Le civilta dell'Egeo. L'eta del Bronzo nel bacino dell'Egeo
La varietà delle aree geografiche e la relativa frammentazione culturale costituiscono il tratto dominante del bacino dell’Egeo durante l’età del Bronzo.
La particolare posizione all’interno del Mediterraneo, a contatto con l’Anatolia, l’Egitto e la Mesopotamia, ha determinato le condizioni per l’emergere di gruppi socialmente e politicamente diversificati, protagonisti del primo capitolo della storia europea. Accanto al polo orientale, con il suo flusso di uomini, merci e idee, va tenuto presente il richiamo incrociato con il settentrione: il distretto metallifero carpatico per le genti della penisola greca e migliori condizioni climatiche o lo sbocco al mare per gli abitanti dell’area danubiana; sempre in ambito settentrionale, le terre lambite dall’Adriatico rendono possibile una specifica via dalmata-albanese.
Prescindendo dalle due maggiori, Cipro e Creta (rispettivamente di 9251 e di 8336 km2), le numerose isole che costellano l’Egeo hanno da sempre costituito una serie di ponti naturali per l’accesso alla penisola greca; la varietà delle loro dimensioni (dai 1630 km2 di Lesbo ai 3,5 km2 di Delo), le singole dislocazioni, la diversità delle risorse, mal si prestano tuttavia alla identificazione di modelli di “insularità”, utili per ricostruire le dinamiche storico-culturali nei rapporti fra centro e periferia. Per grandi linee, una schematica suddivisione geografico-culturale della penisola greca permette di distinguere il Peloponneso, la fascia centrale (Attica, Eubea, Beozia e Focide), la Tessaglia (con possibilità di differenziazione fra zona orientale e occidentale), la Grecia nord-orientale (Epiro, Etolia e Acarnania), la Macedonia e la Tracia. Tra le isole, Cipro e Creta rappresentano altrettante aree culturalmente definite; il variegato arcipelago delle Cicladi costituisce il centro ideale dell’intero bacino egeo; il gruppo di nord-est (Samotracia, Lemno, Lesbo, Chio) propone specifici problemi di rapporti con la costa anatolica; le Sporadi meridionali acquistano una specifica fisionomia solo in età micenea. Più difficile da determinare risulta il ruolo delle isole ioniche: terminale di una via costiera adriatica in alcuni casi, ponte naturale fra Grecia e Italia meridionale in altri, semplice area periferica in altri ancora. Degli ambienti proposti, Creta, il Peloponneso e le Cicladi rappresentano le province culturali meglio note, più vivaci e più profondamente interagenti fra di loro, tali in ogni caso da meritare una specifica classificazione per le rispettive civiltà dell’età del Bronzo (minoica, elladica, cicladica); classificazione autonoma viene anche riservata all’età del Bronzo di Cipro (Cipriota), che sarà trattata nel volume di questa opera dedicato all’Asia.
La tradizionale divisione in Antico, Medio e Tardo Bronzo (BA, BM, BT), basata sullo studio delle ceramiche, prevede una serie di ulteriori suddivisioni, non sempre riscontrabili o riconoscibili nei singoli siti. Il punto di partenza per una simile distinzione in ambito egeo è rappresentato dalla periodizzazione minoica proposta da A. Evans già dal 1904. Uno schema evoluzionistico del medesimo tipo fu applicato poco dopo (e comunque già nel 1907) dallo stesso Evans all’ambiente cicladico. Nel 1918 A. Wace e C.W. Blegen introdussero il termine Elladico e la sua periodizzazione. A H. Schliemann si deve il primo uso del termine Miceneo, con il quale viene oggi indicata l’età del BT in ambito continentale. La sistemazione delle varie fasi della cultura cipriota risale, infine, a E. Gjerstad (1926).
Quanto alla cronologia assoluta, l’originario ed elaborato sistema di Evans si fondava sulla cosiddetta “datazione incrociata” (cross-dating), cioè sui sincronismi con gli ambienti egiziano e mesopotamico. Le proposte cronologiche non sono tuttavia univoche; quelle recenti si basano anche su analisi di laboratorio di vario tipo. A commento della periodizzazione sopra esposta occorre tuttavia precisare che in ambito egeo, a differenza di quello anatolico, non viene autonomamente considerata un’età del Rame (o Calcolitico o Eneolitico); la lavorazione di questo metallo è già attestata nel Neolitico tardo-finale. Inoltre, la distinzione fra l’ultima fase dell’Antico Elladico (AE) e la prima del Medio Elladico (ME) è assai meno significativa dal punto di vista storico-culturale rispetto a quella fra AE II e III; per tale motivo si tende a far iniziare con quest’ultimo periodo il nuovo stadio della cultura elladica. Infine, il cosiddetto Bronzo Finale (XII -prima metà dell’XI sec. a.C.), momento assai ben caratterizzato nella penisola italiana, viene spesso considerato come di semplice transizione all’età protogeometrica; la sua indicazione oscilla fra Tardo Elladico (TE) IIIC2 e Submiceneo.
Una delle stratigrafie portanti di ambiente elladico è quella di Lerna in Argolide.
I livelli I e II, assai spessi, si riferiscono ancora a età neolitica; a Lerna III, dell’AE II, appartiene la Casa delle Tegole. L’insediamento III viene distrutto e incendiato; sopra di esso si sistema Lerna IV, relativo all’AE III, con una sepoltura a tumulo ricavata sopra la Casa delle Tegole. Una marcata continuità si ritrova nell’insediamento di età medio elladica (Lerna V, a sua volta suddiviso in sette livelli, dal ME I al ME III). Lerna VI appartiene ormai al TE I.
Lo strato di distruzione della “città” più antica a Kolonna di Egina, fra il Neolitico finale e il Bronzo Antico, viene collocato dagli scavatori intorno alla metà del III millennio a.C. All’AE II si riferisce la seconda città. Dell’AE III sono la III (quest’ultima con la Casa Bianca), la IV e la V città. Di una vita assai breve (2050-2000) gode la VI; alla prima fase del ME si riferiscono le città VII e VIII; del ME II è la IX; l’ultima si arresta, intorno al 1600, alla fine della prima parte del ME III.
