Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La trasformazione della società settecentesca passa attraverso una ridefinizione dell’immagine e del ruolo della donna. Se nella realtà sociale la condizione della donna è ancora fortemente diversificata in base al ceto d’appartenenza, in tutte le discipline si moltiplicano i discorsi sulle donne in un’indagine volta a definirne la specificità; nelle pratiche sociali, inoltre, essa acquista nuova visibilità. Centrale sarà il ruolo delle donne nella Rivoluzione francese, nell’azione collettiva come nella riflessione sui principi politici.
I discorsi sulle donne
La cultura illuminista coinvolge la donna in modo ambiguo. Da una parte infatti è il pensiero dei philosophes a elaborare, introducendo la critica alla disuguaglianza, alla dipendenza e alla tradizione, quel concetto di individuo che, nei secoli successivi, fornirà alle donne un modello di partecipazione egualitaria alla vita sociale. D’altra parte, nel pensiero degli illuministi e degli uomini del Settecento, tutto ciò raramente si estende alla donna. Questa, diversamente da quanto avveniva nei secoli precedenti, non viene più sentita come un uomo imperfetto, ma come una creatura diversa. È nel tentativo di definire questa diversità che si viene elaborando, in diversi campi del sapere, un nuovo discorso sulla femminilità. Un discorso che, nonostante una realtà sociale fortemente diversificata, tende a presentare le donne in modo uniforme, secondo un criterio di genere.
Nella riflessione dei filosofi si definiscono sempre più nettamente due sfere separate: quella della natura, a cui appartiene la donna, e quella della cultura, propria dell’uomo che, a differenza della donna, ha con la natura relazioni mediate. Dalla dipendenza della donna dalla natura derivano passionalità e immaginazione, una psicologia naturale che la confina perennemente nello stadio dell’infanzia e la rende inadatta a svolgere attività intellettuali. D’altra parte è sempre dal ruolo assegnato alla donna dalla natura (riproduzione e cura dei figli) che deriva la sua funzione e il suo ruolo sociale: la donna è essenzialmente sposa e madre. Tali funzioni ne esaltano il valore, ma la escludono dallo spazio pubblico, relegandola nella sfera intima e privata della famiglia. Si pongono così le premesse di quell’ideologia che nel secolo successivo farà della donna “l’angelo del focolare”, il perno della famiglia borghese. Il ruolo di sposa e di madre assegnato alla donna contribuisce al diffondersi della convinzione che sia necessaria una sua istruzione. Nel Settecento proliferano così manuali per l’educazione delle fanciulle.
Pur non mancando testi di un certo spessore e validità pedagogica, come quelli di Madame de Genlis o di Madame Le Prince de Beaumont, per lo più si insiste sugli aspetti pratici della formazione delle fanciulle, rafforzando la separazione dei ruoli. Il dibattito sull’educazione delle fanciulle, che dilaga nei salotti e vede come protagonisti philosophes, romanzieri ed educatori, se è occasione di denuncia e di attacchi feroci all’educazione tradizionale monastica (si veda Voltaire), raramente corrisponde all’affermazione del diritto delle donne ad accedere alla conoscenza. Attraverso tale dibattito, comunque, questo diritto finirà per essere implicitamente riconosciuto, cosicché, ad esempio, nel 1786 le donne avranno accesso alle lezioni del Collège de France.
Nei testi letterari, mentre si assiste all’affermarsi di un nuovo concetto di individuo e di nuovi rapporti sociali, acquista centralità il tema dell’amore. L’amore diventa il luogo di codificazione dei nuovi rapporti fra gli individui e fra questi e la società. La donna, al centro di romanzi, racconti e opere teatrali, è la figura attraverso cui vengono proposti nuovi modelli di comportamento, dapprima ambigui e contraddittori, ma che a fine secolo, troveranno definizione nei codici amorosi ottocenteschi.
All’inizio del secolo il rapporto amoroso ha ancora una dimensione prevalentemente pubblica. L’amore ha perso la leggerezza che lo caratterizzava nel secolo precedente, è divenuto ambiguo e “pericoloso”: la frivolezza fa ora da contraltare a un’insincerità programmatica che spinge uomini e donne, ma soprattutto queste ultime, ad aumentare la diffidenza nei confronti dell’“altro”. L’amore, quindi, se attraverso la frivolezza si sottrae alla morale, attraverso il paradigma dell’insincerità promuove il processo di differenziazione dell’individuo. Le donne resistono al corteggiamento spinte dallo spirito di autoconservazione e non dall’adesione a princípi morali. Si tratta di donne attente a leggere in controluce ogni gesto, ogni parola dell’“altro”, donne che hanno affinato al massimo la loro abilità argomentativa, indispensabile per poter continuare a far parte di una società dove la galanteria si è fatta ormai cinica.
