Le direttive europee sui contratti pubblici
Le modifiche apportata dal legislatore europeo alle direttive sui contratti pubblici nel 2014 costituiscono l’espressione di una volontà politica destinata a promuovere, nel quadro dei consueti principi concorrenziali, l’innovazione, la competitività, l’efficienza, l’uso strategico degli appalti.
La garanzia di regole certe e di semplice applicazione è il secondo obiettivo dei nuovi testi, che hanno trasposto in regole formali gli esiti di una consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia. Il quadro che ne deriva impone una profonda modificazione dell’attuale codice dei contratti pubblici, che dovrà tener conto di istituti del tutto nuovi, quali le concessioni, e rispondere ad esigenze di semplificazione e flessibilità nell’accesso al mercato.
A dieci anni dalla pubblicazione delle dir. 17 e 18 del 2004 è stato innovato il quadro normativo in materia di contratti pubblici attraverso la pubblicazione di tre nuove direttive, del 26.2.2014: si tratta della dir. 23 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione (essa riguarda sia le concessioni di lavori già disciplinate dalle previgenti disposizioni europee, sia le concessioni di servizi, prima non disciplinate); della dir. 24 che abroga la dir. 18/2004 (è la disciplina riferibile ai cd. settori ordinari); della dir. 25 sulle procedure di appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali che abroga la dir. 17/2004 (settori speciali).
Non è stata oggetto di modifica la dir. 2009/81/CE relativa agli appalti nei settori della difesa e della sicurezza (le nuove direttive prendono in considerazione le disposizioni speciali in materia di difesa e sicurezza relativamente alla disciplina dei contratti misti); modifiche formali hanno riguardato la dir. 89/665/CE e la dir. 92/13/CE in materia di procedure di ricorso sulle procedure di aggiudicazione (contenute nel titolo IV dir. 23).
Le nuove direttive sono state pubblicate sulla GUE del 28.3.2014, e sono entrate in vigore il 17 aprile del medesimo anno: fissano un termine comune per il loro recepimento (18.4.2016), con possibili deroghe (al 2018) esclusivamente contemplate per la dir. 24/2014, limitatamente alle regole applicabili alle comunicazioni (art. 22), al documento di gara unico europeo (art. 59), all’uso del registro online dei certificati (e-certis, art. 61): si tratta di deroghe funzionali all’allestimento da parte delle amministrazioni e della Commissione di piattaforme tecnologiche efficienti per la definitiva dematerializzazione dei flussi comunicativi nell’ambito delle procedure di gara.
Rispetto alle direttive del 2004, che rappresentavano un consolidamento del quadro normativo all’epoca esistente, e soprattutto rafforzavano l’idea di fondo dell’intero sistema orientato verso l’apertura alla concorrenza nel settore1, i nuovi testi appaiono ispirati da ragioni di “politica pubblica” destinata alla realizzazione di una crescita «intelligente, sostenibile ed inclusiva garantendo contemporaneamente l’uso più efficiente possibile degli investimenti pubblici» (2° considerando dir. 24). L’intero pacchetto delle nuove direttive è stato preceduto dalla pubblicazione del Libro Verde sulla modernizzazione della politica dell’UE in materia di appalti pubblici2, che aveva individuato alcuni obiettivi essenziali nella necessaria revisione del quadro normativo (modernizzazione delle procedure, problemi relativi all’esecuzione, accesso delle PMI al mercato, ma soprattutto «uso strategico degli appalti pubblici» in risposta alle nuove sfide, con particolare riferimento all’innovazione ed ai servizi sociali, prevenzione di conflitti di interesse e lotta contro la corruzione).
La sollecitazione alla revisione del quadro normativo in materia di appalti pubblici provenne dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 18.5.2010 sui nuovi sviluppi in materia di appalti pubblici3, che costituisce un j’accuse verso l’immobilismo della Commissione: veniva infatti deplorata la mancata semplificazione delle norme sugli appalti, e rammentata la necessità di una maggiore certezza giuridica; veniva stigmatizzata l’esistenza di un insieme di regole complicato e confuso; in tali circostanze i committenti pubblici erano tenuti a dare priorità alla certezza giuridica rispetto alle proprie esigenze, e, data la pressione sui bilanci pubblici, hanno preferito l’aggiudicazione in base al prezzo più basso anziché all’offerta economicamente più vantaggiosa (con il conseguente indebolimento della base innovativa e della competitività globale dell’UE).
Questa dinamica relazionale tra Parlamento e Commissione, instaurata sin dal 2010, traspare anche nei risultati complessivi della revisione del pacchetto delle Direttive (non di rado le proposte della Commissione, spesso ispirate a ragioni di prudenza nell’innovazione normativa, soprattutto rispetto a procedure poco arate dalle amministrazioni aggiudicatrici, sono state superate da diverse e più coraggiose determinazioni del Parlamento): se le direttive del 2004 segnavano una importante affermazione del principio di concorrenza (della cui effettiva applicazione la Commissione è, anche istituzionalmente, il custode), sino a rovesciare il paradigma del centro di tutela della disciplina in materia di appalti pubblici (nelle legislazioni nazionali questo era storicamente l’interesse pubblico alla scelta del migliore contraente: in ambito europeo è la dinamica concorrenziale, il mercato, e quindi gli operatori economici, che costituiscono il soggetto indiscusso posto a fondamento dell’intero plesso normativo), quelle del 2014 segnano l’evoluzione verso un sistema ispirato al perseguimento di un interesse generale, costituito dal bilanciamento delle esigenze competitive del mercato con l’efficienza della spesa delle amministrazioni, dei principi di parità di trattamento e non discriminazione con gli obiettivi a valenza sociale ed ambientale. Si tratta quindi di una matrice originaria (di revisione del quadro normativo) tutta politica, volta a promuovere l’innovazione, la competitività, l’efficienza, la garanzia di regole certe di semplice applicazione:ma questa linea di indirizzo (che segna la prevalenza dell’afflato politico del Parlamento sul tecnicismo della Commissione) presuppone inevitabilmente l’esistenza di amministrazioni che sappiano coniugare le funzioni di microregolazione del mercato (attraverso la scelta e la predisposizione del modello procedimentale più coerente con il mercato cui si rivolgono) con le esigenze di destinazione del proprio potere di spesa verso obiettivi di politica industriale, sociale o ambientale.