In immediata successione fra di loro si dispongono le stratigrafie di Manika e Lefkandì in Eubea. Manika 1 corrisponde all’AE I; Manika 2 occupa l’AE II; Manika 3 e 4 occupano l’intero AE III. L’insediamento sul pianoro di Xeropolis a Lefkandì comincia (fase 1) in corrispondenza con il terzo abitato di Manika. La fase 2, caratterizzata da uno stadio iniziale della ceramica minia, si riferisce alla seconda parte dell’AE III; le 3, 4 e 5 riguardano il ME I e II (nella fase più recente appare anche la ceramica a decorazione opaca, Mattmalerei). La fase 6, che occupa l’ultima parte del ME, prelude già al momento protomiceneo. Una rioccupazione del sito avviene nel TE IIIC (con tre fasi architettoniche distinte e una serie di livelli, fino alla metà dell’XI sec. a.C.).
Situazione assai simile a quella del Peloponneso è offerta dalla Grecia centrale, come appare nella stratigrafia di Eutresis in Beozia, che consente un’articolazione delle fasi più antiche dell’età del Bronzo. A una frequentazione del Neolitico medio e tardo, seguono otto livelli relativi all’AE I (I-V) e II (VI-VIII). Dei livelli più recenti è notevole la casa L (più volte ricostruita), interpretata come edificio sacro. Manca, a Eutresis, la distruzione violenta che caratterizza i siti del Peloponneso alla fine dell’AE II. L’insediamento successivo, dell’AE III, viene distrutto da un incendio; tra le costruzioni relative, la grande casa H presenta una pianta a ferro di cavallo. Il sito vive ancora in periodo ME (anche con importazioni cicladiche e imitazioni di vasi minoici).
Nota, per prima in ambito egeo, già dalla fine dell’Ottocento è la stratigrafia delle tre “città” di Phylakopi a Milo (ognuna con una serie di sottofasi). La città più antica, risalente all’Antico Cicladico (AC) II, fu distrutta nell’AC III; la seconda, del Medio Cicladico (MC), ha restituito anche frammenti cretesi di tipo Kamares e ceramica minia continentale; la terza, che occupa il lungo periodo dal Tardo Cicladico (TC) I al TC III, aveva nello strato superiore una costruzione del tipo a megaron e ceramica TE IIIC. Ancora in ambito cicladico, un insostituibile punto di riferimento è rappresentato dalla sequenza di Haghia Irini, nell’isola di Ceo. Il primo livello risale, probabilmente, alla fine dell’età neolitica; il successivo si riferisce al AC II, il terzo all’AC IIIA. Non è da escludere uno iato prima del centro MC, corrispondente a Haghia Irini IV (con frammenti di ceramica Kamares e minia). Il coinvolgimento cretese continua con il livello V, dell’ultima fase del MC. Haghia Irini VI è un grosso insediamento, cinto da una muraglia, con un singolare edificio lungo e stretto, interpretato come tempio. La distruzione di Haghia Irini VI potrebbe essere contemporanea a quella di Akrotiri di Thera; quella di Haghia Irini VII, con materiale del Tardo Minoico (TM) IB finale, coincide con la fine dei secondi palazzi a Creta; degli inizi del TC III è Haghia Irini VIII. Gli episodi ulteriori si riferiscono alla frequentazione dell’area sacra (con una lunga serie di rifacimenti, fino alla piena età storica).
Se si prescinde dalle stratigrafie, il sito archeologico più famoso di ambiente cicladico è quello di Akrotiri, sepolto sotto la pomice del vulcano, abbandonato prima dell’esplosione finale e dell’affondamento di una parte dell’isola (come dimostra l’assenza di resti umani sotto le macerie). Una serie di costruzioni signorili risulta disposta in apparente disordine e finora senza tracce di “palazzo”. Contemporaneo a quello di Akrotiri, e in parte collegato allo stesso episodio vulcanico, appare il sito di Trianda nell’isola di Rodi, i cui livelli occupano varie fasi del BT. Il livello I si riferisce a un momento iniziale del BT, con ceramica di tipo cretese TM IA. Un paio di terremoti, con relative, limitate riprese, precedono lo strato di puro materiale vulcanico, che determina la distruzione e il parziale abbandono di Trianda I. Il livello IIA ha restituito frammenti di tipo cretese (imitazione del TM IA, ma anche importazioni del TM IB) in associazione con materiale del TE IIB. Quest’insediamento viene distrutto violentemente (come testimoniano i resti di scheletri umani). Trianda IIB, con ceramiche del TE IIIAl, intrattiene pacifici rapporti con la vicina colonia micenea di Ialysos, dalla quale viene probabilmente distrutta subito dopo il 1400 a.C., anche perché era venuto a mancarle il sostegno minoico. Per l’ultimo momento dell’età del Bronzo l’insediamento meglio noto è, in ambito cicladico, quello di Koukounariès, nell’isola di Paro. Occupato fin dall’AC II, ha restituito una ricca cittadella fortificata del TC IIIC (XII sec. a.C.) con un edificio definito “palazzo” dagli scavatori e abbondante ceramica di tipo miceneo. La distruzione violenta (attestata da scheletri umani e animali all’interno della cinta muraria) in un momento non molto evoluto del TC IIIC, forse contemporanea all’ultima di Phylakopi, documenterebbe una serie di episodi bellici nelle Cicladi alla fine dell’età del Bronzo.
