Le novità in materia di immigrazione
Con il d.l. 17.2.2017, n. 13, convertito con modificazioni nella l. 13.4.2017, n. 46, il legislatore ha perseguito il duplice obiettivo di accelerare i procedimenti amministrativi e giurisdizionali in materia di protezione internazionale e di rafforzare gli strumenti normativi di contrasto dell’immigrazione illegale. Le disposizioni introdotte coprono, tuttavia, un numero ancora più ampio di temi legati al diritto dell’immigrazione, introducendo innovazioni in tema di: a) disciplina
per il riconoscimento della protezione internazionale da parte delle Commissioni territoriali; b) istituzione di sezioni specializzate di Tribunale e definizione del nuovo regime processuale esperibile innanzi alle stesse; c) sistema di accoglienza e istituzione dei “Centri di permanenza per i rimpatri”; d) prevenzione e contrasto dell’immigrazione illegale.
È fatto notorio che i numeri delle richieste di protezione internazionale, delle relative impugnazioni di fronte all’autorità giudiziaria e dei soggetti ospitati dal sistema di accoglienza, hanno registrato negli ultimi anni cospicui incrementi1. La ragione essenziale dell’intervento normativo qui in commento è derivata innanzitutto dalla necessità, largamente avvertita dagli operatori del settore, di accrescere la funzionalità del sistema amministrativo e giurisdizionale al fine di garantire l’accesso effettivo degli stranieri ai procedimenti di riconoscimento della protezione internazionale oltre che agli strumenti di tutela giurisdizionale. Ulteriore priorità è stata quella assicurare un’efficace esecuzione dei provvedimenti di respingimento, allontanamento ed espulsione dei soggetti privi dei requisiti legali per la permanenza nel territorio italiano.
Pur nella varietà degli istituti giuridici novellati, il criterio ispiratore del provvedimento legislativo si può rintracciare nel principio di effettività, perseguito attraverso il contemperamento tra il rispetto dei diritti fondamentali della persona e le esigenze di semplificazione e rapidità necessarie al buon andamento del sistema amministrativo-giurisdizionale.
Di rilievo, sotto questo profilo, è la previsione contenuta all’art. 20 del d.l. n. 13/2017 secondo la quale ogni anno il Governo presenta una relazione alle Commissioni parlamentari competenti, esponendo lo stato di attuazione delle disposizioni di cui al decreto in esame con «particolare riferimento agli effetti prodotti e ai risultati conseguiti».
Il decreto legge in commento si inserisce nel quadro di una stagione normativa – apertasi con il varo del Piano nazionale per fronteggiare il flusso dei migranti del 10.7.2014, approvato d’intesa tra Governo, Regioni ed Enti locali – che ha inaugurato un nuovo approccio di carattere “sistemico” (e non più “emergenziale”) di regolazione del fenomeno migratorio, basato cioè su una visione complessiva e organica dei problemi implicati nel sempre più rilevante afflusso di stranieri nel territorio italiano. Il nuovo indirizzo normativo è stato confermato e rafforzato dal successivo Piano operativo nazionale del 17.6.2015 e dal d.lgs. 18.8.2015, n. 142, con cui sono state recepite nell’ordinamento interno le direttive 2013/3 2/ UE e 2013/33/UE in materia, rispettivamente, di accoglienza e di procedure comuni per il riconoscimento e la revoca della protezione internazionale.
Nel 2017 il legislatore è nuovamente intervenuto in materia di immigrazione adottando, insieme alla l. n. 46/2017 di conversione del d.l. n. 13/2017, la l. 7.4.2017, n. 47, che introduce nell’ordinamento particolari misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati.
Si segnala, infine, l’approvazione del d.l. 25.5.2017, n. 90, di attuazione della dir. 2015/849/UE, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo. Il decreto legislativo, fra le molteplici novità in tema di contrasto alle infiltrazioni criminali, disciplina nuove modalità di controllo per le società “money transfer”, vale a dire le attività di rimessa e trasferimento di denaro verso paesi terzi.
Per una migliore illustrazione delle principali innovazioni legislative apportate dal d.l. n. 13/2017 appare utile scomporne l’illustrazione con riferimento ai diversi ambiti di intervento.