In particolare l’efficienza della spesa pubblica (che appare il principale obiettivo politico, che deve armonizzarsi con i principi della libera circolazione delle merci, prestazione dei servizi, libertà di stabilimento, nonché della parità di trattamento, non discriminazione, mutuo riconoscimento, proporzionalità e trasparenza) si realizza attraverso la facilitazione della partecipazione delle PMI ed il sostegno al conseguimento di obiettivi condivisi a valenza sociale: questa finalità è particolarmente evidente per le direttive concernenti gli appalti pubblici (sia nei settori ordinari che nei settori speciali), ma è presente anche nella direttiva sulle concessioni, considerate strumenti per lo sviluppo strutturale a lungo termine di infrastrutture e servizi strategici che concorrono al miglioramento della concorrenza in seno al mercato interno e contribuiscono a conseguire efficienza ed innovazione.
Un secondo obiettivo perseguito dalle istituzioni europee consiste nel chiarimento di alcune nozioni di base per assicurare la certezza del diritto: contribuisce all’opera di razionalizzazione normativa la giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia, i cui punti di approdo nelle questioni di maggiore rilevanza sono stati trasfusi nei nuovi testi.
Più intuibili ragioni di consolidamento normativo presidiano la direttiva concessioni: l’incertezza normativa (si dovrebbe dire la lacuna del sistema europeo, solo parzialmente colmata da una risalente comunicazione interpretativa della Commissione4) ha impedito da un lato l’accesso delle PMI a significativi segmenti di mercato, e dall’altro ha indotto le autorità pubbliche ad un uso non ottimale del denaro pubblico; il rimedio viene individuato nella predisposizione di un quadro giuridico idoneo, equilibrato e flessibile, articolato su norme chiare e semplici (considerando 1 e 2 dir. 23).
È impossibile dare compiutamente conto delle novità introdotte nel testo delle nuove direttive. Si tratteranno quelle di maggior rilievo, tenendo presente che i riferimenti nel testo alla dir. 24/2014, valgono parimenti per la dir. 25 sui settori speciali, che mutua in gran parte le proprie modificazioni da quella sui settori ordinari.
2.1. Ambito di applicazione
Una prima novità delle direttive riguarda il loro ambito di applicazione. Sebbene le definizioni formali non siano state modificate, emerge una nozione di appalto frutto di precisazioni della giurisprudenza della Corte di giustizia (art.1, dir. 24): infatti «si parla di appalto» quando le amministrazioni aggiudicatrici acquisiscono lavori, forniture o servizi da operatori economici «indipendentemente dal fatto che i lavori, le forniture o i servizi siano considerati per una finalità pubblica o meno»; non sono toccate le modalità di definizione, organizzazione e finanziamento dei servizi di interesse economico generale, né le modalità di internalizzazione di funzioni pubbliche; gli appalti non riguardano i sistemi in materia di previdenza sociale; analogamente non sono appalti gli accordi per la realizzazione di compiti pubblici tra amministrazioni aggiudicatrici che non prevedono una remunerazione in cambio di una prestazione contrattuale. Simili precisazioni appaiono il frutto della necessità di chiarire quali contratti sono assoggettati al regime europeo (la Corte di giustizia è stata chiamata più volte a definire la nozione di appalto con riferimento amodalità negoziali di esercizio di funzioni o attività pubbliche o per finalità di interesse pubblico: fra le decisioni più recenti v. 13.6.2013, C-386/11, Piepenblock; 8.5.2013, C-197/11 e C-203/11, Libert; 19.12.2012, C-159/11, Ordine degli Ingegneri della Provincia di Lecce e a.; 25.3.2010, C-451/08, H. Muller Gmbh; 29.11.2007, C-119/06, Comm. c. Italia; 18.1.2007, C-220/05, Auroux; 9.6.2009, C-480/06, Comm. c. Germania,).
Viene abbandonata la distinzione tra servizi integralmente sottoposti all’applicazione delle direttive e quelli sottratti alle regole di concorrenza. L’art. 10 indica una serie di servizi ai quali le norme della direttiva non si applicano: in particolare i servizi legali sottratti al regime di concorrenza sono solo quelli per i quali l’elemento fiduciario e della urgenza di disporre di un sistema di adeguata rappresentanza in giudizio (o quando si tratti di attività per le quali appare elevata la probabilità di un futuro contenzioso) non consentono l’indizione di procedure di gara (ne consegue che le attività consulenziali sono ormai attratte dal pieno rispetto delle direttive). Sono invece contemplati nuovi servizi sottratti all’applicazione delle direttive, quali quelli concernenti i prestiti, a prescindere dal fatto che siano correlati all’emissione, alla vendita, all’acquisto o al trasferimento di titoli o di altri strumenti finanziari (ciò dimostra l’evidente attenzione alla flessibilità dell’approccio delle amministrazioni ai mercati finanziari in periodo di crisi), i servizi di difesa civile, di protezione civile e di prevenzione contro i pericoli, forniti da organizzazioni e associazioni senza scopo di lucro5, e concernenti servizi connessi a campagne politiche aggiudicati da un partito politico nel contesto di una campagna elettorale (qualche perplessità sull’assimilazione di un partito politico ad una stazione appaltante è lecita: ma il considerando 29 dir. 24 afferma che in alcuni paesi i partiti politici possano essere organismi di diritto pubblico).