Nessuna stratigrafia guida è possibile citare per Creta, ambiente per il quale la periodizzazione proposta fu da Evans costruita a tavolino. Sito peculiare, per le varie fasi del TM, va considerato, in ogni caso, Cnosso (segnatamente il complesso della Unexplored Mansion). I livelli dei 5 abitati di Thermi a Lesbo (del BA II e III) – solo l’ultimo fortificato e poi abbandonato – e i 10 di Emporion a Chio (Area A, dal Neolitico recente fino al BA) costituiscono precisi punti di riferimento per la situazione delle isole nel nord-est dell’Egeo. L’incendio di Emborion I corrisponde all’abbandono di Thermi, per il concretizzarsi di minacce provenienti dalle coste della Tracia, in rapporto probabilmente anche con la fine di Troia II.
Nel sito di Poliochni a Lemno gli stretti rapporti con l’Anatolia dei momenti più antichi, non impediscono una successiva apertura verso il mondo cicladico. Le capanne ovali dello strato nero corrispondono al IV livello della sequenza tardo-calcolitica di Beycesultan. Le mura e il granaio del “periodo azzurro” si collocano nel BA I di Beycesultan e precedono probabilmente di poco gli inizi della sequenza troiana. Già col “periodo verde” (del BA II) il contesto anatolico si va egeizzando e così pure nel lungo “periodo rosso” (con almeno tre momenti edilizi), periodi entrambi corrispondenti ai diversi livelli di Troia I. Per la fase gialla il rapporto è invece con Troia II (alla quale rimanda anche un ricco “tesoro” di oreficeria, oltre che una distruzione violenta). Una sorta di iato (forse non nella vita dell’insediamento ma nelle sequenze stratigrafiche) occuperebbe il lasso di tempo relativo agli strati III e IV di Troia. La fase bruna, del BA III, equivarrebbe ai livelli di Troia V; l’ultima, quella viola, largamente erosa, ha restituito ceramica a partire dagli inizi del XVI sec. a.C.
Per l’area macedone, gli scavi tedeschi di Kastanàs hanno proposto un’impressionante sequenza stratigrafia di 28 livelli, raggruppati in 9 periodi. Il I appartiene al BA (2500-2000); il II si riferisce al BM. Dopo uno iato, la sequenza riprende con il BT (Kastanàs III, 16001400 a.C.); ceramica del tipo TE IIIB si trova nei livelli del IV periodo; materiali del TE IIIC datano invece Kastanàs V (che scende fino al 1000 a.C.). La prima età del Ferro (fino all’800 a.C.) occupa il VI periodo; dei momenti più recenti dell’età del Ferro sono Kastanàs VII e VIII; il IX periodo, di piena età storica, scende fino al II sec. a.C.
A Cipro, vere e proprie stratigrafie sono disponibili solo a partire dal Cipriota Tardo. Nel sito di Enkomi, il livello più antico (IA) viene attribuito al Cipriota Tardo IA, se non addirittura alla fine del Cipriota Medio; quello I, del momento finale del Cipriota Tardo I, termina con una distruzione violenta verso il 1420. I due livelli del IIA corrispondono al Cipriota Tardo IIA-B (XIV sec. a.C.). Quello IIB si riferisce a un centro assai ricco, che ha strette relazioni sia con l’Egeo che con l’Oriente, a causa della presenza del metallo; questo insediamento viene distrutto alla fine del Cipriota Tardo IIC. Carattere monumentale presentano alcune costruzioni del successivo livello IIIA, con un nuovo piano urbano e una massiccia cinta muraria; la ceramica importata è del tipo TE IIIC1. I livelli IIIB (1 e 2) chiudono la sequenza, nel Cipriota Tardo IIIB; la distruzione finale si colloca verso il 1075 a.C. L’insediamento di Kytion, sulla costa sud-est dell’isola, presenta un’interessante continuità di vita dal Cipriota Tardo IIC, fino al Cipriota Geometrico I. Il livello IV, del Cipriota Tardo IIC, è assegnabile al XIII secolo (con ceramica TE IIIB); quello IIIA corrisponde agli inizi del XII sec. a.C. Un periodo di grande splendore si indovina per il livello III (Cipriota Tardo IIIA, 1190-1150 a.C.), corrispondente forse all’arrivo di nuovi gruppi, portatori anche di una tecnica costruttiva a blocchi squadrati. Una calamità naturale distrugge probabilmente le strutture del livello II, verso il 1050 a.C.; il quartiere sacro viene rioccupato subito dopo (livello I) fino alla fine del II millennio. La costruzione di un tempio ad Astarte (verso la fine del IX sec. a.C.) nell’area del vecchio edificio segna l’inizio della colonia fenicia.
Una rigida antinomia continuità-frattura o una formula di comodo come “continuità nel cambiamento” (H. Van Effenterre), esprimono solo il disagio di fronte all’insufficienza di una tale categoria, invocata in ambito egeo soprattutto per il momento di passaggio fra il Neolitico e il BA, per la transizione al BM, per la fase a cavallo fra la pre- e la protostoria (dalla fine della civiltà micenea alla nascita della polis).
D’altro canto, “una profonda continuità di cultura non impedisce una forte discontinuità storica” (R. Treuil). Per tale motivo, la documentazione archeologica non è in grado di spiegare l’abbandono di siti “forti” come Micene, Tirinto e Pilo, o la continuazione in età storica di centri apparentemente più “deboli” quali Atene, Tebe, Argo. L’approccio positivistico (in primo luogo di F. Schachermeyer e M. Gimbutas), sulla base dell’indispensabile esame tipologico, ha proposto una serie di ipotesi storiche, fatte sostanzialmente di invasioni e migrazioni, in funzione soprattutto della indoeuropeizzazione della Grecia. L’approccio “processuale” di C. Renfrew, teso appunto alla ricostruzione dei processi sociali (con l’apporto di teorie e metodi di indagine propri della New Archaeology) consente oggi di superare lo schema evoluzionistico e migrazionistico e di indagare la dinamica economi-co-socio-politico-culturale dei gruppi umani nell’Egeo del II millennio.
