Le civilta dell'Egeo. La civilta micenea
di Luigi Caliò
Le tombe a fossa dei Circoli A e B di Micene sono un ritrovamento eccezionale per la ricchezza dei corredi, ancora perfettamente conservati all’epoca del rinvenimento. Tuttavia in questa fase diverse sono le attestazioni della nuova prosperità caratterizzata da un generale aumento dell’uso di beni di lusso non solo in Argolide, ma anche in Messenia, dove il materiale riesumato dalle antiche tombe a tholos attesta una crescita della ricchezza e, probabilmente, l’inizio di una società più gerarchizzata.
Il periodo, contemporaneo all’apogeo dei Secondi Palazzi cretesi e immediatamente precedente alla nascita della cultura protomicenea dell’Elladico Tardo (ET) IIA, si caratterizza quindi per la crescita di una classe dominante che trova la sua ricchezza nei commerci e nella guerra. Una delle tholoi più antiche della Messenia, quella di Osmanaga, presenta già un corredo con vasellame di argento, oltre a pissidi di marmo, ceramica e una brocca importata risalente al Minoico Tardo IA. In Messenia sono state rinvenute in tutto una decina di tholoi. I corredi, spesso saccheggiati, richiamano nella composizione quelli delle tombe di Micene. Nel Circolo di Pilo, che forse sosteneva una tholos e che ha restituito i corredi più integri, sono stati trovati diademi d’oro, frammenti di gioielli d’oro e di vasi d’argento, oltre a vasi e utensili di bronzo, armi, oggetti di avorio, perle in pasta di vetro, ametista, ambra e numerosi vasi di ceramica.
Più interessanti risultano i rinvenimenti in Argolide. Il Circolo B di Micene, il più antico (1650-1550 a.C.; secondo altre cronologie 1600-1520 a.C.), scoperto negli anni Cinquanta dell’Ottocento, si trova immediatamente fuori la Cittadella; i corredi delle tombe a fossa contenevano armi di bronzo e di ossidiana, vasellame di pietra, metallo e faïence, ornamenti d’oro, spilloni di bronzo con testa di cristallo e soprattutto una maschera d’oro e di elettro, un sigillo di ametista decorato da una testa di uomo barbuto, un vaso di cristallo di rocca con ansa figurata a forma di uccello. Il Circolo A (1600-1500 a.C. o 1550-1500 a.C.), scavato all’interno delle mura da H. Schliemann a partire dal 1876, presenta nelle sue tombe più recenti (III-IV e V) corredi decisamente più ricchi. Il vasellame d’oro, argento, faïence, alabastro, ceramica, i rhytá d’oro e d’argento e le molte armi, ricche per materiale e decorazione, costituiscono, assieme alle scene di battaglia rappresentate sul vasellame, come l’assedio di una città che compare su un rhytón, o ai numerosi denti di cinghiale che dovevano far parte di elmi di tipo miceneo, una testimonianza dello status sociale degli inumati di queste tombe, probabilmente membri della oligarchia guerriera di Micene. Tra gli oggetti preziosi figurano anche gioielli e decorazioni di vesti d’oro, numerose perle d’ambra, corone, diademi e cinque maschere d’oro; accanto ai corredi, l’interesse di queste tombe proviene dalle stele di pietra scolpita che segnavano le fosse, decorate con scene di guerra, di caccia o di combattimento tra animali e con elementi spiraliformi.
L’origine della ricchezza di queste tombe ha posto comunque molti interrogativi e deve essere probabilmente messa in relazione con varie cause, come la crescita della pirateria, l’intensificazione dei commerci con Creta, le Cicladi e l’Anatolia, una maggiore circolazione di doni. L’influenza cretese è particolarmente evidente nel vasellame in pietra e in faïence, nell’importazione di alcuni tipi di spade e probabilmente anche nell’invio di architetti in Grecia per la costruzione di tholoi, come potrebbe indicare l’iscrizione in lineare A trovata su una delle più grandi tholoi di Peristeria dell’ET II A.
Soprattutto Micene dovette essere favorita per la sua posizione in grado di controllare le vie dall’Istmo e dalla piana di Argo, ma probabilmente una delle fonti di ricchezza della Grecia continentale dovevano essere le miniere di argento, piombo e rame del Laurion in Attica, che sembrano essere state sfruttate a partire da questo periodo. D’altra parte la presenza di spade micenee in Romania e il gran numero di rinvenimenti di ambra in Grecia hanno fatto presupporre un forte scambio tra la nuova aristocrazia greca e la Transilvania, ricca di miniere d’oro, il cui commercio in ambito egeo era controllato proprio dai nuovi potentati.