In omaggio agli obiettivi a valenza sociale, tra gli scopi dichiarati delle nuove direttive, i servizi sociali sono sottoposti all’applicazione delle regole di concorrenza sulla base di una soglia più alta di quella relativa agli altri servizi, e soprattutto sono oggetto di un regime speciale e parzialmente derogatorio (artt. 74 ss.: si tratta di appalti che possono essere riservati ad una particolare categoria di operatori economici privi di scopo di lucro), che deve comunque essere compiutamente definito dal legislatore nazionale: ciò a causa della natura limitatamente transfrontaliera dei servizi sociali e di un mercato segnato dall’esistenza di condizionamenti culturali diversi da paese a paese.
Per i servizi di ricerca e sviluppo, da un lato è stata ribadita e semplificata la formulazione della norma che li sottraeva all’applicazione delle direttive, mentre dall’altro è stata prevista una nuova forma di aggiudicazione (art. 31, partenerariati per l’innovazione) i cui prodromi devono essere rinvenuti in una comunicazione della Commissione sugli appalti precommerciali6. La disciplina introdotta ex novo appare sostanzialmente conforme alla morfologia che era stata allora pensata dalla Commissione, dal momento che l’istituto è destinato a sviluppare prodotti, servizi o lavori innovativi, che la procedura è strutturata in fasi successive secondo la sequenza del processo di ricerca e di innovazione, può riguardare uno o più partner contemporaneamente, e l’amministrazione aggiudicatrice può decidere, dopo ogni fase, di risolvere il partenariato o, nel caso di più partner, di ridurne il numero; nella documentazione di gara deve essere previsto il regime applicabile ai diritti di proprietà intellettuale. Si tratta di un sistema procedimentale complesso (che ha avuto sinora – come appalto precommerciale – scarsa applicazione), che conferma la tendenza, nei nuovi testi normativi, verso modalità di aggiudicazione che facciano leva sulla negoziazione (sia pure nel rispetto dei principi di non discriminazione e parità di trattamento), e che soddisfino l’esigenza dell’uso strategico degli appalti pubblici.
La novità dimaggiore interesse relativamente ai profili applicativi è la codificazione dell’in house providing (art. 12), attraverso la previsione dei rituali requisiti del “controllo analogo” (considerato come influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata: così letteralmente C. giust., 8.5.2014, C-15/13, Technische Universität Hamburg c. Harburg; 29.11.2012, C-182/11 e C-183/11, Econord) e dello svolgimento dell’attività “prevalente” a favore dell’amministrazione controllante nella misura fissa dell’80% (in omaggio al principio di certezza del diritto). Viene inoltre aggiunto l’ulteriore requisito dell’assenza di partecipazione diretta di soggetti privati che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica, ad eccezione di quelle che non comportano controllo o potere di veto purchè dette partecipazioni siano prescritte da disposizioni legislative nazionali, conformi ai trattati: una simile eccezione appare confermare un orientamento giurisprudenziale meno rigoroso rispetto alla originaria imposizione della totalità del capitale pubblico quale condizione necessaria per la ricorrenza del controllo analogo (C. giust., 8.4.2008, C-337/05, Comm. c. Italia), che ha consentito l’astratta possibilità per i privati di partecipare al capitale della società aggiudicataria (purchè non al momento della stipula della convenzione tra l’ente affidante e la società in house, C. giust., 17.7.2008, C-371-05, Comm. c. Italia, e 10.9.2009, C-573/07, Sea s.r.l.). Sempre sulla scia della giurisprudenza, le direttive consentono espressamente il controllo congiunto tra amministrazioni aggiudicatrici (C. giust., 13.11.2008, C-324-07, Coditel Brabant), purchè ciascuna delle autorità stesse partecipi sia al capitale sia agli organi direttivi dell’entità suddetta (29.11.2012, C-182/11,Aspem). Ancora ispirata alla giurisprudenza europea (9.6.2009, C-480/06, Comm. c. Germania) è la previsione di accordi di cooperazione tra amministrazioni aggiudicatrici quando il contratto è finalizzato a garantire che i servizi pubblici siano prestati nell’ottica di conseguire obiettivi comuni, la loro attuazione è frutto esclusivamente di considerazioni inerenti l’interesse pubblico e le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20% delle attività interessate dalla cooperazione (quest’ultimo è un requisito positivo espressamente introdotto dalle direttive,ma non declinato dalla giurisprudenza di origine, che si limitava ad affermare l’obbligo di non fornire privilegi ad imprese private).
2.2 Accesso al mercato
Entrano in gioco diversi principi: il favore per l’accesso al mercato delle PMI, la semplificazione, la flessibilità, il contrasto preventivo alla corruzione.
Sotto il primo profilo è prevista la possibilità della articolazione dell’appalto in lotti (art. 46): sebbene la norma europea consenta un discreto margine di applicazione al legislatore nazionale, prevedendo che spetta a questi stabilire se e quali appalti debbano essere aggiudicati sotto forma di lotti separati (purchè siano rispettati i limiti del diritto dell’Unione: la clausola generale appare uno stilema, comportando quindi che la suddivisione in lotti imposta dal legislatore non possa essere utilizzata allo scopo di distorcere la concorrenza), è previsto in genere (e ciò conferma il favor verso l’istituto) un obbligo di motivazione della eventuale decisione di non suddividere in lotti. L’articolazione in lotti è chiaramente preordinata a limitare la possibilità di aggiudicazione dell’intero appalto a favore di un solo operatore economico (sicché devono essere previsti limiti all’aggiudicazione di tutti i lotti o di più lotti contemporaneamente a favore del medesimo soggetto), ed appare particolarmente indirizzata agli appalti banditi da centrali di committenza: tuttavia (il temperamento è nel considerando 79) una simile previsione non potrebbe condurre all’effetto paradossale di obbligare le amministrazioni ad aggiudicare un appalto anche per un solo lotto, rifiutando ad esempio la proposta di un’aggiudicazione che raggruppi più lotti o tutti i lotti. Occorre quindi prevedere la possibilità di effettuare valutazioni comparative per stabilire se le offerte presentate per una specifica associazione di lotti rispondano meglio, nel loro complesso, ai criteri di aggiudicazione stabiliti per i singoli lotti isolatamente considerati: la logica nella quale la stazione appaltante deve pertanto operare (le dimensioni del lotto, i criteri e i limiti di aggiudicazione) è quella propria delle aste combinatorie inverse, nell’ambito delle quali devono essere contemplate una serie complessa di possibili varianti e parametri di valutazione, tenendo conto dei diversi fattori di aggiudicazione.