Le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale sono attualmente le autorità competenti all’esame delle domande di asilo2. Sono insediate, in numero di 20 (per complessive 28 sezioni), presso le Prefetture, le quali assicurano ad esse il necessario supporto organizzativo e logistico, con il coordinamento del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno. Le Commissioni territoriali operano sulla base degli atti di indirizzo e di coordinamento adottati dalla Commissione nazionale per il diritto d’asilo (disciplinata dall’art. 5 del d.lgs. 28.1.2008, n. 25). La regolamentazione del procedimento esperibile innanzi alle Commissioni è dettata dal d.lgs. n. 25/2008 (cd. Decreto procedure), successivamente oggetto di vari interventi di modifica tra cui quelli disposti con il d.lgs. n. 142/2015 e, da ultimo, con il d.l. n. 13/2017. Le Commissioni sono organi collegiali formati da quattro componenti nominati con decreto del Ministro dell’Interno, la cui competenza territoriale è definita dall’art. 4, co. 5, del d.lgs. n. 25/2008 (secondo il criterio del luogo in cui è stata presentata la domanda di protezione). Il procedimento esperibile innanzi ad esse ha ad oggetto la concessione dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del permesso di soggiorno per motivi umanitari; è attivabile su impulso dell’interessato ed è articolato in una prima fase di esame della domanda da parte dell’ufficio territorialmente competente (con eventuale audizione del soggetto interessato); e in una successiva fase decisoria, destinata a concludersi con un provvedimento suscettibile di impugnazione giurisdizionale. Rispetto a questo schema di riferimento, una prima innovazione di rilievo è stata introdotta con l’art. 12 del d.l. n. 13/2017, il quale – in aggiunta alle facoltà ordinarie di assunzione di personale – ha autorizzato il Ministero dell’Interno ad assumere a tempo indeterminato 250 funzionari altamente qualificati per l’esercizio di funzioni specialistiche: e ciò al fine di fare fronte al vertiginoso aumento delle domande di protezione internazionale e al conseguente incremento dei carichi di lavoro delle Commissioni, oltre che dei tempi di valutazione della singola istanza (che si attestano su una media di circa 8 mesi e mezzo). Con riferimento all’iter procedimentale, nel corso del quale la Commissione normalmente dispone l’audizione degli stranieri richiedenti asilo (a meno che non ricorra una delle fattispecie per le quali tale incombente può essere omesso, ai sensi dell’art. 12, co. 2 e 2-bis del d.lgs. n. 25/2008), l’art. 6, co. 1, lett. c), del d.l. n. 13/2017 (intervenuto a modificare l’art. 14 del d.lgs. n. 25/2008) ha previsto come obbligatoria la videoregistrazione del colloquio e la sua trascrizione in lingua italiana con l’ausilio di sistemi automatici di riconoscimento vocale. Della trascrizione del colloquio viene data lettura allo straniero, il quale può apportarvi correzioni e la sottoscrive (congiuntamente all’interprete e al componente della Commissione che ha condotto il colloquio) per poi riceverne copia in lingua italiana. Sempre in un’ottica di accelerazione del sistema di riconoscimento della protezione internazionale, l’art. 6, co. 1, lett. a), del d.l. n. 13/2017 (intervenuto a modificare l’art. 11 del d.lgs. n. 25/2008) ha introdotto importanti novità in materia di notificazione degli atti del procedimento. Nella disciplina previgente, il richiedente asilo era tenuto ad eleggere un proprio domicilio all’atto della presentazione della domanda di protezione internazionale e, in caso di permanenza presso un centro di accoglienza per richiedenti asilo (cd. CARA), per tutta la durata del periodo di accoglienza l’indirizzo del centro costituiva il luogo di residenza valevole agli effetti della notifica e delle comunicazioni degli atti relativi al procedimento (art. 4, co. 2, d.P.R. 12.1.2015, n. 21). La novella dispone espressamente che le notificazioni degli atti e dei provvedimenti del procedimento sono validamente effettuate presso il centro o la struttura in cui il richiedente è accolto o trattenuto. Ulteriore novità attiene alle modalità operative di effettuazione delle notificazioni, che d’ora in avanti saranno effettuate mediante documento informatico sottoscritto con firma digitale o copia informatica per immagine del documento cartaceo, trasmesso mediante posta elettronica certificata (PEC) all’indirizzo del responsabile del centro o della struttura, il quale ne curerà la consegna al destinatario, facendone sottoscrivere ricevuta e dandone immediata comunicazione alla Commissione territoriale tramite PEC. Qualora il richiedente non sia accolto o trattenuto presso i Centri di permanenza o trattenimento, le notificazioni degli atti e dei provvedimenti del procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale saranno effettuate a mezzo del servizio postale (secondo la disciplina dettata dalla l. 20.11.1982, n. 890) presso l’ultimo domicilio comunicato dal richiedente; ovvero, in caso di sua irreperibilità o inidoneità del domicilio dichiarato, presso la Questura del luogo in cui ha sede la Commissione territoriale. In tale ultimo caso la notificazione si intende eseguita trascorsi venti giorni dalla trasmissione dell’atto alla Questura da parte della Commissione territoriale mediante messaggio di posta elettronica certificata; e copia dell’atto notificato è resa disponibile al richiedente presso la Commissione territoriale. Di tali peculiari modalità di notificazione il richiedente asilo è informato dalla Questura, al momento della dichiarazione di domicilio, ovvero a cura del responsabile del centro o della struttura di accoglienza. Pertanto, un eventuale allontanamento ingiustificato o una sottrazione alla misura del trattenimento, non sono di ostacolo al perfezionamento ex lege della notifica. Le medesime regole valgono per la comunicazione della Commissione territoriale con cui si dispone l’audizione dello straniero (art. 12, co. 1, del d.lgs. n. 25/2008 come modificato dall’art. 6, co. 1, lett. b), del d.l. n. 13/2017) nonché per la notifica dei provvedimenti di revoca o cessazione della protezione internazionale adottati dalla Commissione nazionale (art. 33, co. 3-bis, del d.lgs. n. 25/2008 come modificato dall’art. 6, co. 1, lett. e), del d.l. n. 13/2017).