Accanto alla ricchezza dei corredi funerari, gli abitati presentano delle importanti novità tra la fine dell’ET I e l’ET IIA. Per quanto riguarda l’architettura abitativa, si generalizza la struttura del megaron a pianta rettangolare, in alcuni casi con annessi magazzini e ambienti di servizio, come ad Asine o a Peristeria, forse per assolvere a funzioni particolari; allo stesso modo edifici importanti dovevano sorgere sotto i palazzi di periodo posteriore a Pilo, Micene e Tirinto, come attesta la decorazione in affresco che è stata rinvenuta frammentariamente per gli ultimi due siti. Alcuni siti come Malthi e l’Aspis di Argo mostrano tracce di pianificazione urbana e la costruzione di un muro di cinta, elemento, quest’ultimo, che si ritrova in diversi siti del Peloponneso e dell’Attica, anche se in generale gli agglomerati urbani ancora conservano tratti peculiari della tradizione mesoelladica. Sempre dalla fase precedente sembrano provenire i tumuli che coprono più sepolture e di cui i circoli non sono che una variante di lusso.
Inizia nell’ET I, per poi diffondersi maggiormente nel periodo successivo, la diffusione di una ceramica più propriamente micenea, caratterizzata da una produzione raffinata a vernice brillante rossa o nera su sfondo chiaro. Le forme sono di piccole dimensioni, come le tazze troncoconiche dette “di Vaphiò”, le tazze a profilo convesso, gli alabastra, ma anche vasi di grandi dimensioni per lo stoccaggio di beni alimentari come le anfore-pithoi. Questa ceramica testimonia nell’insieme la fusione di elementi più tipicamente elladici, cicladici e cretesi, ma soprattutto un repertorio decorativo di derivazione minoica.
L’ET IIA (1500-1450 a.C.) si pone come il momento in cui le aristocrazie guerriere, che avevano segnalato la propria presenza attraverso le ricche tombe, consolidano le strutture sociali che apparterranno alla società palatina più tarda. Se gli edifici rinvenuti a Tirinto e Micene possono già essere considerati, anche se dubitativamente, come forme protopalaziali, il consolidarsi dell’uso della tholos, soprattutto nel Peloponneso, mostra l’emergenza definitiva di una classe aristocratica diffusa sul territorio. Le poche tholoi non saccheggiate in antico, come quelle di Vaphiò in Laconia, di Dendra in Argolide e di Routsi e Pilo in Messenia, mostrano la presenza di un’ampia scelta di beni suntuari e di importazione. Delle nove tholoi rinvenute a Micene almeno sei sono state attribuite all’ET IIA; tutte sembrano accogliere sepolture aristocratiche, anche se le due più imponenti (Tomba di Egisto e Tomba del Leone), che sono anche le due più vicine alle mura della Cittadella e al Circolo B, potrebbero essere interpretate come tombe reali.
L’influenza minoica in Grecia diventa molto forte nella decorazione di beni di lusso, come vasellame metallico, oreficeria, sigilli, e negli affreschi, anche se i soggetti scelti, come le scene di caccia e di guerra, costituiscono figurazioni tipiche del continente greco; l’importazione di vasi minoici crea nel Peloponneso una serie di fabbriche che producono una ceramica di imitazione, sia per forma sia per decorazione. La distruzione dei palazzi a Creta, alla fine del periodo, riduce improvvisamente le importazioni e gli influssi minoici in Grecia, fenomeno che si riflette soprattutto nella ceramica ET IIB. Il periodo che comprende questa fase e la successiva (ET IIB -ET IIIA1: 1450-1350 a.C.) è segnato dalla nascita delle prime strutture palatine, anche se ancora in uno stato embrionale, continuando la tendenza all’accentramento che aveva caratterizzato i periodi precedenti.
Alcuni edifici importanti come il Menelaion di Sparta in Laconia possono essere già considerati dei palazzi e probabilmente è proprio a partire dall’inizio dell’EM IIB e per tutto l’ET IIIA1 che si deve datare l’eventuale controllo miceneo sul palazzo di Cnosso. L’incremento demografico e l’occupazione dei siti cresce notevolmente tra l’ultima fase dell’ET II e l’ET IIIA, soprattutto in Argolide e in Attica. La necropoli di Dendra raggiunge ora il suo periodo di maggior uso e sia la tholos che la Tomba della Corazza si datano in questo momento. A Tirinto la costruzione di un primo palazzo e della cinta muraria risalgono all’ET IIIA1. In questo periodo tornano forti i rapporti con Creta, come testimoniano i ritrovamenti di ceramica minoica in Grecia e di ceramica micenea a Creta. Sia a Creta che in Grecia sono in voga le cosiddette “tombe di guerrieri”, in cui gli inumati vengono deposti con le armi e di cui la tomba 122 di Dendra costituisce l’esempio più cospicuo. La stretta connessione tra Creta e il continente e la presenza di tavolette in lineare B a Cnosso hanno avallato l’ipotesi di un governo miceneo del palazzo cretese, protrattosi fino alla distruzione, avvenuta nel 1370 a.C.
