Le culture protourbane nel Levante e in Egitto
L’urbanizzazione nel Levante ebbe caratteristiche del tutto diverse rispetto a quelle dell’area mesopotamica. In Palestina il modello di insediamento sedentario tipico delle culture del Neolitico Preceramico subì un’interruzione già nel VII millennio. Presero infatti il sopravvento modelli associati a uno stile di vita nomadico e semi-nomadico. Questo modo di sussistenza dominò per un lungo arco di tempo nel Negev, nella valle del Giordano e in Transgiordania, cioè soprattutto nelle zone meridionali e orientali levantine. Lungo la costa libanese e nella Palestina settentrionale si installarono, invece, piccole comunità con una economia mista agricolo-pastorale mentre nelle zone più interne alcuni gruppi erano a maggiore vocazione pastorale. Le relazioni tra queste comunità furono costanti. Durante il periodo Calcolitico (4500-3500) permane questo modello di insediamento nella Palestina settentrionale con gruppi di agricoltori che allevano soprattutto bovini e suini ed una economia sostanzialmente stanziale. Nelle regioni meridionali la maggiore mobilità delle popolazioni era dovuta all’intensificazione dell’allevamento dei caprovini. Queste genti occupavano le regioni del Negev settentrionale, quelle del Mar Morto e le zone della bassa valle del Giordano come anche la fascia costiera del territorio di Gaza e di Tel Aviv. Ciascuna di queste comunità mostra tratti culturali propri, ma nell’insieme esse possono essere accumunate ad un’unica facies definita Ghassuliano, dal nome del sito di Tulaylat al-Ghassul posto sulle rive del Giordano. Si tratta di piccole comunità che praticano la transumanza, in parte autonome, ma con forti legami che garantiscono una sorta di unità culturale su di un territorio molto ampio. La zona a ovest del Mar Morto è una regione desertica dove sono segnalati solo giacimenti in grotta usati come luoghi di sepoltura, ripostigli o località destinate al culto. Un esempio per quest’ultima categoria di sito è quello di En Gedi, un santuario isolato, probabilmente luogo di pellegrinaggio. Lungo la costa i siti messi in luce riguardano soprattutto necropoli. Il modello tipico di sepoltura è quello multiplo con l’uso di grotticelle scavate nel suolo geologico. Spesso le sepolture sono secondarie. Frequente è la presenza di ossuari a forma di capanna realizzati in ceramica che costituiscono un elemento caratteristico della facies in questo territorio. Diversa è la tradizione, che ricorda più da vicino quella del Sinai, nel nord del Negev dove circoli di pietra segnalano tombe a fossa con sepolture multiple. Gli insediamenti del Negev sono molti, ma di piccole dimensioni e in genere collocati lungo i corsi d’acqua. Le singole case sono sotterranee scavate nel loess; venivano abbandonate per essere regolarmente ma periodicamente rioccupate, in una modalità tipica delle popolazioni a economia prevalentemente pastorale. Nella bassa valle del Giordano troviamo il sito di Tulaylat al-Ghassul caratterizzato da case costruite in mattoni crudi e fango distribuite intorno a cortili attrezzati con zone destinate allo stoccaggio dei prodotti alimentari, per attività di culto o per altre funzioni domestiche. In questa regione, infatti, gli insediamenti hanno carattere permanente.
