Le divinita della casa
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La casa dell’antica Roma è caratterizzata da un numero sorprendente di divinità: divinità “minute”, ma molto importanti per la vita dell’uomo antico. Oltre agli dèi preposti ai diversi aspetti della realtà ci sono anche divinità specificamente dedicate alla casa e al suo benessere, alla famiglia e alla sua prosperità ed infine al suo principale rappresentante, il capofamiglia.
Nello spazio domestico e familiare si onorano molte divinità. Gli innumerevoli dèi minuti legati alla vita degli uomini e delle donne romane – dalla nascita alla morte – appartengono alla religiosità privata, che si svolge entro la domus. È pratica quotidiana della famiglia celebrare un sacrificio agli dèi in occasione dei pasti, ma anche altri piccoli e grandi eventi trovano nella casa il luogo privilegiato per essere celebrati sotto la protezione divina: la nascita, il compleanno, il matrimonio e il trapasso, momenti importanti, particolarmente delicati e critici vissuti dagli individui.
Abbiamo visto che gli dèi plebei si occupano di molte faccende domestiche legate alla vita di uomini e donne. Ricordiamo qui la dea Carna, che come molte altre dee “minute” protegge l’infante dai pericoli e gli garantisce buona salute. Il mito racconta che questa dea salvò il re Proca neonato dalle streghe golose di carni tenere indicando alla nutrice disperata quali gesti rituali compiere: toccare con un ramoscello di corbezzolo la porta di casa, cospargere l’ingresso di acqua, prendere le viscere crude di una porcella giovane e recitare una preghiera. Questa pratica apotropaica, raccontata dal mito, è probabilmente un rituale domestico di competenza delle nutrici o delle donne di casa e mantenuto vivo nel mito e nella festa annuale dedicata a questa dea (Ovidio, Fasti, 6, 101-82).
Anche le numerose dee “minute” invocate durante il periodo della gestazione possono, vista la sfera di competenza privata, opportunamente trovare un posto nell’intimità della casa. A queste dee si rivolgono preghiere nei momenti di bisogno; a volte la famiglia organizza feste private, come, ad esempio, quella allestita per la dea Nundina: il dies lustricus o festa dei Nominalia (Macrobio, Saturnalia, 1, 16, 36). Anche il matrimonio è una festa domestica ed è celebrata con azioni rituali: alla dea Virginiense le giovani donne la notte delle nozze portavano la loro togula, la veste nuova da indossarsi per acquisire il nuovo stato di sposa (Arnobio, Adversus nationes, 2, 67); in onore di Cinxia sciolgono simbolicamente, nella stanza da letto, la cintura della veste; per Unxia ungono le soglie della casa del marito e appendono matasse di lana quale gesto di buon augurio (Donato, Ad Hecyram, 12, 60). In tutti questi casi strettamente legati alla vita dell’individuo possiamo fare ricorso alla categoria di “religione domestica”.
Molte di queste divinità sono delle dee: ciò può essere spiegato dal fatto che molti aspetti tutelati sono delle fasi della vita femminile: la gestazione, il parto, la cura dei bambini, il corpo e le sue trasformazioni, il ruolo sociale. Le divinità maschili hanno competenza e offici nella sfera agricola o a essi viene affidata la famiglia come nucleo, come nel caso dei Lari e dei Penati.
Il compito dei Lari può essere compreso a partire dall’aggettivo usato normalmente accanto al sostantivo singolare cioè familiaris. Questo dio possiede e cura la domus, cioè la casa e la vita dei suoi abitanti nel succedersi delle generazioni: il padrone, i suoi parenti, i suoi schiavi. La sua presenza è così fortemente legata al nucleo familiare che se esso si sposta anche il dio trasloca (Plauto, Aulularia, 1-5). Come singolo o come collettività divina il Lare è onorato quotidianamente con incenso, vino e corone di fiori (Plauto, Aulularia, 23-5). Fiducioso, il poeta Giovenale onora i Lari ogni giorno con grani minuti d’incenso e farina, oppure con una corona di fiori (Giovenale, Saturae, 9, 137-38).
Ogni casa dispone di un luogo dove far dimorare questi dèi: un’aedicula, cioè una piccola struttura con un altare, che in età imperiale prende il nome di lararium. Su questo altare il Lare è rappresentato vestito di una tunica corta e con una patella in mano, cioè il piattino con il quale gli si offre il cibo, in mano. Queste due caratteristiche ne descrivono l’essenza: la tunica è una veste semplice, portata abitualmente dal popolo o dal signore come “veste di casa”. I Lari sono immaginati come divinità semplici, legate alla dimensione privata, ai luoghi intimi della vita e non alla realtà pubblica e politica. Non un dio minuto, ma “patellario”, cioè “una divinità del piattino”, riprendendo la definizione di Plauto nella Cistellaria. Il suo legame con il mondo domestico è confermato dal luogo di culto riservatogli: il focolare. Questi dèi, protettori di tutto il gruppo sociale che vive sotto lo stesso tetto, instaurano con la famiglia un rapporto di reciprocità, come nella religione ufficiale: la relazione con il divino si sviluppa entro un regime di scambio, l’unica differenza è che in questo caso gli officianti sono la famiglia e il rito è essenzialmente intimo, nei luoghi e nella prassi. Il Lare partecipa agli eventi di casa, come il matrimonio; a lui la futura sposa offre una moneta nel focolare e la sua presenza in queste situazioni non stupisce affatto: il matrimonium è, innanzitutto, un affare di casa. I Lari hanno anche una dimensione pubblica che risponde in modo coerente a quella privata: i Lari Compitali proteggono i crocicchi, i luoghi dove le strade si incontrano (Varrone, De lingua latina, 6, 25), ma non si tratta di strade qualsiasi, bensì di strade rionali: per quanto dèi non più domestici rimangono sempre dentro una dimensione spaziale definita da specifiche relazioni di vicinanza, non più la famiglia, ma il vicinato, che costituisce una cellula sociale più ampia.
