Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Durante il Settecento l’impero spagnolo nelle Americhe ha un significativo sviluppo economico e demografico. Dopo la guerra dei Sette anni, conclusasi con una pesante sconfitta, il governo diMadrid intraprende una politica di riforme che incontra la decisa opposizione della ristretta élite creola che tiene saldamente nelle sue mani le leve del potere politico ed economico. Le profonde divisioni sociali ed etniche all’interno della popolazione coloniale impediscono comunque che la crescente distanza fra colonie e madrepatria si traduca in un processo di secessione analogo a quello delle colonie inglesi del Nord America.
L’America e l’Europa
Fin dal Cinquecento l’America è organicamente legata all’Europa, sia in termini politici sia economici. Ciò significa che gli immensi spazi del nuovo continente sono governati direttamente dagli Stati europei e che le loro economie sono profondamente legate a quelle dei colonizzatori. Già a partire dalla seconda metà del Seicento, tuttavia, la società e le economie americane in forte crescita acquistano una maggiore autonomia e anche l’interdipendenza economica fra le diverse aree del Nuovo Mondo aumenta. I rapporti commerciali fra le diverse parti delle Americhe sono incoraggiati anche dalla grande varietà di assetti economici e sociali che dipende sia dalla varietà di climi e ambienti che dalla diverse forme assunte dalla colonizzazione.
Un dato comune alle diverse forme di colonialismo risiede comunque nel fatto che le colonie hanno soprattutto un’importanza commerciale, vale a dire devono costituire dei mercati di sbocco per i prodotti della madrepatria e fornire materie prime. Gli aspetti strategici e di prestigio rivestono nel Settecento un’importanza tutto sommato secondaria, a differenza di quanto avverrà nel corso dell’Ottocento. Le potenze europee varano leggi di tipo mercantilistico e protezionistico che, da una parte, tendono a riservare – anche se non sempre con successo – alla madrepatria il monopolio dei traffici con la colonia, dall’altro cercano di indirizzare lo sviluppo della colonia stessa in modo che la sua economia risulti complementare e non concorrenziale con la madrepatria. Nel corso del Settecento il commercio tra i Paesi europei e le loro colonie o basi commerciali extraeuropee continua ad aumentare, sia in termini relativi sia assoluti. Tra l’inizio e la fine del secolo, ad esempio, la quota del commercio estero inglese relativa all’America passa dal 20 al 35 percento circa e quella relativa all’Africa e all’Asia dal 7 al 20 percento. Naturalmente nel caso dellaFrancia e ancor più delle altre nazioni continentali queste proporzioni sono inferiori, anche se in continuo aumento.
L’apporto più significativo dell’America deriva dall’estrazione dei metalli preziosi e dai prodotti delle piantagioni. Tra l’inizio e la fine del secolo il valore delle esportazioni dall’America all’Europa quadruplica e l’aumento è particolarmente forte per i prodotti agricoli e di allevamento – riso, tabacco, pelli, zucchero, cacao, cotone, caffè –, la cui esportazione è sostenuta dall’espansione economica e demografica europea e dal mutamento dei modelli di consumo, soprattutto nell’alimentazione e nell’abbigliamento. Poiché si tratta per lo più di prodotti di piantagione, l’aumento della produzione è sostenuto da un parallelo incremento nella deportazione di schiavi. Il Settecento è il secolo nel quale il traffico degli schiavi raggiunge la massima espansione, con oltre 6 milioni di persone trasportate oltre Atlantico dai negrieri inglesi, francesi, olandesi e portoghesi.
La crescita economica delle colonie spagnole
Metalli preziosi e piantagioni costituiscono quindi anche nel Settecento le basi dell’impero coloniale spagnolo e delle sue relazioni con la madrepatria, come già era stato nei secoli precedenti. Ciò non significa tuttavia che nulla sia cambiato. Innanzitutto perché si registra un forte aumento sia nell’estrazione di oro e soprattutto argento che nella produzione di prodotti di piantagione destinati all’esportazione verso l’Europa.
Nel corso del secolo, grazie alla scoperta di nuovi giacimenti, la produzione di metalli preziosi cresce del 250 percento nel vicereame del Perù e addirittura del 600 percento in quello della Nuova Spagna, grazie alla scoperta di nuovi giacimenti che compensano il declino della produzione del Potosí. Una novità significativa del Settecento è la scoperta dei giacimenti d’oro del Brasile. Tra il 1700 e il 1712 le esportazioni ufficiali d’oro dalBrasile passano da 725 chilogrammi a 14500, e si suppone che l’oro esportato di contrabbando fosse almeno tre volte tanto. Nonostante la crescita della produzione di zucchero, nel XVIII secolo l’oro rappresenta quasi la metà del valore complessivo delle esportazioni brasiliane. Per i regni iberici e soprattutto per la Spagna si tratta di risorse sempre più indispensabili, ma una parte pari forse alla metà della produzione totale rimane ora nel Vecchio Mondo ad alimentare sia l’economia dell’America spagnola e portoghese sia gli scambi con le colonie inglesi e francesi.
