Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nell’Ottocento gli scavi archeologici subiscono un impulso senza precedenti, grazie al sostegno economico dei più potenti Stati europei che riconoscono nell’acquisizione dei reperti e nella formazione di collezioni di antichità un formidabile strumento di affermazione del prestigio e dell’identità nazionale. Oltre al recupero dei monumenti della Grecia, la ricerca non trascura civiltà meno note, come quella micenea, egizia e mesopotamica.
Gli scavi in Grecia e in Asia Minore
Nell’Ottocento le scoperte archeologiche effettuate in Grecia rivestono un’importanza decisiva per la storia della cultura occidentale: l’esplorazione sistematica del territorio recupera infatti una quantità di materiali così rilevante da permettere di delineare le fasi di sviluppo, gli stili e i protagonisti dell’arte greca.
L’evento destinato a rivoluzionare il concetto stesso di arte classica risale ai primissimi anni del secolo. In questo periodo Atene si trova sotto il dominio turco e i monumenti dell’Acropoli versano in stato di abbandono, a causa dell’incuria e dell’indifferenza delle autorità.
È Lord Thomas Elgin, ambasciatore inglese a Costantinopoli, ad approfittare della situazione: ammiratore entusiasta della decorazione scultorea del Partenone, riesce a strappare alle autorità turche l’autorizzazione per rimuoverla e trasportarla in Inghilterra. Nel 1803 gran parte delle statue dei frontoni, delle metope e delle lastre del fregio intraprendono un viaggio avventuroso verso Londra, rischiando addirittura il naufragio. Elgin, nel frattempo, sottopone i disegni delle sculture a Canova, proponendogli di restaurarle. Ma lo scultore, conscio di trovarsi di fronte ad opere eccezionali, rifiuta l’incarico, dimostrando una sensibilità e un rispetto per l’integrità dell’opera antica assolutamente rivoluzionari rispetto alla prassi dell’epoca.
Quando nel 1806 i rilievi del Partenone giungono finalmente a Londra, il loro valore viene tenacemente negato dagli esponenti della Società dei Dilettanti, massima autorità inglese in campo archeologico. Elgin non demorde e fa esporre i marmi a proprie spese, raccogliendo i primi consensi da parte della ristretta élite che ha la possibilità di ammirarli: il pittore Benjamin Haydon, il principe ereditario Luigi di Baviera, Quatremère de Quincy, Ennio Quirino Visconti, fino a Goethe che ne riconosce da pochi disegni lo straordinario valore artistico. Ma è solo il parere decisivo espresso da Canova a far superare ogni indecisione al Parlamento inglese che nel 1816 dà finalmente l’assenso all’acquisto dei marmi da parte del British Museum. Da quel momento la fama degli Elgin marbles si estende rapidamente in tutta Europa; mentre la comunità scientifica è concorde nel riconoscere questa creazione di Fidia come l’opera cardine dell’arte greca classica.
Nel 1811 una spedizione tedesca preleva i frammenti dei gruppi scultorei dai frontoni del tempio di Atena Aphaia a Egina che vengono acquistati all’asta da Luigi di Baviera. Portati a Monaco e sottoposti al restauro integrativo di Thorwaldsen, vanno a costituire il primo nucleo della gliptoteca che il principe realizzerà nel 1830. Nel 1814 il British Museum incrementa la sua raccolta archeologica con l’acquisto del fregio del tempio di Apollo di Bassae in Arcadia, recuperato tre anni prima. Nel 1821 il Louvre si aggiudica la statua di Afrodite (II sec. a.C.) rinvenuta a Milo e nel 1829 alcune metope del tempio di Zeus a Olimpia, portate alla luce dai francesi Guillaume-Abel Blouet e Dubois. Dal 1833, all’indomani del passaggio della Grecia dalla dominazione turca alla tutela del principe Ottone di Baviera, vengono intrapresi i lavori per l’eliminazione delle sovrapposizioni recenti dalla spianata dell’Acropoli di Atene e quelli per la ricostruzione di vari monumenti, tra cui il tempietto di Atena Nike e l’Eretteo.
A partire dagli anni Cinquanta le ricerche inglesi si concentrano sul recupero del mausoleo di Alicarnasso, in Asia Minore, di cui il British Museum aveva acquistato nel 1846 il fregio con l’Amazzonomachia.
Nel 1857, una volta individuata la posizione del mausoleo, Charles Thomas Newton porta alla luce frammenti di statue e quattro lastre del rilievo del fregio che, messe a confronto con quelle già in possesso del British Museum, restituiscono quasi integra l’opera di Skopas e della sua cerchia (IV sec. a.C.). La storia dell’arte greca si arricchisce così di una testimonianza della plastica di età postfidiaca, a seguito di quelle di età classica (Partenone) e di età arcaica (frontoni di Egina).
Importante per la conoscenza dell’architettura e della scultura arcaica è la scoperta – tra gli anni Sessanta e Settanta – del tempio di Artemide a Efeso.
