Le civilta precolombiane. La medicina azteca
La medicina azteca
Chiamiamo azteca quella civiltà di lingua nahuatl che, stanziata nel bacino messicano con il suo centro a Tenochtitlan, l'odierna Città del Messico, all'epoca della conquista spagnola del 1519 dominava la maggior parte del Messico. Gli Aztechi rappresentarono però soltanto il capitolo conclusivo dell'antica civiltà centroamericana; le genti dell'America Centrale, infatti, prima dell'arrivo degli Spagnoli, per centinaia di anni condivisero ampi temi ideologici e un'unica visione del Cosmo. Ancora oggi è possibile trovare alcuni elementi di questa cultura comune nella mitologia e nella medicina popolare degli Indiani dell'America Centrale. Così, nonostante vi sia una maggiore quantità di notizie sui principî e sulle pratiche mediche di questa popolazione rispetto a qualsiasi altra cultura centroamericana, è possibile applicare la maggior parte delle descrizioni e dell'analisi delle credenze azteche anche ad altre civiltà di questa regione, come per esempio la civiltà maya.
Benché gli Aztechi rappresentassero la continuità di una tradizione, il loro ecosistema era in qualche modo unico, e dava origine a situazioni epidemiologiche particolari. La salute di una popolazione non dipende infatti solamente dalla medicina, poiché un elemento prezioso è una dieta adeguata, fondamentale per una buona risposta immunitaria, che a sua volta è la difesa principale contro le infezioni. Tenochtitlan, la capitale dell'Impero azteco, sorgeva su un'isola del lago Texcoco; i suoi abitanti coltivavano una grande quantità di alimenti nei fertili orti galleggianti e ricevevano tributi in cibo dalle altre popolazioni dell'Impero; la loro dieta era dunque varia e nutriente. Gli acquedotti costruiti nel 1466 e nel 1499 utilizzavano le sorgenti della terraferma e rifornivano Tenochtitlan di acqua pulita, fondamentale per un buon livello di salute pubblica, a sua volta requisito primario per la salute individuale. I detriti fognari rappresentavano un notevole problema poiché nella città non esisteva una vera rete di fognature. Le latrine erano situate in tutti i luoghi pubblici e in molte abitazioni private; i rifiuti erano raccolti e gli escrementi erano impiegati come fertilizzanti, mentre l'urina era usata come mordente per la tintura. Le strade erano spazzate e irrigate quotidianamente e, in tal modo, era assicurato un buon livello di pulizia. In grande considerazione era tenuta anche la cura della persona, come è dimostrato da molte fonti di riferimento e dalle ricette per il sapone, per i deodoranti (anche per l'alito) e per i dentifrici. Tenochtitlan, in particolare, se paragonata alle città europee di quel tempo, era essenzialmente sana e ciò derivava dalla qualità della dieta, dalla relativa assenza di malattie epidemiche e dalla fondamentale pulizia, anche se l'umidità e l'inquinamento provenienti dai laghi favorivano la dissenteria, i reumatismi e le infezioni respiratorie.
Le fonti principali relative alla medicina azteca furono compilate dagli Spagnoli dopo la conquista e, benché derivassero da notizie fornite direttamente dagli indigeni, furono comunque influenzate dalla cultura europea. Per ottenere un'immagine precisa della medicina azteca è necessario quindi riesaminare le maggiori fonti di riferimento e valutarne la natura, l'attendibilità e gli scopi. Gran parte delle informazioni su tutto ciò che concerne gli Aztechi deriva dal lavoro di frate Bernardino de Sahagún (1499 ca. -1590), che giunse nel nuovo mondo a trent'anni e passò il resto della sua vita a studiare e a evangelizzare gli indigeni. Il suo metodo etnografico, basato su ripetuti colloqui in lingua nahuatl con diversi gruppi di indigeni, precorreva i tempi di centinaia di anni; la sua opera principale è il Codice Fiorentino ‒ con i vari abbozzi precedenti ‒ la profondità e l'ampiezza del quale sono maggiori di quelle di qualsiasi altra fonte di riferimento. Sahagún fornisce diversi tipi d'informazioni sulla medicina, sulle pratiche magiche, sulle malattie attribuite agli dèi e sugli effetti delle forze animistiche sulla salute; la parte dedicata alla medicina fu però corretta e modificata molte volte, poiché Sahagún cancellò sistematicamente le malattie collegate a cause magiche o religiose, facendo quindi apparire la medicina azteca molto più naturalistica e meno olistica di quanto effettivamente fosse.