Ma è soprattutto con l’avvento dell’ET IIIA2 (1350 a.C.) che la civiltà micenea diventa predominante in ambito egeo. La ceramica micenea si diffonde ora in tutta la Grecia e nelle isole dell’Egeo e tra le esportazioni si possono annoverare armi, sigilli, avori. Cresce il numero degli insediamenti e delle necropoli con tombe a camera e si istituzionalizza il sistema dei palazzi.
Le strutture palatine ricevono un nuovo impulso edilizio. A Micene si realizza in questa fase la costruzione di un muro e l’ampliamento del palazzo e dei suoi annessi e nello stesso lasso di tempo vengono costruite la tholos di Clitennestra e il Tesoro di Atreo, che per tecnica costruttiva e per apparato decorativo superano di gran lunga le tholoi reali del periodo precedente; a Pilo, dopo la distruzione verificatasi alla fine dell’ET IIIA1, viene eretto un nuovo palazzo; a Tirinto il palazzo viene modificato e alla fine del periodo la città bassa è recintata con mura fortificate; a Gla si effettua la costruzione di una fortezza, forse una struttura palatina, probabilmente per lo sfruttamento della zona del lago Copaisde; a Tebe gli scavi sulla Cadmea hanno rivelato la presenza di una struttura palatina distrutta forse alla fine del periodo. In Argolide l’intensificarsi dell’uso delle tombe a camera può significare un incremento demografico, ma anche rispecchiare una società più ricca.
Nell’ET IIIB continua la prosperità del periodo precedente e i palazzi ricevono la loro sistemazione finale, con un megaron centrale e una serie di edifici secondari per lo stoccaggio delle merci o per alloggiare laboratori artigianali.
A Tirinto il megaron presentava un trono collocato su uno dei lati lunghi. Il palazzo aveva un ruolo di accentramento e di ridistribuzione dei beni all’interno del territorio, oltreché di regolamentazione dei commerci con altre regioni. Alcune abitazioni private, come la Casa del Mercante d’Olio a Micene, forse utilizzata per la preparazione di oli profumati, ripropongono l’architettura palatina e nei quartieri abitativi vengono costruiti laboratori o magazzini, come la Casa del Mercante di Vino o la Casa degli Scudi sempre a Micene. Proprio Micene presenta durante questa fase una serie di costruzioni imponenti, come la cinta muraria che, con l’entrata monumentale della Porta dei Leoni, viene ampliata fino a comprendere il Circolo A.
Tra l’ET IIIA2 e l’ET IIIB1 (1350-1250 a.C.), periodo caratterizzato da una forte economia di palazzo, l’attività micenea in ambito egeo è particolarmente attestata. La presenza di testi in lineare B su sigilli inscritti indica in Argolide un forte controllo da parte di Micene, cui forse Tirinto è subordinata, in Messenia da parte di Pilo, in Beozia da parte di Tebe, il cui potere sembra arrivare fino in Eubea. Più ipotetica è la presenza di una struttura palatina a Orchomenos, cui forse può essere riferita la fortezza di Gla, e ad Atene. Insediamenti di tipo miceneo si trovano nelle Cicladi (Delo, Phylakopi, Haghia Irini, Grotta a Nasso), nel Dodecaneso (Trianda), mentre ci sono diverse prove archeologiche della frequentazione micenea a Cipro e sulla costa siro-palestinese. In Occidente, materiale miceneo è stato rinvenuto a Vivara e a Ischia, nelle Eolie, in Sicilia, in Puglia. Alla fine dell’ET IIIB1 una serie di distruzioni dovute a un terremoto sconvolgono il mondo miceneo.
A Micene diversi edifici costruiti in questa fase crollano dopo un breve uso e nello stesso tempo segni di distruzione si conoscono anche a Gla e a Zygouries. A Tirinto ci sono segni di distruzione per terremoto e incendio all’inizio e alla fine dell’ET IIIB1. Il periodo che segue mostra segni di instabilità; la città bassa di Tirinto è cinta da un muro fortificato e tra la fine dell’ET IIIB2 e l’inizio dell’ET IIIC segni di distruzione si trovano in molti siti della Grecia continentale. Quale sia il motivo di queste distruzioni è ancora incerto: probabilmente devono essere messe in relazione anche allo sforzo economico e militare che il mondo miceneo ha profuso in questa fase della sua storia e alle vicende della guerra di Troia tramandate dalla tradizione, soprattutto per quanto riguarda le difficoltà affrontate dai principi achei nei nostoi dopo l’impresa bellica. Gli strati di distruzione di Troia VIh (ET IIIB1) e di Troia VIIa (ET IIIB - ET IIIC) possono essere entrambi messi in relazione con il racconto omerico e con la crisi del mondo miceneo.