L’affermarsi di architetture complesse (le cd. “case a corridoio”) e l’uso di cretule e sigilli per un sistema di immagazzinamento e controllo (a Lerna, ma anche a Zygouries, Tirinto, Nemea, Asine), costituiscono i fenomeni più rilevanti dell’AE II, concluso invece da un evento preciso: una distruzione violenta in diversi centri del Peloponneso e della Grecia centrale, da qualche studioso attribuita a una vera e propria invasione, collegata all’arrivo degli Indoeuropei dalle steppe caucasiche (popolo dei Kurgan). Accanto all’introduzione del cavallo e del carro, espressione culturale per eccellenza dei nuovi venuti sarebbe stata la tipologia funeraria del tumulo. Gli esemplari più antichi, quelli del “gruppo R” a Nidrì a Leucade, sono tuttavia, verosimilmente, anteriori alla distruzione della fine dell’AE II, introdotti attraverso l’Albania e l’Adriatico. La diffusione sistematica della nuova tipologia funeraria su suo-lo greco avviene durante il ME in Messenia, dove, a riprova della sua permeabilità, il tumulo convive, dal TE I, con la tomba a tholos.
A Creta, il fenomeno più importante del BM è rappresentato dalla nascita dei Palazzi, la cui vita risulta scandita da una serie di eventi sismici. Si tratta di un processo complesso, in un momento di grande espansione dell’economia e della popolazione di alcune zone dell’isola: i gruppi agricoli emergenti di tradizione dell’Antico Minoico (AM), gli artigiani specializzati ben evidenti nel Minoico Medio (MM) IA, i lieviti culturali di tipo mesopotamico o egiziano, rendono possibile il coagularsi attorno a una nuova tipologia architettonica (il palazzo), di un sistema di interessi incentrato sulla raccolta e la ridistribuzione di beni.
Fenomeno di rilevanza panegea può considerarsi, sempre nel BM, il definitivo affermarsi della produzione metallurgica, in seguito all’uso generalizzato dello stagno invece che l’arsenico nella lega del bronzo. Il salto di qualità (per le armi e i recipienti) è ben esemplificato nei corredi dei Circoli A e B di Micene che propongono una variante nella tipologia del tumulo; impiantati alla fine del ME, conoscono il loro maggiore splendore nel TE I.
L’evento più traumatico del BT è rappresentato dall’eruzione del vulcano di Thera e dal parziale sprofondamento (con conseguente maremoto) del cono vulcanico (caldera). Le ultime proposte cronologiche, basate sulle misurazioni dei picchi di acidità nei ghiacci della Groenlandia o sugli effetti delle gelate (provocate dalle alterazioni climatiche in seguito alle eruzioni) sui pini della California, concordano nel suggerire la seconda metà del XVII sec. a.C. Tale data risulta troppo alta per la ceramica del tipo TM IA, restituita dallo strato di distruzione dell’abitato di Akrotiri. Sembra invece accettato che la fine dei Secondi Palazzi a Creta non sia stata provocata dalla stessa eruzione che travolse quell’abitato; d’altro canto, strati puri di cenere e pomice restituiti recentemente dagli scavi di Trianda a Rodi, del Serraglio a Coo e di Mochlos a Creta, comprovano la diffusione degli effetti del cataclisma (che secondo alcuni si sarebbero avvertiti fino all’estremità sud-est del Mediterraneo e al Mar Morto).
Con l’episodio vulcanico di Thera interferisce la cosiddetta “talassocrazia minoica”, da intendere probabilmente come una sorta di controllo commerciale dell’Egeo, privo di contenuti politici, volto ad assicurare in primo luogo condizioni di sicurezza per la navigazione. Per una tale attività, Ch. Doumas ha rivendicato di recente una specificità cicladica, sulla base anche della ricchezza dello strato di distruzione di Akrotiri. La terza forza economica, quella micenea, dava corpo nello stesso periodo alla rotta commerciale tirrenica, primo capitolo della “scoperta” dell’Occidente. L’evento che conclude e decanta la prima parte del BT, è rappresentato dalla conquista micenea di Cnosso (collocata di solito intorno alla metà del XV sec. a.C.). Proprio dal modello cretese prenderà probabilmente le mosse (solo dal XIV sec. a.C.), adattata alle strutture socio-politiche micenee, l’originale tipologia del palazzo fortificato (anche nella versione di puro “insediamento militare” a Gla in Beozia), tipica del continente.
Connesse con il fenomeno della presenza micenea sulle coste dell’Asia Minore sono due delle distruzioni notate nella stratigrafia troiana, collegate dai vari studiosi alla città omerica (Troia VI h: F. Schachermeyer, S. Hiller; Troia VIIa: C.W. Blegen, G.E. Mylonas, J.L. Caskey).
In effetti, la Troia VI h, distrutta da un terremoto, aveva già ceramica della prima metà del XIII sec. a.C.; la Troia VIIa, finita per un incendio, ha restituito materiale della fine del XIII secolo; ceramica ormai del XII secolo (TE IIIC) è stata recuperata nello strato VIIb. L’ipotesi più recente (S. Hiller) prevede per entrambe le distruzioni due episodi diversi della guerra troiana.
Il problema della cronologia della Troia omerica è, in ogni caso, in relazione con il fenomeno del dissolversi delle cittadelle micenee e dell’affermarsi, dopo un periodo convulso, di un nuovo ordine. Tra i due episodi dei Popoli del Mare contro l’Egitto (il primo nel quinto anno di regno del faraone Merenptah, verso il 1230 a.C.; il secondo, sotto Ramesse III, verso il 1190) si inseriscono appunto la distruzione delle cittadelle di Micene e Tirinto e l’incendio del palazzo di Pilo (collocati in genere alla fine del XIII sec. a.C.). In una serie di tavolette di quest’ultimo edificio, riportanti l’indicazione di una specifica organizzazione territoriale (che coinvolgerebbe tuttavia un numero assai limitato di persone) si è voluto vedere un’eco delle incombenti minacce. Allo stesso periodo sarebbe da ascrivere la fine dell’impero hittita. Sulle cause del crollo della potenza micenea le opinioni proposte variano dai movimenti di popolazioni o invasioni (del tipo Popoli del Mare o Dori), alle cause naturali (terremoti, cambiamento di clima e conseguenti siccità), alle discordie e ai conflitti interni.