Secondo i dati del Ministero della giustizia3, la durata media del procedimento giurisdizionale in tema di protezione internazionale è di circa 2 anni e mezzo, dei quali 1214 mesi per il primo grado e 1820 mesi per la fase di appello. Allo scopo di velocizzare la risposta giurisdizionale, in un contesto di rapido aumento del contenzioso, il legislatore ha deciso di istituire apposite sezioni specializzate «in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea» (art. 1, d.l. n. 13/2017), previste in numero di 26 presso tutti i Tribunali ordinari presenti nelle sedi di Corte d’Appello. L’art. 2 del decreto legge richiede ai magistrati scelti per la composizione delle istituende sezioni specializzate peculiari competenze, tra le quali particolare rilevanza rivestono le abilità linguistiche e l’aver già maturato esperienza nel settore, mentre il costante aggiornamento della loro formazione è demandato alla cooperazione tra Scuola Superiore della Magistratura, Ufficio Europeo di sostegno per l’asilo (EASO) e Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). Peraltro, pur in assenza di specifiche disposizioni sulla dotazione organica di tali sezioni, l’art. 11 prevede la possibilità da parte del Consiglio Superiore della Magistratura di predisporre un piano straordinario di applicazione extradistrettuale volto ad incrementare il numero di magistrati componenti le sezioni, in caso di situazioni particolarmente critiche per l’espletamento delle esigenze di servizio. L’art. 3 del d.l. n. 13/2017 regolamenta le materie di competenza delle sezioni attraverso un elenco puntuale delle controversie ad esse devolute e riguardanti: a) il riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale in favore di cittadini UE; b) l’allontanamento dei cittadini UE per motivi di pubblica sicurezza; c) il riconoscimento della protezione internazionale e la convalida del provvedimento di trattenimento del richiedente asilo disposto dal Questore; d) il riconoscimento della protezione umanitaria; e) il permesso di soggiorno per motivi umanitari; e-bis) l’impugnazione dei provvedimenti adottati dall’Autorità preposta alla determinazione dello Stato competente all’esame della domanda di protezione internazionale, ai sensi del Regolamento UE 26.6.2013, n. 604; f) l’accertamento dello stato di apolidia e di cittadinanza italiana. Pur a fronte dell’opera di concentrazione del contenzioso sugli stranieri innanzi al giudice ordinario, rimangono ferme alcune competenze del giudice di pace4 e del giudice amministrativo5. Peraltro, l’art. 3, co. 3, del d.l. n. 13/2017, nel richiamare le materie soggette al giudizio delle sezioni specializzate, sancisce la devoluzione al giudice ordinario di tutti i procedimenti che risultino inestricabilmente legati perragioni di connessione. È pertanto possibile ipotizzare che le sezioni in parola esercitino una vis attrattiva nei confronti dei procedimenti sottoposti alla cognizione del giudice di pace, compensando in tal modo la mancata concentrazione espressa del contenzioso afferente ai due distinti uffici giudiziari. Quanto alla composizione delle sezioni specializzate, si prevede che le stesse operino in sede monocratica ad eccezione di due soli procedimenti – inerenti il riconoscimento della protezione internazionale e l’impugnazione della determinazione dello Stato competente all’esame della domanda di protezione internazionale – per i quali è prevista la composizione collegiale. L’art. del d.l. n. 13/2017 stabilisce, inoltre, i criteri per determinare la competenza territoriale delle sezioni specializzate, ancorandola alla regola essenziale (mitigata da criteri sussidiari) che vede competente la sezione nel cui ambito circoscrizionale ha sede l’Autorità che ha adottato il provvedimento impugnato. I meccanismi di impugnazione delle decisioni pronunciate dalle Commissioni territoriali per il riconoscimento del diritto d’asilo costituiscono il secondo (e più qualificante) versante della riforma del sistema di tutela giurisdizionale messo in atto con il d.l. n. 13/2017. I provvedimenti soggetti a tale giudizio sono tutti quelli previsti dall’art. 35 del d.lgs. n. 25/2008, incluse le determinazioni di revoca o cessazione adottate dalla Commissione nazionale per il riconoscimento del diritto d’asilo. Si tratta di un