Un quadro piuttosto diverso della medicina azteca emerge dal Codice Badiano, un testo composto dagli Indiani che frequentavano una scuola condotta da frati francescani, il cui scopo era quello di convincere il re di Spagna che gli Aztechi erano esseri razionali ed era quindi possibile educarli. Il Codice Badiano è un erbario illustrato dettato in lingua nahuatl da un medico indigeno, Martín de la Cruz (prima metà del XVI sec.), e tradotto in latino da un altro indiano, Juan Badiano (1530 ca.-fine XVI sec.). Questo testo è meno attendibile di quello di Sahagún, poiché è stato scritto sul modello degli erbari europei al punto da citare sia autori greci sia Plinio il Vecchio (23-79). Inoltre, proprio perché scritto in latino, preclude la possibilità di quelle analisi linguistiche ed etimologiche che invece sarebbero state molto utili per spiegare i concetti medici aztechi. Benché esso non si riferisca direttamente a malattie la cui origine è fatta risalire a divinità azteche, abbonda di cause e cure magiche. Un problema ulteriore è costituito dal fatto che in molti di questi rimedi erano utilizzati ingredienti europei e non del nuovo mondo quali, per esempio, quelli derivati da galli, animali che non sono originari di quei luoghi. Il Codice Badiano, anche se bilancia la sobrietà dell'immagine della medicina azteca data dal lavoro di Sahagún, deve quindi essere letto con cautela.
Il medico reale Francisco Hernández (1517 ca.-1587) passò sette anni in Messico scrivendo un compendio sulle piante medicinali, sugli animali e sui minerali impiegati dagli Indiani. La sua spedizione rifletteva l'entusiastico interesse europeo per la flora del nuovo mondo, attestato dalla rapida adozione e dal commercio di prodotti quali la salsapariglia (Smilax in spagnolo) e il guaiaco (Guaiacum sanctum). Hernández aveva una formazione classica ed era un convinto sostenitore delle teorie di Ippocrate (460 ca.-370 a.C.) e di Galeno (130-200 ca.) in voga a quei tempi. Egli descriveva e interpretava tutti i rimedi, biasimando i medici aztechi perché non usavano i salassi che in Europa, invece, trovavano un largo impiego nelle più varie indisposizioni; inoltre, egli criticava l'assenza di rimedi composti da più elementi, quali la teriaca, utilizzata in Europa come antidoto contro ogni veleno e composta da più di sessanta ingredienti. Questo spiega perché i rimedi del Codice Badiano contenevano molteplici componenti, diversamente da quelli del Codice Fiorentino. Il testo di Hernández è scritto in latino, riducendo così il valore etimologico delle informazioni, e descrive una medicina azteca più empirica di quanto non fosse. Il valore del testo di Hernández è dato dalla sua completezza (vi sono elencate più di tremila specie di piante) e dalla possibilità di risalire indirettamente all'eziologia azteca, proprio grazie a quelle affermazioni nelle quali il punto di vista degli indigeni è definito "contrario alla ragione", cioè ai principî di Ippocrate.
Hernando Ruiz de Alarcón (1587 ca.-1645 ca.), che esercitava la funzione di prete in un villaggio, compilò un trattato, in cui prendeva nota delle credenze 'pagane', per impiegarlo come manuale per l'Inquisizione (Treatise on the heathen superstitions that today live among the Indians native to this New Spain). Questa raccolta non aveva lo scopo di descrivere pienamente la medicina azteca, che viene quindi rappresentata come magica e religiosa e con una scarsa base empirica, ma solamente quegli aspetti di essa collegati alla religione. Il valore principale di questo testo è quello di essere l'unico documento che riporti gli incantesimi in lingua nahuatl compiuti a fini medici, che non sono stati registrati in altre fonti di riferimento.
Un quadro accurato della medicina azteca preispanica richiede un'analisi approfondita di queste fonti e un confronto tra di esse. Lo studio deve essere integrato dalle moderne indagini etnografiche, dalle documentazioni dell'Inquisizione e da ipotesi eziologiche controllate scientificamente.
La religione è la chiave per comprendere la medicina azteca, il cui principio basilare era l'esistenza di una dualità cosmica presente e percepibile ovunque. Il Cosmo era infatti diviso in due parti fondamentali e funzionali, allo stesso tempo opposte e complementari, da cui derivavano coppie di concetti quali, per esempio, caldo/freddo, maschio/femmina, asciutto/bagnato, cielo/Terra. Questa classificazione si estendeva anche agli esseri umani e alla medicina. Gli Aztechi credevano che il corpo umano fosse un microcosmo e che le sue funzioni fossero collegate e parallele a quelle dell'Universo. I tre livelli dell'Universo avevano un corrispettivo nel corpo umano: la testa e la forza animista tonalli corrispondevano al cielo (ilhuicatl); il cuore e la forza animista teyolia corrispondevano alla terra (tlalticpac); il fegato e la forza animista ihiyotl agli inferi (mictlan). Il pantheon azteco era molto complesso: gli dèi erano antropomorfi, e pressoché a ogni aspetto della Natura era associata una divinità. Essi avevano una natura doppia e incarnazioni quadripartite collegate alle direzioni cardinali.
