Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Fra il XIII e il XIV secolo, la dimensione del villaggio è ancora quella prevalente e lo sarà per tutta la durata dell’antico regime europeo. Ma la ricchezza delle tipologie e le funzioni delle città, differenti per consistenza demografica, spessore economico, statuto giuridico, e la stessa capacità dei ceti produttivi urbani di proiettarsi nelle campagne, configurano un’Europa delle città, che costituirà una cifra importantissima dell’identità del nostro continente. La stessa crisi del Trecento non produce la fine delle città, ma la nascita di nuove gerarchie.
La fioritura delle città nel basso Medioevo è ben rappresentata dalla varietà e ricchezza delle loro funzioni: città fortemente specializzate, città mercantili (Gand, Bruges, Siena), città universitarie, città fortezza; città capitali come Parigi, dai caratteri misti, centro politico-amministrativo, centro commerciale, universitario; città che si avviano a diventare grandi capitali di uno Stato monarchico come Napoli; città signorili e via dicendo.
Molte di queste città sono riuscite a realizzare un grado elevatissimo di autonomia comunale. Ma essa si è attuata in presenza di una bassa tensione politica e di assetti statali fragili. Nel basso Medioevo gran parte delle realtà urbane sono città per statuto giuridico, ma il loro spessore demografico ed economico è assai scarso. Intorno alla metà del XIV secolo nell’Impero germanico si contano circa 3000 città: solo 200 hanno una popolazione superiore ai 1000 abitanti e 20 tra i 10 e i 15 mila abitanti. Una situazione non molto dissimile si riscontra in Inghilterra, in Francia, nella penisola iberica.
Il Medioevo non conosce il fenomeno delle megalopoli. Le stesse aree a più intensa urbanizzazione – Italia centro-settentrionale e Fiandre – sono tali per il gran numero di città e non per la loro grandezza. Il massimo dell’estensione e del numero di abitanti è raggiunto agli inizi del Trecento: Milano, Firenze, Parigi costruiscono una terza cerchia muraria perché le due precedenti sono state superate dal moltiplicarsi delle abitazioni. La popolazione di queste tre città si aggira intorno ai 100 mila abitanti che vivono in una superficie compresa tra i 450 (Parigi) e i 600 ettari (Firenze). Le città più popolose, oltre Milano, Firenze e Parigi, sono Venezia e Genova, seguite da Gand e Bruges a quota 60 mila. Gran parte delle città italiane e delle Fiandre si colloca nella fascia compresa tra i 30 e i 50 mila abitanti. Ad esse vanno aggiunte Colonia, Londra e alcune città spagnole sia musulmane (Siviglia, Granada, Cordova) sia cristiane (Barcellona, Valencia). Più affollata è la classe delle città di grandezza media, oscillante tra i 15 e i 30 mila abitanti. Infine la miriade di piccole città italiane, fiamminghe, tedesche, olandesi, inglesi.
Le città proiettano i loro ceti urbani oltre le mura: i ceti produttivi delle città dell’Italia centro-settentrionale rivelano una notevole capacità di penetrazione nelle campagne. Essi vi impiantano attività industriali quali cartiere e industrie tessili. Sono attratti soprattutto dalla possibilità di utilizzare la forza motrice dei corsi d’acqua e la manodopera dei contadini che impoveriti hanno dovuto vendere le loro terre per sopravvivere. La nuova organizzazione industriale è finalizzata alla produzione di grossi quantitativi di panni lana destinati in gran parte all’esportazione. La sola arte della lana a Firenze produce intorno al secondo decennio del Trecento più di 100 mila pezze di panno grezzo per un valore di 600 mila fiorini d’oro. Nelle campagne toscane i ceti urbani diffondono anche nuovi tipi di contratti come quelli di mezzadria: essi prevedono la gestione comune del podere da parte del proprietario e del contadino, la divisione a metà dei vantaggi e dei rischi dell’impresa, il divieto per il mezzadro di iniziare le operazioni di raccolta senza il consenso del proprietario concedente, l’obbligo di custodire i prodotti fino alla divisione.
Tutto il discorso fin qui svolto consente di comprendere meglio in che senso la città medievale sia stata un luogo della vita. Il principio, citato da Weber, in base al quale “l’aria della città rende liberi” può raccogliere le molteplici risonanze del senso. Proviamo ad enumerarne alcune.
Sia che la posizione giuridica della città derivi dall’affratellamento giurato, sia che il fondamento del potere sia di natura aristocratica, sia che la potenza dell’amministrazione regia e dei suoi tribunali costituiscano la fonte delle concessioni e dei privilegi alle città, la realtà urbana medievale tende sempre a configurarsi come una comunità politica tendenzialmente autonoma verso poteri esterni.
Tutti i cittadini si riconoscono nella cittadinanza, nella civilitas: l’agire di comunità è fondato su un sentimento di appartenenza, per cui i cittadini, consci di appartenere a un ambito privilegiato – come tali riconoscibili e individuabili – e quindi concordi unanimemente nella definizione collettiva di civilitas nei confronti del mondo esterno, appaiono al contempo in lotta inesauribile tra loro. Il confronto e il conflitto, il rapporto di forza tra gli abitanti della città seguono forme accettate e comprese da tutti.
È insomma il rapporto teso e particolare che il contesto cittadino favorisce fra tutti gli elementi che, individualmente, formano una città, a caratterizzare la città nel suo insieme. La città medievale si configura come luogo di relazioni umane improntate all’affermazione di sé, tra gruppi e individui che rivendicano una formale eguaglianza e che per affermarla sono in continua ostentazione della propria diversità e specificità.