Anche la produzione di prodotti agricoli e coloniali cresce e si diversifica. Cuba trova nella canna da zucchero la sua vocazione agricola definitiva, in Venezuela si estendono le piantagioni di cacao e l’Argentina esporta ingenti quantitativi di pellami, mentre aumenta fortemente quella del tabacco. Questi prodotti sono destinati per lo più all’Europa ma in misura crescente vengono esportati anche verso le colonie britanniche dell’America settentrionale in cambio di pesce, grano, riso, prodotti tessili e artigianali europei, riesportati o di produzione americana, e schiavi. Non si può quindi più parlare semplicisticamente di un continente americano in una posizione complessivamente periferica. Piuttosto all’interno stesso del Nuovo Mondo si profilano percorsi divergenti fra le colonie britanniche del centro e del nord, avviate a creare un’economia matura e diversificata con forti settori artigianali e mercantili, e le colonie iberiche, ma anche quelle inglesi meridionali, con economie quasi esclusivamente impostate sull’esportazione di prodotti di piantagione.
La società coloniale spagnola
La particolare struttura dell’economia si riflette nella società delle colonie spagnole. Le impressioni dei viaggiatori confermano la loro prosperità, ma la ricchezza è in realtà concentrata nelle mani di un’élite molto ristretta di piantatori e di proprietari delle miniere e questa concentrazione a sua volta ha delle ricadute sull’economia. Questo ristretto gruppo di privilegiati infatti destina il suo enorme potere d’acquisto a beni di lusso in gran parte di provenienza europea, il che non incoraggia l’espansione di un mercato interno che possa stimolare la produzione locale di beni di largo consumo.
Questa minoranza privilegiata fa comunque a sua volta parte di un’altra minoranza, certo più ampia: quella dei creoli, ovvero dei bianchi, o presunti tali, di origine spagnola ma nati nelle Americhe. La popolazione coloniale americana è infatti nel Settecento un mosaico estremamente complesso, in continua evoluzione. Nel corso del secolo l’aumento complessivo è significativo. La Nuova Spagna, ad esempio, raggiunge i 3 milioni di abitanti verso il 1750 e i 6 milioni a fine secolo. Questo aumento ha origini diverse. Un contributo importante proviene ovviamente dall’immigrazione, sia quella di bianchi liberi dall’Europa, sia quella di schiavi neri africani, ma in entrambi i casi esso è meno importante che in America settentrionale o nelle colonie caraibiche.
Il flusso migratorio dalla Spagna è ininterrotto ma tutto sommato limitato e non paragonabile a quello che alimenta la crescita delle colonie britanniche. La Spagna del Settecento deve del resto ancora colmare i vuoti lasciati dal declino demografico del secolo precedente e del resto le colonie americane, anche a causa delle forti diseguaglianze di cui si è detto, non presentano particolari attrattive. Il governo di Madrid è consapevole dei rischi che la scarsa presenza di Spagnoli comporta, soprattutto nella periferia dell’impero – Nuovo Messico, Florida, Texas – dove la presenza spagnola è limitata alle missioni e a sparuti presidi militari, e si sforza quindi, ma senza grandi risultati, di incoraggiare lo stanziamento di coloni. Anche gli arrivi di schiavi, destinati soprattutto alle piantagioni di Cuba e della costa caraibica di Nuova Granada, sono importanti ma meno numerosi che nelle Antille inglesi e francesi o in Brasile.
In sostanza il contributo più importante alle crescita è dato dall’incremento naturale della popolazione creola, in teoria bianca ma in effetti largamente meticcia, dalla ripresa della popolazione india, a partire dalla seconda metà del Seicento, e dalla continua espansione delle castas, il variegato e complesso mondo dei meticci di diversa origine che in molte regioni costituisce la grande maggioranza. Verso la fine del secolo, ad esempio, la popolazione del vicereame di Nuova Granada è formata per il 46 percento da meticci, il 20 da indiani, l’8 da neri e il 26 da bianchi o presunti tali. Ma le differenze sono enormi. In Perù o in Messico gli indiani sono il 60 percento del totale e creoli e peninsulares meno del 10 percento.