L’ET IIIC (1200-1050 a.C.) è stato spesso visto come un periodo di decadenza rispetto alle fasi precedenti, tuttavia nella prima parte del periodo ci troviamo piuttosto di fronte a una società diversa da quella palatina, più frammentata in insediamenti agricoli e piccoli centri sparsi nel territorio, ma non per questo in completa decadenza. Molti siti vengono abbandonati, mentre altri risultano ancora attivi, come Micene e Tirinto. Soprattutto quest’ultimo conosce una notevole espansione della città bassa, con case sistemate in insulae e segni di rioccupazione della città fuori le mura. A Micene si evidenziano segni di ripresa dell’attività edilizia: a nord della Porta dei Leoni viene costruito un edificio a megaron che sarà in funzione per tutto il periodo, viene inoltre riparata la Casa delle Colonne e il megaron è diviso in ambienti più piccoli. Alcune aree cimiteriali sono abbandonate, ma altre sono fondate ex novo come Peratì in Attica. Nuovi manufatti si trovano negli scavi, come la fibula ad arco di violino, la spada tipo Naue II e nuove classi di spilloni, che testimoniano contatti con l’area europea attraverso l’Epiro. Nello stesso tempo gli insediamenti sulle isole continuano a prosperare con produzioni locali di ceramica. In alcuni casi, come a Rodi, l’ET IIIC sembra coincidere con un’epoca di rinascita, tuttavia in genere il periodo presenta una minore varietà di beni suntuari, un calo nei flussi commerciali, la mancanza di un’architettura monumentale. Le informazioni riguardo questa fase sono fortemente lacunose: si può dire comunque che, alla fine del periodo, Tirinto e Micene risultano ancora occupate, anche se in forma ridotta. Notevole è la ricomparsa in quest’epoca delle tombe a cista, che per tutto il periodo miceneo erano state relegate in aree periferiche.
La fine del mondo miceneo scivola in una fase submicenea di difficile caratterizzazione, con una ceramica ancora non studiata a fondo che presenta una forte definizione regionale e il cui uso persiste fino alla nascita dello stile geometrico alla fine della Dark Age.
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di Luigi Caliò
Città dell’Argolide, situata 9 km a sud di Argo. Gli scavi, iniziati da H. Schliemann nel 1874, hanno dimostrato che il luogo è stato occupato a partire dal VI millennio a.C.
Nel sito sono stati trovati frammenti ceramici di periodo neolitico e relativi all’Elladico Antico; questi ultimi, più numerosi, provengono soprattutto dalla sommità e dalle pendici ovest della collina. Durante l’Elladico Medio, sulla sommità della collina dove più tardi sorgerà il Palazzo, furono costruiti diversi muri probabilmente di terrazzamento, forse per la sistemazione di un edificio importante o di un primo palazzo, ma non è escluso che alcuni potessero essere muri di fortificazione. Resti di edifici sono stati rinvenuti al di sotto delle abitazioni più recenti, come la Ramp House, la Casa di Tsountas, la Casa delle Colonne. Testimonianze di questo periodo sono i diversi insediamenti sparsi sulle pendici della collina e una necropoli di tombe a cista sul versante occidentale.
Le tombe più rilevanti di questa necropoli sono quelle situate all’interno dei due Circoli A e B. Questi circoli, che secondo alcuni dovevano essere coperti da tumuli, racchiudono al loro interno tombe particolarmente ricche, forse reali. Il Circolo B, più antico, si data tra il 1650 e il 1550 a.C., mentre il Circolo A risale a un’epoca compresa tra il 1600 e il 1500 a.C. I rinvenimenti particolarmente ricchi di queste tombe e i frammenti di muro che sono stati trovati sull’acropoli sono la prima manifestazione dell’esistenza di un potere palatino sulla collina di M. Tra l’Elladico Tardo (ET) I e l’ET II viene costruita la prima struttura palatina, forse un primo megaron che si apriva a sud e sempre in quest’epoca vengono datate sei delle nove tholoi di M., tra cui quella di Egisto e la Tomba del Leone.
Le prime fortificazioni certe si datano alla metà del XIV sec. a.C., durante l’ET IIIA2 e nello stesso periodo viene ristrutturato completamente l’edificio palatino, secondo un nuovo progetto che comprendeva l’estensione dell’area del palazzo e la ricostruzione del megaron; a questo stesso periodo risalgono altre strutture sulle pendici orientali, come quelle più tardi coperte dalla Casa delle Colonne. Contemporaneamente vengono edificate le due tholoi più importanti per apparato architettonico e decorazione: il Tesoro di Atreo e la Tomba di Clitennestra. Circa un centinaio d’anni più tardi, durante l’ET IIIB, la cinta viene ingrandita con la costruzione della Porta dei Leoni e del muro ovest, inglobando un’area doppia rispetto alla precedente e comprendendo all’interno delle mura il Circolo A, che fu parzialmente ristrutturato; subito dopo fu costruita la porta nord e successivamente, verso il 1200 a.C., le mura furono estese nella zona di nord-est, includendo una fonte sotterranea. Di fatto nel XIII sec. a.C. M. acquista l’aspetto che ci è stato conservato: furono risistemate le strade di accesso al palazzo e venne aggiunta una nuova via dalla porta nord, fu costruito un complesso di santuari nelle pendici ovest e venne ampliata l’ala est del palazzo con l’aggiunta di una serie di edifici, che includevano laboratori artigiani, vennero inoltre edificate la Casa delle Colonne con la sua terrazza, la Casa D e alcuni ambienti per l’immagazzinamento.