Quanto detto non deve far pensare, tuttavia, a una separazione netta tra la città e il mondo rurale. Certo, durante il basso Medioevo, tra il XIII e il XIV secolo, viene formandosi un ceto borghese che si contrappone agli abitanti della campagna per comportamenti economici, mentalità, stile di vita. Questo ceto borghese si afferma nelle attività di mediazione e di scambio, nel controllo del sistema e dei mezzi di pagamento, informando di uno spirito diverso dal passato le nuove attività. La città europea è la città della banca, della contabilità moderna e della lettera di cambio, dei grandi mercanti, principi e scrittori, delle università. Con la città europea comincia ad affacciarsi lo spirito laico, con esso il capitalismo, la scienza e la tecnica moderne.
Ma gli scambi tra città e mondo rurale sono frequenti. I contadini si recano in città per vendere i loro prodotti e fare acquisti al mercato o presso le botteghe artigiane.
A loro volta mercanti, artigiani, professionisti, insomma i ceti urbani che compongono la nascente borghesia, hanno interessi nelle campagne circostanti: qui possiedono ville e terreni, nei quali investono capitali. La loro gestione è improntata a quegli stessi criteri di razionalità ed efficienza che ispirano le attività mercantili e creditizie. In campagna, inoltre, si trovano i luoghi in cui si producono i manufatti tessili: donne e uomini lavorano nelle loro case agricole la materia prima ad essi consegnata dai mercanti imprenditori.
Ma nell’immaginario collettivo le mura costituiscono e continueranno a costituire la barriera che separa il senso di appartenenza alla città rispetto a quello della campagna e dei villaggi. È dalla città che si irradia un nuovo clima, un nuovo sistema di rapporti che è stato definito precapitalismo. La definizione è valida soprattutto per quei Paesi e quei settori in cui più intensi e moderni sono gli sviluppi dell’economia del tempo. Uno dei fattori caratterizzanti il nuovo sistema di rapporti è il maggiore rilievo delle attività finanziarie rispetto a quelle mercantili: da questo punto di vista alcune città europee cominciano ad assumere il ruolo decisivo di piazze finanziarie e sedi di fiere internazionali di cambi che manterranno anche nei due secoli successivi al XIV.
Le attività finanziarie non sono solo l’anima del commercio, ma anche lo strumento di un nuovo legame con gli Stati nascenti, con le finanze pubbliche. Banche e grandi compagnie d’affari con filiali e agenzie in varie parti del mondo costituiscono quasi la preistoria dei grandi gruppi multinazionali e multisettoriali di un futuro ancora lontano. È dalla città che si annuncia il nuovo spirito dell’Europa che ha nel denaro, come valore materiale e come misura del tempo – “il tempo è denaro” –, uno dei suoi elementi costitutivi. “Al tempo sentito attraverso scansioni religiose e liturgiche, al tempo commisurato ai ritmi solari e lunari e alle vicende della coltivazione dei campi subentra un tempo neutro, misurato dai movimenti di dispositivi meccanici, gli orologi, che non dipendono (come le meridiane) dalla luce diurna, né dalla limitata portata di clessidre o altri strumenti rudimentali. Si afferma il tempo del mercante” (Giuseppe Galasso, Storia d’Europa, 1996).
La crisi del Trecento non coinvolge solo le campagne e i villaggi europei, ma anche le città. Il rallentamento della crescita produttiva, il calo demografico, l’insorgere di carestie, il tasso di mortalità, il peggioramento del clima, il dilagare di epidemie fino alla peste nera del 1348, i terremoti del 1348-1349, la guerra con i suoi costi elevatissimi si ripercuotono sulla vita delle campagne e delle città, provocando tensioni, conflitti, rivolte. Al peggioramento delle condizioni di vita dei contadini fa riscontro una vera e propria crisi di sovrapproduzione delle attività industriali urbane, causata dalla contrazione demografica e dall’abbassamento della domanda.
Scoppiano rivolte urbane in diverse aree del continente europeo. In particolare ad essere coinvolto è il settore produttivo che ruota intorno all’industria tessile nell’Italia centrosettentrionale: tumulti scoppiano a Perugia, a Siena. La più nota rivolta urbana del Trecento è il tumulto dei Ciompi a Firenze. Protagonisti sono gli operai salariati delle corporazioni tessili. Il tumulto scoppia nel 1378. I rivoltosi non si limitano a chiedere aumenti salariali, ma vogliono la modifica delle loro condizioni di vita e dei rapporti di potere nella città. Chiedono pertanto l’abolizione dei poteri giurisdizionali che l’Arte della lana esercita su di loro, la creazione di un’arte di operai tessili, la sua partecipazione al governo cittadino. Riconosciuta in un primo tempo, l’arte degli operai tessili viene quindi soppressa. Con la sconfitta dei Ciompi Firenze, come le altre città italiane, si avvia verso il restringimento degli spazi di iniziativa politica e la formazione di un regime di tipo oligarchico che durerà fino all’avvento della dinastia medicea.
La crisi del Trecento non rappresenta solo una fase di depressione economica, ma mette in moto anche un processo di riconversione produttiva. L’industria serica, quella metallurgica e della cantieristica tra il XIV e il XV secolo subiscono un incremento. La crisi demografica, che in alcune regioni europee come quelle del Mezzogiorno d’Italia provoca sconvolgimenti forti nella gerarchia dei centri abitati, in altre regioni produce una ridistribuzione della popolazione.