Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La “quarta crociata” rientra appieno nei progetti teocratici di Innocenzo III come impresa voluta dalla Santa Sede, dopo il fallimento della crociata precedente guidata dai sovrani. Ma essa si risolve inaspettatamente in qualcosa di molto diverso rispetto alla volontà del pontefice: Venezia, che aveva fornito le navi per l’impresa, pretende aiuto dai crociati per risottomettere la ribelle città dalmata di Zara, quindi assale ripetutamente Costantinopoli. Ne deriva la fine dell’Impero greco e l’effimero installarsi di un Impero latino, mentre gran parte delle terre ex-bizantine vengono egemonizzate dai Veneziani. L’esperimento termina nel 1261, col ritorno sul trono di Costantinopoli di una dinastia greca.
Nel 1198 sale al soglio pontificio un grande aristocratico, finissimo giurista e autore di opere ascetiche. Lotario dei conti di Segni, che assume il nome di Innocenzo III. Sono tempi difficili: il trono dell’Impero romano-germanico vacante, l’Europa percorsa dalle guerre, la cristianità minacciata dall’eresia catara. L’opera di Innocenzo III è una grande sintesi di quanto la Chiesa aveva maturato nel secolo precedente: nel suo progetto il recupero di Gerusalemme e il rafforzamento della monarchia franca, la cui capitale era stata spostata ad Acri, occupano un ruolo primario.
Anche al papa, come a Bernardo di Clairvaux, Gerusalemme interessa peraltro più come figura del Regno dei Cieli che come obiettivo della riscossa armata; e, come già Bernardo, egli attribuisce il fallimento delle crociate dei principi ai loro interessi mondani e alla loro cupidigia. Sviluppando con lucida coerenza queste premesse, ne deduce che al papa e solo a lui spettavano l’iniziativa di bandire una nuova crociata e il comando di essa, e che la crociata era solo parte d’un più ampio programma di rigenerazione della cristianità sotto la guida della Chiesa.
All’offensiva in Terrasanta, cui il papa pensa immediatamente dopo la sua ascesa al trono pontificio, corrisponde l’offensiva castigliana contro gli Almohadi e quella in Livonia a opera dei cavalieri Portaspada che all’inizio del secolo continua la spinta tedesca verso Oriente. Sono i tre “fronti esterni” della cristianità, nella quale in pari tempo Innocenzo si propone di portar ordine, eliminando l’eresia e costringendo i monarchi a piegare la testa dinanzi alla sede di Pietro. Tutore del piccolo re di Sicilia Federico dopo la morte della regina madre Costanza e arbitro della corona reale tedesca per la quale preferisce Ottone di Brunswick a Filippo di Svevia, il pontefice vede che dinanzi a sé s’inchinano – a titolo ora di vero e proprio vassallaggio, ora di riconoscimento di supremazia politica oltreché religiosa – praticamente tutte le teste coronate d’Europa, dal Portogallo all’Aragona alla Francia alla Norvegia all’Ungheria alla Polonia.
Le disposizioni di Roma per la crociata risentono, fino dal 1198, di una concezione estremamente centralizzatrice. Nulla viene lasciato all’iniziativa regia: relegati i principi temporali a un ruolo di semplici esecutori, le direttive papali sono proposte ai re dai legati pontifici, mentre sulla loro fedele esecuzione vegliano non solo il clero secolare e regolare di tutto il territorio interessato, ma anche i Templari e gli Ospedalieri. Le decime per la crociata vengono riscosse altrettanto puntualmente e con pari fiscalismo che ai tempi della “ decima saladina”, ma questa volta le casse regie non possono trarne beneficio.
La stessa tendenza all’accentramento e, vorremmo quasi dire con un termine in voga, alla “pianificazione” della crociata innocenziana, si nota anche per quanto riguarda la predicazione di essa alle folle degli umili. Nella lettera Salutiferum indirizzata al predicatore Folco di Neuilly il 5 novembre 1198, il papa pone la crociata sulla linea di altre opere di rigenerazione spirituale comunitaria, quali lo stroncamento dell’usura e la redenzione delle prostitute con la conseguente liberazione della società dal vizio della lussuria. Folco di Neuilly è proprio l’animatore di una nuova spedizione, un primo nucleo di cavalieri volontari, formatosi secondo la tradizione durante un torneo tenutosi a Écry nella Champagne all’inizio dell’Avvento del 1199. In realtà, Folco di Neuilly non aveva partecipato a quel torneo, in ogni caso se anche vi si fosse recato se ne sarebbe astenuto: la Chiesa condannava i tornei, e papa Innocenzo non era uomo da transigere. Probabilmente i convenuti di Écry avevano di certo però parlato della nuova impresa; Folco di Neuilly la stava da tempo predicando agli umili, e il legato papale cardinal Roberto di Capua, giunto in Francia, aveva proclamato l’indulgenza che il papa concedeva ai crociati. Essa poneva chi avesse formulato il voto al sicuro – almeno giuridicamente parlando – da ogni offesa alla sua persona, alla sua famiglia, ai suoi beni: e i signori che prendono la croce, a Écry, cioè Tibaldo conte di Champagne e Luigi conte di Blois e Chartres avevano estremo bisogno di qualcuno o qualcosa che li proteggesse. Nella guerra fra Riccardo Cuor di Leone re d’Inghilterra e Filippo Augusto re di Francia allora in corso, essi hanno, con Baldovino IX di Fiandra, tenuto le parti del re inglese: e ora che, sotto la pressione papale, la pace tra le due grandi potenze sta nuovamente per concludersi, avevano tutte le ragioni di paventare le vendette del loro signore legittimo, il re di Francia. Del resto, a parte il giustificato timore di rappresaglie, la politica accentratrice di Filippo Augusto non lascia dubbi sul fatto che i tempi della semianarchia feudale in Francia stavano tramontando.