È probabile che tutti gli edifici costruiti all’interno del sistema di fortificazioni facessero parte del complesso palatino o che fossero parte delle dipendenze del Palazzo. Queste dipendenze superano la stessa cinta muraria della cittadella; negli edifici a sud del Circolo B (case del Mercante d’Olio, delle Sfingi, degli Scudi e Casa Ovest) è stata trovata una sessantina di tavolette e sigilli in lineare B e la Casa delle Sfingi e quella degli Scudi hanno restituito un gran numero di avori lavorati. Questo complesso di dati indica che si tratta di qualcosa di più di semplici residenze di mercanti ricchi e che queste costruzioni possono essere direttamente collegate al Palazzo.
La fine dell’ET IIIB2 è caratterizzata negli strati archeologici da segni di distruzione per incendio e terremoto. Gran parte dell’area del palazzo fu bruciata, così come le costruzioni erette sulle pendici ovest dell’acropoli. Tuttavia la città non fu abbandonata e l’inizio del XII secolo vede segni di ristrutturazione dei vecchi edifici e nuove opere, come l’allargamento delle mura a nord-est. Durante l’ET IIIC1 la città continuò a essere abitata e nuovi edifici, come la Casa N, risalgono a questo periodo. Le gravi distruzioni che si datano tra il 1125 e il 1100 a.C. mettono fine definitivamente all’esistenza della Cittadella di M. Poche strutture rinvenute sulla collina si datano forse in periodo sub-miceneo o geometrico.
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di Luigi Caliò
I resti di P., nell’Iliade citata come sede del regno di Nestore, vennero alla luce nel 1939 sulla collina di Epanò Englianos, nella Messenia occidentale, nei pressi della baia di Navarino. Poco si conosce del sito prima della costruzione del palazzo del periodo miceneo.
Nonostante la presenza di strutture più antiche, che ci permettono di far risalire la prima occupazione del luogo al Medio Elladico, l’esistenza di un palazzo di XV secolo non è stata fino a oggi sufficientemente provata. Costruito su una collina invece che in un luogo fortificato come gli altri palazzi, il palazzo di P. è quello meglio conservato e più accuratamente scavato, fatto che, insieme al rinvenimento di documenti in lineare B, permette di comprendere in modo più soddisfacente il funzionamento dei palazzi micenei. Il palazzo si trovava al centro di un abitato, il cui toponimo miceneo puro è conosciuto dai testi inscritti, che si estendeva per circa 6,5 ha ed era il più ampio dell’intera Messenia. Il complesso comprendeva una costruzione principale e due annessi, uno a sud-ovest, l’altro a nord-est. Si è pensato che l’edificio di sud-ovest, mal conservato, fosse anteriore al palazzo e costituisse una più antica struttura palatina forse dell’inizio del XV secolo, ma nessun elemento giustifica allo stato attuale questa ipotesi.
Il corpo principale è costituito dal grande megaron con corte antistante cui si accedeva attraverso un propileo. Il megaron aveva un portico con due colonne in antis e un vestibolo in comunicazione con l’ambiente principale, ma anche con i due corridoi laterali che portano agli ambienti di servizio del palazzo. La sala principale, con un focolare che si apriva al centro di quattro colonne, probabilmente aveva anche una sorta di trono, la cui importanza è sottolineata dalla figura naturalistica di un polipo sul pavimento, per il resto decorato a motivi geometrici. Nella sua sistemazione finale (Tardo Elladico IIIA2 -IIIB) alcuni ambienti nell’angolo ovest del palazzo furono aperti verso l’esterno e trasformati in deposito in cui sono stati trovati circa 4500 vasi, mentre gli ambienti immediatamente posteriori alla grande sala contenevano giare e 56 tavolette, che riportavano transazioni relative al commercio dell’olio. In questa fase il palazzo venne fatto oggetto anche di altre modifiche importanti, come la sistemazione delle stanze nell’angolo nord e la costruzione di un recinto dietro gli ambienti disposti a est della corte, che indicano probabilmente un cambiamento di funzione degli stessi. La stanza principale di questo complesso, decorata da affreschi con leoni e grifi affrontati, aveva al centro un focolare circolare, mentre l’ambiente immediatamente a nord aveva una vasca in terracotta fissata su un supporto di argilla.
L’edificio di nord-est è considerato generalmente come un atelier per la lavorazione della pelle e del bronzo e la costruzione di carri. Anche qui sono state trovate tavolette attestanti le transazioni dei prodotti. A nord di questo edificio, due ambienti isolati, che hanno restituito 35 giare e una serie di sigilli che portavano l’ideogramma del vino, dovevano essere utilizzati come depositi di vino. Le tavolette rinvenute nell’area del palazzo indicano che P. era al centro di un sistema amministrativo complesso che si estendeva dal mare a sud e a ovest, fino al massiccio del Taigeto a est e forse fino al corso dell’Alfeo a nord e che era amministrato da funzionari pubblici. Tutta la regione era divisa in due province principali e in distretti più piccoli amministrati da un ko-re-te, funzionario che dipendeva direttamente dal wanax. Dalle tavolette si traggono ulteriori informazioni, come il nome della capitale del secondo distretto (Re-u-ko-to-ro) o una serie di toponimi che tuttavia sono di difficile localizzazione sul terreno.
