Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’economia europea del basso Medioevo si caratterizza per un’accentuata specializzazione delle aree produttive e una loro forte interdipendenza. Il commercio si giova della crescita generale e aumenta il volume degli scambi; tra le merci privilegiate troviamo beni alimentari e tessuti. Intorno al panno lana, che fa la fortuna di Fiandre, Italia centro-settentrionale e Inghilterra, si gioca la partita più redditizia. I mercanti all’ingrosso di lana, nelle rispettive città, si uniscono in associazioni che, oltre al potere economico, riescono a ottenere anche quello politico, arrivando a dirigere la politica urbana e da questa posizione di forza a imporre dure condizioni di lavoro alla manodopera artigiana.
Nei secoli XIII e XIV l’Europa vive un periodo di rinascita economica, qualificata dagli storici come rivoluzione commerciale, in cui si registra un incremento delle produzioni agricola, mineraria e manifatturiera e un consistente aumento delle merci in circolazione. Quelle trasportate dai mercanti del sud e del nord del continente sono molto differenti tra loro e in qualche modo complementari. Possiamo preliminarmente affermare che, mentre il commercio nordico si basa su prodotti di uso quotidiano, dai viveri alle materie prime, quello del sud ha come oggetto principale le merci di lusso e di ornamento. Nella realtà, però, questa differenza è molto meno palpabile poiché due sono le caratteristiche salienti del commercio internazionale medievale: la prima riguarda una specializzazione regionale delle produzioni, per cui ci sono aree quali la Borgogna, l’Aquitania, l’Italia meridionale, prevalentemente agricole e altre, come Fiandre, Italia settentrionale e Inghilterra che preferiscono incrementare l’attività manifatturiera. La seconda caratteristica attiene all’interdipendenza economica che discende da questa “divisione internazionale del lavoro”, per cui ciascuna area ha bisogno dei prodotti delle altre. Ad esempio, la Guascogna, che è tutta dedita alla produzione di vino, deve importare buona parte degli alimenti; le Fiandre e il Brabante, dove la popolazione industriale è più grande di quanto la locale produzione agricola può sostenere, si alimentano con il grano che, prodotto in abbondanza nella Francia settentrionale, viene qui trasportato lungo la Schelda e la Somme.
Lasciando da parte le materie prime per concentrarci sulle manifatture, possiamo affermare che al centro degli scambi internazionali ci sono principalmente prodotti alimentari e tessuti. Tra i primi, uno degli articoli privilegiati è il vino: quanto questo traffico sia prospero lo dimostra il fatto che il barile viene assunto quale unità di misura per la stazza delle navi. La sua produzione si va a mano a mano restringendo ad alcune regioni altamente specializzate. I vini prodotti in Guascogna hanno come destinazione principale l’Inghilterra; si calcola che all’inizio del XIV secolo fossero qui esportati tra gli 80 mila e i 100 mila barili annui. Se il primato va ai vini francesi, molto apprezzate sono anche alcune qualità spagnole, così come i vini della valle del Reno e quelli prodotti in Grecia e a Cipro. Solo successivamente comincia a essere esportata la birra prodotta in Germania nord-occidentale e in Olanda.
L’industria casearia ha particolare diffusione in Inghilterra, nel Lancaster e nello Yorkshire, dove vengono prodotti formaggi, ma soprattutto burro, che forse per la sua funzione di succedaneo dell’olio viene esportato in grandi quantità, così come il lardo affumicato prodotto a Ipswich. Cospicuo durante tutto il Medioevo è il consumo di pesce e numerosi sono i vivai di aringhe. Quella bianca, affumicata o salata, viene prodotta principalmente in Norvegia, Scania e Paesi Bassi settentrionali, mentre dall’Islanda vengono i maggiori quantitativi di stoccafisso.
Vari sono i prodotti tessili dell’Europa medievale, cotone, lino, canapa, seta sono tutte fibre parimenti utilizzate per confezionare tessuti. Il cotone è prodotto a Malta, in Grecia, a Cipro, in Spagna, in Sicilia, Puglia e Calabria. Il migliore, quello siriano, è acquistato in grossi quantitativi da Veneziani e Genovesi e alimenta l’industria italiana dei fustagni, panni spessi e resistenti che per il loro costo contenuto sono adatti a un vasto consumo.
