Le macchine e gli artefici: immagini di un’Italia preindustriale
Se l’Italia dei Comuni e delle Signorie ha il suo ‘rinascimento’ a partire dal Trecento, il retaggio dell’artigianato medievale, supportato dalle confraternite e dalle congregazioni, mantiene le arti confinate in ambiti spesso separati tra di loro e il trasferimento dei saperi è ostacolato dall’idea che il ‘segreto’ sia l’unica strada per conservare un patrimonio di conoscenze accumulato nel tempo.
La «tecnica del artesano», come è stata definita nel 1934 da José Ortega y Gasset, si fonda su saperi che riescono a trovare nell’artefice, colui che sa fare, il completamento di tutto il processo produttivo, dal reperimento delle risorse naturali sino alla vendita del prodotto finito. E a questo punto vale la pena di precisare sul piano linguistico e semantico l’esatta corrispondenza tra i termini arti, tecniche e tecnologie, che trovano le loro origini nelle artes dei Romani e nelle technai dei Greci, senza distinzioni alcune, né cronologiche né strutturali.
Negli ultimi decenni del Medioevo, ancora gestito sul piano della comunicazione da testi manoscritti, le tecnologie più avanzate sono quelle militari le quali, per loro natura, restano segrete e di pertinenza di pochi. Il Texaurus regis Francie (1335) di Guido da Vigevano, il De re militari (compilato tra il 1446 e il 1455) di Roberto Valturio, il De ingeneis (4 libri, 1419-1433, con successive aggiunte fino al 1449) di Mariano di Jacopo, detto il Taccola, e gli stessi Trattati di architettura civile e militare (compilati negli anni Ottanta e Novanta del Quattrocento) di Francesco di Giorgio di Martino, meglio noto come Francesco di Giorgio, sono opere destinate alla committenza di signori e potenti: le tecnologie che essi contengono, al di là del fatto che ci possano oggi sembrare ingenue, devono essere gelosamente custodite. Lo stesso Leonardo da Vinci mai pensò di pubblicare alcuna sua invenzione.
Nella storia della tecnologia italiana è però la cupola di S. Maria del Fiore a Firenze a segnare la svolta tra un passato di tradizioni e un futuro di nuovi saperi. Filippo Brunelleschi riesce in questa impresa perché riesce a essere un vero ‘tecnico’ nell’accezione di Ortega y Gasset. Brunelleschi è un uomo che «sa far fare», che sa coordinare diversi saperi, che anticipa i paradigmi della rivoluzione industriale per cui bisognerà ancora attendere alcuni secoli. Ma la cupola è anche l’elemento che porrà ingegneri e architetti di fronte agli insormontabili problemi indotti dai problemi di scala. Tutto il mondo antico, sino al Quattrocento si fondava sui criteri euclidei di similitudine e la «(divina) proporzione»» era alla base di congetture che supponevano la fattibilità di un’opera quando un modello in scala ne avesse provata la consistenza. Ma le non linearità dei sistemi fisici non concedono di ingigantire all’infinito ciò che strutturalmente resiste in più ridotte dimensioni e bisognerà attendere i Discorsi e dimostrazioni matematiche di Galileo Galilei per averne la dimostrazione nel famoso passo dell’osso del gigante. La cupola di S. Pietro progettata e costruita da Michelangelo presto soffrirà di lesioni strutturali e solo l’intervento di Giovanni Poleni (1683-1761) con opportune cerchiature metalliche ne garantirà la stabilità.
Sarà l’architettura a cimentarsi nelle più ardite costruzioni sfidando le regole della statica e trasformando le scenografie teatrali in palazzi e chiese. Da Guarino Guarini a Filippo Juvarra il Barocco non sarà solo illusione scenica ma saprà diventare un modello da replicare anche al di là delle Alpi.
Intanto i cannoni, frutto dei progressi della metallurgia e della chimica delle polveri, impongono drastiche trasformazioni alle opere difensive delle città: le alte torri e le mura verticali subiscono una profonda mutazione ispessendosi perché solo spessi terrapieni possono frenare l’impatto dei proietti. Da Sassocorvaro a Palmanova le mura bastionate danno forma a profili stellati. Presto arriveranno in Italia le nuove tecniche di fortificazioni alla Vauban e queste, nelle loro molteplici varianti, continueranno a munire le nostre città sino alle napoleoniche distruzioni.
