Le donne e la musica
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
È soprattutto con la musica che le donne della Grecia antica partecipano alla cultura, sia come esecutrici (cantanti, danzatrici, suonatrici di strumenti) sia, più raramente, come educatrici e compositrici. I contesti in cui figurano sono soprattutto quelli del simposio e della cerimonia rituale. Del tutto eccezionale è la presenza di compositrici, nessuna delle quali, di quelle a noi note, nasce e opera ad Atene, a conferma dell’atteggiamento di diffidenza che questa città ha sempre nutrito nei confronti delle donne.
Le modalità con cui le donne partecipano alla cultura cambiano a seconda delle epoche e dei contesti. Ogni cultura, intesa come Weltanschauung, stabilisce modi e forme della presenza attiva del femminile, che possono essere disattesi al di là del loro carattere normativo nell’ambito delle singole comunità. Nel caso dei Greci antichi, la partecipazione delle donne alla produzione e alla diffusione della cultura avviene soprattutto per il tramite della musica. Il che si spiega, da un lato, con la rilevanza della comunicazione musicale nella cultura orale-aurale delle civiltà arcaiche. Ma una motivazione più specifica è data dalla marcata associazione del femminile con alcuni contesti, pubblici e privati, dove la musica riveste un ruolo fondamentale, i quali differiscono a seconda delle epoche e della collocazione geografica. Al di là dei tratti comuni, essi informano dei diversi gradi di partecipazione femminile, mediata dal canale sonoro e coreutico, alla vita sociale e culturale delle varie comunità greche. E a dispetto di una documentazione parziale, che tende a favorire l’appiattimento della realtà greca sulla situazione ateniese del V secolo a.C., tali diversità invitano ad astenersi dal formulare generalizzazioni necessariamente sbrigative. Una panoramica delle diverse categorie di donne che l’analisi delle fonti consente di associare all’arte dei suoni (in qualità di esecutrici, educatrici e addirittura compositrici) non può tralasciare l’attività coreutica, in aderenza all’accezione ampia del termine greco mousike, che indica, come è noto, un complesso di fattori comunicativi comprendente suono musicale, parola poetica e movimento orchestico. L’iconografia delle danzatrici, per le quali disponiamo di cospicua documentazione, difficilmente è priva di richiami alla produzione di suoni. I movimenti del corpo sono spesso utilizzati per accompagnare le esecuzioni corali, e il ritmo dei passi, in genere, è cadenzato dalla percussione degli strumenti.
“Onore grande è per voi [...] ottenere che il vostro nome, in biasimo o in lode, corra il meno possibile sulle labbra degli uomini”. Il discorso che lo storico Tucidide (II, 45) attribuisce a Pericle stratego riflette la concezione ideale del comportamento femminile nella prospettiva maschile degli Ateniesi di epoca classica. Escluse dalla cosa pubblica, per lo più confinate nello spazio ristretto del gineceo (la parte della casa che è loro riservata), le donne ateniesi (soprattutto le spose legittime) esprimono la loro virtù nella testimonianza passiva dell’agire maschile, “votate al silenzio della riproduzione materna e domestica” (Georges Duby e Michelle Perrot, Per una storia delle donne, Prefazione a Storia delle donne. L’antichità, 1990). Ma il complesso delle testimonianze elleniche consente di sfumare questo rigido paradigma: in maniera diversificata, secondo le epoche e la provenienza geografica, le donne della Grecia antica si esprimono e comunicano, legittimate dalla comunità di appartenenza. E lo fanno con la voce, col suono e col gesto.
Le etere, le uniche donne ammesse al simposio, vi intervengono come suonatrici di aulos, di barbitos o di arpa (le cosiddette psaltriai, da psallo, “pizzicare” le corde con le dita), o come danzatrici e suonatrici di percussioni. Di condizione socialmente bassa, per lo più schiave o straniere, sono spesso più istruite delle spose legittime ed entrano in uno spazio, quello della convivialità maschile ed elitaria, ove queste ultime non hanno accesso. Nel contesto dell’intrattenimento dei cittadini maschi adulti, la loro presenza è regolata da convenzioni maschili, le stesse che stabiliscono, per esempio, la quantità di consumo del vino e la modalità di esecuzione dei canti. Dietro pagamento preventivamente pattuito, debbono accondiscendere ai bisogni dei simposiasti, offrendo loro la musica e i piaceri erotici (lo attestano, oltre alle fonti letterarie, le evidenze iconografiche), benché il loro status, che in casi eccezionali non esclude l’accumulo di ricchezze, sia più elevato di quello delle prostitute occasionali, le cosiddette pornai.