giudizio di “opposizione” (più che di impugnazione in senso stretto), nel corso del quale il giudice non si limita a conoscere della legittimità in senso stretto del provvedimento amministrativo impugnato, ma accerta in modo pieno i requisiti di cui agli art. 7, 8 e 14 d.lgs. 19.11.2007, n. 2516, nell’esercizio di ampi poteri istruttori d’ufficio7 e senza limitazione alcuna ai motivi di censura. La novella sostituisce il previgente rito sommario di cognizione (ai sensi del d.lgs. 1.9.2011, n. 150) con il modello processuale camerale di cui all’art. 737 c.p.c. (già previsto nel d.lgs. n. 25/2008), introducendo ulteriori innovazioni in tema di: a) tempi di trattazione dei procedimenti e sospensione feriale dei termini; b) regime delle udienze; c) accesso al gratuito patrocinio; d) eliminazione del doppio grado di giudizio. Rinviando più approfondite riflessioni sul secondo aspetto della riforma (lettera b), occorre qui rilevare, quanto al resto, che la controversia va trattata in ogni suo grado in via d’urgenza (sottraendosi alla sospensione feriale dei termini), per essere definita con decisione entro 4 mesi dal deposito del ricorso. È inoltre previsto un meccanismo di revoca ex lege del gratuito patrocinio in caso di integrale rigetto della domanda giurisdizionale, salvo che il giudice motivi espressamente sul punto, spiegando perché, pur avendo rigettato il ricorso, non abbia ritenuto infondata anche la domanda ai sensi dell’art. 74, co. 2, del d.P.R. 30.5.2002, n. 115. Quanto al regime impugnatorio, la novella afferma espressamente la non reclamabilità nel merito del decreto che decide sull’impugnazione, ammettendo esclusivamente il ricorso per Cassazione entro 30 giorni dalla comunicazione del decreto a cura della cancelleria. Ulteriore innovazione ha interessato il rito di impugnazione dei provvedimenti di allontanamento dei cittadini UE, per il quale l’art. 10 del d.l. n. 13/2017 ha introdotto un peculiare regime caratterizzato dall’utilizzo di sistemi di videoconferenza per l’udienza dell’interessato nel giudizio di convalida. Si prevede, infatti, che il cittadino UE, destinatario del provvedimento di allontanamento, partecipi all’udienza in collegamento audiovisivo tra il centro in cui è trattenuto e il luogo in cui si tiene l’udienza.
Per sistema di accoglienza si intende l’insieme delle attività (regolate dal d.lgs. n. 142/2015) che lo Stato è chiamato a porre in essere per garantire l’ingresso e la permanenza sul territorio nazionale degli aventi diritto alla protezione internazionale – siano essi “già protetti” o “in attesa di protezione” – per tutto il lasso temporale compreso tra il loro arrivo in Italia e l’eventuale provvedimento di diniego o revoca della tutela. A seguito delle operazioni di soccorso, prima assistenza e identificazione dei migranti (art. 8, co. 2), si apre la fase della “prima accoglienza”, alla quale sono deputati specifici centri governativi (oggi in corso di riconfigurazione come regional hub), limitata al tempo necessario all’espletamento delle operazioni di identificazione (ove non già completate in precedenza), di avvio della procedura per la protezione internazionale e di accertamento delle condizioni di salute (art. 9 e 11 d.lgs. n. 142/2015). Segue la fase di “seconda accoglienza”, curata dagli enti locali, i quali possono aderire, su base volontaria, al sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), alle cui misure hanno diritto di accedere i richiedenti protezione internazionale che non abbiano mezzi di sussistenza sufficienti per sé stessi e i propri familiari (artt. 14 e 15 d.lgs. n. 142/2015). Le innovazioni introdotte dal d.l. n. 13/2017 nella disciplina dell’accoglienza riguardano innanzitutto la creazione di alcune aree attrezzate (individuate a Pozzallo, Lampedusa, Trapani e Porto Empedocle, cui si aggiungeranno presto Augusta e Taranto), deputate a garantire le operazioni di soccorso, prima assistenza, registrazione e fotosegnalamento di tutti i migranti. La nuova strategia operativa ideata dal legislatore – e nota anche come “approccio hotspot” – mira a semplificare e velocizzare al massimo le operazioni di soccorso e identificazione, al fine di consentire ai migranti di accedere rapidamente alle misure del sistema nazionale di accoglienza. Analoghe modalità operative