Fustagni italiani si diffondono prima a Costantinopoli e nel Mediterraneo e, a partire dal Trecento, anche nell’Europa centrale, nelle Fiandre e in Inghilterra. Stoffe di lino sono prodotte principalmente in Francia settentrionale, in Svizzera e in Germania meridionale; la tela per le vele, invece, in Bretagna e nel Baltico. Fiorente è l’industria serica italiana che da Lucca, suo centro principale, si espande a Bologna, Firenze, Genova, Venezia.
Una posizione di assoluta preminenza è quella occupata dai panni di lana, la cui importanza sta tanto nel consumo che ne fanno tutte le classi sociali, quanto nel loro essere la principale merce di esportazione nel Levante e in Africa. Sebbene largamente lavorati in Europa, sono le Fiandre, l’Italia e l’Inghilterra le regioni che avviano una produzione su vasta scala. Nelle Fiandre del secolo XI una eccedenza di popolazione non più in grado di sostentarsi con il lavoro dei campi fornisce la manodopera al settore tessile, i cui panni vengono scambiati con viveri e materie prime. Nel secolo XII il settore della lana è in espansione; nelle Fiandre francesi si distinguono cinque grandi città produttrici, Arras, Saint Omer, Douai, Lille e Tournai, in quelle fiamminghe Ypres, Gand e Bruges. Il dinamismo di quest’area ha favorevoli ripercussioni anche su quelle limitrofe.
A cavallo tra il XII e XIII secolo anche il Brabante sviluppa una produzione di panno lana che trova collocazione alle fiere della Champagne dove le città di questa grande area si presentano come un gruppo economico coeso rappresentato dall’Hansa delle 17 città (ma il loro numero è superiore). L’associazione si occupa di tutelarne gli interessi portando avanti una comune politica di esportazioni. Medesima provenienza hanno quei mercanti che oltremanica si riuniscono nell’Hansa fiamminga di Londra, principale acquirente delle lane grezze inglesi.
A partire dalla seconda metà del XIII secolo le Fiandre vivono un momento politico particolare: alle difficoltà connesse con una riduzione delle importazioni di lana dall’Inghilterra si aggiunge un difficile rapporto con il sovrano francese e la rivolta dei lavoratori salariati contro la classe mercantile dominante. Con il deteriorarsi della situazione, numerosi fabbricanti di panno emigrano nelle città italiane che, bisognose di manodopera specializzata, li attraggono garantendo loro l’esenzione dai dazi sia sulle importazioni di materie prime sia sulle esportazioni di prodotto finito.
Tale situazione, che non manca di riverberarsi sugli affari dell’Hansa fiamminga, consente all’abile classe mercantile italiana di sostituirsi a questa nel ruolo di acquirente di punta delle lane inglesi, cosicché grazie alle migliori lane d’Europa, alla larga disponibilità di tinture orientali e mediterranee, alle conoscenze tecniche importate, e al capitale dei suoi mercanti, la manifattura tessile italiana della prima metà del XIV secolo, va a occupare una posizione di vertice in Europa. Le principali protagoniste di questa ascesa sono Milano, Brescia, Verona, Parma, Padova, Como, Monza, Bergamo, Vicenza, Treviso, Mantova e Cremona nell’Italia settentrionale; in Toscana, Firenze con una produzione di circa 80 mila pezze all’anno e poi Pisa e Lucca; in Romagna, Bologna e in Umbria, Perugia.
L’aumento della produzione di queste aree è in parte anche la conseguenza dell’introduzione del filatoio a ruota, già da tempo utilizzato in Oriente, composto da una grossa ruota azionata a mano, che per mezzo di una cinghia di trasmissione mette in rotazione il fuso intorno al quale si torce il filo di lana. Il filo ottenuto è poi sottoposto a un altro passaggio nella ruota per renderlo più sottile e resistente. Ulteriori perfezionamenti verranno portati nel XV secolo con l’aggiunta di un pedale per azionare la ruota, e delle alette a forma di “U” intorno al fuso, in modo che un solo addetto possa svolgere contemporaneamente le due operazioni di filatura e di avvolgimento del filo in matassa.