La concezione del tempo e il calendario sono fondamentali per comprendere la religione degli Aztechi e la loro visione del mondo; le varie suddivisioni del tempo (ore, giorni, anni, cicli di cinquantadue anni, e così via) non erano concetti astratti, ma forze soprannaturali. La regolarità del calendario dava ordine a ciò che altrimenti sarebbe stato un caos privo di forma. Per gli Aztechi, infatti, l'alternanza delle date del calendario controllava l'irruzione nel mondo di queste forze/tempi/destini che influenzavano gli eventi, gli esseri umani e la loro sorte. La forza animista tonalli, infusa negli esseri umani prima della nascita, costituiva il loro legame con il calendario e con le forze che li predisponevano a particolari malattie e al loro destino. Per esempio, le persone nate il Primo Giorno della Scimmia potevano essere soggette ad attacchi epilettici, mentre le persone nate il Primo Giorno del Cervo rischiavano la morte per annegamento.
La malattia aveva una natura olistica e derivava da cause diverse, naturali e soprannaturali; la religione, la magia, la moralità e la Natura erano strettamente intrecciate. Per analizzare questo aspetto è necessario considerare le diverse cause separatamente, anche se ciò non corrisponde esattamente alla concezione azteca. Le malattie avevano una causa immediata e una causa primaria. Un attacco epilettico, il neyoltequipacholiztli ('schiacciamento del cuore'), era provocato in ultima istanza dall'incontro con i cihuateteo, le anime delle donne morte di parto che tornavano nel mondo in giorni particolari, ma la causa immediata era la pressione esercitata sul cuore dall'alahoac ('sostanza viscida') presente nel petto, espressione che è stata tradotta spesso con 'catarro', termine che però non verrà impiegato per evitare una confusione con il suo significato europeo proprio della medicina ippocratica.
Il legame tra l'Universo (naturale e soprannaturale) e il corpo umano implicava che per conservarsi in buona salute gli esseri umani dovessero mantenere un equilibrio tra le forze opposte presenti nel loro corpo, essere moderati in ogni cosa e adempiere ai propri doveri verso lo Stato, verso i superiori e verso gli dèi. L'equilibrio significava salute e lo squilibrio malattia. Questi valori morali, uniti alle credenze sulle forze animiste, fornivano alla società azteca una forma di controllo sociale unica nel suo genere. Di solito le società occidentali impongono un controllo attraverso le leggi e la religione, e le società non occidentali attraverso la pressione sociale, la religione e la stregoneria. Gli Aztechi ‒ per così dire ‒ tenevano il corpo in ostaggio punendo le deviazioni con le malattie, senza l'intervento di esseri umani o soprannaturali; le forze animiste causavano automaticamente malattie a coloro che violavano le regole del comportamento sessuale, che erano smodati o che non svolgevano i ruoli previsti.
Molte forze animiste ('anime') erano concentrate in specifiche parti del corpo e avevano effetti particolari sulla sua crescita, sul suo sviluppo, sulla fisiologia, sul vigore, sulla salute e persino sul suo destino dopo la morte. Il tonalli, situato principalmente nella parte superiore della testa, dava agli esseri umani forza e vitalità e rappresentava il loro legame con l'Universo e con gli dèi; il termine derivava infatti da una radice formata da più vocali, tona, che indicava il calore solare, il fato, il segno astrologico, l'anima. Il tonalli era infuso nei feti e si rafforzava al momento della nascita e, collegato al segno astrologico, determinava le predisposizioni della salute e del comportamento. La salute, la vitalità, la crescita e lo sviluppo di una persona dipendevano dalla sua riserva di tonalli. Gli uomini, i nobili e gli anziani ne avevano più delle donne, dei comuni cittadini e dei giovani. Esso, specialmente per gli uomini, era in quantità limitata ma poteva essere aumentato o diminuito comportandosi in modo socialmente accettabile o condannabile. L'attività sessuale precoce o eccessiva ne provocava la diminuzione in un uomo, facendolo ammalare e conducendolo a volte persino alla morte. L'assolvimento coscienzioso dei propri doveri, in particolare da parte dei nobili e dei funzionari pubblici, ne provocava invece un aumento. L'ubriachezza era dannosa sia per la salute sia per la moralità, poiché diminuiva il tonalli, mentre un lavoro eccessivo e troppo faticoso lo surriscaldava e poteva condurre alla malattia. Poteva accadere che il tonalli si distaccasse dal corpo durante il sonno per poi ritornare prima del risveglio, ma se l'abbandonava in modo innaturale a causa di uno spavento improvviso e non vi faceva ritorno, poteva sopraggiungere la morte perché gli esseri umani non sopravvivono senza di esso. Ancora oggi la convinzione che la malattia sia causata dalla "perdita di tonalli" è ampiamente diffusa in America Centrale, come testimonia la credenza popolare che il susto ('spavento') sia una malattia; i bambini piccoli sarebbero particolarmente soggetti a questo tipo di "perdita di tonalli" perché essa può fuggire dalla fontanella del cranio.