La fine del sistema palatino non comportò, tuttavia, la scomparsa della civiltà micenea; ma spostamenti di gruppi di esuli e di sbandati accompagnarono certamente la caduta dei regni. Un nuovo evento distruttivo, dopo la metà del XII secolo, viene segnalato a Micene, Tirinto, Lefkandì, Teichos Dymaion in Achaia.
Un rapido raffronto fra le varie aree permette di constatare che il livello di disomogeneità raggiunge il massimo durante il BM, per sfociare in una sorta di koiné minoico-micenea nel BT. I sistemi di scrittura (geroglifico cretese, lineare A e lineare B, cipro-minoico) – documentati precocemente nella Creta dei Primi Palazzi – palesano una diffusione piuttosto limitata anche nel momento del BT. La scrittura va dunque considerata, in ambiente egeo, soltanto come lo strumento operativo di una classe burocratico-amministrativa.
Strettamente collegati fra di loro sono i problemi della protourbanizzazione e del controllo del territorio.
Gli insediamenti dell’AB II (da Manika a Kastrì di Syros, a Kolonna di Egina, ma anche a Cnosso e a Festo) sembrano sufficientemente estesi. Le scarse informazioni sulle strutture sociali, sull’organizzazione del lavoro, sull’esistenza di un artigianato specializzato, sulla presenza di edifici o di spazi pubblici, sul patrimonio ideologico, rendono la situazione dell’Egeo assai diversa da quella del Vicino Oriente, dove il fenomeno urbano giunge a completa maturazione già nel periodo detto “di Uruk”, intorno alla metà del IV millennio a.C. Le esperienze egee, piuttosto, sembrano contemporanee (senza che se ne possa affermare una dipendenza filogenetica) alla cosiddetta “seconda urbanizzazione mesopotamica”, assegnabile al BA III orientale (imperi di Akkad e di Ur III: 2700-2000 a.C.). Quanto al controllo del territorio, le limitate indagini di archeologia insediamentale non permettono di isolare specifici modelli per i periodi più antichi, nonostante alcuni recenti tentativi. Per il BM e il BT, nella sola isola di Creta, sembra accertata una soluzione “palaziale”, i cui riscontri “fiscali” o burocratici, nel momento finale, si ritrovano nelle tavolette in lineare B dell’archivio di Cnosso. Ancora più esplicita è, per la fine del XIII secolo, la documentazione del palazzo di Pilo (pu-ro), le cui tavolette ricordano 17 toponimi organizzati in due province. La Minnesota Messenia Expedition ha sostanzialmente confermato sul campo l’organizzazione gerarchica del territorio di Pilo in età micenea, proponendo anche una tipologia dimensionale degli insediamenti. Più problematica risulta la situazione in Argolide, a causa dell’esistenza di diversi centri di potere in un’area relativamente ristretta: alla proposta paritaria di C. Renfrew (Early State Module) per i siti maggiori (Micene, Tirinto, Midea, Argo) si oppone l’ipotesi di un primato di Micene (J. Chadwick, J.L. Bintliff), confluito nell’epos omerico (il cui Catalogo delle navi, pur non rispecchiando esattamente la situazione politica, i rapporti di forza e l’assetto territoriale della Grecia micenea, potrebbe conservarne l’eco).
Nell’ambito della sfera economica, per l’aspetto dell’approvvigionamento del metallo, la ricerca degli isotopi del piombo (per accertare la provenienza del rame), ha permesso di enfatizzare il ruolo di giacimenti interni al bacino dell’Egeo, come quelli del Laurion. Il contenuto dei commerci non può essere esaurito dagli indicatori archeologici (ceramiche di lusso, semplici contenitori, oggetti di metallo, armi, ornamenti personali, materiale variamente prezioso); l’esistenza di sistemi ponderali “egei” diversi da quelli orientali, o il recupero di cretule di tipo minoico (della media età del Bronzo) nella lontana Samotracia dimostrano la complessità e la vastità della rete di relazioni. E appare sorprendente che già nell’AE II oggetto di scambi potessero essere vasi di uso comune, anche di piccole dimensioni (oltre ad anfore, vasi pithoidi e persino alari e bracieri): il relitto recuperato nel 1989-90 nelle acque antistanti il promontorio occidentale dell’isoletta di Dhokos (a ovest di Hydra), ha restituito ceramiche di fabbriche diverse del continente, ma anche cicladiche. Le dimensioni e il peso delle due ancore, probabilmente pertinenti allo stesso relitto, hanno fatto ipotizzare uno scafo relativamente modesto (della lunghezza di 10 o 12 m e del peso di 5-10 t) in apparente contrasto con la quantità del carico.
Collegato al problema degli scambi è quello della sicurezza delle rotte: le cinte murarie che muniscono alcuni insediamenti delle Cicladi nello stesso periodo del naufragio di Dhokos (Kastrì a Syros, Kynthos a Delo, Askitariò e Rafina in Attica, Capo Kolonna a Egina) permettono di indovinare dietro le insicurezze e le minacce veri e propri episodi di pirateria, in un secondo momento assorbiti nel sistema della pax minoica. Quanto alla specializzazione dell’artigianato, manifestazioni peculiari sembrerebbero la produzione di idoletti marmorei cicladici (nell’Antico Cicladico II) o quella della fusione (con rame e stagno) nel BM. In ambito cretese, l’alto livello tecnico della ceramica già nel periodo protopalaziale (per tacere della glittica, della sfragistica, dei vasi in pietra, o degli addetti alla scrittura) si spiega con l’organizzazione del lavoro propiziata dai palazzi. La linea di tendenza si consolida nel momento tardominoico, con professionalità specifiche nel campo dell’architettura (progettazione di edifici e articolazione dei cantieri, decorazione parietale figurata, ecc.). Una rassegna di artigiani che lavorano per il palazzo è ricordata dagli archivi dei vari palazzi. Ad artigianato specializzato può anche essere ricondotta la multiforme produzione delle armi: lo sviluppo della tipologia fornisce preziose indicazioni sul variare delle tecniche di combattimento e sulla dotazione dell’armamento (come risulta dall’indagine di I. Kilian Dirlmeier sui corredi delle tombe nei Circoli A e B di Micene). La corazza da parata del signore di Dendra, il carro al galoppo nelle stele del Circolo A, la teoria di guerrieri sull’omonimo vaso proveniente da una casa a sud dello stesso circolo, propongono, in successione cronologica, iconografie diverse.
