Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Per letterature slave si intendono, in questa sede, le civiltà letterarie colte di un insieme di popolazioni che possono essere distinte in tre gruppi: gli Slavi occidentali, gli Slavi orientali e gli Slavi meridionali. Rilevante anche il contributo della letteratura ungherese che, per quanto non slava, viene considerata in questo contesto per evidenti motivi di vicinanza tanto geografica quanto culturale alla contemporanea realtà slava.
Premessa storica
Non si conosce con certezza la zona da cui provennero gli Slavi. Dei tre gruppi etnici fondamentali in cui, per consuetudine, li si suddivide, il primo (Slavi occidentali) nei secoli IX e X occupava la Germania centrale. Il secondo gruppo (Slavi orientali, attualmente divisi in Russi Bianchi, Grandi Russi e Ucraini) aveva avuto, fin dal IV secolo, rapporti con l’Impero romano, ma nel VII secolo fu travolto dagli Avari e riapparve soltanto verso il IX-X secolo, quando costituì il primo Stato russo. Il terzo gruppo (Slavi meridionali, antenati degli attuali Sloveni, Croati, Serbi e Bulgari) varcò il Danubio nel VI secolo e giunse a oriente fino all’Istria e a sud fino a Costantinopoli e a Creta; furono tuttavia sottomessi dai Franchi e dagli Avari, subendone fortemente l’influsso.
Polonia
Dopo il suo secolo d’oro (che va dalla metà del Cinquecento ai primi decenni del Seicento), anche la Polonia conosce un’epoca di decadenza. Durante l’epoca felice, si ha un rigoglioso sviluppo della letteratura, che risente fortemente anch’essa dell’influsso del Rinascimento italiano: tanto in prosa quanto in poesia si compongono infatti opere di alta dignità artistica.
Una delle più celebri è la versione in polacco della Gerusalemme Liberata (1618) a opera di Piotr Kochanowski, che non è una mera traduzione, ma un riuscito adattamento del poema eroico italiano allo spirito e ai costumi polacchi.
Anche se scrive soltanto in latino, il gesuita e poeta Maciej Sarbiewski deve essere ricordato sia per il suo stile vicino alle tonalità e alle movenze barocche, sia per la sua profonda religiosità, sia, infine, perché noto e apprezzato da gran parte degli intellettuali europei.
Jan Andrzej Morsztyn è, per contro, finissimo poeta dell’amore passionale; lettore acuto di Catullo, di Marziale, di Apuleio e, soprattutto, di Giovan Battista Marino; nei suoi componimenti migliori esprime, in forme ricercate e virtuosistiche, una generosa umanità.
Poeta e prosatore è il gran Maresciallo Stanislav Lubomirsky, uno degli intellettuali polacchi più colti e cosmopoliti del tempo. Mentre nei molti suoi dialoghi espone il suo pensiero morale, religioso e politico (di sovente ispirato a Montaigne, Bacon e ad altri umanisti europei), nelle poesie dà voce al suo forte sentimento cristiano.
Krzysztof Opalinski è forse il più abile poeta satirico del secolo: le sue Satire o avvertimenti si scagliano senza pietà contro nobili ed ecclesiastici, smascherandone i costumi perversi, e delineano un’immagine sconsolata della Polonia secentesca.
Grande poeta epico e valoroso guerriero, Samuel Twardowski compone tre ampie epopee. Ne L’importante ambasceria di Cristoforo Zbaraz descrive con tinte vivaci i luoghi veduti nel corso del suo viaggio a Costantinopoli. Nel Ladislao IV re di Polonia e di Svezia, prevalgono motivi encomiastici e patriottico-civili mentre nella Guerra civile coi Cosacchi, Tartari, Russi e poi con Svedesi e Ungheresi sono dipinte con pennellate fosche e accorate le drammatiche vicende storiche della Polonia nel periodo compreso fra il 1648 e il 1660.
In questo ampio epos di notevole precisione storiografica, il poeta effonde il suo dolore con grande concitazione: dinanzi all’invasione degli Svedesi eretici (luterani) e crudeli, al tradimento di una nobiltà quanto mai egoista e, soprattutto, alla devastazione della patria diletta, il cantore delle virtù civili si dispera e si sdegna. Altre due opere di Twardowski, la commedia Dafni e il romanzo in versi L’avvenente Pasqualina, rivelano quanto profonda sia stata l’influenza delle letterature romanze (in questo caso, rispettivamente, italiana e spagnola) su quella del Seicento polacco.
La voce epica più alta del secolo risulta essere tuttavia Walclaw Potocki, solitario gentiluomo di campagna che si cimenta in una vasta gamma di generi letterari, spaziando dal romanzo al trattato, dalla poesia religiosa alla satira. Il poema La guerra di Chocim (1670) è, senza dubbio, la composizione di maggiore impegno di Potocki: esso è incentrato su uno degli episodi più gloriosi della storia polacca, la guerra di Chocim, nella quale polacchi e cosacchi combattono strenuamente e infine scacciano l’indomabile esercito del sultano Osmàn.
Nei suoi versi de La guerra di Chocim il poeta canta con vigorosi accenti le tradizioni religiose e cavalleresche del suo Paese, superando per potenza di ispirazione Twardowski che, nelle sue ampie epopee, non era mai giunto a instaurare un rapporto tanto intimo e originale con la materia cantata.
Stilisticamente imperfetto e, per certi versi, quasi primitivo, l’epos di Potocki presenta, tuttavia, sia immagini di grande forza poetica, sia quadretti pittoreschi e folcloristici. Le altre opere in versi di Potocki, a parte alcune liriche in cui critica i costumi del tempo, sono ben lontane dagli esiti raggiunti ne La guerra di Chocim.