La seconda forza animista, la teyolia ('che dà vita alle persone'), era situata principalmente nel cuore; a essa gli Aztechi attribuivano la conoscenza, l'intelligenza, la personalità e la vitalità. Anche la teyolia era immessa nel corpo prima della nascita. A differenza del tonalli essa era inseparabile dal corpo, lasciandolo soltanto per divenire l'anima che lo oltrepassava dopo la morte. Era possibile rafforzare la teyolia ottenendo riconoscimenti in campo intellettuale o artistico e divenendo yolteotl ('cuori deificati'). Una condotta immorale invece danneggiava il cuore conducendo alla malattia, a meno che il paziente non riconoscesse le proprie colpe in modo sufficientemente adeguato.
La terza forza animista, l'ihiyotl ('il soffio, la respirazione'), era situata nel fegato ed era collegata alle passioni, alle sensazioni e al vigore. La moderazione e una vita virtuosa conducevano al cemelli ('fegato intatto'), mentre le trasgressioni sessuali, come l'adulterio o l'omosessualità, danneggiavano il fegato e facevano sì che esso rilasciasse l'ihiyotl. È interessante notare come quest'ultimo, un gas incolore e inodore, non fosse dannoso per il peccatore ma piuttosto, come un miasma, danneggiasse chi gli si fosse accostato. I giovani tacchini che avvicinavano gli adùlteri morivano, mentre i topi, una specie più resistente, rosicchiavano loro le ceste e gli indumenti facendovi dei buchi. L'ihiyotl provocava un insieme di malattie, dette tlazolmiquiliztli ('malattie sudice'), che causavano attacchi apoplettici nei bambini piccoli ed erano spesso incurabili negli adulti.
In generale la malattia può essere provocata e curata con la scienza, con la religione o con la magia; per distinguere questi concetti è utile stabilire appropriate dicotomie classificatorie. La religione e la magia comportano allo stesso tempo cause naturali e soprannaturali, e la scienza ricerca solamente cause naturali. Mentre la magia e la scienza tentano di controllare e manipolare le forze per ottenere risultati nei loro rispettivi campi, la religione dipende dalle preghiere e dalla soddisfazione del soprannaturale. Benché sia possibile impiegare queste distinzioni ai fini di una spiegazione è necessario tenere presente che gli Aztechi, come altre culture non occidentali, non operavano queste sottili dicotomie; per esempio, come si vedrà, aiutare una madre a partorire coinvolgeva allo stesso tempo tutti e tre questi campi.
In virtù del loro dualismo, gli dèi aztechi avevano il potere di provocare e curare le malattie. Ogni divinità aveva una sua sfera di influenza e spesso v'era un legame razionale tra la Natura, il ruolo della divinità e le malattie a essa collegate. La Tav. I elenca le divinità azteche associate alla malattia e alla medicina. Come si vede, il dio della pioggia, Tlaloc, infliggeva le malattie associate all'acqua o al freddo, come, per esempio, i reumatismi; Xipe Totec, il dio della primavera (il rinnovamento dell'epidermide della Terra), provocava le malattie della pelle. Curare o prevenire queste malattie comportava riti propiziatori durante le feste dedicate al dio appropriato; così, chi era sofferente a causa di Xipe faceva il voto di indossare le pelli delle vittime scuoiate e sacrificate in suo onore durante il mese di Tlacaxipehualiztli, e chi era tormentato da Tlaloc mangiava invece 'serpenti' di pasta d'amaranto impiegati nei rituali in onore di questo dio.