È dunque una feudalità in crisi quella che decide per la via d’oltremare. Si ripete, infatti, quanto già accaduto per la prima crociata, in un clima però estremamente più povero di fermenti spirituali rispetto ad allora. La quarta crociata rappresenta infatti la fuga di qualche infido barone da un paese che andava assumendo strutture politiche più moderne, risultando quindi un grande servizio reso, più che alla cristianità, alla monarchia francese.
Analoghe ragioni consigliano anche il conte Baldovino di Fiandra a unirsi ai crociati. A capo della spedizione viene designato il fratello di Enrico di Champagne che era stato re di Gerusalemme, cioè appunto il conte Tibaldo; morto il quale, nel marzo 1201, gli succede il marchese Bonifacio di Monferrato: anch’egli – come Tibaldo – ha qualche diritto familiare o almeno qualche tradizione da mantenere in Oriente in quanto fratello del leggendario Corrado, mentre in Occidente la vita gli è resa sempre più difficile dai liberi Comuni che stringono da presso il suo principato.
I baroni, per ottenere le navi necessarie al passaggio, si rivolgono a Venezia. Venezia però non ha alcun interesse a impegnarsi in una spedizione diretta in Siria, le cui coste erano prevalentemente patrimonio commerciale di Pisani e di Genovesi; inoltre, ha tutte le ragioni di tutelare i suoi commerci con i porti egiziani da dove, provenienti dal Mar Rosso lungo il Nilo, le giungevano le preziose spezie orientali a prezzi di concorrenza rispetto a quelli praticati sui mercati siriani.
Sta di fatto che l’esercito, già pronto a partire, deve aspettare dal giugno al novembre del 1202 un po’ perché mancano o si dice che manchino navi sufficienti, un po’ perché i capi non hanno denaro bastante per pagare il nolo pattuito. Alla fine si conviene che il debito possa essere saldato con la conquista della città di Zara, cristianissima ma ribelle a Venezia e sulla quale aveva posato gli occhi il re d’Ungheria cui sarebbe servito un bel porto adriatico.
Zara viene quindi presa il 15 novembre. Innocenzo III scomunica i Veneziani, ma, per non estendere la grave sanzione all’esercito crociato, deve fingere di credere che esso abbia dovuto semplicemente cedere a un ricatto, compiendo quell’azione decisamente bassa per poter proseguire il suo viaggio verso la santa meta.
Nell’aprile 1203, preceduto da un messaggero, giunge a Zara, dove svernano i crociati, il principe Alessio Angelo proveniente dalla Germania. Implora l’aiuto degli occidentali per ristabilire il padre sul trono di Costantinopoli dal quale è stato ingiustamente cacciato, e promette in cambio un largo appoggio alla crociata. Scacciare da Bisanzio l’usurpatore Alessio III, zio del principe, sarebbe piaciuto ai Veneziani per via della sua politica troppo filo-genovese. Costantinopoli viene quindi presa nel luglio del 1203, e Isacco Angelo viene rimesso sul trono col figlio Alessio come collega. Poi, in seguito a una serie di tumulti popolari in cui rimane ucciso lo stesso principe, la città viene di nuovo assalita dai crociati e sottoposta a un atroce saccheggio, nell’aprile del 1204.
A seguito di queste azioni si pone la nascita di una nuova istituzione, l’Impero latino di Costantinopoli, insediato su un territorio, già pertinente all’Impero romano d’Oriente cui l’islam aveva strappato ampi territori e che, dopo la conquista, era stato diviso in quattro parti. Solo una di queste quattro parti viene governata direttamente dal sovrano mentre gli altri tre quarti vanno per metà ai baroni che se li spartiscono in feudi e per metà ai Veneziani. In pratica però molte zone rimangono indipendenti e si costituiscono come stati greci scampati al naufragio (l’Epiro, Nicea, Trebisonda) mentre i Veneziani tengono per sé unicamente quelle terre che hanno una particolare importanza per il loro commercio, segnatamente le isole ioniche ed egee nonché il promontorio di Modone a ovest del golfo di Messene, nel Peloponneso meridionale, e l’isola di Cerigo. Saranno loro infatti i veri beneficiari dell’impresa. La corona imperiale viene conferita a Baldovino di Fiandra, per Bonifacio di Monferrato, escluso dalla scelta a causa dell’inimicizia che verso di lui nutrono i baroni francesi e i Veneziani – e forse anche data la diffidenza papale nei suoi confronti – viene costituito il Regno di Tessalonica.
L’unità delle Chiese che, in questo modo, viene conseguita è però assai labile, né Innocenzo può farsi al riguardo soverchie illusioni: lo scisma ha messo radici nel cuore d’un popolo, quello bizantino, appassionato alle dispute teologiche e geloso custode di tutto un patrimonio culturale, filosofico e liturgico cui non era disposto a rinunziare. I Greci si stringono intorno ai loro monaci e imparano a odiare quanto prima disprezzavano, quella barbara Chiesa occidentale, quei prelati avidi e usi alle armi più che allo studio e alla preghiera, quelle usanze straniere imposte dalle lance dei conquistatori. La cristianità tutta ha pagato col perpetuarsi dello scisma e dell’ostinata incomprensione reciproca il sessantennio dell’Impero latino d’Oriente, destinato a passare alla dinastia dei Courtenay e poi a dissolversi nel 1261.