erano state praticate nel corso di precedenti fasi di emergenza, ma senza che vi fosse una copertura normativa di rango primario delle attività di primo soccorso e identificazione del migrante. L’intento della novella (realizzata dall’art. 17 del d.l. n. 13/2017, che ha introdotto il nuovo art. 10 ter, d.lgs. 25.7.1998, n. 286) è stato appunto quello di colmare tale lacuna normativa, superando il regime straordinario (ampiamente incompleto) sperimentato a decorrere dalla prima ondata migratoria che interessò la Regione Puglia nel 1995. Con riferimento, invece, alla materia del soggiorno, l’art. 9 co. 1, lett. b), del d.l. n. 13/2017 è intervenuto sulla procedura per il ricongiungimento familiare, al fine di semplificare le modalità di realizzazione dei diversi adempimenti prescritti al richiedente e di ridurre i tempi di definizione della decisione. La novella ha interessato i co. 7-8 dell’art. 29 del d.lgs. n. 286/1998: con riferimento alle forme della procedura, è oggi previsto che la domanda di nulla osta al ricongiungimento familiare – corredata con la documentazione relativa ai requisiti oggetti dell’idoneità dell’alloggio, del reddito minimo e dell’assicurazione sanitaria – venga trasmessa con modalità informatiche, le stesse che devono poi essere utilizzate dallo Sportello unico per l’immigrazione per il rilascio della ricevuta attestante il buon esito dell’invio. Per quanto concerne i tempi della procedura, il legislatore ha ridotto a 90 giorni (anziché 180) il termine per il rilascio del nulla osta al ricongiungimento familiare da parte dell’autorità competente. Ulteriori due innovazioni hanno riguardato l’iscrizione anagrafica degli stranieri richiedenti protezione internazionale e la partecipazione degli stessi ad attività di utilità sociale. Quanto al primo aspetto (innovato dal d.l. n. 13/2017 che ha introdotto un nuovo art. 5 bis al d.lgs. n. 142/2015), si è previsto un meccanismo di iscrizione automatica nell’anagrafe della popolazione residente dello straniero richiedente asilo e ospitato in un centro di accoglienza. L’iscrizione è effettuata ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. 30.5.1989, n. 223 (che disciplina l’istituto della convivenza anagrafica), sicché la presenza presso il centro di accoglienza dell’immigrato è qualificata come “convivenza” ai fini dell’iscrizione anagrafica. Al contempo, sono state previste alcune fattispecie di cancellazione dall’anagrafe riguardanti i soli richiedenti asilo, connesse alla variazione della loro condizione di convivenza derivante dall’allontanamento non giustificato dal centro oppure dalla revoca delle misure di accoglienza (art. 5 bis, co. 3, del d.lgs. n. 142/2015). Infine, l’art. 9, co. 1, lett. d), d.l. n. 13/2017, ha introdotto un nuovo art. 22 bis nel d.lgs. n. 142/2015, volto a disciplinare l’impiego dei richiedenti protezione internazionale, su base volontaria, in attività di utilità sociale in favore delle collettività locali ospitanti. Al Prefetto è assegnato il compito di favorire la realizzazione dei progetti di integrazione, d’intesa con Comuni, Regioni e Province autonome, in quanto enti direttamente coinvolti nelle attività di accoglienza, protezione e integrazione dei migranti. Sede privilegiata per il dialogo tra i diversi livelli di governo e per la promozione delle iniziative è il Consiglio territoriale per l’immigrazione, di cui all’art. 3, co. 6, d.lgs. n. 286/1998 (art. 22 bis, co. 1, d.lgs. n. 142/2015). Gli enti coinvolti possono predisporre appositi progetti, finanziabili con le risorse europee destinate al settore dell’immigrazione e dell’asilo, anche in collaborazione con le organizzazioni del terzo settore, mentre per quanto concerne la regolamentazione del rapporto la nuova disposizione – nel prevedere che l’impiego degli stranieri dovrà svolgersi «nel quadro delle disposizioni normative vigenti» – non chiarisce fino in fondo quale sia la disciplina applicabile. Può quindi ipotizzarsi sia il ricorso alla legge quadro sul volontariato (l. 11.8.1991, n. 266), sia l’inquadramento della fattispecie nell’art. 26 del d.lgs. 14.9.2015 n. 150, che regola l’utilizzo dei lavoratori titolari di strumenti di sostegno al reddito nello svolgimento di attività a fini di pubblica utilità a beneficio della comunità territoriale di appartenenza.
