Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’Europa del Novecento vede una crescente presenza di musiche provenienti da altri continenti; ciò si intreccia con la storia del colonialismo e del postcolonialismo, fino ai più recenti processi migratori che portano alla ribalta repertori un tempo sconosciuti e che, attecchendo in Europa, inevitabilmente si modificano.
Dalle musiche dal mondo alla world music
La musica europea del Novecento è caratterizzata da una presenza di generi e repertori provenienti da altri continenti che diviene nel tempo sempre maggiore.Il processo di scoperta dell’altro, della sua rappresentazione e dell’incontro con culture musicali “esotiche”, che si può fare risalire ai primi viaggi dei mercanti diretti in Oriente e, successivamente, alla permanenza di colonizzatori e missionari, nel XX secolo subisce un continuo incremento che va intensificandosi nel corso degli ultimi quaranta anni.
Nell’ambito della musica eurocolta, se l’Ottocento si è chiuso con l’entusiastico plauso di Claude Debussy a un concerto di gamelan giavanese tenutosi all’Esposizione Universale di Parigi, il Novecento vede emergere opere di compositori (quali Britten, Messiaen o Stockhausen) variamente influenzati da sonorità, stilemi e forme extraeuropee, soprattutto asiatiche. Nel contempo, sempre più frequente è la permanenza in Europa di musicisti e intellettuali provenienti da altri continenti, primo fra tutti il nobel bengalese Rabindranath Tagore (1816-1941).
A livello accademico, nasce e trova la propria collocazione istituzionale l’etnomusicologia (in un primo momento diffusasi con il nome di “musicologia comparata”), disciplina che da sempre ha dato largo spazio allo studio delle culture extraeuropee. Inoltre, il lavoro di ricerca e raccolta sul campo svolto da etnomusicologi e antropologi porta, soprattutto, grazie all’introduzione – fin dall’inizio del secolo – dei primi strumenti di registrazione e riproduzione del suono, alla formazione di ampie collezioni di musiche del mondo, tra cui spiccano quelle del Musée de l’Homme di Parigi, del National Sound Archive di Londra, o ancora dei Phonogrammarchiv di Berlino e Vienna.
Tuttavia, l’aspetto che assume maggior rilievo nella scena musicale del Novecento è probabilmente la diffusione capillare dell’incontro tra musica europea e musiche extraeuropee, che arriva ad assumere una vera e propria dimensione quotidiana. Infatti, in particolar modo nella seconda metà del secolo, si assiste a una crescente accessibilità a repertori provenienti da tutto il mondo, che per la prima volta diventano alla portata di tutti.
Fondamentali in questo senso sono i processi di mutuazione di sonorità e forme extra-occidentali che, soprattutto a partire dagli anni Sessanta, hanno investito la popular music angloamericana e presto raggiunto il suo vasto pubblico. È però nei due decenni successivi che prende forma la realtà odierna, fatta di un proliferare di sottoculture musicali e di un diffuso coinvolgimento, anche solo amatoriale, nell’esecuzione di generi non europei: basti pensare alla presenza, in molte città del continente, dei numerosi ensemble di gamelan o delle varie scuole e istituti che offrono corsi di musica africana, mediorientale, asiatica. Tale panorama si inserisce nel più ampio contesto della cosiddetta world music, ovvero di quel fenomeno di appropriazione e circolazione transculturale della musica legato alla globalizzazione e alla logica di produzione, riproduzione e distribuzione che l’accompagna.
Colonialismo e postcolonialismo
Per comprendere appieno il quadro sopra illustrato, è indispensabile tuttavia considerare anche aspetti quali il colonialismo e il postcolonialismo – unitamente ai dibattiti che li accompagnano – e soprattutto il contesto socio-economico dell’Europa a partire dal secondo dopoguerra. È solo tenendo conto di questi elementi che si possono individuare alcuni dei motivi alla base delle massicce migrazioni che nel corso del secolo hanno dato vita alle popolose comunità extraeuropee che abitano i centri urbani del continente. Le dimensioni di tali spostamenti di genti sono state tali che è diventato uso comune nel dibattito accademico attuale indicarne gli aspetti più strettamente legati alla loro musica con il nome di “diaspore musicali”.