In questi stessi anni il diffondersi del metodo di rilevamento stratigrafico consente lo scavo sistematico di grandi insiemi di edifici. Uno dei primi complessi a essere indagato nella sua globalità è il recinto sacro di Olimpia, dove gli incaricati del governo prussiano Ernst Curtius e Friedrich Adler rinvengono le sculture dei frontoni e altre metope del tempio dorico di Zeus, nonché la statua di Hermes di Prassitele. In questi stessi anni il direttore della sezione di scultura del museo di Berlino Alexander Conze e l’archeologo Carl Humann collaborano per riportare alla luce i rilievi dell’altare di Pergamo, ricomposti dopo un lungo lavoro all’interno del Museo pergameno di Berlino. Questo capolavoro della scultura ellenistica, che risale con sicurezza al 180 a.C., viene a costituire un altro punto fermo nello studio dell’evoluzione dell’arte greca.
Nel 1878 gli scavi di Samo fruttano al Louvre la statua ionica di Hera. Tra gli anni Settanta e Ottanta si scava a Samotracia (dove viene riportata alla luce la Nike che nel 1863 arriva a Parigi), Delo, Eleusi, Epidauro.
Dal 1885 al 1891 Panagioles Kavvadias dirige lo scavo sistematico dell’Acropoli di Atene, alla ricerca degli strati anteriori alla cosiddetta “colmata persiana” (480 a.C.).
Tra gli innumerevoli reperti emersi, i più significativi dal punto di vista storico e artistico risultano le famose statue delle Korai che rivelano la varietà e la vitalità della scultura ionico attica prima della stagione classica dell’età di Pericle.
Dal 1889 gli scavi tedeschi a Magnesia, Priene e Mileto producono importanti risultati soprattutto nel campo dell’architettura e dell’urbanistica. Sullo scorcio del secolo (1893-1901) è importante segnalare gli scavi francesi a Delfi, dove si rintracciano gli edifici del Tesoro degli Ateniesi e dei Sifni con le loro decorazioni plastiche e viene alla luce uno dei rarissimi documenti noti di scultura in bronzo, la bellissima statua dell’Auriga (prima metà del V sec.).
Gli scavi a Troia e Micene
Un discorso a parte meritano gli scavi di Troia e Micene, entrambi legati alla figura di Heinrich Schliemann. Eccezionale autodidatta, Schliemann è il primo a cercare le tracce di una civiltà greca prestorica, intraprendendo nel 1870 lo scavo sulla collina di Hissarlik in Anatolia, alla ricerca di Troia.
Nel generale scetticismo, guidato dalle indicazioni dell’Iliade di Omero, Schliemann conduce lunghe e faticose campagne di scavo (1871-1873, 1879, 1882-1883, 1889-1890), individuando infine la città di Troia nel secondo dei sette livelli di insediamento urbano emersi dalla collina (secondo ricerche più recenti lo strato risalente all’epoca omerica risulta essere il sesto).
Tra l’ottavo e il nono decennio del secolo, Schliemann estende le sue ricerche ad altre testimonianze di età preclassica, riportando alla luce le mura e le tombe reali di Micene (1874-1876) ed esplorando, con la collaborazione dell’archeologo Wilhelm Dörpfeld, la rocca di Tirinto (1884). Negli ultimi anni della sua vita, Schliemann riesce a impostare l’attività di scavo a Creta che, proseguita con successo da Arthur Evans agli inizi del Novecento, completerà il quadro delle origini della civiltà greca.
Gli scavi in Egitto e in Mesopotamia
L’interesse per l’archeologia egizia si risveglia all’inizio del secolo in occasione della campagna militare di Napoleone (1798-1802), al cui seguito viaggia il barone Dominique-Vivant Denon, incaricato di redigere una Description illustrata dell’Egitto che resterà a lungo un’opera capitale per la diffusione del gusto per le antichità egizie in Europa.
L’inizio del secolo è caratterizzato da una corsa allo scavo che ha tra i suoi effetti la nascita delle collezioni egizie del Louvre, del British Museum e del museo di Torino. Il vero fondatore degli studi di egittologia può esser considerato Jean-François Champollion che nel 1822 risolve il mistero della scrittura geroglifica decifrando l’iscrizione incisa sulla Stele trilingue di Rosetta, rinvenuta durante la spedizione napoleonica.
Sei anni dopo troviamo Champollion con il pisano Ippolito Rossellini a capo di una spedizione franco-toscana in Egitto, la prima che oltre a raccogliere materiale effettua ricerche per acquisire informazioni sul territorio. L’eredità di Champollion è raccolta da Karl Richard Lepsius, nominato dal re di Prussia a capo di una spedizione che, dal 1842 al 1845, raccoglie importanti reperti per il museo di Berlino. Pochi anni dopo, sotto la direzione di Lepsius, vengono pubblicati 12 volumi illustrati di Monumenti egizi che fanno conoscere al mondo l’importanza degli studi egittologici.