Quanto ai criteri di selezione qualitativa, quelli che si riferiscono alla moralità dell’operatore economico sono stati ampliati, con particolare riferimento alla sussistenza di indicazioni sufficientemente plausibili per concludere che l’operatore economico ha sottoscritto accordi con altri operatori intesi a falsare la concorrenza, nel caso di conflitto di interessi o di precedente coinvolgimento del medesimo operatore economico nella preparazione dell’appalto, nel caso in cui l’operatore economico abbia tentato di influenzare il procedimento decisionale o di ottenere informazioni confidenziali che possono conferirgli vantaggi indebiti rispetto alla procedura di aggiudicazione, oppure abbia fornito per negligenza informazioni fuorvianti che possono avere un’influenza notevole sulle decisioni riguardanti l’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione. Le cause di esclusione, sostanzialmente ispirate alla precedente normativa, con aggiunta di quelle funzionali alla prevenzione di fenomeni corruttivi o di alterazione concorrenziale, trovano tuttavia margini ampi di temperamento: sia attraverso il principio di proporzionalità (espressamente richiamato nei casi in cui non siano stati pagati piccoli importi di imposte o contributi previdenziali7), sia attraverso la formalizzazione del principio del self-cleaning, e cioè quando l’operatore economico possa fornire prove del fatto che le misure adottate siano sufficienti a dimostrare la sua affidabilità nonostante l’esistenza di unmotivo di esclusione (anche di quelli considerati come obbligatori dalla disciplina europea). In particolare detta prova (che spetta quindi alla stazione appaltante valutare) può riguardare il risarcimento del danno (anche il solo impegno) derivante dal reato o dall’illecito, il chiarimento dei fatti contestati collaborando con le autorità investigative, l’adozione di provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti (quelle che nel nostro sistema sono state definite come misure di concreta dissociazione dell’impresa). Per ciò che concerne i requisiti di capacità tecnica ed economica, le direttive prevedono che l’uso del parametro del fatturato minimo non possa essere superiore al doppio del valore stimato dell’appalto (una norma ancora più limitativa è stata già introdotta nell’art. 41, co. 2, d.lgs. n. 163/2006, che considera illegittimi i criteri che fissano, senza congrua motivazione, limiti di accesso connessi al fatturato aziendale).
È nuova la previsione di motivi di esclusione correlati alla commissione di illeciti concorrenziali ed all’esistenza di conflitti di interesse. Quanto ai primi appare necessario che il recepimento tenga conto della articolazione delle competenze tra l’accertamento consentito direttamente alla stazione appaltante (secondo quanto prescrivono le direttive), ed i poteri spettanti all’AGCM, che non ha mancato, con il proprio vademecum sulla individuazione di criticità concorrenziali nel settore degli appalti pubblici8, di rivendicare l’esclusività del proprio potere di accertamento (mentre quello delle stazioni appaltanti rappresenta un mero potere di segnalazione): solo al termine del procedimento dell’Autorità antitrust potrà essere accertata l’effettiva presenza di una condotta lesiva, che può dar luogo, da parte della stazione appaltante, alla richiesta degli eventuali danni (conseguenti l’illecito anticoncorrenziale) laddove l’appalto fosse già stato assegnato. Appare evidente che una simile impostazione collide con le esigenze di celerità e speditezza del procedimento, ed anzi introduce potenziali disarticolazioni funzionali sulla spettanza dell’accertamento, e su possibili contrasti tra l’eventuale cognizione in sede processuale della legittimità dell’esclusione per motivi di violazione antitrust e l’eventuale procedimento amministrativo intrapreso (con tempi e modalità certamente più lunghi) dall’Autorità di settore.
Il conflitto di interesse viene declinato con nozione minimale dalla dir. 24 (art. 24): esso riguarda “almeno” i casi in cui il personale di un’amministrazione aggiudicatrice (o di un terzo che interviene nello svolgimento della procedura) ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza.
Anche in questo caso nell’ambito del recepimento occorrerà prevedere il coordinamento con altra norma (d.lgs. n. 165/2001, art. 53, co. 16 ter) esterna al codice dei contratti pubblici, ma che prevede una inibitoria a contrarre da parte delle imprese: la disposizione fa infatti divieto ai dipendenti che hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle p.a. nei tre anni precedenti di poter svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della p.a. svolta attraverso i medesimi poteri: e prevede, quale “sanzione” immediatamente applicabile, il divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le p.a. per i successivi tre anni. Occorre chiarire che il principio rigoristico delle nuove direttive deve essere attenuato in base ad una applicazione proporzionale delle misure espulsive, dovendosi considerare l’esclusione del partecipante una estrema ratio rispetto all’adozione di soluzioni meno intrusive ma comunque trasparenti e non discriminatorie (v. ad esempio l’art. 41, dir. 24).
2.3 E-procurement
L’obiettivo della semplificazione dell’accesso al mercato richiede misure organizzative rivolte alla implementazione dell’e-procurement: la strategia dell’Unione in materia di appalti elettronici risale al 2010, con la pubblicazione del libro verde sull’estensione dell’uso degli appalti elettronici nell’UE9, con il quale sono state definite le possibili azioni destinate a consentire un uso più efficiente delle tecnologie dell’informazione. Rilevano sia le disposizioni concernenti la disciplina dei flussi informativi nell’ambito delle procedure (art. 22 sulle comunicazioni, dedicato alle comunicazioni elettroniche ed all’uso della firma elettronica avanzata secondo standard non discriminatori): sia la semplificazione documentale attraverso la previsione del Documento di gara unico europeo (art. 59), fornito esclusivamente in forma elettronica, che consiste in una autodichiarazione esaustiva dei requisiti morali e di capacità tecnica dell’operatore economico, riutilizzabile più volte in appalti diversi, che dovrebbe esentare i partecipanti dalla presentazione di documentazione complementare se essa sia accessibile tramite banche dati pubbliche gestite a livello nazionale10; rileva altresì la previsione di una banca dati centralizzata (e-certis, art. 61) nell’ambito della quale dovrebbe essere reso disponibile il DGUE in tutte le versioni linguistiche per favorire la partecipazione transfrontaliera.