Ma la Grecia delle fonti a noi note non restituisce solo esempi di musiciste schiave o straniere. A condividere con le etere l’associazione sistematica con la musica sono, paradossalmente, donne di estrazione elevata. Le fanciulle che partecipano ai cori rituali, nell’ambito di manifestazioni religiose che presuppongono l’intervento attivo del femminile, sono scelte tra le famiglie più quotate, o, almeno, appartengono a pieno titolo alla comunità cittadina. Stando alle evidenze iconografiche, la partecipazione delle donne alle esecuzioni corali prevale di gran lunga su quella degli uomini: nelle raffigurazioni attiche del VI e del V secolo a.C., delle quali un centinaio rinviano ad attività corali, il rapporto è di 80 a 20.
L’istituzione di cori femminili è spesso connessa ai riti di iniziazione, che segnano il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, e che, nella maggior parte dei casi, avvengono sotto il segno della dea Artemide. Gruppi di parthenoi, impegnate in attività corali che prevedono la danza e generalmente anche il canto, sono attestati principalmente in area spartana (presso i santuari di Artemide Limnatis e di Artemide Karyatis), ma anche a Efeso, a Magnesia sul Meandro, a Samo. All’esecuzione di un coro di fanciulle, sicuramente spartane e probabilmente consacrate ad Afrodite, sono affidati, tra l’altro, i cosiddetti parteni di Alcmane, che confermano il legame privilegiato tra Sparta e la musica corale dei riti femminili. La quadriennale scadenza delle Delie, feste panioniche di grande richiamo, e la periodica celebrazione di numerosi rituali conducono, a Delo, alla costituzione di un coro in forma permanente, mentre in Atene, dove mancano riferimenti diretti a istituzioni corali femminili, la presenza di cori muliebri è almeno attestata dalla phiale a fondo bianco del Museum of Fine Arts di Boston, che mostra un gruppo di sette donne disposte a catena intorno a un altare, dinanzi al quale, raffigurata in piedi, una suonatrice di aulos provvede all’accompagnamento della danza (vedi immagine). La presenza di strumentiste (aulete) che accompagnano l’esibizione corale è attestata anche nella ceramografia corinzia, che documenta l’istituzione di cori, non solo di fanciulle, ma anche di donne adulte, già dalla fine del VII secolo.
L’atteggiamento composto e solenne delle donne impegnate nella danza, il cui status elevato è suggerito dalle ricche vesti, contrasta con quello, ugualmente associato a figure adulte, della danza dionisiaca che conduce alla trance, iconograficamente evocata dai volteggi scomposti e dalle chiome scarmigliate. Questo modello di coralità orgiastica si diversifica fortemente da quelli finora proposti. L’integrazione religiosa delle fanciulle, che si realizza nella partecipazione corale ai rituali civici, avviene sotto il controllo maschile e obbedisce alle regole stabilite dalla polis. La danza selvaggia delle baccanti dionisiache manifesta invece, nell’immaginario ellenico, il rovesciamento dell’ordine costituito ed esprime l’alterità come contravvenzione al codice normativo stabilito dagli uomini.
Da segnalare, infine, la partecipazione femminile alle esecuzioni musicali legate ai riti familiari e privati, come le cerimonie funebri e le celebrazioni associate al matrimonio. A tali occasioni, nelle quali la musica riveste un ruolo di primo piano, è legata la composizione di specifici generi di canto (lamentazioni funebri, come i threnoi, e canti nuziali, come gli imenei e gli epitalami), la cui esecuzione è spesso affidata alle donne, ma che possono prevedere l’intervento di gruppi misti maschili e femminili, attestati già a partire da Omero (Odissea, XXIII, 146-151).
Una delle questioni più dibattute della moderna indagine sul teatro greco antico riguarda la presenza femminile sulla scena del dramma, recentemente riaperta dall’analisi sistematica delle raffigurazioni vascolari italiote riconducibili alla cosiddetta farsa fliacica, che si datano a partire dal IV secolo a.C. Molte di queste immagini, infatti, riproducono scene teatrali: a indicarlo è la presenza, più volte evidenziata, di elementi architettonici che richiamano le strutture del palcoscenico. In alcune di esse compaiono, identificate dall’inconfondibile colore bianco, figure femminili impegnate a suonare uno strumento (per lo più l’aulos) o a eseguire con il corpo movimenti orchestici e acrobatici.
Non si tratta di vere e proprie attrici, ma di strumentiste, danzatrici e acrobate. La forma di teatro nella quale agiscono è quella popolare del mimo e della farsa. E il contesto performativo dove figurano non è il dramma attico del V secolo a.C., ma le rappresentazioni realistiche delle colonie della Magna Grecia. Nondimeno la loro presenza, iconograficamente attestata, induce a non generalizzare il modello dell’esclusione femminile più volte ribadito dalle fonti sul teatro attico. Quest’ultimo, peraltro, potrebbe essere in parte ridiscusso, se risultasse vera l’ipotesi della presenza di donne performers sulla scena del teatro comico. Esse, infatti, impersonerebbero quelle figure di donne mute, frequenti in Aristofane e spesso qualificate come musiciste, che un uomo faticherebbe a interpretare, data la difficoltà di suonare l’aulos con indosso il costume del travestimento femminile.