Un altro gruppo di divinità legate alla religiosità privata sono i Penati. Come i Lari sono dèi incerti: non esercitano un’azione specifica assolvendo puntualmente alla loro funzione, ma piuttosto proteggono un’area e ciò che a essa appartiene. Se il luogo privilegiato dèi Lari è il focolare domestico, le cose non cambiano per i Penati. Servio spiega che il luogo riservato loro è la cucina (Servio, Ad Aeneidem, 2, 469) e Cicerone li mette in relazione con la dea per eccellenza del focolare, Vesta, custode di ciò che è intimo, sottolineando che il loro nome deriverebbe da penus o da penetrales, per il fatto che risiedono nel cuore della casa (Cicerone, De natura deorum, 2, 68). Il penus è la dispensa, la parte più interna della casa, dove la famiglia raccoglie i beni alimentari. Cicerone anticipa, coniugandole, due linee interpretative moderne sulla funzione di questi dèi: rappresentano il rispetto ancestrale per il benessere alimentare e dunque irradiano la loro protezione sul padrone di casa. Preservando le riserve garantiscono la continuità del gruppo. Nella loro versione pubblica sono detti dèi patri e sono legati alla fondazione di Roma: Enea li portò da Troia per assicurare la continuità e l’identità fra le due città e i due popoli (Macrobio, Saturnali, 3 4, 7).
Altra divinità maschile domestica e specificatamente singolare, a differenza di Lari e Penati, è il Genio. Il Genio è lo spirito del pater familias cioè del padrone di casa, inteso come “forza procreativa”, “capacità di perpetuare la discendenza”; in altri termini la sua funzione è quella di rappresentare una sorta di doppio divino dell’uomo, garantendogli il potere di trasmettere il nome della famiglia e di mantenere viva la gens a cui appartiene. È evidente il suo valore sia biologico sia identitario: il Genio permette di generare e dunque di mantenere viva la propria gente. La dimensione domestica e la stretta relazione con l’individualità del singolo uomo sono rappresentate nei giorni in cui il dio è festeggiato: abitualmente durante il compleanno del padrone di casa, occasionalmente durante il suo matrimonio (Censorino, De die natali, 2, 2 e 3, 2). La sua presenza nel pantheon romano è antica. Già Plauto lo descrive come ispiratore delle azioni di un individuo (Plauto, Captivi, 977), come qualcosa di inseparabile dall’uomo (Plauto, Curculio, 628): una specie di doppio che vive con noi ogni momento della nostra vita. Il Genio è onorato al risveglio, come una sorte di angelo custode (Tibullo, Elegiae, 3, 11, 9) e a lui, come a molte altre divinità domestiche, si offrono quotidianamente sacrifici non cruenti: incenso, vino, dolci. Il Genio in quanto protettore del capofamiglia indossa come lui la toga, che è l’indumento del civis romanus. In età imperiale tende a rappresentare il doppio divino dell’imperatore, indicando la sua evoluzione in chiave pubblica: l’imperatore romano, lo stato e il popolo romano nella sua interezza hanno il loro genio. Le rappresentazioni pittoriche raccontano bene questa divinità: da un lato l’abito ufficiale, dall’altro gli oggetti e i simboli della sua domesticità: la patella, a rappresentare la sua partecipazione al pasto della famiglia e la cornucopia, per l’auspicato benessere della famiglia.
Esiste anche il corrispondente femminile di questa divinità, cioè una Giunone (iuno), che è lo spirito protettivo della mater familias. Questa divinità, molto meno conosciuta del Genio, si afferma soprattutto nel periodo imperiale. Anch’essa è preposta alla procreazione. Seneca riassume molto bene il legame tra il Genio e la Giunone e la loro complementare funzione di genere. Rivolgendosi all’amico Lucilio gli ricorda che molti credono che ciascun uomo abbia un dio come guida, “non uno dei maggiori, ma una divinità di grado inferiore, tra quelle che Ovidio definisce divinità plebee” e più precisamente essi attribuiscono “a ognuno un Genio e una Giunone” (Seneca, Epistolae ad Lucilium, 110, 1).