Nell’ambito delle misure di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare, il d.l. n. 13/2017 ha introdotto importanti novità in materia di allontanamento e detenzione amministrativa degli stranieri. Come noto, i quattro istituti tipici che incidono sulla condizione di irregolarità dello straniero sono il rifiuto di ingresso, l’identificazione, il trattenimento presso un centro di detenzione amministrativa e l’allontanamento. Con riguardo alle ipotesi di rifiuto di ingresso, il riferimento di interesse, ai fini della focalizzazione delle novità introdotte dal recente decreto, è al cd. SIS II (sistema di informazione Schengen di seconda generazione, introdotto con Regolamento CE 20.12.2006, n. 1987). Si tratta di un complesso meccanismo di gestione e scambio di dati e di informazioni tra i paesi che aderiscono alla Convenzione, basato su una infrastruttura informatica che consente alle banche dati dei singoli Stati di comunicare tra di loro, in maniera tale che le autorità competenti alla verifica dei requisiti di ingresso siano in grado in tempo reale di riscontrare se ricorrano eventuali segnalazioni ostative all’ingresso dello straniero nello spazio Schengen. Ebbene, l’art. 14 del d.l. n. 13/2017 ha novellato l’art. 4, co. 6 bis, del d.lgs. n. 286/1998, individuando nel Direttore centrale della polizia di prevenzione del Ministero dell’Interno l’autorità competente ad adottare la decisione di inserire nel SIS II la segnalazione, ai fini del rifiuto di ingresso, previo parere del Comitato di analisi strategica antiterrorismo (CASA), di cui all’articolo 12, co. 3, della l. 3.8.2007, n. 124 (relativa al sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica). Inoltre, le controversie sui ricorsi avverso le suddette decisioni sono state devolute alla competenza funzionale del TAR del Lazio, con l’aggiunta della lettera q-quinquies all’art. 135 c.p.a. Con una seconda innovazione, è stata mitigata la regola generale secondo cui l’eventuale richiesta di protezione internazionale, ai sensi dell’art. 10, co. 4, del d.lgs. n. 286/1998, inibisce l’adozione del provvedimento di respingimento. Come noto, in nessun caso può essere disposto dalle autorità competenti il respingimento dello straniero verso uno Stato in cui egli possa essere oggetto di persecuzione. Ebbene, fermo restando detto divieto di respingimento, ai sensi della novella introdotta dall’art. 8, lett. b), n. 1, d.l. n. 13/2017, qualora vi siano fondati motivi per ritenere che la domanda di protezione internazionale sia stata presentata al solo scopo di impedire il rifiuto dell’ingresso, il Questore competente può disporre il trattenimento del richiedente in un Centro di permanenza per i rimpatri. La modifica estende alla fattispecie del respingimento un’analoga misura già prevista per quei casi in cui la richiesta di protezione risulti strumentale a rinviare o eludere l’esecuzione dell’espulsione. Terza ulteriore innovazione attiene alla materia della detenzione amministrativa dello straniero. In questo ambito, il legislatore ha inteso razionalizzare l’articolazione e le caratteristiche dei centri di trattenimento dei soggetti da espellere o respingere, di cui all’art. 14 d.lgs. n. 286/1998, attribuendo loro la nuova denominazione di “Centri di permanenza per i rimpatri” (in luogo della precedente “Centri di identificazione ed espulsione” – CIE). L’opera di riordino si basa su due criteri: la distribuzione diffusa dei centri su tutto il territorio nazionale e il ridimensionamento della loro capienza. Secondo la relazione allegata al disegno di legge di conversione, l’obiettivo perseguito è quello di ampliare la rete dei Centri fino ad una capienza totale di 1.600 posti, a fronte dei 360 attuali, mentre la previsione di una loro capienza limitata è funzionale ad assicurare «condizioni di trattenimento che assicurino l’assoluto rispetto della dignità della persona». Al Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale vengono riconosciuti «tutti i poteri di verifica e di accesso».
Sempre in tema di detenzione amministrativa, il d.l. n. 13/2017 (introducendo il nuovo art. 10 ter nel d.lgs. n. 286/1998) ha previsto una nuova e autonoma ipotesi di pericolo di fuga (che si aggiunge a quella già individuate dall’art. 13, co. 4 bis, d.lgs. n. 286/1998) – conseguente al reiterato rifiuto di sottoporsi a rilievi fotodattiloscopico e segnaletico – valida ai fini del trattenimento dello straniero in un Centro di detenzione amministrativa. Inoltre, con l’art. 19, co. 2, lett. a), d.l. n. 13/2017, il legislatore ha dettato una scansione dettagliata dei tempi della detenzione amministrativa.
Ancora, l’art. 8, co. 1, lett. b bis), d.l. n. 13/2017, ha esteso a tutte le persone in condizioni di “vulnerabilità” (individuate dall’art. 17, co. 1, d.lgs. n. 142/2015) il divieto di trattenimento già previsto per motivi di salute (dall’art. 7, co. 5, d.lgs. n. 142/2015).