Da attribuire alla sola cultura Ghassuliana è il notevole sviluppo della metallurgia che raggiunge alla metà del IV millennio uno straordinario sviluppo attraverso l’uso della lega costituita da rame arsenicato, ma soprattutto per la prima volta è attestata la comparsa della tecnica a cera persa con la quale furono realizzati oggetti di eccezionale qualità. A questo proposito una delle scoperte più eclatanti fu quella effettuata nella grotta di Nahal Mishmar, a ovest del Mar Morto. In questa cavità furono trovati, intatti e avvolti in una stuoia, 427 oggetti di cui 415 in rame e rame arsenicato. La gamma degli oggetti rinvenuti riguarda soprattutto teste di mazza, scettri, corone sormontate da figure animali. È probabile che proprio queste popolazioni transumanti, per il loro carattere di forte mobilità, abbiano avuto accesso ai giacimenti minerari del Sinai e soprattutto del Wadi Feinan nel sud del Negev: tutte zone desertiche difficili da occupare in modo stabile. Negli abitati di Abu Matar e Shiqmim gli scavi, oltre agli oggetti in rame, hanno messo in luce anche minerali di rame e scorie, materiale che testimonia chiaramente una lavorazione del metallo all’interno del villaggio. Questa metallurgia probabilmente non era destinata allo scambio e al commercio, ma era rivolta, al contrario, alle gerarchie sociali interne alla stessa cultura ghassuliana, e alla produzione di oggetti di prestigio destinati a sottolineare l’emergere delle prime forme di autorità. Prova di tale fenomeno sta nel fatto che nessun oggetto in metallo della cultura ghassuliana trova riscontro al di fuori dell’area palestinese. Nella seconda metà del IV millennio la componente semi-nomade delle regioni meridionali e di quelle interne interagiscono in modo sempre più stretto con i gruppi sedentari del settentrione dando luogo, attraverso un fenomeno di osmosi culturale, al periodo definito Protourbano e attribuito al Bronzo Antico I. Questa è una fase in cui si osservano vari e importanti cambiamenti nella Palestina, come ad esempio la comparsa dei primi insediamenti fortificati. Si assiste inoltre al popolamento di nuove aree della Palestina interna, mentre, in ambito agricolo, viene introdotta per la prima volta la coltivazione della vite e dell’olivo. Questi aspetti, emergenti alla fine del IV millennio, saranno elementi caratteristici e si consolideranno nel corso del millennio successivo.
L’altra regione cardine per lo sviluppo dell’urbanizzazione è l’Egitto, ma anche qui, come nel Levante, gli esiti furono diversi da quelli mesopotamici. La valle del Nilo egiziano rappresentava un ambiente ideale per l’agricoltura cerealicola, ma ad esempio nell’Alto Egitto veri e propri villaggi agricoli comparvero solo nel IV millennio, un arco di tempo che viene definito Predinastico. Le ricerche archeologiche hanno permesso di distinguere durante questo periodo due differenti aspetti culturali, quella di Buto-Ma’adi, localizzata nel Basso Egitto, e la cultura di Naqada presente inizialmente nell’Alto Egitto. La loro distinzione si basa su due differenti tradizioni ceramiche in uso durante il IV millennio. A nord la cultura Buto-Ma’adi è conosciuta attraverso i suoi insediamenti che risultano ben conservati, mentre nel sud la cultura di Naqada è documentata soprattutto dalle vaste necropoli, che hanno permesso sin dalla fine dell’Ottocento di costruire una cronologia sulla base di una attenta seriazione ceramica. Oggi Naqada si suddivide in tre principali periodi che, con il contributo recente di numerose correlazioni stratigrafiche e di datazioni radiometriche, possiamo distinguere in: Naqada I, il periodo più antico, indicativamente compreso nell’arco di tempo 4000-3500, Naqada II, 3500-3200 e Naqada III, 3200-3000, contemporaneo al Tardo Uruk della Mesopotamia.
Il sito preistorico di Ma’adi si trova in un suburbio a sud del Cairo, mentre Buto è localizzato nel delta settentrionale. La cultura Buto-Ma’adi, dunque, è diffusa soprattutto nell’Egitto settentrionale, dal nord del delta fino alla regione del Fayyum ed ha caratteristiche del tutto differenti da quelle della cultura Naqada nell’Alto Egitto. Le date radiocarbonio abbracciano un arco di tempo compreso tra il 3900 e il 3500. Gli scavi di Ma’adi hanno confermato che nel villaggio si praticava la coltivazione dei cereali e l’allevamento di bovini, pecore, capre e maiali. La caccia era marginale nell’economia del sito mentre alcuni arponi in osso indicano la pratica della pesca. L’architettura consiste in pozzetti, buchi di palo e focolari. Quattro ampie strutture seminterrate ricordano contemporanee case nel deserto del Negev. Una di esse mostra fondazioni in pietra ed è stata interpretata come area destinata allo stoccaggio dei beni elementari. La ceramica consiste di olle globulari e ciotole realizzate con argilla del Nilo con superfici levigate o lucidate di color rosso o nero. Ben documentati sono anche i contenitori per il vino e l’olio, prodotti per la prima volta nell’area levantina. Alcune ceramiche, infatti, sembrano importate da quelle regioni. Nel sito è documentata un’attività metallurgica per la presenza di oggetti in rame, soprattutto strumenti da lavoro, lingotti di grandi dimensioni e minerali. Dalle analisi effettuate su alcuni campioni risulta che il rame trovato a Ma’adi proviene probabilmente dalle miniere dello Wadi Arabah. Tra il materiale archeozoologico vi è la testimonianza, forse più antica, di asino domestico. Gli scavi all’interno dell’insediamento hanno restituito anche sepolture, ma si tratta solamente di neonati e infanti. Al di fuori del villaggio, invece, sono stati messi in luce due vere e proprie necropoli, la prima a 150 metri a sud con 76 sepolture, l’altra a un chilometro verso Wadi Digla con 471 sepolture, 14 delle quali di animali. Metà di queste sepolture sono prive di corredo funebre, mentre dove è presente esso è costituito di uno o due vasi inornati. Le più ricche sepolture contengono otto vasi. L’orientamento dei defunti è casuale, solo nelle sepolture più tarde della necropoli di Wadi Digla il defunto viene posto in posizione contratta, sul fianco destro con la testa orientata a sud e il viso ad est.
