Le modifiche processuali in tema di dibattimento
Poche, ma non marginali, le innovazioni introdotte dalla l. n. 103/2017 alla disciplina del dibattimento. Da un lato, infatti, viene estesa anche agli imputati per i reati comuni la disciplina, sino ad oggi riservata agli imputati di reati di criminalità organizzata, che consente la loro partecipazione al dibattimento in videoconferenza. Dall’altro, è stato puntualizzato lo schema astratto della struttura della sentenza, che dovrà riguardare specificamente tutti i punti attraverso i quali si snoda l’iter argomentativo della decisione (l’accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all’imputazione, la loro qualificazione giuridica; la punibilità, la determinazione della pena, secondo le modalità stabilite dal comma 2 dell’art. 533 c.p.p., e la misura di sicurezza; la responsabilità civile derivante dal reato; l’accertamento dei fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali).
La l. 23.6.2017, n. 103 è intervenuta sulla disciplina del dibattimento, modificando, da un lato, la disciplina della partecipazione dell’imputato a distanza, contenuta nell’art. 146 bis disp. att. c.p.p. (e, come si vedrà, delle parti) e, dall’altro, la struttura esterna che, ai sensi dell’art. 546, co. 1, lett. e) c.p.p., deve assumere la motivazione della sentenza. Entrambe le modifiche sono destinate ad avere ripercussioni su un profilo particolare del diritto di difesa dell’imputato (quello della sua partecipazione all’udienza) e sul regime di ammissibilità delle impugnazioni.
Concepito come una delle tante varianti del cd. sistema del doppio binario1, l’istituto della partecipazione a distanza dell’imputato al dibattimento, per effetto delle diposizioni contenute nella “legge Orlando”, spirato il termine di un anno di vacatio stabilito dall’art. 1, co. 81, l. n. 103/2017, entrerà stabilmente a far parte del sistema processuale2.
La principale novità introdotta è rappresentata dal fatto che la persona in vinculis partecipa al dibattimento, sia come imputato, sia come testimone, a distanza.
La disciplina della partecipazione a distanza, infatti, troverà applicazione, oltre che nei confronti delle persone che si trovano in stato di detenzione per taluno dei delitti indicati nell’art. 51, co. 3-bis, nonché nell’art. 407, co. 2, lett. a), n. 4), c.p.p. (come appunto previsto fino all’entrata in vigore della nuova disciplina), anche nei confronti di quelle a qualunque titolo detenute presso un istituto penitenziario.
Una volta che la riforma entrerà a regime, l’unica differenza riguarderà l’estensione dei poteri del giudice: per effetto delle innovazioni introdotte dalla “legge Orlando”, infatti, mentre le persone che si trovano in stato di detenzione per taluno dei delitti indicati nell’art. 51, co. 3-bis e nell’art. 407, co. 2, lett. a), n. 4) (oltre che quelle ammesse a programmi o misure di protezione), parteciperanno automaticamente a distanza (salvo che il giudice non ritenga necessario, eventualmente anche su istanza di parte, disporne la presenza fisica in udienza3), per tutte le altre la partecipazione a distanza dipenderà da un provvedimento discrezionale del giudice, che potrà adottarlo a condizione che sussistano ragioni di sicurezza ovvero allorquando il dibattimento sia di particolare complessità o sia necessario evitare ritardi nel suo svolgimento4.
A tale riguardo, si deve notare come le modifiche introdotte con la l. n. 103/2017 hanno inciso anche sulle forme del provvedimento con il quale il giudice dispone la partecipazione a distanza dell’imputato.
A differenza di quanto già previsto (l’art. 146 bis c.p.p., infatti, a seconda che fosse assunto nella fase degli atti preliminari o nel corso del dibattimento, stabiliva che il provvedimento rivestisse la forma rispettivamente del decreto motivato o dell’ordinanza), esso assumerà sempre la forma del decreto motivato, il quale, a differenza di quanto stabilito nella originaria previsione, non dovrà neppure essere comunicato almeno dieci giorni prima dell’udienza qualora assunto fuori dalla stessa.