Il vero fulcro del sistema dematerializzato è rappresentato alle disposizioni in materia di procedure e tecniche per gli appalti elettronici ed aggregati (capo II, artt. 33 ss.). Appare significativa la collocazione sistematica delle norme in materia di e-procurement, in quanto esse sono contemplate in una con gli accordi quadro e le centrali di committenza: si deve quindi ritenere che l’uso di strumenti dematerializzati di gestione degli appalti trovi il suo terreno di elezione nei casi di procedimenti nei quali è stata prevista una aggregazione della domanda (come nel caso degli accordi quadro) per categorie merceologiche o mediante centrali di committenza, ovvero anche nei casi (non previsti nelle direttive del 2004) di appalti congiunti occasionali. Le novità si concentrano sulla ridefinizione del sistema dinamico di acquisizione (procedura di scarsa utilizzazione nel corso degli ultimi dieci anni), che dovrebbero essere gestiti in forma di procedura ristretta con l’eliminazione della necessità di presentare offerte indicative, individuate dalle imprese come uno degli oneri più gravosi associati alla procedura: sulla previsione più puntuale dei presupposti delle aste elettroniche, che comunque hanno un’applicazione limitata in quanto possono essere oggetto di una valutazione totalmente automatizzata, senza intervento da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, i soli elementi dell’offerta quantificabili che possono essere espressi in cifre o percentuali. Del tutto nuova è la previsione relativa ai cataloghi elettronici (art. 36) che costituiscono un formato per la presentazione e organizzazione delle informazioni in un modo comune per tutti gli offerenti predisposto per il trattamento elettronico, e che dovrebbe essere imposto dalle amministrazioni aggiudicatrici in tutte le procedure disponibili ove sia richiesto l’uso dimezzi di comunicazione elettronici: il loro utilizzo deve tuttavia avvenire nel rispetto dei principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza, ed in particolare l’uso dei cataloghi elettronici per la presentazione di offerte non deve comportare la possibilità che gli operatori economici si limitino alla trasmissione del loro catalogo generale, ma operino continui adattamenti per le specifiche procedure di appalto.
2.4 Procedure
Sebbene le direttive articolino la scelta delle modalità procedurali sulla base dei tradizionali archetipi delle procedure aperte o ristrette, e solo in via eccezionale e derogatoria attraverso procedure negoziate senza bando di gara, un elemento di maggiore flessibilità è dato dalla previsione del dialogo competitivo e della procedura competitiva con negoziazione (che sostituisce la procedura negoziata preceduta da bando di gara): essi possono aver luogo (i criteri sono alternativi e non cumulativi, art. 26) quando le esigenze dell’amministrazione non possono essere soddisfatte senza l’adozione di soluzioni immediatamente disponibili; ovvero implicano progettazione o soluzioni innovative; quando l’appalto non può essere aggiudicato senza preventive negoziazioni a causa di circostanze particolari per la sua natura, complessità o impostazione finanziaria e giuridica o a causa dei rischi connessi; quando le specifiche tecniche non possono essere stabilite con sufficiente precisione. Ciò che appare obiettivamente nuovo è l’approccio del legislatore europeo verso modalità procedimentali che privilegiano la negoziazione: il considerando 42 ritiene indispensabile che le amministrazioni aggiudicatrici dispongano di maggiore flessibilità nella scelta di una procedura d’appalto che prevede una fase negoziale (è stato dimostrato che gli appalti aggiudicati con procedura negoziata con previa pubblicazione hanno una percentuale di successo elevata di offerte transfrontaliere); è opportuno poter ricorrere ad una procedura competitiva con negoziazione o al dialogo competitivo qualora non risulti che procedure aperte o ristrette senza negoziazione possano portare a risultati di aggiudicazioni di appalti soddisfacenti: il terreno di elezione di simili procedure riguarda in particolare i progetti innovativi, o a forte connotazione tecnologica, o con una componente intellettuale preponderante; viceversa non è opportuno ricorrere alla procedura competitiva con negoziazione e al dialogo competitivo nel caso di servizi o prodotti pronti per l’uso che possono essere forniti da molti operatori economici.
2.5 Aggiudicazione
Una delle maggiori novità delle nuove direttive è la individuazione del criterio di aggiudicazione in base a parametri del tutto nuovi rispetto alla precedente disciplina: il contrasto tra le diverse posizioni della Commissione e del Parlamento ha peraltro determinato qualche aporia nel testo delle direttive. Il considerando 89 precisa che i criteri di aggiudicazione dovrebbero essere presentati nel modo più semplice ed efficace possibile: in questa prospettiva il ricorso al concetto di «offerta economicamente più vantaggiosa» assume rilievo prioritario rispetto ad ogni altro criterio, ed anzi dovrebbe essere identificato con un termine diverso, quindi come «miglior rapporto qualità/prezzo» (a questa nozione si riferirebbe la giurisprudenza relativa alle direttive del 2004).Ne consegue che il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che è diventato l’unico criterio applicabile all’aggiudicazione, assume un significato diverso e più ampio rispetto a quello delle direttive precedenti (dove esso era nettamente distinto dal criterio del prezzo più basso). Ed infatti (art. 67) per offerta economicamente più vantaggiosa si deve oggi intendere:
a) un criterio che si basa sul prezzo (che è il vecchio criterio del prezzo più basso: gli stati membri possono prevedere di limitarne l’uso a determinate categorie di amministrazioni aggiudicatrici o a determinati tipi di appalto: in ogni caso esso non può essere utilizzato come unico criterio di aggiudicazione);
b) un criterio che si basa solo sul costo, seguendo un approccio costo/efficacia, quale il costo del ciclo di vita conformemente all’art. 68 (che è un criterio del tutto nuovo);
c) un criterio che si basa su un prezzo o un costo fisso sulla base del quale gli operatori economici competeranno solo in base a criteri qualitativi (anche esso è criterio del tutto nuovo);
d) un criterio che può includere il miglior rapporto qualità/prezzo (che è la “vecchia” offerta economicamente più vantaggiosa ai sensi delle direttive del 2004) valutato sulla base di parametri, quali gli aspetti qualitativi, ambientali e/o sociali, connessi all’oggetto dell’appalto. Tra i parametri possono rientrare la qualità (pregio tecnico, caratteristiche estetiche e funzionali, accessibilità, progettazione, caratteristiche sociali, ambientali e innovative, commercializzazione); l’organizzazione, le qualifiche e l’esperienza del personale incaricato dell’esecuzione, quando detti parametri possano avere un’influenza significativa sul livello dell’esecuzione dell’appalto11; o servizi post-vendita e assistenza tecnica, condizioni di consegna e termine di esecuzione.