È con il romanziere Samuel Richardson che vengono proposti un codice amoroso basato su un nuovo sistema di relazioni e la definizione di due sfere nettamente separate: quella privata, intima, affettiva, che si esprime solo all’interno della famiglia, e quella pubblica, di esclusiva competenza maschile, alla quale la prima dà fondamento etico e psicologico.
Alla donna viene affidato il compito di garantire le relazioni entro la sfera privata: delicata, tenera, debole, trova la propria realizzazione nell’amore materno, diventato un valore sociale, e nell’amore coniugale, fondato su stima e comprensione reciproca, amicizia e preoccupazione per le esigenze dell’“altro”. All’interno della famiglia i rapporti gerarchici vanno stemperandosi perché si è radicata una diversità ben più forte che attraversa l’identità stessa dei due sessi.
Il modello di Richardson – pur influenzando la letteratura europea – è profondamente modificato da una società come quella francese, che attribuisce alla natura un ruolo centrale. Se nella sfera pubblica la natura serve per legittimare la disuguaglianza femminile, nella sfera dei rapporti individuali porta alla ribalta il tema della sessualità, dei sentimenti, della passione che non trovavano spazio nel modello anglosassone.
Sono le opere di Jean-Jacques Rousseau che meglio esprimono questo momento di ridefinizione dei rapporti intimi. Emerge così il nuovo modello dell’amore-passione vissuto dalla protagonista della Nuova Eloisa in lacerante conflitto con il modello dell’amore coniugale. Immagini di donne tanto diverse hanno comunque un elemento in comune: la loro identità e la loro vita sono definite dall’amore.
La nuova attenzione ai problemi demografici e l’importanza ora attribuita ai bambini pongono al centro della ricerca scientifica i temi della sessualità e della riproduzione e attribuiscono un nuovo ruolo alla figura del medico. Questi, soprattutto a partire dalla metà del secolo, acquisisce una funzione di sostegno e di controllo delle politiche statali. La sua autorità non si limita a un ambito strettamente scientifico ma si estende alla società, all’etica, al diritto. Così, ad esempio, Bernardino Ramazzini nel 1703 scrive un trattato sulle malattie connesse ai diversi mestieri, Johann Peter Frank nel 1779 pone il tema demografico al centro di un’opera monumentale su un Sistema di polizia completamente medicalizzata e George August Spangenberg, a fine secolo, pone a fondamento di alcuni interventi di diritto criminale la connessione fra organi sessuali femminili e sistema nervoso.
Comune a tutti i discorsi medici è la convinzione, espressa tardivamente in modo esplicito da Roussel, che la donna è una creatura completamente diversa dall’uomo, identificata tout court con la natura. Variano semmai, al di là di una comune concezione del corpo come meccanismo idraulico, le interpretazioni degli atteggiamenti da assumere nei confronti della natura. Nel campo dell’ostetricia ne è un esempio il conflitto che esplode nella Parigi di fine secolo – e che avrà ampia eco in tutta Europa – fra Jean-François Sacombe, sostenitore di pratiche manuali e di un approccio non patologico al parto, e l’ostetricia dominante, di indirizzo interventista, che ha come corrente estrema gli anatomo-matematici, impegnati a compiere ricerche di misurazione e a sperimentare tecniche strumentali e operatorie. La corrente interventista risulterà vincente, in sintonia con un generale orientamento alla medicalizzazione della nascita e con il rafforzamento del ruolo sociale del medico.
Anche nella riflessione giuridica la donna viene posta in una sfera separata. Nel diritto penale, ad esempio, si assiste al recupero di una lunga tradizione per sostenere una minore punibilità delle donne in base alla loro minore razionalità. Alle argomentazioni tradizionali si aggiungono ora quelle desunte dai trattati medici: in particolare le connessioni istituite tra organi sessuali e sistema nervoso determinerebbero nella donna uno stato di dipendenza che limita la sua punibilità. Ma anche l’esecuzione della pena, già minutamente differenziata in base al ceto d’appartenenza, quando si applica alle donne viene ulteriormente diversificata. Le carceri femminili infatti rimangono per lungo tempo luoghi ambigui, in cui non si distingue fra funzione penale e funzione di disciplinamento sociale. La stessa pena capitale prevede rituali complessi e diversificati fra uomo e donna, a confermare la separazione e di fatto quell’esclusione dai diritti di cittadinanza di cui Olympe de Gouges è ben consapevole quando, nell’articolo decimo della sua Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, rivendica per le donne il diritto al patibolo.
Una nuova visibilità: la presenza delle donne nella società
Le figure di donne che compaiono nell’Encyclopédie – colte soprattutto in attività produttive – e i ritratti che sempre più spesso presentano donne attive, intente a leggere o a conversare, testimoniano una presenza femminile nella società e nel mondo del lavoro in contrasto con l’immagine che tende a relegare la donna in un mondo diverso da quello degli uomini.