In pratica, non solo il giudice potrà adottare il decreto al di fuori di qualunque contraddittorio, ma il provvedimento con il quale stabilirà la partecipazione a distanza, il più delle volte, potrà costituire la semplice presa d’atto della presenza da remoto dell’imputato.
Poiché, infatti, il servizio traduzioni dei detenuti ed internati è affidato, ai sensi dell’art. 5 l. 15.12.1990, n. 395, alla polizia penitenziaria, quando le strutture saranno adeguate, è facile prevedere che la presenza o meno degli imputati per reati comuni nelle aule dipenderà dalle disponibilità delle singole strutture penitenziarie ad assicurare il videocollegamento ed il giudice potrà limitarsi a ratificare (con decreto motivato) una situazione di fatto che, il più delle volte, egli non sarà in alcun modo in grado di prevedere e che potrà sempre giustificare con la necessità di evitare ritardi nello svolgimento del processo.
Le modificazioni sulla forma del provvedimento hanno ovviamente ricadute sul regime di impugnazione dello stesso. Escluso che esso possa essere autonomamente impugnato (l’art. 586 c.p.p. prevede che solo le ordinanze emesse nel dibattimento possano essere impugnate unitamente alle sentenze), gli eventuali vizi dovranno essere trattati secondo il regime delle nullità relative5.
Poiché ai sensi dell’art. 125 c.p.p. il decreto è nullo quando, essendo richiesta (come nel caso di specie) la motivazione, esso ne sia privo, in concreto, la mancanza di essa, in tutte le declinazioni in cui tale vizio può manifestarsi, integrerà una nullità relativa, il cui regime di rilevazione, a seconda del momento in cui il decreto viene emesso, si atteggerà in maniera differente.
Qualora, infatti, esso sia adottato nella fase degli atti preliminari i deficit di motivazione dovranno essere eccepiti, ai sensi dell’art. 181, co. 2, entro il termine previsto dall’art. 491, co. 1, c.p.p. Qualora, invece, essi riguardino il decreto emesso nel corso del dibattimento, poiché la parte è presente al compimento dell’atto, la nullità andrà eccepita immediatamente dopo la sua emanazione, stante la previsione di cui all’art. 182, co. 2, c.p.p. In tale ultima ipotesi, dunque, qualunque questione sulla motivazione del decreto stesso dovrà essere trattata alla stregua di una questione incidentale e l’ordinanza con la quale viene risolta (assunta ai sensi dell’art. 478 c.p.p. con le forme dell’art. 491 c.p.p.) potrà essere impugnata unitamente alla sentenza6.
Nel caso, poi, in cui il decreto non dovesse essere stato proprio emesso, sembra corretto ipotizzare che, quantomeno nei casi in cui la partecipazione a distanza dipenda da valutazioni discrezionali del giudice, possa configurarsi una nullità che, tuttavia, anche in questo caso, deve essere eccepita dalla parte immediatamente, perché altrimenti si verificherebbe una sanatoria ai sensi dell’art. 183 c.p.p. per accettazione degli effetti dell’atto.
I co. 78 e 79 dell’art. 1 della l. n. 103/2017 sono intervenuti anche sugli artt. 45 bis e 134 bis disp. att. c.p.p. con i quali viene disciplinata la partecipazione a distanza dell’imputato nei procedimenti in camera di consiglio e nel giudizio abbreviato, quando questo si svolge in pubblica udienza.
Le modifiche, avvenute attraverso un rinvio ai commi 1, 1-bis, 1-ter dell’art. 146 bis, hanno una mera funzione di raccordo con la disciplina delineata per il dibattimento. In pratica, anche nei procedimenti camerali e nel giudizio abbreviato che si svolge in pubblica udienza, per gli imputati per taluno del delitti di cui agli artt. 51, co. 3-bis, 407, co. 1, lett. a), c.p.p., la partecipazione all’udienza avverrà sempre a distanza, salva sempre la possibilità, in questi casi, di un diverso provvedimento del giudice. Per gli imputati detenuti per reati comuni, invece, la partecipazione a distanza avverrà sempre a seguito di decisione ad hoc del giudice (che non riveste né la forma del decreto, né quella dell’ordinanza e che, dunque, non sembra esigere particolari motivazioni), comunicato o notificato dal giudice o dal presidente del collegio.