Anche la magia, come si è detto in precedenza, provocava e curava la malattia. La magia poteva essere impersonale o comportare la presenza di stregoni e streghe. Gli stregoni aztechi che, essendo nati il Primo Giorno di Vento o il Primo Giorno di Pioggia, erano predestinati dal loro tonalli, erano chiamati genericamente tlacatecolotl ('uomini-gufi'), in quanto i gufi, come emissari del sottosuolo, erano segno di cattivi presagi. Come in altre culture, si riteneva che gli stregoni provocassero le malattie inviando influssi magici che si depositavano sotto la pelle delle vittime. Altri stregoni curavano le indisposizioni succhiando via l'influsso maligno sotto forma di piccole ossa o di pezzi di ossidiana. Alcuni tra i migliori esempi di magia simpatetica sono rappresentati dalle numerose restrizioni che erano imposte alle donne incinte per assicurare una buona salute ai nascituri. Esse, per esempio, per evitare che i loro bambini nascessero con labbra tumefatte che avrebbero impedito l'allattamento, non dovevano masticare gomma o catrame. Durante la gravidanza era anche vietato dormire durante il giorno, per evitare che i bambini nascessero con ciglia lunghe in modo anomalo; non si dovevano fare bagni di vapore troppo caldi altrimenti i bambini sarebbero nati gonfi. Una credenza azteca, tuttora ampiamente diffusa in Messico e tra i Messico-americani, sosteneva che le donne incinte non dovessero uscire nelle notti di eclissi lunare per timore che il bambino potesse nascere con il labbro leporino; l'eclissi lunare, metzqualoni ('mangiare la Luna'), era interpretata come morsi dati alla Luna, e la magia simpatetica poteva produrre nel feto il labbro leporino, tenqualo ('mangiare le labbra').
Gli Aztechi avevano una considerevole conoscenza empirica delle piante. L'imperatore Motecuhzoma I Ilhuicamina (1390 ca.-1469) fondò nel 1467 il primo orto botanico, dove furono portati nuovi esemplari da tutto l'Impero azteco; inoltre, gli indigeni delle aree appena conquistate furono persuasi a prendersi cura delle piante provenienti dalle loro regioni. Tra l'altro, questi orti erano utilizzati anche per la ricerca medica, poiché le piante erano distribuite ai pazienti a condizione che essi riferissero i risultati ottenuti. La nomenclatura botanica e zoologica rifletteva questo tipo di attività ed era così esauriente e scientificamente accurata che i cronisti spagnoli rimasero colpiti dalle conoscenze mediche degli Aztechi. Come scrive Motolinía: "essi hanno i propri medici specializzati che sanno come impiegare molte erbe e medicine che per loro sono sufficienti. Alcuni di essi hanno una tale esperienza da riuscire a guarire anche Spagnoli da lungo tempo affetti da malattie gravi e croniche" (Memoriales, o libro de las cosas de la Nueva España y de los naturales de ella, p. 160). Le piante erano spesso impiegate a scopo magico e non per le loro sperimentate qualità terapeutiche. La yolloxochitl ('fiore del cuore', Talauma messicana) ha fiori a forma di cuore ed era quindi usata come rimedio per i problemi cardiaci, mentre il lattice della cuetlaxochitl ('fiore di pelle', Euphorbia pulcherrima) era applicato localmente per aumentare la lattazione. Le persone colpite da un fulmine erano unte con la linfa di un albero a sua volta colpito da un fulmine.
Il placebo, una cura che funziona anche se la medicazione è inerte, ha una sua importanza anche nella medicina occidentale moderna; chiamato più generalmente guarigione simbolica, è decisivo nelle cure magiche e religiose, ma contribuisce anche ai trattamenti empirici. Molte cose, dalle piante al luogo in cui opera il medico, possono essere simboli efficaci, ma la componente essenziale della guarigione simbolica è costituita dal linguaggio. Il linguaggio come incantesimo è sempre stato un aspetto importante della medicina non occidentale proprio perché la maggior parte delle 'cure' magiche e religiose trae la sua efficacia dall'effetto placebo. Gli Aztechi credevano nel potere delle parole e quindi praticavano la 'logoterapia'. Essi accompagnavano tutte le forme di cura (religiosa, magica o empirica) con incantesimi che dovevano condurre alla guarigione simbolica e che comportavano un complesso linguaggio esoterico, il nahuallahtolli ('discorso nahual'). La guarigione simbolica implica una cultura specifica perché si affida alla forza emotiva di credenze condivise tanto dal guaritore quanto dal paziente, e i miti delle origini sono simboli di guarigione particolarmente potenti. Per esempio, gli Aztechi riuscivano a curare in maniera efficace le fratture ossee mediante l'applicazione di un impiastro e sostenendo l'arto con una stecca. Il trattamento era integrato da un incantesimo che alludeva al mito della Creazione nel quale il dio creatore, Quetzalcoatl, plasmava gli esseri umani dalle ossa rotte dei giganti che abitavano il luogo della Prima Creazione.