Una separazione fra mondo maschile e femminile si riscontra in realtà solo nella società anglosassone, per molti aspetti differente da quella del resto d’Europa. Sono proprio i viaggiatori inglesi (James Boswell, Tobias Smollett, Lawrence Sterne) a sottolineare la quotidianità dei rapporti fra uomini e donne che caratterizza società promiscue come quella francese e italiana. Ma pur entro una tradizione di continuità nei rapporti fra uomini e donne la presenza femminile è ora quantitativamente e qualitativamente diversa. Si tratta di una presenza nuova, per la quale non è stato ancora elaborato un lessico adeguato, avvertita con chiarezza dai contemporanei che sempre più spesso parlano di “dominio” delle donne.
Le donne dell’élite aristocratico-borghese – in particolare in Francia – attraverso la moda, i salotti e un’intensa attività di patronage influenzano profondamente sia la vita sociale sia il mondo della cultura. In una società sempre più diversificata e interdipendente, queste donne ampliano le proprie funzioni fissando regole di comportamento e proponendo una sensibilità nuova, raffinata e sentimentale.
Fulcro della vita mondana, fanno circolare nuovi oggetti e nuovi valori, mutano le abitudini quotidiane proponendo un mondo più aperto, più vivace e lieve; in altre parole dominano il gusto.
Attraverso la moda, le donne danno corpo a due tendenze compresenti nella società: l’aspirazione a una maggiore uniformità attraverso la rottura delle rigide gerarchie tipiche della società d’ancien régime e contemporaneamente l’aspirazione alla singolarità, alla differenziazione individuale.
Nei salotti compiono anche un’opera di mediazione e di diffusione delle principali correnti di pensiero d’avanguardia introducendo altre donne, promuovendo o escludendo intellettuali provenienti da ceti modesti che, attraverso i salotti, cercano una legittimazione sociale.
Ma è soprattutto attraverso i giornali di moda – quali “Le journal des dames” (1759-1778), “La bibliothèque des dames” (1764), “Le cabinet des modes” (1785-1793) – che le donne attuano una consapevole opera di divulgazione volta all’appropriazione di un nuovo ruolo sociale.
François de Grenaille
Riscatto femminile
Bibliothèque des dames
Non si venga a dire che secondo i dettami della natura, noi donne dobbiamo mandare avanti la casa, limitarci all’educazione dei figli finché sono piccoli, sorvegliare il lavoro dei domestici; e che non abbiamo abbastanza acume, né forza per gestire la cosa pubblica, per fare pace o la guerra, per amministrare la giustizia o per attraversare le immensità dei mari. La ragione e l’esperienza testimoniano a sufficienza che noi saremmo capacissime di fare tutto ciò; l’ineguale divisione dei talenti, per la quale tutto viene dato agli uomini e noi donne siamo ridotte all’ozio più stupido, non rappresenta altro che il frutto dell’ambizione di un sesso, quello maschile, invidioso dell’altro.
F. de Grenaille, Bibliothèque des dames, trad. redazionale, Francia, 1640
Scopo dichiarato è infatti istruire le donne divertendole. Nel far questo promuovono la lettura di testi teatrali, poesie, romanzi, cioè di quegli stessi generi letterari in cui le donne vanno imponendosi. Il successo editoriale di giornali di moda e romanzi – fenomeno di scala europea – nasce proprio dal fatto che intendono rivolgersi a un pubblico prevalentemente femminile. Se nel secolo precedente le rare donne scrittrici erano spesso indotte ad adottare pseudonimi maschili, ora vi sono uomini che, consapevoli dell’importanza della stampa femminile e di moda, cercano di crearsi una reputazione e di conquistare un nuovo pubblico adottando moduli tipici della scrittura femminile: il registro epistolare e la leggerezza di tono.
Il giornalismo e la stesura di racconti è per molte donne uno strumento di promozione sociale. Famose giornaliste, infatti, hanno spesso origini sociali deboli (Madame Dufresnoy è figlia di un modesto gioielliere, Madame de Beaumont ha fatto l’attrice e la governante); sono per lo più donne di mezza età che, attraverso questa attività professionale, acquistano indipendenza economica e sociale.
Nel corso del Settecento aumenta la differenza fra la condizione della donna in campagna e quella della donna in città. In campagna infatti il lavoro è ancora essenzialmente domestico, a domicilio, c’è scarsa circolazione monetaria, i diversi settori economici (produzione, vendita, servizi) non sono separati e le donne svolgono attività che in città sono compiute da uomini e vengono retribuite.