Jan Pasek scrive le più varie e vivaci memorie del secolo; in uno stile spontaneo e colloquiale, questo nobile, che vive un’esistenza movimentata e irrequieta tra guerre, duelli e processi, offre al lettore un affresco realistico, disingannato e spiritoso di una Polonia dilaniata dalla guerra.
Russia
In Russia, fino al Settecento, la letteratura colta è quasi esclusivamente religiosa e morale; il primo libro viene stampato nel 1564. Fra le opere più interessanti del Seicento, bisogna menzionare l’autobiografia dell’arciprete Petrovic Avvakum, uomo di ardente religiosità e grande integrità morale, arso sul rogo nel 1681 per aver animato un vero e proprio movimento scismatico. Scritta in un colorito e turgido stile popolare, l’autobiografia di Avvakum, oltre a illuminare alcuni tratti eccezionali del carattere del suo autore, fornisce una minuziosa e vivida ricostruzione della vita russa, in special modo moscovita, intorno alla metà del Seicento.
Il dotto monaco Simeon Polozky non scrive soltanto opere religiose, ma è anche uno dei primi autori russi che si cimentano in generi profani, componendo odi, drammi e commedie.
Dalmazia
Il Seicento è per la Dalmazia un periodo di profonda inquietudine, causata soprattutto dallapressione turca, da problemi interni e dalla crisi economica; nonostante ciò, le lettere fioriscono rigogliose.
Fra gli scrittori più celebri del periodo (tutti appartenenti alla gloriosa scuola di Ragusa) ricordiamo Pasquale Primi, traduttore di Iacopo Sannazaro e di Ottavio Rinuccini, poeta religioso e satirico; Stefano Giorgi, versatile imitatore di Marino, che coltiva la poesia sacra, erotica e burlesca; Giovanni Gondola, il “Tasso del Seicento raguseo”, sereno ed equilibrato poeta che, sperimentando tutti i generi, eccelle in quello epico (Osmanide); Giunio Palmotta, fecondissimo poeta e dotto umanista, che dà il meglio di sé nella vasta produzione teatrale; Giovanni S. Bona, non solo poeta sensuale e voluttuoso dell’amore-passione, ma anche lirico religioso riflessivo e tormentato; L. Vladislao Menze, delicato poeta pastorale e appassionato cantore dei valori patriottici e religiosi, che non disdegna tuttavia la scorrevole vivacità del burlesco; Giacomo Palmotta, poeta erudito che trae dall’Eneide una tragedia (Didone) tutt’altro che riuscita e scrive un lungo poema storico-eroico (Ragusa rinnovata) ancor meno convincente.
Di fatto, al di là della scuola di Ragusa, fecondissima fucina di poesia, non vi sono né in Serbia, né in Croazia, né in Bosnia personalità letterarie significative.
Nella Slovenia del Seicento, i Gesuiti vedono progressivamente diminuire la propria influenza, fino ad allora predominante, sull’organizzazione e direzione della vita culturale del Paese. Sorgono infatti numerose accademie laiche che favoriscono un repentino risveglio non solo della letteratura, ma anche delle scienze e delle altre arti nazionali. Nei centri culturali sloveni, poi, rimangono forti l’orgoglio patriottico e le aspirazioni all’autonomia da Vienna.
Ludwick Schonleben e Jamz V. Valvasor sono gli storici più interessanti del secolo. Il secondo, nobile nativo di Lubiana (ma di origine bergamasca), scrive un’opera davvero monumentale (L’onore del Ducato di Carniola) di ben 3.320 pagine infolio; in essa egli tratta con minuzia certosina la storia, la geografia, l’etnografia della Carniola, della Croazia e del Litorale.
Cecoslovacchia
Con la battaglia della Montagna Bianca (1620), comincia per la Cecoslovacchia un periodo di grande decadenza, in cui essa deve subire le rappresaglie asburgiche e tollerare il peso di 30 terribili anni di guerra. La maggior parte degli intellettuali, come ad esempio Comenio,prende la dura strada dell’esilio, privando il paese delle forze culturali più vitali.
Il sapere rimane così appannaggio dei Gesuiti che, in gran parte stranieri, ottengono di fatto la direzione della totalità delle istituzioni culturali. La poesia dell’età della Controriforma non dà alcun frutto saporoso o profumato.
La personalità intellettuale più interessante del secolo è, forse, il gesuita Boris Balbin, che per tutta la vita lavora a un grandioso progetto di storia patria, che riesce a portare a termine solo in parte. Pur essendo condizionati da angusti pregiudizi ideologici e privi di rigore scientifico, gli scritti di Balbin rivelano un grande amore per il proprio Paese, un’erudizione vasta e poliedrica e ardite aspirazioni a un quadro storico onnicomprensivo ed esaustivo.
Ungheria
Mancando in questo paese una tradizione colta in volgare, l’egemonia del latino si mantiene più che altrove. Solo negli ultimi decenni del Cinquecento si ha il primo poeta non popolare che scrive in ungherese, Balint Balassa, che esprime nei suoi versi un’intensa religiosità. In Ungheria, comunque, l’influenza dei classici, dell’umanesimo e del Rinascimento (soprattutto italiano) rimane potente per molti decenni ancora.
Sulla scorta dell’Ariosto e del Tasso, Miklós Zrinyi rielabora in maniera personale la loro lezione, arricchendo di molte valenze nuove la lingua e la letteratura nazionali. Nel suo poema epico L’assedio di Sziget (1651) canta le aspre lotte degli ardimentosi Ungheresi contro il crudele nemico turco.