Le arti dei metalli e le tecniche del fuoco, che ritroviamo nel De re metallica (1556) di Georg Bauer, scritto in latino, e ne De la pirotechnia (1540) di Vannoccio Biringucci (o Biringuccio), scritta in italiano, sono il segnale che qualcosa sta cambiando e che i saperi non sono più affidati a ricettari o a pratiche tramandate da maestro ad allievo, ma incominciano a sfruttare gli effetti della rivoluzione della stampa, e proprio di fronte a questa rivoluzione dell’informazione, che avrà anche fortissimi effetti politici, nasce un nuovo genere letterario, destinato a promuovere la tecnica non solo presso un pubblico colto, ma anche nei confronti dei gestori della cosa pubblica che sempre più hanno bisogno di confrontarsi con il progresso. I ‘teatri’, anticipati e sollecitati dal celebre volumetto Idea del theatro (postumo 1550) di Giulio Camillo, si presentano come opere ampiamente illustrate che con il potere delle immagini comunicano i nuovi saperi.
Anche le ‘macchine’ trovano nei loro teatri una nuova dignità e presto diventeranno oggetto di attenzione anche da parte di estimatori d’arte e antiquari come i romani Ottavio e Jacopo Strada, stimati presso le corti europee. Dallo svizzero italiano Agostino Ramelli, sino a Vittorio Zonca e Giovanni Branca, solo per citare i principali, assistiamo a un processo di legittimazione della tecnica che ben segue il famoso motto di Guidobaldo dei marchesi Del Monte: «mechanico è vocabolo onoratissimo».
Le trasformazioni della comunicazione visiva, sempre più attenta a specificare la macchina e a crearne nuove tassonomie, fanno dei ‘teatri di macchine’ uno degli elementi centrali di una società che si prepara ad accogliere la rivoluzione scientifica. Se, da un lato, le tecniche degli orafi, a cui si era formato il Brunelleschi, avevano dato il via a quel processo che Alexandre Koyré definirà della transizione «dal mondo del pressappoco all’universo della precisione», dall’altro, la chimica, la metallurgia, la meccanica fine, cresciute intorno agli orologi e alle tecnologie della stampa trovano nella strumentaria scientifica nuovi spazi per progredire e l’Arte vetraria (1612) del fiorentino Antonio Neri, il principale trattato sul vetro del Seicento, ottiene un grande successo e più volte viene ristampato in diverse lingue.
Nel 1626 viene stampata a Venezia La piazza universale di tutte le professioni del mondo in cui Tomaso Garzoni descrive tutte le attività umane, sia nel campo delle professioni più nobili, sia in quelle più abiette. In questa che non può definirsi un’enciclopedia, ricca di dotte citazioni e spesso troppo legata alla tradizione dei classici, si ha certo un’importante rassegna del lavoro all’alba dell’epoca barocca.
Senza gli strumenti scientifici, dall’orologio a pendolo al termometro, al barometro, alle pompe a vuoto, che ormai sono il prodotto di un’attività produttiva allargata ben oltre i confini dell’Italia, ancora politicamente frammentata e sotto il controllo dei grandi imperi, nasce la nova scientia. Galilei è scienziato italiano, ma la sua fama e la sua visibilità è assolutamente ben affermata in tutta Europa.
La condotta delle acque è elemento chiave per ogni società sia per quanto riguarda la navigabilità dei canali, sia per la gestione della risorsa idrica per scopi sia energetici sia irrigui. Già alla fine del 15° sec. Leonardo da Vinci è impegnato a Milano per l’organizzazione dei Navigli e successivamente i suoi studi spazieranno dalle macchine idrauliche all’interpretazione dei fenomeni idraulici intorno alle pile dei ponti come nei vortici delle cascate: sono osservazioni che preludono a una scienza idraulica che presto vedrà in Benedetto Castelli, amico e corrispondente del Galilei, uno dei fondatori di questa scienza e autore del trattato Della misura delle acque correnti (1628). Della condotta delle acque si occuperanno sino al primo Ottocento anche illustri giuristi come Gian Domenico Romagnosi (Della condotta delle acque, 1823-25) e non mancherà una Raccolta d’autori italiani che trattano del moto dell’acque, come quella in 10 volumi (1821-1826) curata da Francesco Cardinali, che riporta testi da Archimede, Leonardo e Galilei, sino ai suoi contemporanei.