Pur tenendo presente che per molti contesti possono rimanere oscure le insegne o le qualificazioni del prestigio, collocheremmo l’emergere di vere e proprie élites, in ambiente elladico, già nell’AE II: la Casa delle Tegole a Lerna, con il suo sistema di immagazzinamento e controllo di derrate, è stata interpretata come edificio pubblico, dietro il quale è possibile indovinare l’esistenza di proprietari terrieri, che gestivano in maniera razionale l’accumulo delle risorse. Alla tipologia dei tumuli (a Nidrì praticamente contemporanea alla Casa delle Tegole), è forse associabile un’idea di rango legata alla figura del guerriero-(cacciatore?), con pugnali, arco e frecce. Assai più nitidi risultano i contorni delle oligarchie guerriere esemplificate dai Circoli A e B di Micene e responsabili del formarsi della civiltà protomicenea. Il momento successivo è rappresentato dal wa-na-ka, vero e proprio monarca o principe, alla sommità della struttura piramidale palatina nel periodo aureo dell’età micenea; in un simile contesto diventa inevitabile anche l’esistenza di classi sociali differenti.
In ambiente cretese, le tombe circolari (AM I-II) della Messarà si riferiscono probabilmente a strutture sociali per clan, nelle quali le fortune dei capi erano certamente in rapporto con lo sfruttamento della terra e l’allevamento del bestiame. La Casa Rossa (AM IIB) di Vasilikì non ha restituito cretule o sigilli: ma anche dietro di essa è lecito indovinare élites fondiarie simili a quelle della Casa delle Tegole di Lerna. La stessa linea di tendenza è documentabile nella isolata Casa Ovale di Chamaezi, del MM IA. Col BM, le strutture sociali dell’isola sembrano nettamente divergere da quelle del continente: le oligarchie protopalaziali (con l’indispensabile braccio burocratico amministrativo) gestiscono l’accumulo e la redistribuzione di beni che, col passar del tempo, non saranno più esclusivamente agricoli. Nell’età neopalaziale, gli interessi del palazzo risulteranno infatti ancora più ramificati e il controllo del territorio sistematico, anche attraverso il coinvolgimento della sfera del sacro e la gestione diretta dei santuari: l’oligarchia al potere viene ora probabilmente rappresentata da una figura monarchica con una qualche connotazione religiosa (una sorta di “re-sacerdote”, come proposto a suo tempo da Evans). Con la conquista micenea di Cnosso, nella sala del trono siederà un wa-na-ka di tipo continentale, che ripristinerà l’omogeneità egea delle strutture politiche, disattesa nel BM e nella prima parte del BT.
In ambiente cicladico la caratterizzazione socio-politica delle evidenze risulta praticamente nulla. La diffusione delle ossidiane di Milo e di Yalì presuppone, già dall’età neolitica, gruppi di navigatori e di commercianti. La grande mobilità insulare determina probabilmente la sistemazione di nuclei cicladici sulle spiagge dell’Attica (Tzepi di Maratona e Haghios Kosmas), dell’Eubea (Manika) o di Creta (Haghia Fotià), nell’Antico Cicladico II. Il cosiddetto “ammiraglio della flotta”, rappresentato secondo alcuni nell’affresco delle navi recuperato in una casa signorile di Akrotiri, potrebbe documentare, alla vigilia della catastrofe, l’esistenza di strutture politiche. La supposizione che egli fosse di “nazionalità” micenea (R. Laffineur), contrasterebbe tuttavia con l’idea corrente di un controllo minoico del Mar Egeo in età MT I; l’ipotesi “borghese” di Ch. Doumas, che privilegia l’aspetto commerciale delle strutture sociali cicladiche, appare invece più verisimile. A Cipro, per i momenti più antichi, solo la peculiarità e la concentrazione dei modellini di soggetto religioso nelle tombe di Vounoi (del Cipriota Antico II) lascia indovinare, dietro una certa enfasi della sfera sacrale, gruppi di sacerdoti preposti alla sua gestione. A partire dal Cipriota Tardo II, le cinte murarie e gli edifici di Enkomi e di Kytion, oltre alla qualità di alcuni rinvenimenti, depongono in favore dell’esistenza di gruppi di potere collegati probabilmente all’estrazione, lavorazione e commercializzazione del metallo, magari sotto l’egida di strutture religiose. L’inevitabile incontro con le marinerie semitiche può aver potenziato la mobilità e la penetrazione dei commerci ciprioti (come dimostrano le ceramiche e gli oggetti bronzei recuperati in Sicilia). La notevole diffusione della classe di vasi micenei di Pictorial Style del XIII sec. a.C. si giustifica probabilmente con l’arrivo nell’isola di gruppi di vasai dal continente greco. Della cosiddetta “colonizzazione achea” dell’isola alla caduta dei regni (e di una verisimile seconda ondata ormai nell’XI sec. a.C.) sfuggono, purtroppo, i riflessi socio-politici.