La nuova disciplina non ha modificato l’art. 127 c.p.p. nella parte in cui prevede il potere del magistrato di sorveglianza di ascoltare i detenuti e gli internati in luoghi posti fuori della circoscrizione del giudice procedente, qualora ne facciano richiesta, prima del giorno dell’udienza e tale scelta, a stretto rigore, comporta che, per questa categoria di soggetti in vinculis, la partecipazione a distanza potrebbe non trovare applicazione7.
La nuova disciplina della partecipazione dell’imputato a distanza non ha toccato neppure l’art. 309, co. 5, c.p.p. (il quale, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 11, co. 1, della l. 16.4.2015, n. 47, dispone che l’imputato possa chiedere di comparire personalmente alle udienze del riesame), né l’art. 391, co. 1, c.p.p. (il quale statuisce che l’udienza di convalida dell’arresto e del fermo si svolge con la «partecipazione» necessaria del soggetto privato della libertà). In entrambi i casi sembra che l’imputato abbia diritto a partecipare fisicamente alle udienze.
Degno di nota è, infine, il comma 4-bis introdotto nell’art. 146 bis disp. att. c.p.p. in forza del quale in tutti i processi nei quali si procede con il collegamento audiovisivo è possibile che anche le altre parti ed i loro difensori possano intervenire a distanza, a condizione che assumano l’onere dei costi del collegamento.
Sebbene le molteplici lacune contenute nella previsione rappresenteranno un concreto ostacolo alla sua effettiva applicazione (la norma, infatti, non disciplina i presupposti dai quali dipende la decisione con la quale il giudice può autorizzare le parti a partecipare a distanza; le specifiche tecniche di collegamento; le modalità di corresponsione dei costi di collegamento; le modalità di verbalizzazione e documentazione di atti che la legge prescrive debbano essere formati per iscritto), essa potrebbe costituire un significativo strumento di accelerazione dei processi ed un primo passo per una più marcata introduzione, anche nel processo penale, degli strumenti telematici.
La l. n. 103/2017 ha apportato una significativa modifica alla lett. e) dell’art. 546 c.p.p., statuendo che, nell’enunciare le ragioni della decisione, il giudice non potrà più limitarsi ad una esposizione concisa dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata; ad una indicazione dei risultati acquisiti e dei criteri utilizzati per la valutazione della prova ed alla semplice enunciazione delle ragioni per le quali ha ritenuto non attendibili le prove contrarie.
L’esposizione dei motivi, infatti, dovrà riguardare specificamente l’accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all’imputazione, la loro qualificazione giuridica; la punibilità, la determinazione della pena, secondo le modalità stabilite dal co. 2 dell’art. 533, e la misura di sicurezza; la responsabilità civile derivante dal reato; l’accertamento dei fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali (art. 1, co. 52).
La previsione non ha semplicemente la finalità di definire meglio il modello standard di motivazione al quale il giudice si deve attenere.
Sebbene, infatti, le modifiche introdotte dal legislatore non abbiano comportato anche l’aggiornamento delle previsioni del catalogo delle cause di nullità della sentenza previste dall’art. 546, co. 3, c.p.p. e non ripropongano lo schema di invalidità previsto, ad esempio, dall’art. 292 c.p.p. per l’ordinanza applicativa della misura cautelare, la violazione del modello astratto e in particolare la omessa esposizione delle ragioni concernenti uno dei punti che la dovranno comporre, consentirà, per effetto del rinvio operato da tale disposizione all’art. 125 c.p.p., di dedurre in sede di legittimità la violazione dell’obbligo di motivazione previsto a pena di nullità ai sensi dell’art. 606, co. 1, lett. c), c.p.p.