Difficile è distinguere la cosiddetta scienza pura e speculativa dalla pratica sperimentale, condotta in laboratorio, ma anche e soprattutto in campo, perché spesso gli scienziati, o meglio i ‘filosofi (naturali)’, costruivano i propri strumenti personalmente, con le proprie mani. E dopo l’intuizione galileiana della legge dell’isocronismo del pendolo, e dopo le innovazioni condotte sulle macchine per la misura del tempo condotte dallo stesso Galilei, dai suoi discepoli e da Christiaan Huygens (1629-1695), l’orologio da strumento scientifico entra nella cultura barocca da protagonista e moltissimi sono i poeti che, come ha evidenziato Vitaniello Bonito nella sua antologia Le parole e le ore (1996), hanno trasfigurato nelle macchine del tempo, le nuove tensioni essenziali di una società in forte mutamento.
La storia della tecnica e dell’innovazione non segue percorsi lineari, resi ancora più intricati dal fatto che la carenza di documenti la fanno diventare una tacit knowledge. Alle volte, sistemi in forte evoluzione entrano in crisi e collassano per cause minori; altre volte sembra che la legge della serendipity regoli il caso.
In un Paese ancora travagliato da forti conflitti politici e militari la seta, arrivata attraverso le vie dell’Oriente che approdavano nel Mediterraneo ai porti delle Repubbliche marinare, trova nella Lucchesia un primo terreno fertile e di lì nel 15° sec. arriva a Firenze, quindi a Bologna. La meccanizzazione idraulica del torcitoio, dove decine e decine di fusi si muovono all’unisono, fa le fortune dei setaioli bolognesi costituendo un primo esempio del sistema di fabbrica moderno. Alcuni casi di spionaggio, almeno così vuole la tradizione, fanno perdere il primato di Bologna e lo trasferiscono a Torino e in Piemonte dove per tutto il 18° sec. la seta diventa la primaria fonte di reddito. La pebrina, una malattia dei bachi, alla fine del secolo farà entrare in crisi il sistema e il baricentro dell’industria serica si sposterà nel Lariano dove era arrivata alcuni secoli prima, così come in Veneto e in Friuli. Chi non ricorda Bortolo, il cugino di Renzo Tramaglino, setaiolo nel Bergamasco?
Se fissiamo ancora l’attenzione a quei sistemi che anticipano i paradigmi della rivoluzione industriale, che invece in Italia arriverà con un certo ritardo rispetto agli altri Paesi europei, non possiamo invero dimenticare gli arsenali di mare e di terra dove la figura del tecnico, che coordina diverse arti e progetta il prodotto finale, è centrale. Come si potrebbe dimenticare lo «arzanà de’ Viniziani» famosissimo nel Trecento e cantato da Dante nel XXI canto dell’Inferno. Manterrà il proprio primato per molti secoli e ancora agli inizi del Seicento, quando soggiornava a Padova, Galilei ne elogiò i proti, veri ingegneri moderni ante litteram.
E a Venezia ritroviamo gli archetipi della regolamentazione della tutela dell’invenzione: lo Statuto dei brevetti è promulgato il 19 marzo 1474 dal Senato della Repubblica, accompagnato da queste parole: «Abbiamo fra noi uomini di grande ingegno, atti ad inventare e scoprire dispositivi ingegnosi: ed è in vista della grandezza e della virtù della nostra città che cercheremo di far arrivare qui sempre più uomini di tale specie ogni giorno». Ma bisognerà attendere l’istituzione delle Accademie delle scienze supportate dai governi per avere regolamentazione formale per la concessione dei privilegi industriali alle soglie del 19° secolo. L’accademia torinese, nata dalla Società privata fondata nel 1757 dal matematico Luigi Lagrange (1736-1813), dal medico Gian Francesco Cigna (1734-1790) e dal chimico militare Angelo Saluzzo di Monesiglio (1734-1810), è istituita con «regio viglietto» nel 1783 e subito si interesserà di quei temi di ricerca e innovazione che sono atti a «procurare qualche reale vantaggio alla comune società». Da queste premesse, già esplicite nei Regolamenti, presto gli accademici saranno invitati a valutare le invenzioni, a discutere i provvedimenti tecnici del governo volti a superare le crisi economiche. Ma soprattutto l’Accademia diventerà il centro di una fitta corrispondenza tra scienziati dell’intera Europa, in un contesto dove le scienze applicate e le tecniche sono davvero al centro di quello che nel secolo seguente sarà chiamato progresso.