È chiaro che gli Aztechi erano a conoscenza di alcune terapie molto efficaci; come è possibile però valutare correttamente il trattamento di malattie che non corrispondono al modello biomedico occidentale? I sistemi di medicina popolare possono essere valutati adottando il punto di vista degli stessi indigeni, mentre una valutazione eziologica si baserebbe su un'interpretazione biomedica di ciò che costituisce una cura. Il primo metodo comporterebbe i seguenti passaggi: (1) definire quali fossero per gli Aztechi le cause della malattia e quale sarebbe stato un rimedio efficace secondo la loro eziologia (ciò richiede un'indagine e una valutazione delle fonti di riferimento disponibili); (2) usare tutte le tecniche della moderna ricerca computerizzata per scoprire quali composti chimici fossero presenti nei rimedi aztechi e quali fossero i loro effetti fisiologici; (3) confrontare l'effetto fisiologico oggettivo prodotto dal rimedio azteco con quello richiesto dall'eziologia. Se l'effetto fisiologico coincideva con quello desiderato, allora il rimedio da essi utilizzato va considerato efficace, indipendentemente dalla sua efficacia secondo gli standard biomedici occidentali. Prendiamo in considerazione alcuni esempi. Numerose malattie erano attribuite alla presenza di alahoac nel corpo. Il Codice Fiorentino descrive alcuni tipi di febbre localizzati in varie parti del corpo, quali la febbre della testa, dello stomaco e degli occhi, la cui causa principale erano le "sostanze calde e viscide" all'interno del corpo. I nomi principali per la febbre erano totonqui, derivato da tona, e motlehuia ('avere la febbre dentro'). La cura contro la febbre richiedeva che queste sostanze fossero portate fuori dal corpo, quindi, in termini fisiologici, i rimedi per la febbre dovevano essere emetici, diaforetici, diuretici o purgativi. In effetti, il 70% dei medicamenti a tutt'oggi identificati conteneva sostanze che realmente producevano uno o più di questi effetti. L'accumulo di alahoac nel petto, danneggiando il cuore, provocava anche altre indisposizioni e la teyolia poteva causare pazzia, stupidità o svenimenti. I nomi di alcune di queste indisposizioni indicavano chiaramente la loro eziologia, come alahoac quipoloa toillo ('alahoac distrugge il cuore') o teyolpatzmiqui ('cuore schiacciato'; Florentine Codex, XI, p. 181). Un accumulo improvviso di alahoac nel petto provocava invece epilessia, e secondo l'eziologia azteca contro l'epilessia erano efficaci anche i rimedi per la febbre perché avrebbero rimosso l'alahoac dal petto. La causa immediata di questo accumulo di alahoac era un'esperienza improvvisa e terrificante (un fulmine caduto vicino, un forte vento, un incontro notturno con i cihuateteo, e così via), ma la causa primaria era il dio Tlaloc e le divinità a esso collegate.
Sembra che gli Aztechi credessero che il mal di testa fosse causato da un eccesso di sangue nella testa. Benché alcuni rimedi comportassero la necessità di pungere oppure di tagliuzzare la testa con un pezzo di selce affilato, con un dente di serpente o con una spina, la maggior parte dei rimedi consisteva nell'immettere all'interno del naso alcune sostanze o nell'inalazione di fumo allo scopo di provocare starnuti abbastanza forti da far sanguinare il naso, e ciò era ritenuto il metodo più sicuro per rimuovere il sangue dall'interno della testa. Una valutazione di 118 rimedi aztechi ha dimostrato che l'85% di essi era efficace.