Delle relazioni commerciali minoiche (o più genericamente egee) con le altre potenze del Mediterraneo, alcune tombe dipinte a Tebe di Egitto, forniscono testimonianze assai più autorevoli dei singoli prodotti di cultura materiale. Le scene con raffigurazione di Keftiu (abitanti dell’isola di Creta) nelle tombe di alcuni dignitari (Senmut, User-Amon, Rekhmere, Menkheperreseneb, fra gli inizi e il terzo quarto del XV sec. a.C.) documentano anzi, attraverso il ritocco e il cambiamento del gonnellino indossato dai Keftiu, il subentrare di partners commerciali micenei (indicati come gli abitanti delle “isole che stanno in mezzo al Mare”) a quelli minoici. E un brano delle Ammonizioni, sorta di testo profetico, conservato in una redazione del XIV secolo, ma risalente secondo alcuni al Primo Periodo Intermedio (fra la fine del III e gli inizi del II millennio a.C.), ricorda l’interruzione, a seguito di calamità naturali, dei rapporti commerciali con i Keftiu (fornitori di olio profumato necessario all’imbalsamazione). Le liste egiziane dei cosiddetti Popoli del Mare contengono anche il nome degli Eqwesh, per i quali è stata proposta l’identificazione con gli Akhiyawa dei documenti hittiti, a loro volta ricondotti (non unanimemente) all’etnico greco Achaioi (eventualmente accostabili al toponimo locativo a-ka-wi-ia-de di un tavoletta in lineare B di Cnosso). Secondo una proposta recente (T.R. Bryce), quello degli Akhiyawa sarebbe un regno miceneo del continente greco, con una sorta di avamposto a Mileto, in funzione anti-hittita; dei contrasti hittito-micenei sarebbe addirittura espressione la saga troiana. Che gli Hittiti potessero aver deciso un embargo nei confronti di merci micenee viene ora ipotizzato sulla base degli scarsi rinvenimenti di oggetti importati nei due ambienti, oltre che su quella del noto decreto di Tudkhaliya IV a Sausgamuwa, re di Amurru, contro il commercio degli Assiri e, indirettamente, anche degli Akhiyawa (E.H. Cline). Ancora fra i Popoli del Mare, i Peleset provenivano probabilmente da Creta, se è esatta la loro identificazione con i Filistei della Bibbia (Geremia, 47, 2, 4).
L’unico documento scritto comprovante relazioni commerciali fra Ugarit e Creta ricorda l’esenzione fiscale che gode la nave del ricco tamkaru (mercante) Sinaranu, “quando essa arriva da Creta” (concessa dal re Ammistamru II, nella seconda metà del XIII sec. a.C.). Generalmente accettata è l’identificazione di Cipro con la Alashiya citata, oltre che dai documenti hittiti e ugaritici, nelle lettere di Tell el-Amarna: da una di esse risulta che il re di quella terra era impegnato a fornire annualmente al faraone una certa quantità di rame. Indicazione di metallo cipriota (allume?) è contenuta in una tavoletta in lineare B di Pilo (ku-pi-ri-jo tu-ru-pte-ri-ja, κύπριος στρυπτερία).
Alla precoce preminenza culturale di Creta, la memoria storica dei Greci aveva probabilmente voluto rendere omaggio collocando nell’isola la nascita di Zeus e la sua tomba. La tradizione collegata, anche indirettamente, a Minosse è piuttosto articolata (Hdt., III, 122; Thuc., I, 4 e I, 8; Bacch., Carm. I, 22 sgg.; Pind., Pae. IV, 27-44): comunemente nota come “leggende della talassocrazia” è stata anche considerata una tarda elaborazione ateniese, per giustificare il predominio della città al tempo della Lega delio-attica (Ch.G. Starr). Alcune di queste leggende coinvolgono inoltre le Cicladi, per le quali la notizia di maggiore interesse, con riscontri di tipo archeologico, rimane tuttavia quella tucididea relativa ai primi abitanti, i Cari (I, 4 e I, 8). Assolutamente nebulosa resta invece la tradizione platonica concernente Atlantide, che si è tentato, senza molto successo, di identificare ora con Thera ora con Creta (Plat., Crit., 113c-121c; Tim., 24e-25d). Gli effetti dell’eruzione del vulcano e del successivo maremoto sono stati richiamati per alcuni passi di Apollonio Rodio (Apoll. Rhod., IV, 1537 sgg.; 1694-1701) e per uno di Diodoro (V, 57, 8), che riferisce di un’inondazione nell’isola di Rodi. E ci si è spinti persino a identificare gli effetti del cataclisma in alcune delle “calamità” inviate al Faraone, al tempo dell’Esodo degli Ebrei dall’Egitto.
Antiche leggende sono state evocate anche a proposito della formazione della cultura micenea: quella di Danao e delle Danaidi di Egitto per l’emergere dei centri dell’Argolide, favorito dalle ricchezze elargite a mercenari dai re Hyksos; quella del semita Cadmo per giustificare le vicende della città di Tebe (sulla rocca Kadmeia). Ma è nell’epica omerica che la Grecia micenea riceve la sua consacrazione letteraria, con la guerra di Troia e i Nostoi. Accanto a quella filologica, esiste ormai una “questione omerica” archeologica, tesa a individuare quanto di reminiscenze della Grecia micenea (per architetture, tipologie di cultura materiale, ideologie, usanze, credenze religiose) si mescoli nei poemi ai dati più recenti dell’età del Ferro. Non meno arduo da risolvere è il problema del riscontro archeologico alla tradizione collegata alla formazione stessa del popolo greco, quella dell’invasione dorica e del contrastato ritorno degli Eraclidi nel Peloponneso. La sostanziale continuità di cultura materiale, o la vita ininterrotta di alcuni insediamenti micenei lasciano poco margine alla significatività di singoli elementi di novità tipologica nel passaggio fra l’età del Bronzo e quella del Ferro. Di fronte al ricorrere generalizzato di quella tradizione letteraria, non resta che ribadire l’insufficienza dei dati archeologici: strati e sequenze sul terreno possono essere anche popolati di invasori senza volto.
Le frequentazioni egee in Occidente, ben documentate fin dall’età neolitica, assumono rilevanza specifica e generalizzata soltanto con il BT egeo (corrispondente al BM dell’Italia meridionale e Sicilia). L’espansione in Occidente costituisce, in questo senso, la risposta micenea alla cosiddetta “talassocrazia minoica” in Egeo.