Dal 1850 il francese Auguste Mariette dà l’avvio a una stagione di grandi scoperte: il Serapeum e il tempio della Sfinge a Menfi, le liste dei re di Saqqara e Abido, vari monumenti nella regione di Tebe, i templi di Edfu e Dendara, di epoca tolemaica. Nominato dal governo francese direttore dei servizi di antichità in Egitto, Mariette organizza razionalmente le ricerche sul campo e vigila i siti archeologici, per evitare spoliazioni. In seguito, nel 1881, a Mariette succede Gaston Maspero – francese di origine italiana – la cui impresa più importante è il ritrovamento di una ricchissima collezione di mummie regali a Deir el-Bahri.
Nel 1885 Maspero decide di raccogliere i frutti di quattro anni di scavi, restauri e ricerche nell’imponente catalogo generale del museo del Cairo.
La fine del secolo vede l’insediamento in Egitto di missioni permanenti di scavo, dapprima francesi e inglesi, successivamente tedesche, austriache, italiane e americane.
Gli scavi in Mesopotamia
I primi scavi in Mesopotamia si devono all’italo-francese Paul-Émile Botta che tra il 1842 e il 1845 guida una missione in Assiria e riesce a identificare la città di Ninive. I reperti assiri arrivati al Louvre in quell’occasione richiamano l’attenzione del mondo sulle antichissime civiltà mesopotamiche, incoraggiando studiosi francesi e inglesi a intraprendere nuove spedizioni.
Nel 1845 l’inglese Layard si reca a scavare le rovine di Nimrud e in seguito quelle di Kujundschik, arricchendo di materiali mesopotamici il British Museum.
Nella seconda metà del secolo, grazie a una ricerca più sistematica, si scoprono le rovine di molte città, tra cui Uruk, Eridu e Ur: la conoscenza delle civiltà mesopotamiche si estende così fino al IV millennio a.C.
Nel 1897 Jacques de Morgan compie una spedizione a Susa, dove viene alla luce la stele con il codice di leggi di Hammurabi. Il secolo si chiude con l’inizio degli scavi tedeschi a Babilonia che termineranno nel 1914.
Gli scavi in Etruria, a Pompei, a Roma e nella Magna Grecia
Nei primi decenni del XIX secolo studiosi prussiani fondano a Roma la Società degli Iperborei romani (1823) e l’Istituto di corrispondenza archeologica (1828), allo scopo di ricercare e classificare le antichità italiche e in particolar modo etrusche. Dal 1827 in poi, la scoperta degli ipogei dipinti di Tarquinia, Chiusi, Veio, Cerveteri e Orvieto rende nota una serie di pitture parietali intatte, databili intorno al VI-IV secolo a.C., che rivelano forti influenze di modelli greci. In seguito a queste scoperte, gli studiosi prendono gradualmente coscienza dell’importanza della pittura etrusca come tramite per intuire i caratteri di quella greca, di cui nulla è conservato.
Determinanti per la conoscenza della pittura antica sono i numerosissimi reperti vascolari greci emersi dalle necropoli di Vulci, classificati dall’“iperboreo” Eduard Gerhard. Nel 1836 a Cerveteri viene scoperta la tomba Regolini-Galassi, primo documento che risale alla fase più antica dell’arte etrusca, quella cosiddetta orientalizzante (VII sec. a.C.).
Altre scoperte decisive per la storia dell’etruscologia avvengono a Cerveteri (tomba dei Rilievi, 1836), Chiusi (vaso François, 1844), Villanova (necropoli, 1853), Vulci (tomba François, 1857); mentre i materiali raccolti arricchiscono collezioni pubbliche (raccolte vaticane, musei locali) e private.
Dal 1860 Giuseppe Fiorelli conduce ricognizioni in tutta l’area archeologica della colonia romana di Pompei, determinanti per il progresso della conoscenza dell’urbanistica antica. In questi stessi anni August Mau si dedica allo studio sistematico della pittura parietale pompeiana, che per la prima volta viene distinta in fasi dal II secolo a.C. all’età augustea e interpretata come riflesso “provinciale” dei coevi orientamenti artistici della capitale.
Per quanto riguarda Roma, tra il 1839 e il 1849, si rinvengono la statua del Sofocle, fondamentale documento di ritrattistica greca, e una buona copia dell’Apoxiomenos di Lisippo che consente un contatto diretto con l’opera del grande innovatore della scultura greca del IV sec. a.C.
Le scoperte del settimo decennio risultano fondamentali per la conoscenza dell’arte romana di età augustea: nel 1859 vengono raccolti e studiati i frammenti del rilievo dell’Ara Pacis e dal 1861 gli scavi sul Palatino portano al ritrovamento della statua dell’Augusto di Prima Porta e della cosiddetta Casa di Livia con le sue pitture parietali.
Nell’Ottocento comincia a delinearsi l’importanza del ruolo che la Magna Grecia riveste per la storia della cultura e dell’arte ellenica, grazie soprattutto all’opera di studiosi tedeschi: dagli anni Ottanta vengono riscoperti e studiati importantissimi templi, come il tempio ionico di Locri, quello di Zeus ad Agrigento e quello di Selinunte.