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di Luigi Caliò
La fondazione di T., città principale dell’antica Beozia, è attribuita dalla tradizione al fenicio Cadmo, figlio di Agenore, venuto in Grecia alla ricerca di sua sorella Europa.
Il mito sembra essere confermato dal rinvenimento nell’area del palazzo miceneo di circa 40 sigilli a cilindro orientali, alcuni dei quali risalgono alla fine del III millennio. È stata avanzata l’ipotesi di un’origine orientale della dinastia che regnava a T. in accordo con quanto tramandato, tuttavia le spiegazioni possono essere diverse e probabilmente vanno ricercate nell’ambito della storia di T. durante l’età del Bronzo per quanto è possibile ricostruire dalla documentazione archeologica.
A partire dall’Elladico Antico (EA) II la città, estesa sulle quattro colline della città alta (Kadmeia), si distingue per l’estensione dell’abitato e per la presenza di un edificio particolarmente ricco come il Fortified Building, che forse poteva assolvere a una funzione pubblica. A partire da questo momento la città, cui probabilmente fa riferimento una rete di siti minori, si distingue per le sue relazioni commerciali con le Cicladi, con l’Egeo orientale e con l’area balcanica, favorita in questo dalla sua posizione geografica in comunicazione con il Mar Egeo a est e con il Golfo di Corinto a ovest. La società tebana in questo periodo doveva già essere strutturata, come dimostra la presenza di un grande tumulo funerario sulla collina dell’Ampheion che si distingue per la monumentalità e che doveva essere destinato a un personaggio di rango. A partire dall’EA III e per tutto l’Elladico Medio, T. mantiene questo ruolo primario di centro internazionale, nonostante la crisi generale che in questo periodo sembra colpire le regioni della Grecia continentale. L’acropoli della città è stata solo parzialmente scavata perché la città moderna si trova oggi sopra gli strati archeologici e i resti sono ancora di difficile lettura. Un più antico palazzo, il Kadmeion o Palazzo di Cadmo, fu costruito sulla collina e probabilmente è stato distrutto dal fuoco all’inizio dell’Elladico Tardo (ET) IIIA2 (1375-50); il nuovo palazzo venne distrutto forse alla fine dell’ET IIIB1 o nell’ET IIIB2. I rinvenimenti sono comunque importanti e malgrado l’assenza di un’unità centrale come quella di Pilo, di Micene e di Tirinto, il carattere palatino delle costruzioni non può essere messo in dubbio. Il nuovo palazzo era decorato con affreschi e la cosiddetta Sala del Tesoro ha restituito, oltre ai sigilli orientali cui si è già accennato, oggetti in agata e in lapislazzuli; inoltre di notevole interesse sono “l’arsenale” con gli archivi e gli ateliers di artigiani. Tra i ritrovamenti spiccano le circa 170 iscrizioni su tavolette e su noduli o dipinte su vasi. La ricchezza di T. nel periodo miceneo è inoltre testimoniata dal rinvenimento sulla collina di Kolonaki di una necropoli di tombe a camera, alcune con corredi particolarmente ricchi.
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A. Dakouri-Hild, The House of Kadmos in Mycenaean Thebes Reconsidered. Architecture, Chronology and Context, in BSA, 96 (2001), pp. 81-122.
di Luigi Caliò
La città, situata a nord di Nauplia (Argolide), a poca distanza dal golfo argolico, fu costruita su un banco roccioso che si eleva su una piana alluvionale.
L’acropoli fu frequentata fin dal Neolitico e ha rivelato tracce di un abitato dell’Elladico Antico sotto il palazzo miceneo più tardo costituite dalle fondazioni di un edificio circolare (diam. 14 m) e da muri di abitazioni. L’edificio circolare aveva fondazioni in pietra e l’alzato in mattoni e fu distrutto da un incendio. Le prime fortificazioni furono costruite all’inizio del XIV sec. a.C. (Elladico Tardo, ET, III A1) e circondarono un’area relativamente piccola nella parte più alta del banco di roccia, che comprendeva essenzialmente l’area del futuro palazzo e poteva forse già ospitare una struttura palatina, di cui tuttavia non rimane traccia. Un sostanziale ampliamento del circuito delle mura e delle strutture palatine venne messo in opera intorno al 1250 a.C. La nuova cinta inglobò una grande area a nord e parte delle pendici della collina a sud, ma la costruzione più imponente fu la nuova sistemazione della porta d’ingresso, situata alla fine di una rampa che correva tra due mura.
