alle chiese romane e costantinopolitane, nonché agli altri edifici di culto di cui si è in precedenza trattato, le fonti attribuiscono a Costantino basiliche a Ostia, Albano, Capua, Napoli.
142 In tal modo molti monumenti attribuibili alla volontà di Costantino restano tagliati fuori: per un elenco esaustivo di tali committenze, cfr. F. Guidobaldi, Caratteri e contenuti, cit., pp. 244-246, nota 25.