Gli scavi nel sito di Buto, la moderna città di Tell el-Fara’in (letteralmente “la collina dei faraoni”) hanno rivelato una complessa stratigrafia in cui i livelli più antichi (I-II) mostrano ceramiche simili a quelle trovate a Ma’adi, comunque tipiche della cultura del Basso Egitto. Il livello più recente, il III, attribuibile al 3300-3200, mostra invece materiali tipici della cultura Naqada. L’architettura cambia in modo evidente: da case in fango pressato nei primi livelli, all’uso del mattone crudo nel livello III. Se il villaggio di Ma’adi viene abbandonato alla fine del IV millennio a.C., corrispondente alla fase di Naqada IIc (3500-3350), dalla stratigrafia di Buto risulta chiara, invece, una continuità di occupazione e l’assimilazione della cultura Buto-Ma’adi Predinastica del Basso Egitto con quella di Naqada dell’Alto Egitto, fenomeno documentato in modo evidente nel livello III. La cultura di Naqada prende il nome dall’omonimo sito predinastico scavato da W.M. Flinders Petrie nel 1894-95. L’occupazione abbraccia quasi tutto il IV millennio e, nell’ambito dell’Alto Egitto, i centri più significativi sono quelli di Abydos, Naqada stesso e Hierakonpolis. Siti del periodo I di Naqada sono stati individuati anche nel distretto di el-Badari nel medio Egitto, quelli attribuiti a Naqada II raggiungono il Fayyum, infine materiali attribuiti a Naqada III si estendono fino al delta del Nilo. La maggior parte delle nostre conoscenza sulla cultura Naqada proviene dalle necropoli. Petrie scavò a Naqada due insediamenti, la “città settentrionale” e la “città meridionale”, e tre necropoli con oltre 2200 sepolture. Nuove ricerche, compiute tra il 1970 e l’inizio degli anni ‘80, documentano i resti di piccoli villaggi con capanne in legno e fango. All’interno di queste capanne vi erano focolari e pozzetti per la conservazione delle derrate alimentari. L’economia era basata sulla coltivazione del grano e dell’orzo, venivano allevati bovini, maiali e caprovini, infine c’è una chiara testimonianza di attività di pesca, mentre la caccia risulta marginale. Dal villaggio meridionale provengono numerose cretulae probabilmente utilizzate per la chiusura di magazzini. È molto probabile che l’area meridionale fosse destinata ad attività economiche specializzate.
La più vasta necropoli di Naqada si estendeva a nord-ovest della “città meridionale”; a sud di essa il Cimitero B, probabilmente associato a un piccolo villaggio agricolo. Ancora più a sud era localizzato il Cimitero T, destinato ad accogliere personalità eminenti del periodo Predinastico. Tutte le sepolture Naqada risultavano in posizione contratta e inserite in fosse circolari o rettangolari. Petrie riuscì a documentare un orientamento standard per circa 200 di esse e riconobbe una disposizione del defunto sul fianco sinistro, la testa disposta a sud e il viso rivolto a ovest. Questo tipo di orientamento risulta del tutto opposto a quello osservato nelle sepolture di Ma’adi.