Alla fine del XII sec. a.C. T. conosce il suo assetto definitivo. L’intera città bassa fu cinta di mura e dotata di cisterne; l’entrata alla cittadella alta fu ulteriormente fortificata con una serie di porte successive, attraverso le quali si giungeva ai Grandi Propilei, accesso monumentale alla corte esterna al palazzo vero e proprio. Il centro del palazzo era il megaron con grande sala interna al centro della quale si trova un grande focolare di terracotta. Durante l’ET IIIB2 l’estensione delle mura, che giungono a comprendere anche la città bassa, si accompagna a una intensa attività edilizia, che dimostra come la realizzazione della nuova cinta sia stata comunque pianificata e non innalzata per necessità contingenti, assecondando un’esigenza di maggiore difesa che colpisce anche altri siti micenei. All’interno della cinta sono stati portati alla luce una decina di edifici, in uno dei quali è stato rinvenuto un gruppo di tavolette in lineare B che dimostrano l’esistenza dello stretto legame tra il palazzo e la città bassa. Al di fuori della cinta muraria doveva trovarsi la città di T., che in periodo miceneo sembra avere avuto un’ampia estensione, con alcuni edifici degni di considerazione, come l’Edificio W, che si distingue per le imponenti dimensioni o la Casa 49 che ha restituito un mosaico di ciottoli.
Dopo le distruzioni della fine dell’ET IIIB2, T. non viene completamente abbandonata, anzi la ricostruzione nella città bassa sembra essere immediata e la stessa città probabilmente conosce un ulteriore ampliamento. Secondo alcuni in quest’epoca doveva ancora essere attivo il palazzo, ma il problema è controverso. La fine di T. non sembra essere stata improvvisa, ma va probabilmente interpretata alla luce delle trasformazioni delle strutture sociali e culturali che causano il tramonto del mondo miceneo.
Tiryns, I-XII, 1912-99.
K. Kilian, s.v. Tirinto, in EAA, II Suppl. 1970-1994, V, 1997, pp. 776-77.
J. Maran, Das Megaron im Megaron. Zur Datierung und Funktion des Antenhauses im mykenischen Palast von Tiryns, in AA, 45 (2000), pp. 1-16.
H. Stülpnagel, Mykenische Keramik der Oberburg von Tiryns (Diss.), Freiburg 2000.
di Pietro Militello
La documentazione epigrafica di età minoica è costituita da una varietà di scritture che include due sistemi principali (geroglifico cretese e lineare A) e alcune manifestazioni grafiche di incerta collocazione (Disco di Festo, scrittura di Archanes); la lineare B, anche se usata a Creta, esprime un dialetto greco e quindi non può essere considerata tra le scritture minoiche. In tutti i casi ricordati, si tratta di sistemi grafici sillabici che ricorrono anche all’uso di ideogrammi. Il geroglifico cretese deve la sua denominazione al carattere pittografico dei segni che ricordavano quelli del geroglifico egiziano; appare all’inizio dell’età protopalaziale, conosce la maggiore diffusione nel Medio Minoico (MM) II/III (archivi di Cnosso, Mallia, Petras), ma continua a essere utilizzato sporadicamente fino al periodo neopalaziale. Questo tipo di scrittura appare frequentemente su sigilli, per il suo valore decorativo, ma ricorre anche su documenti amministrativi di vario tipo (tavolette, barre, medaglioni). La lineare A compare anche nei Primi Palazzi (archivio di Festo, tavolette da Cnosso), ma conosce la sua maggiore fortuna in età neopalaziale (archivi di Cnosso, Mallia, soprattutto Haghia Triada) quando si diffonde capillarmente in tutta l’isola e viene esportata al di fuori di Creta (Milo, Ceo, Thera, Mileto, Tel Hazor). Scompare come mezzo amministrativo con il Tardo Minoico (TM) IB, ma ancora nel TM IIIA si ha un esempio di iscrizione in lineare A su una statuetta da Poros (Iraklion). Assente dai sigilli, è prevalentemente utilizzata per scopi burocratici (tavolette, cretule, rondelle), ma appare anche in iscrizioni su vasi di terracotta e pietra, gioielli, persino su epigrafi parietali. Il Disco di Festo, probabilmente databile al MM III, è un misterioso manufatto (diam. 32 cm), iscritto su entrambi i lati con caratteri impressi mediante punzoni all’interno di una fascia spiraliforme; le parole sono separate da trattini verticali. Dubbio infine il rapporto tra l’iscrizione su un’ascia da Arkalochori e le altre scritture.