Le donne, nella Grecia dell’epoca classica, non possono andare a scuola. Neppure alla scuola “privata” dei maestri di musica e ginnastica, deputati all’educazione dei rampolli delle famiglie più in vista. Questo, almeno, sembra di potersi dedurre dal silenzio delle fonti sull’argomento. Un silenzio che viene rotto, di tanto in tanto, da alcuni indizi di incerta interpretazione, che porterebbero a sfumare l’assunto storico appena enunciato. È possibile, intanto, che alcune scene di vita domestica, rappresentate su vasi attici della seconda metà del V secolo a.C., abbiano a che fare con l’insegnamento musicale. Le figure femminili che vi compaiono, intente a suonare strumenti di vario tipo, sono forse divine (e qualcuno le identifica con le Muse), ma non per questo non possono costituire il paradigma mitico di donne reali.
Di vere e proprie scuole, destinate a fanciulli e fanciulle, si può invece parlare a partire dal primo ellenismo: le iscrizioni relative all’attività di centri di istruzione, che sono presenti in varie parti dell’Ellade e che prevedono l’insegnamento di musica e scrittura, attestano la presenza di allieve donne, peraltro confermata, per Creta e per Sparta, da un riferimento contenuto nel Protagora di Platone (342d). Lo stesso Platone, in un passo delle Leggi (804d-e), auspica che l’educazione alla musica e alla ginnastica sia identica per gli uomini e per le donne, volendo forse proporre per Atene il modello paideutico dell’oligarchica Sparta. Ma nella stessa polis ateniese, e già prima dell’epoca ellenistica, l’istruzione musicale femminile non è del tutto esclusa, se consideriamo quelle donne, schiave o di bassa condizione, che abbiamo già definito etere, e che intrattengono i maschi a simposio con la musica e i piaceri dell’eros. L’iconografia, a partire dalla fine del V secolo a.C., mostra scene di danzatrici e auletrides in compagnia delle rispettive maestre. Il contesto, identificabile sulla base dei testi, sembra essere quello degli auletridon didaskaleia, le scuole per etere di cui parlano con disprezzo Isocrate di Atene e Luciano di Samosata. Qui, a quanto risulta dalle raffigurazioni vascolari (come si vede nell’immagine), anche l’insegnante è donna, forse un’etera più attempata che istruisce alla musica e alla danza le giovani ragazze destinate alla sua stessa carriera.
Nella società maschile della Grecia antica, dove la cultura è prodotta da uomini, e agli uomini è per lo più rivolta, le donne, quelle poche di cui è rimasta memoria, comunicano con i loro versi, ovviamente cantati e musicati. Non ad Atene, che si conferma un casolimite nella diffidenza verso la partecipazione delle donne alla cultura.
Le poetesse-compositrici di cui ci è giunta voce sono originarie di altre località, come l’isola di Lesbo (Saffo di Mitilene), la Beozia (Mirtide di Antedone e Corinna di Tanagra), il Peloponneso (Telesilla di Argo, Prassilla di Sicione e Anite di Tegea), Rodi (Erinna di Telo), la Magna Grecia (Nosside di Locri Epizefiri). Alcune di loro, come la stessa Saffo, sono impegnate in attività paideutiche, in qualche caso rivolte ad allievi di sesso maschile – emblematico è l’esempio di Mirtide e Corinna, vissute tra il VI e il V secolo a.C. ed entrambe conosciute come maestre di Pindaro. Le tematiche affrontate nei loro componimenti, non tutte recuperabili dai frammenti superstiti, sono molto varie e la centralità del filone lirico-amoroso non esclude i richiami politici e patriottici. Rari sono i riferimenti metapoetici (presenti soprattutto in Saffo), e nulla fa pensare alla codificazione di un “canone” femminile volutamente contrapposto a quello maschile. Alcune di loro, soprattutto Erinna e Nosside, si ispirano espressamente a Saffo, ma non solo per questioni di gender.
Poco o nulla sappiamo della loro musica. Siamo informati, per esempio, di alcune innovazioni attribuite a Saffo, che avrebbe introdotto nella lirica lo stile mixolidio. Sulla loro fama molto è stato scritto: ciascuna di loro, almeno a livello locale, ha ricevuto grandi onori, guadagnandosi un posto nella letteratura androcentrica dei Greci antichi. Il che non sarebbe successo se i suoi versi non avessero “parlato” anche al pubblico maschile: uomo è colui che a Tanagra ha dedicato un monumento a Corinna, e un uomo ce ne dà notizia (Pausania, l’autore della Periegesi). Qualcosa delle sue liriche è fruibile ancora oggi, ma solo perché vari uomini, nel corso della storia, hanno trascritto i suoi versi affinché sopravvivessero all’oblio dei secoli.