Infine, in tema di espulsione dello straniero irregolare, è stata introdotta una specifica innovazione con riguardo alla posizione dei titolari di permesso UE per soggiornanti di lungo periodo. La novella ha infatti inserito il co. 11-bis nell’art. 9 d.lgs. n. 286/1998, secondo il quale nei confronti dello straniero, il cui permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo riporti l’annotazione relativa alla titolarità di protezione internazionale, l’allontanamento è effettuato
verso lo Stato membro che ha riconosciuto la protezione internazionale, previa conferma da parte di tale Stato dell’attualità della protezione. Dunque, la tutela rinforzata della protezione internazionale, associata alla titolarità del permesso di soggiorno UE, di fatto accosta le prerogative di tale categoria di stranieri a quelle riconosciute ai cittadini europei, preservandoli dall’espulsione dall’area Schengen e incaricando della responsabilità del soggiorno lo stesso Stato che ha accordato loro l’asilo. In conclusione, le innovazioni introdotte dalla novella legislativa in materia di prevenzione e contrasto dell’immigrazione illegale si fondano sul principio del necessario bilanciamento, caso per caso, tra l’interesse dello Stato ad allontanare lo straniero irregolare e gli altri interessi di volta in volta meritevoli di tutela. In tale contesto, l’uso delle misure coercitive (incluso tra queste il trattenimento dello straniero presso strutture di detenzione amministrativa) deve essere subordinato al rispetto dei principi di proporzionalità ed efficacia, in relazione ai mezzi impiegati e agli obiettivi perseguiti. Infine, l’adozione in ambito europeo di sistemi di scambio di dati e informazioni consente di uniformare i provvedimenti di rifiuto di ingresso in tutti gli Stati membri. E ciò in linea con la tendenza evolutiva che ha visto la disciplina della condizione giuridica dello straniero progressivamente incorporata nel diritto europeo, dapprima per effetto della parziale comunitarizzazione del terzo pilastro dell’Unione (giustizia e affari interni), operata dal Trattato di Amsterdam; e, successivamente, in conseguenza dell’adesione degli Stati membri all’accordo di Schengen e dell’elaborazione tra gli stessi Stati membri di una strategia comune di gestione dell’immigrazione e dell’asilo (si vedano in tal senso l’art. 79, co. 12, lett. b), TFUE e la dir. 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea del 16.12.2008, recante «Norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare»).
Le principali critiche che si sono sollevate nei confronti della riforma operata dal d.l. n. 13/2017 hanno riguardato le innovazioni inerenti il modello processuale prescelto per l’impugnazione delle decisioni pronunciate dalle Commissioni territoriali.
Sotto un primo profilo è parsa dubbia la compatibilità costituzionale del rito camerale ex art. 737 c.p.c. nell’ambito di giudizi che incidono sensibilmente sullo stato delle persone, determinando il riconoscimento o meno delle tutele in materia di protezione internazionale.
Ulteriori ragioni di perplessità si sono appuntate sul procedimento istruttorio previsto dal legislatore, caratterizzato da un peculiare regime di fissazione delle udienze, apparentemente confliggente con il principio di pubblicità e con i diritti del giusto processo ex art. 111 della Costituzione.
In relazione alla prima tematica occorre dire che il rito camerale era stato già prescelto dal legislatore del 2008 (nel d.lgs. n. 25/2008) per ragioni di celerità e semplicità, con soluzione condivisa dalle Sezioni Unite della Cassazione, le quali non avevano sollevato in merito alcun rilievo di legittimità8. La stessa Corte Costituzionale ha finora respinto ogni censura riguardante l’utilizzo del procedimento ex art. 737 c.p.c. nell’ambito di contenziosi vertenti su diritti soggettivi9. Resta il fatto che il contraddittorio previsto nel rito in esame è ad “udienza eventuale” (posto che il nuovo art. 35 bis, co. 1011, d.lgs. n. 25/2008 obbliga il giudice a disporla in un ristretto ambito di casi) e di tipo essenzialmente “cartolare” (in quanto ancorato alle risultanze – oltre che delle eventuali sommarie informazioni assunte dal giudice – delle note difensive del Ministero dell’Interno, delle conclusioni del P.M., della videoregistrazione del colloquio reso dallo straniero innanzi alla Commissione territoriale e delle informazioni inerenti la situazione sociopolitica del paese di provenienza). Di qui la temuta possibile lesione del principio del giusto processo e del diritto di difesa, oltre che del diritto di pubblicità, che costituisce parte integrante del diritto all’equo processo come definito dall’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo10. In sostanza, l’elemento che maggiormente comprime il diritto all’audizione orale è rappresentato dalla mancanza di un vero e proprio diritto ad ottenerla, essendo prevista una mera possibilità a vederla disposta dal giudice. Nel parere espresso sul decreto legge in esame, il Consiglio Superiore della Magistratura, pur confermando la non assoluta necessità che per il rispetto del principio del contraddittorio, in un processo civile, debba sempre aversi l’udienza orale, suggerisce un ampliamento delle possibilità in tal senso previste nel d.l. n. 13/2017, in ragione del peculiare regime dell’onere della prova che, frequentemente, fa dipendere le decisioni inerenti il riconoscimento della protezione internazionale dalle valutazioni circa la veridicità delle dichiarazioni rese dallo straniero, sicché il confronto diretto tra giudice e soggetto richiedente asilo finisce per costituire un momento chiave per il buon esito della decisione. Nello stesso parere si esprimono perplessità circa la scelta del legislatore di comprimere il doppio grado di giudizio di merito e, sul punto, è utile ricordare l’indirizzo espresso dalla Corte Costituzionale, secondo il quale è pienamente compatibile sul piano costituzionale l’opzione del legislatore per il rito camerale «giustificata da comprensibili esigenze di speditezza e semplificazione anche in relazione a controversie coinvolgenti la titolarità di diritti soggettivi», in quanto l’esercizio del diritto di difesa può essere modulato dalla legge in relazione alle peculiari esigenze dei vari procedimenti; con l’avvertenza, tuttavia, che la regola del giusto processo è rispettata solo ove il modello processuale previsto dal legislatore «sia tale da assicurare il rispetto del principio del contraddittorio, lo svolgimento di un’adeguata attività probatoria, la possibilità di avvalersi della difesa tecnica, e la facoltà della impugnazione – sia per motivi di merito che per ragioni di legittimità – della decisione assunta»11.
