di Valerio Briani
A partire dal 2003, l’EU ha inviato all’estero ben 25 missioni, 17 delle quali di natura civile o civile-militare. Le missioni attualmente in svolgimento sono 13: tre militari e 10 civili.
Nel corso di questi sette anni, il raggio di azione delle missioni si è progressivamente sviluppato, sia dal punto di vista geografico che dei compiti che i contingenti europei sono chiamati a svolgere. Il teatro balcanico rimane la principale area di impegno per la Politica comune di sicurezza e difesa (nuovo nome della ESDP dal Trattato di Lisbona). La più grande missione europea è infatti EULEX Kosovo, con uno staff di circa 2800 funzionari civili. Nel corso degli anni, tuttavia, il raggio di intervento si è spostato sempre più verso l’esterno fino a raggiungere un respiro globale, in particolare verso il Medio Oriente (missioni in Iraq e nei Territori palestinesi) e l’Africa (Somalia, Corno d’Africa e Congo).
Anche il range di operazioni compiute dalle missioni europee si è ampliato. I compiti originariamente assegnati alle missioni europee (i cosiddetti ‘compiti di Petersberg’) prevedevano missioni umanitarie e di soccorso, attività di mantenimento della pace e la gestione delle crisi (incluse le missioni per il ristabilimento della pace come peacekeeping, peace-building e peace-enforcement). Il Trattato di Lisbona ha poi ampliato il novero delle possibili missioni, includendo anche azioni in materia di disarmo e missioni di consulenza e assistenza in materia militare, stabilendo anche un legame esplicito di tali missioni alla lotta contro il terrorismo internazionale. È da sottolineare però che nessuna missione si sia svolta finora in un contesto ad alta intensità; la capacità europea di intervenire in aree non permissive deve quindi ancora essere messa alla prova.
L’esperienza accumulata ha però evidenziato alcune problematiche. La prima, squisitamente politica, riguarda la mancanza di una visione di politica estera europea condivisa da tutti gli stati membri, mancanza che impedisce l’identificazione di una chiara strategia riguardo l’utilizzo dei contingenti europei. Questo vuoto strategico determina necessariamente incoerenza tra le varie missioni e favorisce inoltre la tendenza all’invio di missioni a scopo puramente dimostrativo, le cosiddette Show-the-flag Missions. Ci si chiede, per esempio, che senso abbia inviare 19 esperti per contribuire alla riforma del settore della sicurezza in un paese governato da un’élite corrotta e autoritaria (la missione EUSSR in Guinea Bissau, terminata nel dicembre 2010).
Il secondo problema è relativo alle risorse che i paesi membri dell’EU sono in grado di mettere a disposizione. Per quanto riguarda le missioni militari, l’EU è riuscita a dotarsi nel corso degli anni di una serie di strumenti istituzionali per la costituzione di contingenti da inviare in missione. Tuttavia, molto lavoro rimane ancora da fare, in particolare per i settori dell’intelligence, del trasporto strategico, della generazione delle forze: il tutto in un contesto di budget della difesa stagnanti - quando non in contrazione - in tutti i paesi europei. Per quanto riguarda il personale civile, manca ancora un adeguato quadro di riferimento che garantisca una preparazione adeguata e omogenea del personale da inviare in missione.
L’approvazione del Trattato di Lisbona ha sancito la fine della prima fase di sviluppo di capacità europee di intervento all’estero, fase nella quale sono state compiute esperienze positive e significative. Adesso l’Europa dovrà affrontare i nodi sopra evidenziati se vorrà possedere capacità all’altezza delle sue ambizioni di attore globale.