La nuova elencazione che caratterizza la lett. e) dell’art. 546 c.p.p., inoltre, nel delineare il modello astratto alla stregua del quale la sentenza deve essere costruita, che implica che essa vada redatta per “punti”, si ricollega a quanto prescrive l’art. 581 c.p.p. sulla forme dell’impugnazione che, come noto, prescrive che le parti, a pena di inammissibilità, con l’impugnazione, devono indicare, tra l’altro, i punti della decisione impugnata.
Soprattutto la disciplina del dibattimento a distanza, una volta entrata a regime, non mancherà di suscitare forti perplessità sul piano della sua compatibilità con la Costituzione e con le fonti internazionali8.
Già in passato la disciplina era stata ampiamente criticata in quanto, oltre ad amplificare il divario tra imputati, determinava una compromissione dello statuto del giusto processo e, più in particolare, una lesione del diritto di difesa, del principio del contraddittorio e di quello di immediatezza9. Si può aggiungere, poi, che la partecipazione a distanza può determinare anche una compromissione del principio di pubblicità, posto che, per quanto qualitativamente sofisticate, le trasmissioni delle immagini sono necessariamente parziali, perché statiche e, soprattutto, non in grado di far percepire da remoto le più recondite sfumature dei comportamenti delle persone presenti nell’aula di udienza.
La nuova disciplina della partecipazione a distanza può inoltre avere ripercussioni sul piano della sua compatibilità con le garanzie contenute nella CEDU. Sebbene, infatti, a differenza di quanto statuisce l’art. 14, par. 3, lett. d), del Patto internazionale sui diritti civili, l’art. 6 della CEDU non preveda in termini espliciti che l’accusato abbia il diritto di essere “presente” alla sua udienza, i giudici europei hanno da tempo affermato che la comparizione dell’imputato riveste una importanza fondamentale per l’attuazione del processo equo e giusto, poiché la sua presenza costituisce una sorta di precondizione essenziale per attuare le varie garanzie previste dall’art. 6 della Convenzione10.
Sebbene sia la Corte costituzionale11 che la Corte europea dei diritti dell’uomo12 abbiano escluso che la videoconferenza possa essere censurata, essenzialmente in ragione del fatto che le prescrizioni di carattere tecnico previste dal legislatore (segnatamente la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi, la possibilità di udire quanto vi viene detto e la possibilità da parte di difensore ed assistito di poter conferire riservatamente) sono idonee ad attuare le garanzie del giusto processo, è facile prevedere che l’estensione dell’ambito applicativo della disciplina de qua costituirà l’occasione per una riproposizione delle vecchie questioni.
Anche le modifiche alla struttura della sentenza non sono prive di conseguenze pratiche. L’ideale collegamento con quanto prescrive l’art. 581 c.p.p. a proposito della forma dell’impugnazione e l’art. 591, a proposito delle cause di inammissibilità dell’atto di impugnazione, comporterà ripercussioni sul regime di invalidità dello stesso ed in particolare dell’atto di appello, il quale, nella sua struttura, pur costituendo atto a critica libera, dovrà purtuttavia, pena la censura di aspecificità dei motivi, non solo correlarsi all’iter logico argomentativo della decisione impugnata, ma presentarsi come una «critica ragionata», concernente cioè i profili di fatto e di diritto affrontati nella motivazione del provvedimento impugnato13.
1 Sul punto, Ferraioli, M., Introduzione, in Nuove strategie processuali per imputati pericolosi e imputati collaboranti, coordinato da A.A. Dalia e M. Ferraioli, Milano, 1998, p. 3; Kalb, L., La partecipazione a distanza, ivi, p. 33.
2 Sulla modifiche introdotte dalla l. n. 103/2017 cfr., Lorusso, S., Dibattimento a distanza vs. “autodifesa”?, in www.penalecontemporaneo.it, 17.5.2017, p. 2; Papagno, C., Le modifiche all’art. 146-bis disp. att. c.p.p, in Spangher, G., a cura di, La Riforma Orlando, Pisa, 2017, p. 209.