Elementi di tipo AE III sono stati riconosciuti da L. Bernabò-Brea nei momenti iniziali della cultura di Capo Graziano alle Eolie. Alle fasi finali della stessa (con ceramica di tipo TE I e II), risalirebbe l’edificio circolare a tholos di San Calogero a Lipari. In Sicilia, il pomello osseo di spada da Monte Sallia (Ragusa), una tazza bronzea frammentaria dalla grotta Maccarrone di Adrano, una punta di lancia proveniente probabilmente dalla zona di Taormina, i gioghi bronzei di bilancina da Castelluccio (Siracusa) e Fiumedinisi (Messina), l’imitazione (da prototipi medio-minoici) del vaso a corna in vari contesti castellucciani documenterebbero solo interessi marginali o relazioni commerciali mediate fra il mondo protomiceneo e l’isola. Nello stesso periodo, invece, prenderebbe corpo l’approvvigionamento sistematico di metallo tirrenico (piuttosto che di schiavi), lungo una rotta Eolie-Vivara. Le successive rotte (XIV-XIII sec. a.C.) – ionica, le due siciliane (Thapsos-area siracusana e area agrigentina), la sarda (probabilmente collegata con quest’ultima) – documentano, con la molteplice provenienza dei loro contenuti, la ramificazione degli interessi micenei in Occidente, tesi al drenaggio di ogni categoria di risorse disponibili (R. Peroni). Il peso dei fenomeni di acculturazione innescati nel Sud della penisola risulterebbe dai nuovi mezzi di produzione e dai sistemi di accumulo e immagazzinamento al Broglio di Trebisacce (dove è documentato anche l’uso del tornio), ma anche dall’emergere o dal consolidarsi di élites locali (in strutture socio-economiche di tipo “gentilizio-clientelare”), quali palesano la tomba 3 di Toppo Daguzzo (seconda metà del XV -inizi del XIV sec. a.C.) o la 743 di Lavello (XIV sec. a.C.). In questa stessa prospettiva vanno considerate l’adozione di piedi e moduli architettonici di tipo miceneo negli edifici di Thapsos (e poi nell’anaktoron di Pantalica), o la diffusione della tomba a tholos scavata nella roccia, soprattutto nella zona agrigentina. I misteriosi contrassegni eoliani su frammenti ceramici dell’età del Milazzese, o l’idoletto miceneo recuperato, per lo stesso periodo, nella capanna G III sull’Acropoli di Lipari, ribadiscono la vivacità della rotta eoliano-tirrenica anche nel XIV-XIII sec. a.C. È questo un momento di grande espansione del commercio di prodotti micenei, come dimostrerebbero i due frammenti TE IIIB recuperati ora a LLanete de los Moros, nella valle del Guadalquivir in Spagna. Le testimonianze nel Sud della Sardegna risalgono già al XIV sec. a.C., come è adesso ribadito dall’alabastron TE IIIA2 del nuraghe Arrubiu; la placchetta d’avorio con elmo da Mitza Purdia di Decimoputzu, le perline di San Cosimo di Gonnosfanadiga, i frammenti ceramici dal nuraghe Antigori di Sarroch preludono al massiccio coinvolgimento, nella sfera metallurgica, della componente cipriota (a partire dal XII sec. a.C.). L’ancora evanescente rotta adriatica (fino all’area padovana e del delta padano) costituisce probabilmente un episodio secondario e cronologicamente più tardo (XIII-XII sec. a.C.). Lo stanziamento, dopo la caduta dei regni micenei, di piccoli nuclei transmarini nell’area agrigentina della Sikanìa, probabilmente adombrato dalla tradizione letteraria relativa a Minosse e Kokalos (Hdt. VII, 170; Diod. Sic. IV, 79) potrebbe giustificare la sopravvivenza di determinate tipologie connesse con la sfera rituale o funeraria (modellini fittili, forme ceramiche, ecc.) in piena età del Ferro.
Nella prospettiva di lunga durata, è opportuno porre il problema dei modelli antropologico-culturali forti che i tre ambiti culturalmente più vivaci, Creta, Peloponneso e Cicladi, possono aver consegnato alle poleis greche. Il “funzionario” minoico e il suo continuatore miceneo rappresentano il nucleo originario di quella burocrazia indispensabile al funzionamento delle città-stato. La mobilità e la vivacità del navigatore cicladico, alle quali si sommeranno le esperienze cipriote e fenicie, costituiranno forse il nerbo delle attività commerciali e accresceranno l’efficacia delle triremi ateniesi. Il principe-guerriero miceneo, che nel Pelopion di Olimpia o nell’Ampheion di Tebe è già considerato un eroe, fornirà probabilmente, grazie anche alle suggestioni dell’epos, il termine di confronto per le classi dominanti fino all’età delle tirannidi (per morire forse nell’ambito di magistrature puramente rappresentative come quella dell’arconte).
Emblematico della complessità dei processi storici può essere considerato il caso di Atene. Miseri resti sulle pendici sud dell’Acropoli, documentano il coinvolgimento nel fenomeno dei tumuli in età mesoelladica. Per vedere emergere un gruppo dominante bisognerà invece attendere che si siano consolidate le strutture politiche dell’Argolide; la tomba a tholos non godrà di alcuna fortuna (attestata, nell’intera Attica, solo a Thorikòs, Maratona e Menidi); la cinta “ciclopica” tarderà a nascere fino alla fine del TE IIIB, quando le altre cittadelle fortificate si apprestano a dissolversi. Ma nel mondo greco, la polis ateniese, sull’onda degli splendidi prodotti dei suoi vasai di età geometrica, diventerà presto il punto di riferimento, offuscato solo al tempo del sacco persiano: per conquistare l’Acropoli, le armate di Mardonio dovranno tuttavia distruggere proprio la cinta fatta costruire dal wa-na-ka miceneo.
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