Se da un lato l’occupazione a Naqada non ha carattere urbano, dall’altro le necropoli suggeriscono l’accrescersi, nel tempo, della complessità sociale. Le sepolture di Naqada I sono piccole e contengono pochi oggetti di corredo, mentre quelle di Naqada II sono più grandi e presentano un numero maggiore di materiale all’interno. Il Cimitero T, attribuibile probabilmente a Naqada II e costituito da solo 69 sepolture, era destinato a personaggi di alto rango. Le tombe erano generalmente grandi e tre di esse avevano una elaborata struttura in mattoni crudi. La tomba 5 conteneva moltissimi oggetti: vasi in pietra e gioielli costituiti di materiale esotico importato. Nella fase di Naqada III il numero delle sepolture diminuisce, ma alcune di esse contengono materiali importati; contemporaneamente vi sono sepolture inglobate in costruzioni arricchite con nicchie e realizzate in mattoni crudi, definite “tombe reali”. Questo tipo di costruzione rappresenta il vero monumento funerario caratteristico a Naqada all’inizio del periodo Dinastico.
Anche gli scavi a Hierakonpolis hanno restituito una necropoli Predinastica, da cui proviene la cosiddetta Tomba Decorata. Questa tomba, attribuita alla fase di Naqada IIc è la sola sepoltura Predinastica in Egitto con scene dipinte realizzate sull’intonaco del muro della struttura funeraria. I resti dell’insediamento Predinastico, Naqada II, consistono in case rettangolari seminterrate, in alcuni casi bassi muri in mattone crudo venivano costruiti lungo il perimetro. Viene interpretato come area di culto un ampio cortile ovale con il pavimento intonacato in argilla. Sul limite nord sono emersi buchi di palo delimitanti un ingresso. Il luogo fu riutilizzato e riadattato fino alla fase di Naqada IIIa. È stata individuata anche una zona del sito destinata ad attività specializzate per la produzione di vasi in ceramica e in pietra, per la realizzazione di monili e per la produzione di birra. Nello Wadi Abu el-Suffian, a circa due chilometri dal deserto, è stata messa in luce una vasta necropoli anche qui destinata a personaggi di rango. La ceramica dei corredi funebri è attribuibile ad una fase di transizione Naqada Ic-IIa. Un cospicuo numero di tombe contiene resti animali, sia specie domestiche come il cane, l’asino, la capra, la pecora, il bovino e il maiale, sia specie selvatiche come l’uro, il babbuino, il coccodrillo, l’elefante, la gazzella, la lepre, l’alcelafi e l’ippopotamo. L’associazione dell’animale con l’uomo non è una costante. Da una tomba, infatti, provengono solo resti animali come quelli di un toro e di un elefante maschio deposto sul fianco sinistro. Tre tombe di questa necropoli, attribuite a Naqada III, risultano piuttosto inusuali. La più antica contiene i resti di un letto in legno con delle gambe intagliate a forma di zampe taurine, e monili di eccezionale ricchezza in oro, argento, rame, corniola, turchese e lapislazzuli. La più grande di queste tombe aveva una struttura sovrapposta costruita in legno e canne circondata da un recinto. Infine la terza tomba conteneva una cassa funeraria in terracotta e una cretula con l’impronta di due segni in geroglifico indicanti rispettivamente “città” e “dio”. In alcune sepolture è evidente l’uso di metodi per preservare il corpo del defunto attraverso bendaggi e corteccia di albero, una sorta di preludio ai successivi metodi di mummificazione.
Molti altri siti Naqada sono stati scavati, ma nessuno può essere considerato particolarmente esteso. La collocazione geografica dei centri di Hierakompolis, Naqada e Abydos deve, invece, aver giocato un ruolo molto importante perché questi siti sono posti lungo rotte commerciali che favoriscono sia lo scambio regionale che quello a lunga distanza. Le élites regionali riuscirono ad aumentare il loro controllo su molti aspetti dell’economia come l’agricoltura, la produzione artigianale, il commercio a lunga distanza. Questi tre siti si dimostrarono centri propulsori della propria identità culturale durante la fase tarda di Naqada II e III, tanto da poter unificare culturalmente l’Egitto fino al delta. Queste popolazioni possono essere considerate, non a torto, come i precursori del primo stato egiziano alla fine del IV millennio.