Gli Aztechi avevano quindi rimedi di grande efficacia. Un chiaro esempio delle capacità mediche di questa popolazione, superiori rispetto a quelle dei loro conquistatori spagnoli, era il modo di curare le ferite. A causa delle guerre quasi continue, gli Aztechi avevano in questo campo una solida esperienza. Juan de Torquemada (1557 ca.-1624) affermava che i chirurghi aztechi erano molto abili e in grado di guarire le ferite più rapidamente dei loro colleghi spagnoli (Monarquía indiana, ed. León Portilla, III, p. 325). Questo non deve sorprendere, perché a quei tempi gli Europei curavano le ferite cauterizzandole con olio bollente e quindi pregavano aspettando che un'infezione sviluppasse il "lodevole pus", erroneamente considerato un segno di guarigione. I cambiamenti operati da Ambroise Paré (1510-1590) erano ancora lontani. Sahagún descrive così il trattamento azteco per le ferite:
[Per le ferite alla testa] dapprima la parte insanguinata va rapidamente lavata con urina calda. Una volta ben pulita, allora vi verrà spremuta sopra linfa bollente di agave [...] alla quale sono aggiunti l'erba chiamata metlalxihuitl e nerofumo mischiato con sale. E quando [ciò] è stato posto sopra, allora [la ferita] va coperta rapidamente perché l'aria non vi entri, quindi essa guarisce. E se la carne è infiammata, questa medicina va posta su di essa due o tre volte. Ma se la carne non è infiammata va posta una volta sola. (Florentine Codex, X, p. 161)
La prima fase, lavare la ferita con urina appena fatta, ha una base logica, in quanto l'urina è sterile e preferibile all'acqua disponibile in un campo di battaglia. La fuoriuscita di sangue era fermata con la metlalxihuitl (Commelina pallida), un'erba contenente acido tannico che ha proprietà coagulanti. Esperimenti fatti dal governo messicano nel secolo scorso hanno mostrato che Commelina pallida contiene anche un emostatico vasocostrittore più potente, ma la pianta non è ancora stata studiata da un punto di vista fitochimico. Le ferite erano quindi medicate con la linfa di agave concentrata o con il miele, ai quali a volte era aggiunto sale. Anche nell'antico Egitto il miele era usato per medicare le ferite, ed è provato che esso sia un potente battericida. La linfa di agave si è invece dimostrata efficace contro i molti batteri che di solito infettano le ferite. In entrambi i casi un'alta concentrazione di polisaccaridi (zuccheri) uccide i batteri con un processo di osmosi che li disidrata eliminando l'acqua attraverso la membrana cellulare semipermeabile; a tale proposito, in Argentina sono stati compiuti esperimenti clinici che trattavano le ferite infette o quelle chirurgiche con lo zucchero, un altro battericida per osmosi che si è rivelato un medicamento estremamente efficace. I chirurghi aztechi eseguivano anche interventi di chirurgia plastica, ricucivano labbra lacerate e operavano con successo il labbro leporino. Sahagún riferisce che erano in grado di ricucire anche i nasi che erano stati asportati, e che conoscevano l'uso delle protesi. I chirurghi adoperavano bisturi di ossidiana che, essendo più affilati dei moderni bisturi d'acciaio, provocavano meno danni ai tessuti operati. Il trattamento di ossa danneggiate era l'aspetto più avanzato della chirurgia azteca; i medici mettevano in trazione gli arti fratturati o distorti e immobilizzavano le parti lese con stecche, e per consolidare le fratture usavano perfino chiodi intramidollari (la loro utilizzazione nella medicina occidentale compare solamente a partire dal XX sec.).
L'ostetricia era un'altra area di solida pratica empirica. Le levatrici si prendevano cura delle donne incinte e negli ultimi mesi di gravidanza le visitavano regolarmente; prima che partorissero le massaggiavano in un bagno di vapore per pulirle e farle rilassare. Se il bambino era in posizione podalica la levatrice lo faceva girare eseguendo una manipolazione esterna. Le donne partorivano accovacciate, riducendo così la lacerazione del perineo e il rischio di mancanza di ossigeno nel bambino, due problemi che sorgono frequentemente quando le madri partoriscono in posizione supina come avviene in Occidente. Per accelerare il parto era usata come sostanza ossitocica, stimolante cioè le contrazioni uterine, Montanoa tomentosa, chiamata cihuapatli ('medicina delle donne'). Questo rimedio, nominato in tutte le fonti di riferimento più antiche, era impiegato anche durante il periodo coloniale, ed è usato ancora oggi; anche se è stato adottato dalle levatrici per centinaia di anni, i chimici non sono stati in grado di scoprirne gli elementi attivi, montanolo e zoapatanolo, fino al 1979 quando, una volta isolati, è stato dimostrato nel corso di esperimenti clinici controllati che si tratta di sostanze attive. Se la cihuapatli non funzionava, le levatrici azteche usavano come ossitocico la coda di opossum (Didelphis marsupialis). La coda di opossum, sia fresca sia secca, produce contrazioni nelle donne incinte e, in vitro, nel tessuto uterino di roditori; nonostante attualmente non sia stato ancora identificato o isolato il principio attivo, sembra plausibile che esso sia dovuto alla presenza di prostaglandine, sostanze che nei mammiferi hanno la funzione di regolatori della temperatura e che, assunte oralmente in dosi minime, sono attive e producono effettivamente contrazioni uterine.