Il problema della identificazione linguistica del minoico è lungi dall’essere risolto. In primo luogo non sappiamo se sotto le diverse scritture, o anche sotto la medesima scrittura, si nasconda una o più lingue. La frammentarietà della documentazione, la pertinenza dei testi a sfere diverse (amministrative, sacrali, private), infine la prevalenza di elementi onomastici impedisce un confronto analitico tra le varie classi di epigrafi e quindi non permette di affermare o negare l’esistenza di un plurilinguismo a Creta. La documentazione più coerente è certamente quella dei testi amministrativi in lineare A. L’analisi interna delle tavolette e gli ideogrammi permettono di riconoscerne il contenuto per lo più consistente in liste di derrate, di persone o di razioni; si comprende il significato di singoli termini, come il “totale” (kuro), il “totale dei totali” (po-ro-ku-ro). L’applicazione dei valori fonetici dei segni in lineare B a quelli omomorfi in lineare A permetterebbe di “leggere” quest’ultima. Questo procedimento è stato tuttavia criticato, almeno nella sua applicazione più radicale e in ogni caso la trascrizione dei testi in lineare A non ha portato alla decifrazione della scrittura né a una sicura identificazione del ceppo linguistico di appartenenza, per il quale è stata proposta un’origine indoeuropea, una semitica (specificamente semitica nord-occidentale), o una genericamente mediterranea. Altre fonti per la conoscenza della lingua minoica si possono trovare in alcuni documenti egiziani del II millennio a.C., che riportano termini dei Keftiu (Papiro Medico di Londra, tavola lignea del British Museum, v. infra), in alcuni termini dialettali cretesi di età classica noti da glosse, in primo luogo da Esichio, nella toponomastica dell’isola e infine, forse, nei testi eteocretesi.
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Iid., Recueil des inscriptions en linéaire A, III. Tablettes, nodules et rondelles édités en 1975 et 1976, Paris 1976.
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L. Godart - J.P. Olivier, Recueil des inscriptions en linéaire A, V. Addenda, corrigenda, concordances, index et planches des signes, Paris 1985.
Y. Duhoux - T.G. Palaima - J. Bennet, Problems in Decipherment, Louvain-La-Neuve 1989.
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Edizioni:
L. Godart -J.-P. Olivier -J.C. Poursat, Corpus Hieroglyphicarum Inscriptionum Cretae, Paris 1998.
di Luigi Caliò
Il 30 marzo 1900 furono dissotterrate a Cnosso le prime tavolette iscritte in lineare B e solamente nel 1939 furono scoperte tavolette analoghe a Pilo in Messenia. Pilo e Cnosso ci hanno restituito i due nuclei più consistenti di iscrizioni in lineare B (1107 tavolette scritte da 32 diversi scribi a Pilo, 3369 tavolette scritte da oltre 100 scribi a Cnosso), mentre di gran lunga meno importanti sono i rinvenimenti a Micene, Tebe e Tirinto. Oltre alle tavolette, manifestazioni rilevanti di scrittura in lineare B si trovano su alcuni vasi, rinvenuti in misura più cospicua a Tebe (68 esemplari), ma anche a Tirinto (44), Micene (12) e Cnosso (1), in installazioni non palatine come Chania (25) e come esemplari isolati a Eleusi, Orchomenos, Armenoi; accanto ai vasi iscritti vanno inoltre menzionate brevi iscrizioni su sigilli, rinvenute in numero molto limitato. Le tavolette si datano in genere al momento di distruzione degli edifici che le contenevano, che nella Grecia continentale si verifica per lo più in un periodo compreso nell’Elladico Tardo IIIB, mentre diverse sono le date proposte per le tavolette di Cnosso. Il contenuto delle tavolette, che potevano presentare una sagoma rettangolare a forma di pagina o una tipologia più allungata a foglia di palma, era legato essenzialmente allo stoccaggio delle merci e se pochi sono i documenti a carattere amministrativo, non compaiono in nessun caso documenti diplomatici, testi letterari o scritti relativi alla vita intellettuale o religiosa, come invece avviene negli archivi conservati in Oriente.
La lineare B è un sistema di scrittura sillabica costituito da 89 segni che rappresentano vocali o sillabe aperte e da oltre un centinaio di ideogrammi; 45 segni sillabici derivano direttamente dalla lineare A, utilizzata dai Minoici, e sono stati poi adattati a un sistema linguistico diverso, quello miceneo. L’alfabeto sillabico è stato decifrato nel 1952 da M. Ventris. Partendo dagli studi di E. Bennett sul sistema di misure miceneo e sulle differenze tra ideogrammi e sillabo-grammi e da quelli di A. Kober, che aveva notato come alcuni gruppi di segni apparivano con tre terminazioni diverse come se fossero diversi casi di una stessa parola, Ventris riuscì a riconoscere in alcune sequenze di segni alcuni toponimi cretesi: A-mi-ni-so (Amnisos); Ko-no-so (Cnosso); Pa-i-to (Festo). Lavorando sulle sillabe così scoperte, Ventris riuscì a leggere diverse parole e a comprendere che i micenei parlavano un dialetto greco arcaico.
J. Chadwick, Documents in Mycenaean Greek, 1973.
J. Chadwick - L. Godart - J.T. Killen, Corpus of Mycenaean Inscriptions from Knossos, I-IV, Cambridge 1986-98.
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