Anche rispetto ai criteri di aggiudicazione il legislatore europeo ha tenuto conto delle decisioni della Corte (sui principi v. C. giust., 10.5.2012, C-368/10, Comm. c. Paesi Bassi): il criterio del prezzo più basso non può quindi essere imposto da una norma nazionale quale unico metodo di aggiudicazione (7.10.2004, C-247/02, Sintesi); i criteri di aggiudicazione possono essere, in linea di principio, non solo economicima anche qualitativi (come le caratteristiche ambientali, 17.9.2002, C-513/99, Concordia Bus Finland; la lotta alla disoccupazione, 26.9.2000, C-225/8, Comm. c. Francia 2000; la sicurezza dell’approvvigionamento, 18.10.2001, C-19/00, SIAC); inoltre devono essere collegati all’oggetto dell’appalto, non devono conferire all’amministrazione una libertà incondizionata di scelta, devono esseremenzionati nei documenti di gara, devono essere oggettivi, e garantire condizioni di effettiva concorrenza (Concordia Bus Finland, cit.); devono essere formulati in modo da consentire a tutti gli offerenti ragionevolmente informati di conoscerne la portata esatta e di interpretarli nello stessomodo (4.12.2003, C- 448/01, EVN); devono essere oggetto di ponderazione sin dalla documentazione di gara (12.12.2002, C-470/99, Universale BAU; 24.1.2008, C-532/06, Lianakis; parzialmente derogatoria 24.11.2005, C- 331/04, ATI EAC).
È tuttavia la disposizione sul ciclo di vita (che individua tutte le fasi consecutive e/o interconnesse, compresi la ricerca e lo sviluppo da realizzare, la produzione, gli scambi e le relative condizioni, il trasporto, l’utilizzazione e la manutenzione, della vita del prodotto o del lavoro o del servizio, dall’acquisizione della materia prima o dalla generazione delle risorse fino allo smaltimento, allo smantellamento e alla fine del servizio o all’utilizzazione) che appare destinata a sollevare la maggior parte dei problemi applicativi ed in sede di recepimento. L’art. 68 si limita a prevedere che il criterio LCC (life cycle costing, il quale si basa essenzialmente su tre parametri, quali la durata, il tasso di sconto e la disponibilità ed affidabilità dei dati) viene stabilito dalla singola amministrazione aggiudicatrice (ad esempio in materia di esternalità ambientali deve fondarsi su criteri oggettivi, verificabili e non discriminatori, deve essere accessibile a tutte le parti interessate senza che siano costrette a fornire dati se non attraverso la normale diligenza),mentre è obbligatorio tutte le volte che un determinato metodo sia individuato in base ad atti normativi dell’Unione (ad oggi esiste la sola direttiva “veicoli puliti” 2009/33/CE, ed il reg. 106/2008 sulle apparecchiature da ufficio) ovvero ad atti delegati adottati dalla Commissione. Contrariamente alla proposta della Commissione, che avrebbe voluto introdurre un simile criterio solo in presenza di regole omogenee dettate dalle istituzioni comunitarie, il Parlamento ha ritenuto di consentirne l’uso rimettendosi alla volontà degli stati membri (e così implicitamente delle stazioni appaltanti), in omaggio alla finalità dell’uso strategico degli appalti. Al di là delle aperture che la stessa Corte aveva introdotto (Comm. c. Paesi Bassi, 2012, cit.) in materia ambientale e sociale, anche con riferimento a caratteristiche tecniche che non necessariamente riguardano una caratteristica intrinseca di un prodotto (vale a dire un elemento che si incorpori materialmente in quest’ultimo), l’uso strategico degli appalti, che precede e condiziona, nelle scelte della stazione appaltante, l’adozione di metodi e criteri di aggiudicazione, può rivolgersi anche verso misure intese alla tutela della salute del personale coinvolto nei processi produttivi, alla promozione dell’integrazione sociale di persone svantaggiate o di membri di gruppi vulnerabili nel personale incaricato dell’esecuzione; ad esempio (considerando 97) tali criteri possono riguardare l’assunzione di disoccupati di lunga durata, l’attuazione di azioni di formazione per disoccupati o giovani nel corso dell’esecuzione dell’appalto da aggiudicare.
2.6 Esecuzione
Nuova è l’attenzione che il legislatore europeo ha dedicato alla fase di esecuzione del contratto, con tre distinte disposizioni.