Per valutare il livello dei risultati ottenuti dalla medicina azteca sarebbe utile però non soltanto poter affermare l'efficacia di un particolare rimedio, ma anche indicare quanto quest'affermazione sia attendibile alla luce dei criteri di affidabilità solitamente impiegati per la deduzione statistica. Quattro di tali criteri sono applicabili alla valutazione delle piante usate nella medicina popolare. Il primo criterio richiede che se ne conosca l'uso popolare ed è il livello più basso di convalida; per esempio, l'esistenza di resoconti paralleli sull'impiego di una pianta per lo stesso scopo da parte di popolazioni diverse e distanti, tra le quali la diffusione sia stata improbabile, aumenta le possibilità che questa pianta sia effettivamente attiva; ciò vale anche per le piante usate per lunghi periodi, poiché si suppone che col tempo le erbe inefficaci siano scartate. Il secondo criterio implica, in aggiunta, l'isolamento delle componenti o degli estratti della pianta che possiedono l'attività fisiologica desiderata; a questo livello le droghe dimostrano di essere attive sia in vitro sia in vivo tramite esperimenti sugli animali. Il terzo criterio richiede, in aggiunta al secondo, la conoscenza di un meccanismo biochimico plausibile che spieghi come le componenti in questione esercitino l'azione fisiologica indicata. Infine, il quarto criterio prevede, in aggiunta ai precedenti, la sperimentazione clinica sugli esseri umani e il loro impiego terapeutico.
La medicina azteca era olistica e includeva elementi naturali e soprannaturali. Anche se ai fini della nostra analisi questi due aspetti sono stati separati, tuttavia un quadro più esatto li include entrambi, come è illustrato dalle parole di Martín de la Cruz sui rimedi per aiutare una donna a partorire:
[Essa deve] bere una medicina fatta con la corteccia dell'albero cuauhalahuac e con l'erba cihuapatli, macinate nell'acqua con una pietra chiamata eztetl e la coda di un piccolo animale chiamato tlacuatzin. La donna dovrebbe tenere in mano l'erba tlanextia. Dovrebbero essere bruciati pelo e ossa di una scimmia, l'ala di un'aquila, un poco dell'albero quetzalhuexotl, pelle di cervo, bile di gallo e di coniglio e cipolle fatte seccare al sole. A tutto questo bisognerebbe aggiungere del sale, un frutto chiamato nochtli e octli. (Libellus de medicinalibus Indorum herbis, p. 217)
In questo miscuglio nulla è lasciato al caso. La cihuapatli e la coda di opossum sono efficaci ossitocici. L'albero cuauhalahuac ('albero viscido') aiuta il parto con la magia simpatetica, e l'eztetl, il diaspro, serve ad arrestare il sangue magicamente. L'uso di parti di cervo e di scimmia è collegato al Primo Giorno del Cervo e al Primo Giorno della Scimmia del tonalamatl ('il calendario astrologico'), durante i quali i cihuateteo potevano tornare sulla Terra. Le aquile sono collegate simbolicamente alla guerra; infatti, i guerrieri più abili appartenevano all'Ordine delle Aquile e i cuori delle vittime sacrificate erano chiamati quauhnochtli ('pera spinosa dell'aquila'). La nascita era considerata dagli Aztechi un combattimento simbolico e, quindi, questa metafora religiosa è corretta. Anche durante il Giorno dell'Aquila potevano apparire i cihuateteo. È inoltre estremamente probabile che fossero recitati incantesimi simili a quelli riportati da Ruiz de Alarcón. Tutti gli aspetti terapeutici erano quindi coperti. Questo ci ricorda che gli Aztechi, come le altre popolazioni non occidentali e quelle occidentali prima della rivoluzione scientifica, non operavano una distinzione chiara tra mondo naturale e mondo soprannaturale. È comunque evidente che essi erano anche puntuali ed esperti osservatori della Natura, come ha dimostrato l'efficacia empirica della loro medicina.
Come in molte altre culture, per gli Aztechi la moderazione e l'equilibrio erano elementi essenziali per la salute e perciò si doveva trovare la giusta armonia tra 'fisico' e 'psichico'. La moderazione richiedeva l'adempimento dei propri doveri verso gli dèi, verso i governanti e verso le proprie occupazioni. L'unicità degli Aztechi risiede nel fatto che questo tipo di controllo sociale era ottenuto in parte attraverso il ricorso a forze animiste che si riteneva dessero vita agli esseri umani e li vincolassero astrologicamente all'Universo.
Fonti
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