Quando si parla di una nuova visibilità delle donne nelle strade, nelle piazze, nel mondo del lavoro, ci si riferisce quindi essenzialmente a una realtà urbana. Qui, soprattutto nella seconda metà del secolo, si cominciano a cogliere i segni della progressiva separazione fra mondo del lavoro e lavoro domestico. Una separazione che, nel secolo successivo, coinvolgendo in modo massiccio le donne attraverso la diffusione del lavoro salariato femminile, determinerà tensioni sociali e mutamenti nella struttura familiare. Ma già nel corso del Settecento alcuni provvedimenti volti a limitare il lavoro femminile manifestano esplicitamente preoccupazione per il fatto che un numero sempre più elevato di donne viene sottratto ai lavori domestici. Nei ceti più bassi, in controtendenza rispetto all’orientamento dei ceti medi e superiori, si diffonde il ricorso al baliatico e, contemporaneamente, si assiste a un incremento senza precedenti degli abbandoni di neonati. Mentre vi sono donne del ceto medio che svolgono attività prima riservate agli uomini (ad esempio il giornalismo), nei ceti più bassi il lavoro femminile rientra nei tradizionali settori delle occupazioni domestiche, del lavoro tessile e dell’abbigliamento. Nuove però sono le modalità, connesse all’evoluzione di questi settori: si assiste a una generale tendenza alla professionalizzazione e il lavoro, non più strumento occasionale per la costituzione della dote, diventa spesso l’attività di un’intera esistenza.
Il lavoro porta le donne nelle strade, sulle piazze; la loro presenza negli spazi pubblici è sempre più massiccia, ma soprattutto tende a porsi come presenza autonoma, di soggetti la cui identità è ora meno determinata dalla famiglia di origine.
Le donne e la politica
Per gran parte del secolo le modalità di partecipazione delle donne alla politica rimangono sostanzialmente quelle del secolo precedente: sovrane profondamente diverse come Anna d’Inghilterra e Maria Teresa d’Asburgo devono il loro ruolo al lignaggio; donne influenti come Sarah di Marlbourough, Madame de Maintenon, la marchesa de Pompadour devono la propria forza al ruolo di “favorite”, altre come la duchessa di Maine o Claudine de Tencin a quello di mogli e sorelle di uomini potenti. Allo stesso modo la partecipazione alla vita politica delle donne dei ceti popolari mantiene le stesse caratteristiche dei secoli precedenti: esse, ponendosi alla guida dei frequenti tumulti per il pane, costituiscono lo strumento di cui si avvale la comunità popolare per promuovere, in forme attenuate, le proprie rivendicazioni. Non si tratta, comunque, di un’azione consapevolmente organizzata per ottenere un cambiamento strutturale delle risposte delle istituzioni. Ciò avverrà invece con la Rivoluzione francese. È solo con essa, infatti, che le donne cominciano a porsi come soggetto autonomo, rivendicano in prima persona i diritti di cittadinanza, cercano di appropriarsi di uno spazio pubblico.
La partecipazione delle donne alla Rivoluzione varia a seconda del luogo di residenza, del ceto, del grado d’istruzione, delle convinzioni religiose, ma è certo che, fra i promotori e i sostenitori dell’esperienza rivoluzionaria, la presenza femminile è massiccia e di grande rilievo. Le donne si organizzano per distretti, partecipano alle manifestazioni, promuovono e sottoscrivono petizioni, innalzano le picche, subiscono arresti, scrivono e leggono fogli rivoluzionari, sollecitano all’azione intervenendo nelle assemblee, trattano con la Guardia nazionale e con le autorità municipali.
Fra il 1790 e il 1793, durante la progressiva radicalizzazione delle politiche rivoluzionarie, la presenza femminile è rilevante sia dal punto di vista delle pratiche di sostegno del governo rivoluzionario (donano i propri gioielli, confezionano calze per l’esercito, organizzano le feste rivoluzionarie e vi partecipano), sia dal punto di vista del dibattito e della riflessione politica. Esse operano affinché i princípi rivoluzionari di sovranità popolare, libertà e uguaglianza acquistino consistenza e si estendano a uomini e donne. Una posizione, quest’ultima, che susciterà accesi dibattiti e una forte conflittualità anche all’interno dei movimenti più radicali: a partire dalla fine del 1793 una serie di bandi impone la chiusura di tutti i club e di tutte le organizzazioni popolari femminili e nel 1794, con la caduta della repubblica giacobina, si sancisce l’esclusione dai diritti politici per le donne. Così mentre durante la prima fase (1789-1793) la partecipazione femminile contribuisce ad assegnare un carattere democratico al moto rivoluzionario, dopo il 1793 l’esclusione delle donne dalla vita politica è un segno evidente della nuova fase politica: una fase di involuzione e di arretramento dei princípi democratici.