La prima riguarda il subappalto: rispetto alle previgenti direttive (nelle quali era prevista solamente l’indicazione delle parti del contratto da subappaltare), l’art. 71 dispone in materia di pagamenti diretti da parte della stazione appaltante nei confronti del subappaltatore, formalizza obblighi comunicativi preliminari alla stipula del subappalto, impone il possesso dei requisiti morali anche ai subappaltatori (la norma è nuova nell’ambito del sistema europeo, ma solidamente radicata nel nostro ordinamento), consente l’adozione di misure atte a prevenire che la violazione di obblighi di natura ambientale, sociale e del lavoro non siano commesse dalle imprese subappaltatrici. In altri termini, sull’esempio di legislazioni nazionali storicamente attente al fenomeno del subappalto, la direttiva introduce una disciplina più puntuale dei rapporti tra stazione appaltante, appaltatore e subcontraenti, anche se, rispetto alla disciplina nazionale (che prevede la nullità dei contratti conclusi in violazione dell’art. 118 c.c.p.) non sono facilmente individuabili le conseguenze sul piano della validità dei negozi stipulati in difformità dalle previsioni contenute nella normativa europea.
La seconda riguarda la modifica dei contratti durante il loro periodo di validità (art. 72). Sebbene formalmente la disposizione sia stata inserita ex novo nel testo delle direttive, essa ha una doppia origine: da un lato riprende la regola (già prevista nella dir. 18/2004) dei lavori e servizi supplementari, aggiungendovi le forniture, che possono essere aggiudicati al medesimo operatore economico per motivi economici o tecnici ed in presenza di notevoli disguidi o un aumento dei costi a carico della stazione appaltante, sempre che l’eventuale aumento di prezzo non ecceda il 50% del valore del contratto iniziale; dall’altro introduce una serie di previsioni chiaramente ispirate ad alcune decisioni della Corte di giustizia (5.10.2000, C-337/98, Comm. c. Francia; 19.6.2008, C-454/06, Pressetext Nachrichtenagentur, e per le concessioni 13.4.2010, C-91/08,Wall AG) che avevano sancito il principio dell’obbligo di nuova indizione di una procedura di gara tutte le volte che il contratto iniziale fosse stato sostanzialmente modificato.
In particolare si devono intendere come modifiche sostanziali quelle che attengono a condizioni che, se fossero state contenute nella procedura d’appalto iniziale, avrebbero consentito una diversa partecipazione o esito alla procedura medesima, quelle che cambiano l’equilibrio economico a favore dell’aggiudicatario in modo non previsto nel contratto iniziale, quelle che ne estendono notevolmente l’ambito di applicazione, ovvero in caso di sostituzione del contraente originario nei casi diversi dalle fisiologiche vicende dell’impresa (ristrutturazioni societarie, fusioni, acquisizioni, ammesse dalla nuova disciplina).
La terza è del tutto nuova e non sembra avere precedenti in arresti della Corte: riguarda l’obbligo per gli statimembri di prevedere che le amministrazioni possano risolvere il contratto di appalto nel caso di modifiche sostanziali (con obbligo di indizione di nuova procedura) nel caso in cui l’aggiudicatario avrebbe dovuto essere escluso dalla procedura di gara per mancanza di requisiti morali obbligatori, ovvero quando l’appalto non avrebbe dovuto essere aggiudicato per effetto di una grave violazione degli obblighi derivanti dai trattati e dalla direttiva a seguito di sentenza della CGE in un procedimento di infrazione ai danni dello stato membro12.
Una simile previsione, che significativamente prevede una soglia minima di applicazione (l’art. 73 indica i soli casi che “almeno” lo stato membro dovrebbe recepire) appare coerente con la riformata direttiva ricorsi, nella parte in cui da un lato rende obbligatoria la dichiarazione di inefficacia del contratto stipulato in presenza di gravi violazioni delle direttive, e dall’altro lascia liberi gli stati membri di stabilire quali siano le conseguenze sulla validità/efficacia del contratto in caso di violazioni meno gravi, sebbene comportanti l’annullamento dell’aggiudicazione.
Ed infatti la previsione di una clausola risolutiva espressa sembra essere destinata al ripristino di condizioni concorrenziali non tanto a seguito della reazione giurisdizionale dell’operatore leso da un illegittimo affidamento (in quel caso è il giudice adito che dispone sulla sorte del contratto), quanto nei casi in cui l’accertamento dell’illegittimità avvenga al di fuori del contesto prettamente giurisdizionale attivato dal terzo (ne è una prova l’esperimento di una previa procedura di infrazione, che parte dalla Commissione), in assenza di impugnazioni o impugnazioni tardivamente proposte: soddisfa quindi un interesse generale al ripristino della concorrenza e alla effettiva e corretta applicazione del diritto europeo in materia. Ciò non toglie che, in sede di recepimento, la possibile estensione della previsione a diversi ed ulteriori casi di annullamento, potrebbe facilitare, attraverso l’applicazione di una norma sostanziale, le decisioni in sede giurisdizionale sulla sorte dei contratti comunque stipulati a seguito di un annullamento illegittimo.
2.7 Direttiva concessioni
La definizione di concessioni non è nuova rispetto alle previgenti direttive, ma presenta una puntuale indicazione sulla nozione di “rischio operativo” (sul lato della domanda o dell’offerta, o entrambi) che viene trasferito al concessionario: il concessionario assume infatti il rischio operativo nel caso in cui non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. La parte del rischio trasferita al concessionario comporta una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile: si deve quindi escludere che si tratti di concessione nel caso in cui sia prestata una garanzia di remunerazione degli investimenti effettuati (v. in senso parzialmente difforme, C. giust., 10.3.2011, C-274/09, Stadler).
Emerge dal testo della direttiva la volontà delle istituzioni europee di praticare un intervento non invasivo inmateria: ciò è confermato sia dall’ambito di applicazione della dir. 23 (sono esclusi numerosi settori merceologici, quali il servizio idrico, i giochi e le lotterie, il trasporto aereo, le concessioni aggiudicate in base a diritti esclusivi, servizi sociali e speciali – solo monitorati); sia dalle disposizioni in materia procedurale (titolo II, dir. 23), che in applicazione dei noti principi generali prevedono la pubblicazione di un bando secondo un formato allegato alla direttiva, regole semplificate per i requisiti tecnici e funzionali (quelli morali obbligatori sono identici alla dir. 24, art. 38), regole semplici per i criteri di aggiudicazione (che possono essere modificate eccezionalmente in corso di procedura – ma con obbligo di indire una nuova gara, art. 41).