Nei primi decenni del Novecento, le comunità immigrate in Europa – i cui caratteri e la cui distribuzione sono stati determinati almeno parzialmente dall’esperienza coloniale – presentano ancora dimensioni piuttosto ridotte. Gran parte della musica extraeuropea rimane per ora legata a tournée di musicisti provenienti dall’estero, come nel caso dei gruppi di jazz americani.
Gli anni successivi alla conclusione del secondo conflitto mondiale, invece, vedono un sempre crescente afflusso di popolazioni extraeuropee in cerca di lavoro, soprattutto presso le aree metropolitane, a seguito dell’accresciuta richiesta di manodopera industriale.
I migranti portano con sé la propria cultura, i propri costumi e le proprie tradizioni musicali, arricchendo sempre più la scena urbana europea.
Le musiche delle comunità di diaspora presentano caratteri molteplici ed eterogenei, anche estremamente diversi tra loro. Tali differenze, non sempre nette e anzi a volte assai sfumate, investono per esempio lo status dei musicisti, che possono essere professionisti o meno, o gli stessi repertori. Questi ultimi, in particolare, possono a loro volta risentire più o meno degli stimoli che li circondano nella nuova realtà. Alcuni generi mantengono i propri tratti tradizionali o adattano i repertori e la loro trasmissione al nuovo contesto europeo solo in modo relativamente limitato; altri generi si appropriano variamente di elementi (siano essi formali, organologici, sonori, tecnologici) appartenenti alla cultura europea o ad altre musiche di diaspora con cui sono entrati in contatto.
Talvolta un genere viene ad assumere un chiaro significato sociale o politico, divenendo un mezzo per esprimere una specifica identità culturale, o per affermare dei valori, come nel caso del raï, originario di Oran, in Algeria, e presto adottato dagli algerini in Francia come manifestazione degli ideali delle generazioni emigrate più giovani e anticonformiste.
Spesso la musica delle popolazioni immigrate raggiunge il pubblico europeo tramite dischi, cassette, concerti, festival (ad esempio l’Africa Fête francese), o in occasioni particolari (come il carnevale caraibico a Londra); altre volte la circolazione e la fruizione di particolari repertori restano soprattutto circoscritte alla comunità di diaspora.
Un esempio significativo relativo a quest’ultimo caso è costituito dal bhangra, originariamente una danza rurale nella regione del Punjab (nell’India nord-occidentale) e successivamente sviluppatosi come genere nato dall’incontro tra tradizione indiana e popular music occidentale. Questa forma più recente di bhangra è stata adottata dalle popolazioni punjabi immigrate in Gran Bretagna come mezzo per rappresentare la propria identità di “punjabi in Occidente”. Sebbene abbia alimentato un vasto mercato, la produzione, la diffusione e la fruizione di questo genere sono rimaste tuttavia per lo più legate alla realtà della comunità indiana.
Le musiche degli immigrati, infine, spesso non sono limitate al panorama europeo, ma vengono condivise da gruppi di diaspora in altri continenti e sovente si alimentano di continui scambi – anche e soprattutto – con il paese di origine. Musicisti, produttori e celebrità infatti spesso rappresentano i trait d’union di queste vaste reti e non è possibile capire fino in fondo i significati assunti da tali repertori se non mettendo in relazione i diversi contesti ai quali appartengono.
Risulta chiaro dunque come la realtà delle musiche extraeuropee in Europa alla fine del Novecento appaia estremamente diversa da quella di inizio secolo. Se da un lato, infatti, le popolazioni europee hanno visto aumentare sempre più la presenza di tradizioni musicali “altre”, il panorama che si è delineato negli ultimi decenni è di fatto estremamente dinamico e complesso e può essere afferrato nei suoi molteplici aspetti unicamente tenendo conto di una prospettiva ampia che consideri le continue osmosi con gli altri continenti.