1 Nel 2016, secondo i dati dell’UNHCR, l’Italia ha registrato approssimativamente 125 mila domande di asilo, a fronte delle 84 mila pervenute nel 2015; mentre secondo il dossier del servizio studi del Senato relativo all’A.S. n. 2705, con riferimento ai Tribunali di Milano, Roma e Napoli e per le sole controversie derivanti da impugnazioni di decisioni sfavorevoli adottate dalle Commissioni territoriali, si è registrato un aumento percentuale del contenzioso compreso tra il 50 e il 70% rispetto agli anni precedenti.
2 Si noti che il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso i tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al d.lgs. 19.11.2007, n. 251 e all’art. 5, co. 6, del d.lgs. 25.7.1998, n. 286, cosicché non v’è alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10, co. 3, Cost. (Cass., 4.8.2016., n. 16362).
3 Si tratta di dati ricavabili dall’Analisi tecniconormativa contenuta nel Dossier del Servizio Studi del Senato della Repubblica relativi al d.l. n. 13/2017.
4 Il giudice di pace è competente in materia di impugnazione: del decreto di espulsione prefettizio; della convalida del trattenimento del non richiedente asilo disposto dal Questore; della convalida dell’accompagnamento alla frontiera disposta dal Questore; della convalida delle misure accessorie personali disposte dal Questore per la partenza volontaria dello straniero.
5 Il giudice amministrativo è competente in materia di impugnazione: del provvedimento di allontanamento dei cittadini UE per motivi di sicurezza dello Stato o per motivi di ordine pubblico; del diniego di cittadinanza per motivi di sicurezza o inerenti procedimenti di tipo “concessorio”; del provvedimento di espulsione dello straniero per motivi di prevenzione del terrorismo ex art. 3, co. 4, d.l. 27.7.2005, n. 144; dei permessi di soggiorno previsti dall’art. 6 del d.lgs. n. 286/1998; della revoca prefettizia delle misure di accoglienza per il richiedente asilo che si allontani ingiustificatamente dal centro di accoglienza ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. n. 142/2015.
6 Cfr. Proto Pisani, A., In tema di protezione internazionale dello straniero, in Foro It., 2010, I, 3403, il quale sottolinea che il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o della protezione umanitaria, costituiscono diritti soggettivi perfetti, non rimessi ad alcun potere discrezionale della pubblica amministrazione, che trovano tutela attraverso una duplice fase: a) una fase amministrativa innanzi alle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale; b) ed una fase giurisdizionale, eventuale in quanto attivabile in caso di reiezione anche solo parziale della domanda di asilo.
7 Cass., S.U., 17.11.2008, n. 27310 e Cass., 27.7.2010, n. 17576.
8 Cass., S.U., 17.11.2008, n. 27310.
9 C. cost., 26.2.2002, n. 35, ha ritenuto manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3, 10, 13 e 24 Cost., la q.l.c. dell’art. 14, co. 4, d.lgs. n. 286/1998, osservando che la procedura camerale non viola di per sé il diritto di difesa e che la sua adozione in vista di esigenze di speditezza e semplificazione delle forme processuali è scelta che solo il legislatore può compiere e che sfugge al sindacato di costituzionalità, salvo che non si risolva nella violazione di specifici precetti costituzionali e non sia viziata da irragionevolezza.
10 La Corte di Strasburgo ritiene che le garanzie previste dall’art. 6 della Convenzione non godono della stessa rigidità in tutti i procedimenti e che il processo civile, in particolare, può svolgersi, per ragioni di celerità e semplificazione, tramite un contraddittorio prevalentemente scritto, anche sacrificando l’udienza orale, tranne nei casi in cui «sia necessario audire l’interessato, richiedere oralmente chiarimenti alle parti o quando occorra ai fini dell’attività di raccolta e apprezzamento delle prove»: CEDU, plenaria, 29.11.1991, causa n. 11826 del 1985, Caso Helmers v. Svezia.
11 C. cost., 29.5.2009, n. 170.