Anche per le concessioni sono dettate regole sull’esecuzione, similmente a quelle previste per la dir. 24: qualche problema di compatibilità sistematica deriva dalla previsione del subappalto nelle concessioni (nel nostro sistema non è ammessa la sub concessione, ed al massimo il concessionario può affidare all’esterno degli appalti – e non subcontratti): tuttavia la concezione europea della concessione sembra condurre verso una nozione prettamente negoziale dell’istituto, più vicina ad una fattispecie contrattuale che non all’esercizio privato di compiti di interesse pubblico.
Oltre alle indicazioni problematiche relative ai singoli istituti tratte nel precedente paragrafo, una prima possibile ricaduta delle nuove direttive verte sul piano delle fonti idonee a garantirne l’effettivo recepimento.
Molti istituti, sia pure declinabili con riferimento a principi concorrenziali, appaiono diretti a garantire efficienza nella utilizzazione del denaro pubblico: appartengono quindi ad un plesso di materie non necessariamente e non esclusivamente riconducibili alla tutela della concorrenza (e perciò attratte dalla esclusiva competenza legislativa statale), con possibili differenziazioni regionali (tenendo conto dell’indifferenza, rispetto al regime europeo, dell’articolazione delle competenze normative interne: il presidio della prevalenza del diritto europeo su quello nazionale o regionale difforme appare ugualmente garantita dall’obbligo di disapplicazione).Non appare quindi implausibile che alcune scelte di fondo, operate dal legislatore nazionale, possano rivestire natura di norme principio, potendo le singole regioni diversamente articolare modalità di organizzazione e di svolgimento delle procedure, proprio per il raggiungimento di obiettivi di efficienza nella utilizzazione delle proprie capacità di spesa (cioè per la finalità di uso strategico degli appalti).
Una seconda immediata conseguenza delle ragioni ispiratrici della riforma europea del sistema degli appalti riguarda la natura consolidatrice del dettato normativo rispetto agli approdi della giurisprudenza della Corte di Giustizia: poiché le decisioni della Corte costituiscono diritto vivente, la loro avvenuta trasposizione all’interno del tessuto normativo non appare destinata a produrre effetti solamente a seguito del recepimento nell’ambito degli ordinamenti nazionali,ma può ben costituire, sin da subito, un criterio interpretativo ed applicativo di istituti sui quali si incentrano controversie riguardanti l’attuale assetto delle regole eurounitarie e nazionali. In altri termini sebbene l’effetto adeguativo delle disposizioni nazionali sotto il profilo formale decorra allo spirare del termine previsto per il recepimento, si può ritenere che l’effetto conformativo di alcune disposizioni (quelle ispirate all’assorbimento dei dettami giurisprudenziali) sia immanente nel sistema, ed obblighi le amministrazioni ed i giudizi nazionali ad una loro immediata applicazione13.
1 V. C.e cost., 23.11.2007, n. 401.
2 Del 27.1.2011, COM(2011) 15.
3 (2009/2175(INI)).
4 Comunicazione interpretativa sulle concessioni nel diritto comunitario, del 12.4.2000, GUCE C121, 29.4.2000, seguita dalla Comunicazione interpretativa sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI) del 5.2.2008, C(2007) 6661.
5 Ad eccezione dei servizi di trasporto dei pazienti in ambulanza, dei quali la giurisprudenza europea deve ancora occuparsi (C-113/13).
6 V. Comunicazione della Commissione 14.12.2007 (COM/2007/799) e Risoluzione del Parlamento europeo del 32.2.2009 sugli appalti pre-commerciali (2008/2139(INI)).
7 In controtendenza la Corte ha affermato che non viola il principio di proporzionalità una norma nazionale che obblighi l’amministrazione aggiudicatrice ad escludere dalla procedura di gara – sotto soglia – un offerente responsabile di un’infrazione in materia di versamento di prestazioni previdenziali se lo scostamento tra le somme dovute e quelle versate è di un importo superiore a 100 Euro e al 5% delle somme dovute (C. giust., 10.4. 2014, C-358/12, Consorzio Stabile Libor).
8 Delibera AGCM del 18.9.2013.
9 Sec(2010) 1214.
10 L’AVCP, prima della sua soppressione a favore dell’ANAC, nell’atto di segnalazione n. 3 del 21.5.2014 sulle nuove direttive europee, ha dato grande enfasi alle misure di e-procurement ed in particolare modo al ruolo centrale che dovrebbe acquisire la banca dati nazionale dei contratti pubblici di cui all’art. 6 bis del d.lgs. 163/2006.
11 È una previsione che attenua il rigore con il quale la Corte di giustizia ha ritenuto di dover distinguere tra criteri di aggiudicazione e parametri di idoneità del concorrente (19.6.2003, C-315/01, GAT ; Lianakis, cit.; 12.11.1999, C-199/07, Grecia).
12 V. C. giust., 18.7.2007, C-503/04, Comm. c. Germania.
13 Cfr, Cons. St., sez. I, 4.6.2014, parere n. 1801, sul controllo congiunto; Cons. St., sez. III, ord. 29.4.2014, n. 2214 sulla semplificazione documentale; Cons. St., sez. VI, 31.7.2014, n. 4056 sull’avvalimento. Si segnalano in dottrina Caranta, R.-Dragos, D.C., La mini-rivoluzione del diritto europeo dei contratti pubblici, in Urb. app., 2014, 5, 493 ss.; Ricchi,M., La nuova direttiva comunitaria sulle concessioni e l’impatto sul Codice dei contratti pubblici, in Urb. app., 2014, 7, 741 ss. Due interi numeri della Public procurement law review, 2014, 3 e 4, sono stati dedicati alle nuove direttive.