Ritornando agli arsenali, senza trascurare quello estense di Ferrara dove le tecnologie di fusione dei cannoni raggiunsero già nel 16° sec. alti livelli, e senza dimenticare le tradizioni giunte sino a noi degli armaioli bresciani, un particolare riguardo si deve avere per il giovane arsenale torinese nel giovanissimo Regno di Sardegna. Per meglio organizzare la macchina dello Stato il re Vittorio Amedeo II diramò in data 23 marzo 1726 un Regio viglietto sulle norme di «construzione de’ novi Inventarij dell’Artiglieria» e in seguito a ciò Carlo Emanuele III nel 1731 incaricò il commendator Giovanni Battista D’Embser di redigere: un «novo Vocabolario […] sovra tutte le categorie» concernenti l’Artiglieria, una Raccolta di «dissegni, piante e profili» di ogni voce del predetto «Vocabolario» e una collezione di «Modelli e mostre» in scala di ogni categoria e roba di artiglieria. In meno di due anni furono redatti un Dizzionario Istruttivo di tutte le Robbe appartenenti all’Artiglieria e una raccolta di Dissegni d’ogni sorta de Cannoni et Mortari con tutte le pezze, stromenti et utigli appartenenti all’Artiglieria come anco le piante, alzate et profili di tutte le machine, edifizy, et ordegni necessary per la medema l’anno 1732. Questi due documenti, che sanciscono non solo a livello italiano l’ingresso della normativa tecnica in campo militare, saranno d’esempio perfino per la redazione delle Planches dell’Encyclopédie.
E mentre a Parigi un gruppo di scienziati guidati da Denis Diderot e Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert sta lavorando all’Encyclopédie, a Napoli un gruppo di uomini di lettere e scienze tra cui Bartolomeo Intieri (1677-1757), Celestino Galiani (1681-1753) e Antonio Genovesi (1713-1769), in pieno spirito illuminista, discute intorno alla possibilità di costruire strumenti utili all’umanità. Nel 1716 l’Intieri aveva pubblicato la Nuova invenzione di fabbricar mulini a vento, ma il successo arriverà con il saggio Della perfetta conservazione del grano (1754), a cui collaborò certamente anche il Genovesi.
Le enciclopedie in Italia non ottengono i successi e le attenzioni che si riscontrano in Francia e Inghilterra, anche se la Cyclopaedia di Ephraim Chambers sarà tradotta nella nostra lingua in una edizione stampata a Venezia nel 1748-1749. Mentre si ripubblicano le edizioni francesi dell’opera di Diderot e d’Alembert a Lucca (1758-1776) e a Livorno (1770-1778), nel 1768, presso l’editore veneziano Modesto Fenzo, Francesco Griselini inizia a curare il Dizionario delle arti e de’ mestieri che continuerà fino al 1778 quando verrà preso in mano dall’abate Marco Fassadoni il quale concluderà l’opera sino al diciottesimo volume. È un’opera certamente non confrontabile con gli altri ‘dizionari’, ma è una viva testimonianza di un mondo di artigiani che ancora non ha colto che qualcosa sta cambiando.
Di lì a pochi anni i venti della Rivoluzione francese sconvolgeranno i vari Stati italiani e la cultura d’oltralpe modificherà profondamente anche le tecniche. Molti giovani, soprattutto dal Settentrione, si recheranno a studiare a Parigi e saranno pronti nel nuovo secolo ad affrontare le nuove sfide della nascente industria.