3 Solo nell’ipotesi in cui sono state applicate le misure di cui all’art. 41 bis l. 26.7.1975, n. 354 la partecipazione a dibattimento è sempre esclusa.
4 Per le persone che si trovano in stato di detenzione per taluno dei reati di cui agli artt. 51, co. 3 bis e 407, co. 2, lett. a), n. 4, c.p.p. è poi prevista la partecipazione a distanza anche qualora il processo sia relativo a reati per i quali siano in libertà e qualora debbano essere ascoltate come testimoni in procedimenti civili. Per le persone ammessa a programmi o misure di protezione, poi, è prevista la partecipazione a distanza anche alle udienze dibattimentali relative a processi nei quali esse siano citate a piede libero.
5 Così Giarda, A., in Processo civile e processo penale. Le riforme del 1998, a cura di C. Consolo-F.P. Luiso-A. Giarda-G. Spangher, Milano, p. 1998, p. 6 e ss.; cit., p. 9. Contra, invece, Melchionda, A., sub Art. 146-bis disp. att. c.p.p., in Comm. c.p.p. Chiavario, Aggiornamento, IV, Milano, 1998, p. 167, p. 179 e Curtotti Nappi, D., I collegamenti audiovisivi nel processo penale, Milano, 2006., p. 170.
6 Sul tema, sia pur con qualche variante, Melchionda, A., sub Art. 146-bis, cit., p.177178.
7 Analogo problema si porrà in riferimento all’art. 666, co. 4, c.p.p. per quanto riguarda l’udienza per la trattazione del procedimento di esecuzione (e, conseguentemente, quello di sorveglianza).
8 Così, nei primi commenti, Papagno, C., Le modifiche all’art. 146-bis, cit., p. 219; Lorusso, S., Dibattimento a distanza, cit., p. 7; Scuto, S., Dibattimento a distanza sempre più frequente, in Il Sole 24 Ore, 169/2017, p. 32. Nel senso che la disciplina sulla partecipazione a distanza non comporterebbe alcuna lesione del diritto di difesa, Fidelbo, G., Commento alla disciplina della partecipazione del procedimento a distanza e dell’esame dei collaboratori di giustizia, in Gazz. giur., 1998, p. 1 ss. e Curtotti Nappi, D., I collegamenti audiovisivi, cit., p. 365.
9 Curtotti Nappi, D., L’uso dei collegamenti audiovisivi nel processo penale tra necessità di efficienza del processo e rispetto dei princìpi garantistici, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, p. 526., p. 518.; Daniele, M., La formazione digitale delle prove dichiarative. L’esame a distanza tra regole interne e diritto sovranazionale, Torino, 2012, p. 1920; Così Giarda, A., Commento a Corte cost. 22-7-1999, n. 342, in Corr. giur., 1999, p. 1234. Secondo Melchionda, A., sub Art. 146-bis, cit., p. 185, la partecipazione a distanza inciderebbe perfino sull’assistenza del difensore perché obbligherebbe l’imputato a dotarsi di due difensori, uno presente in aula ed uno presso il sito remoto in qualità di sostituto.
10 C. eur. dir. uomo, 23.11.1993, Poitrimol c. Francia; C. eur. dir. uomo, 22.9.1994, Lala c. Paesi Bassi; C. eur. dir. uomo, 12.2.2004, De Lorenzo c. Italia; C. eur. dir. uomo, 28.6.2005, Hermi c. Italia; C. eur. dir. uomo, 1.3.2006, Sejdovic c. Italia.
11 C. cost., 22.7.1999, n. 342; C. cost., 10.4.2014, n. 88; C. cost., 26.11.2002, n. 483, n. 483; C. cost., 22.6.2000, n. 234.
12 C. eur. dir. uomo, 5.10.2006, Viola c. Italia; C. eur. dir. uomo, 27.11.2008, Asciutto c. Italia; C. eur. dir. umo, 27.11.2007, Zagaria c. Italia.
13 Sull’argomento, v. Cass. pen., S.U., 27.10.2016, n. 29607, in Proc. pen. giust., n. 5, 2017, p. 686.