Crisi e riforme dell’impero
A parte l’istituzione nel 1717 di un terzo viceregno, quello di Nuova Granada, corrispondente agli attuali Colombia e Venezuela, la struttura interna dell’impero spagnolo in America rimane sostanzialmente immutata fino alla guerra dei Sette anni. Ciò non significa che l’impero sia esente da problemi. Molti di essi provengono dalle difficile situazione delle molteplici ed estesissime frontiere. A nord, ancor più degli indiani pueblo, navajo e apache, è la presenza inglese e francese a preoccupare le autorità spagnole. A sud, lungo il confine incerto fra il Brasileportoghese e i possedimenti spagnoli, sono i razziatori a caccia di schiavi – i bandeirantes – a costituire la minaccia più grave. È sintomatico della posizione ormai difensiva in cui si trova la Spagna, che laddove per Inglesi e Francesi, e in qualche misura anche per i Portoghesi, le terre di frontiera rappresentino un’opportunità, una possibile direttrice di espansione economica, militare e coloniale, per gli Spagnoli siano soprattutto un problema di difficile soluzione.
La partecipazione sfortunata a fianco della Francia nella guerra dei Sette Anni a partire dal 1761 è un momento di svolta, per l’impero spagnolo come per tutto il continente americano. La guerra sancisce senza più equivoci la supremazia britannica e pone la Spagna di fronte alla questione della sopravvivenza stessa dei suoi domini coloniali. Il governo di Carlo III di Borbone intraprende una serie di riforme ispirate da istanze illuministiche per rafforzare la compagine dell’Impero e nel contempo prende misure energiche per riaffermare, ed espandere, la presenza spagnola a nord della Nuova Spagna, in California e Nuovo Messico. Le riforme però comportano un aggravio fiscale e minacciano l’autonomia e i privilegi dell’élite creola che domina incontrastata i vicereami americani. Nella rivolta di Quito del 1765 questi motivi di scontento si saldano e l’opposizione dei coloni creoli riceve un incoraggiamento anche dall’esempio dei coloni nordamericani, sempre più apertamente insofferenti verso la tutela britannica. Tra le ragioni della disaffezione dei coloni verso la madrepatria vi è anche la sempre più evidente asimmetria degli interessi economici. Che la Spagna abbia bisogno delle risorse americane è chiaro, ma gli americani – spagnoli o inglesi che siano – sembrano avere sempre meno bisogno della madrepatria.
La sopravvivenza dell’impero
La distanza crescente fra coloni e metropoli è quindi un dato che accomuna i due grandi imperi coloniali americani superstiti. Nel Settecento lo sbocco di questa tensione è però decisamente diverso. Da un lato l’Inghilterra, la cui forza economica e militare è decisamente maggiore di quella della Spagna, è costretta a riconoscere alle sue colonie continentali la piena indipendenza, dall’altro la Spagna riesce a prolungare il suo dominio sui vicereami americani fino ai primi decenni dell’Ottocento.
Il destino provvisoriamente diverso dei due imperi ha diverse spiegazioni. Innanzitutto l’enorme distanza sociale, culturale ed economica fra la piccola élite coloniale, in sostanza chiusa nella difesa corporativa dei suoi privilegi, e la grande massa della popolazione indigena, mulatta o di origine africana. L’insofferenza verso il fisco e i problemi di sussistenza possono talvolta dare una base popolare più ampia all’opposizione dei coloni creoli alla corona, ma la distanza che separa i vari ceti, etnie e castas dell’America spagnola non è facilmente colmabile.
La vicenda della ribellione di Tupac-Amaru ne offre la dimostrazione. La rivolta, scoppiata nel 1780, trae origine dall’insofferenza per le riforme fiscali borboniche, dalle difficoltà economiche del Perù dopo la creazione nel 1776 del vicereame del Rio della Plata, che sottrae al Perù l’argento del Potosí, ma anche dal contrasto fra coloni e creoli e indigeni che non hanno dimenticato i fasti dell’epoca prespagnola. Proprio questo contrasto impedisce però l’adesione dei creoli alla sollevazione e ne determina in ultima analisi il fallimento. Nel 1781 Tupac-Amaru viene catturato e orribilmente giustiziato nella piazza principale di Cuzco, anche se la sua memoria rimarrà viva tra la popolazione indigena e Tupac-Amaru diventerà una figura mitica nella lotta per l’indipendenza dell’America latina e nel movimento per i diritti degli indigeni.
I contrasti etnici e razziali sono dunque l’ostacolo più rilevante alla costituzione di un’opposizione di massa al governo di Madrid. Ma la stessa ristretta élite coloniale dei creoli non dispone comunque di una cultura politica adeguata, analoga a quella fornita ai coloni britannici del nord dalla confluenza della tradizione costituzionale inglese, dal radicalismo religioso protestante e dalle nuove istanze illuministe le quali peraltro, nel caso dell’America spagnola, sono alla base dei progetti di riforma voluti da Madrid.
La sopravvivenza dell’impero americano della Spagna è in conclusione più il risultato delle debolezze e dei limiti delle forze importanti ma divise fra loro che vi si oppongono, che della forza della Spagna e della lungimiranza politica dei suoi governanti.