L’espansione inglese, favorita dalla presenza di migliaia di capi di pecore e di terreni idonei alla coltivazione di piante quali robbia, guado, guaderella, utilizzate nei processi di tintura, comincia nel XII secolo e si va sviluppando grosso modo in tutto il Paese, in particolare nell’area che comprende le città di Lincoln, Stamford, York, Beverly, Louth, Northampton e Leicester. La produzione inglese è però arretrata rispetto a quella delle Fiandre e nel complesso le esportazioni di lana grezza hanno un peso maggiore rispetto a quelle di prodotto finito. Anche qui come nelle Fiandre si apre, nell’ultimo trentennio del XIII secolo, una lotta tra ceti mercantili e maestranze, alla quale si accompagna una contrazione della produzione dei centri lanieri più antichi. Tuttavia, se ciò può far pensare a un appannamento del settore, la causa della contrazione non è tanto nella controversia di cui sopra quanto in un parallelo fenomeno di avanzamento tecnico, per cui la diminuzione del numero di panni realizzati dai nuclei tradizionali è compensata da quella delle aree rurali che la diffusione del mulino per follare ha trasformato in manifatturiere. La necessità di avere a disposizione rapidi corsi d’acqua in grado di imprimere movimento alle pale dei mulini fa sì che la follatura venga svolta all’esterno delle città portando nuove prospettive di sviluppo in aree che fino a quel momento ne sono state prive.
La lavorazione del panno di lana, per le materie prime impiegate, non tutte presenti nell’area dove avviene l’attività di trasformazione, e per il gran numero di figure professionali coinvolte, richiede una organizzazione del lavoro che gli storici non hanno esitato a definire di tipo capitalista, con la presenza di un imprenditore che acquista le materie prime, le affida agli artigiani per la lavorazione e rivende il prodotto finito. In questo senso si può affermare che le strutture produttive laniere italiane, fiamminghe, inglesi, caratterizzate da una estrema divisione del lavoro, sono di tipo capitalistico.
Sottoposti al lanaiuolo in Italia, al draper in Inghilterra e al drapier nelle Fiandre, troviamo un insieme di lavoratori salariati, tessitori, follatori, stenditori, tosatori e tintori, pagati a cottimo sulla base di un salario che è il risultato di un aspro conflitto con la classe dominante; su un gradino più basso un gruppo di umili artigiani, battitori, cardatori, pettinatori, filatori che non possiedono alcuno strumento di lavoro e che, privi di qualsiasi potere contrattuale (finanche della possibilità di associarsi, anche solo per scopi devozionali) svolgono le proprie mansioni presso l’imprenditore. Gli imprenditori riuniti nelle loro gilde detengono il potere economico e occupano posizioni di vertice all’interno del governo cittadino che presiede al controllo dei salari, delle condizioni di lavoro, e alla concessione dei diritti associativi. Rappresentanza e salario sono perciò al centro delle rivendicazioni di questi gruppi più umili contro le corporazioni mercantili.
La rivolta che ha luogo nelle Fiandre nel 1280, estendendosi in pochi giorni alle città di Bruges, Ypres, Douai, Tournai, segna l’inizio della decadenza di quest’area produttrice, messa in ginocchio dalla penuria di lana e dai difficili rapporti con il sovrano francese. Circa un secolo dopo, nel giugno del 1378, i lavoratori più umili del settore laniero fiorentino, i Ciompi, ultimi nella scala sociale dell’epoca, animano una sommossa per chiedere il diritto di associazione e la partecipazione alla vita pubblica. Capitanati da Michele di Lando (1343-1401) hanno una momentanea affermazione, ma la forte oligarchia mercantile riesce in breve tempo ad avere la meglio.