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Le novità in tema di silenzio
Prescelto come modello preferenziale di semplificazione dell’attività amministrativa e oggetto di continui – e, nel tempo, assai ravvicinati – interventi legislativi, l’istituto del silenzio-assenso vede confrontarsi con rinnovato vigore le opinioni dottrinali circa la ricostruzione del meccanismo logico-giuridico con il quale opera, con particolare riguardo alla posizione (dovere o onore di provvedere) in cui viene a trovarsi l’Amministrazione destinataria della domanda dell’interessato al conseguimento del provvedimento ampliativo.
Il silenzio – nell’accezione di «silenzio significativo», perché sostitutivo del provvedimento espresso, e nella declinazione di «silenzio assenso» – costituisce un modulo di semplificazione dell’azione amministrativa, divenuto la regola nei procedimenti avviati ad istanza di parte a seguito dell’entrata in vigore della l. 7.8.1990. n. 241: l’art. 20, l. n. 241/1990 pone la fattispecie generale, alla quale si sono poi affiancate, sempre più numerose, le ipotesi disciplinate da normative settoriali1 e, tra queste, recentemente, anche quella del silenzio assenso sulla richiesta di permesso di costruire di cui dall’art. 5, co. 2, n. 3 (divenuto n. 2 in sede di conversione), del d.l. 13.5.2011 n. 70, conv. con modificazioni in l. 12.7.2011 n. 106.
Quest’ultima disposizione ha riscritto l’art. 20, d.P.R 6.6.2001, n. 380, (re)introducendo2 una fattispecie di silenzio assenso nel settore edilizio.
Con il d.l. 22.6.2012, n. 83 (art. 13, co. 2, lett. d, n. 5), conv., con modificazioni, in l. 7.7.2012 n. 134, il testo del co. 10 del citato art. 20, d.P.R n. 380/2001 è stato così riformulato: «qualora l’immobile oggetto dell’intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela non compete all’amministrazione comunale, il competente ufficio comunale acquisisce il relativo assenso nell’ambito della conferenza di servizi di cui al comma 5-bis. In caso di esito non favorevole, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-rifiuto». Come si vedrà innanzi (v., infra, § 2), questa disposizione è di non facile interpretazione, soprattutto sotto il profilo sistematico.
Dal canto suo, la dottrina ha cominciato a svolgere una rimeditazione complessiva, soprattutto con riguardo agli effetti prodotti dalla domanda del privato in relazione al potere di provvedere dell’Amministrazione3.
Nel caso in cui l’immobile, oggetto dell’intervento, sia sottoposto ad uno dei vincoli indicati al primo comma (vincoli ambientali, paesaggistici o culturali), se la tutela del vincolo in questione è di competenza, anche in via di delega, della stessa amministrazione comunale, il termine di adozione del provvedimento finale decorre dal rilascio del relativo atto di assenso. Nel caso in cui, invece, essa appartenga ad una diversa autorità, il competente ufficio comunale dovrà convocare la conferenza di servizi. Si era inteso in tal modo distinguere il caso dell’autorizzazione paesaggistica, in cui è lo stesso Comune chiamato a provvedere, seppure in via delega, anche mediante l’indizione della conferenza di servizi (co. 9), da quello in cui l’autorizzazione deve essere rilasciata da altro soggetto (co.10, è il caso dell’autorizzazione storico-artistica).
Nel testo anteriore alla novella del 2012, in entrambe le ipotesi, qualora l’atto non fosse stato favorevole, una volta decorso il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, sulla domanda di permesso di costruire si intendeva formato il silenzio-rifiuto (co. 9 e 10). L’espressione utilizzata (“silenzio-rifiuto”) era di per sé ambigua4 risultando frequentemente utilizzata, soprattutto dalla più risalente giurisprudenza amministrativa, per designare il silenzio non significativo, altrimenti detto, con formula più congrua, “silenzio-inadempimento”.
Nella nuova formulazione del co. 10, allo scopo di unificare le due ipotesi descritte, è previsto che «in caso di esito non favorevole, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-rifiuto». Non è specificato, tuttavia, se l’«esito non favorevole» sia quello della conferenza dei servizi o la risposta negativa o mancante del Soprintendente, per il caso di autorizzazione storico-artistica5.
L’interpretazione sistematica della nuova disposizione non si presenta, perciò, agevole. Delle due, l’una: a) la norma allude alla determinazione finale della conferenza di servizi, ma, in tal caso, si forma un provvedimento negativo impugnabile e non certo un silenzio rifiuto; b) essa ha riguardo alla mancata risposta dell’autorità terza competente o alla mancata partecipazione alla seduta della conferenza di servizi, ma in tal caso opera il meccanismo sostitutivo previsto dall’art. 14 ter, co. 7, l. 241/90, per il quale la mancata partecipazione si considera manifestazione di assenso.
Non sembrerebbe esservi spazio, in definitiva, per concepire un «silenzio rifiuto» in senso proprio (ovvero un silenzio-inadempimento), dal momento che l’«esito non favorevole» della conferenza di servizi non può che risolversi in una manifestazione negativa, autonomamente impugnabile6.
2.1 Gli effetti della domanda dell’amministrato e i poteri della Pubblica Amministrazione
La giurisprudenza richiede, di regola, che, per il conseguimento dell’effetto utile della formazione del silenzio-assenso, sussistano in fatto le seguenti le circostanze (o condizioni):
a) l’interessato deve rivolgere la sua istanza all’amministrazione in rapporto ad una concreta fattispecie riconducibile ad un preciso ambito legislativo di applicazione del silenzio assenso;
b) la domanda deve provenire da un soggetto legittimato a proporla, che si presenti come titolare di quella situazione giuridica (interesse legittimo pretensivo), che sarebbe lesa dall’inerzia dell’Amministrazione;
c) la domanda deve essere rivolta all’amministrazione competente a provvedere sulla stessa;
d) la domanda deve essere corredata di tutti gli elementi necessari affinché l’amministrazione sia concretamente posta nella condizione di poter compiutamente valutare il caso in questione.
Di rado, i giudici amministrativi si spingono ad indagare il meccanismo logico-giuridico di formazione del silenzio assenso e il contenuto dei poteri dell’amministrazione, un volta che essa sia stata investita della domanda dell’interessato.
Per lo più, risulta condivisa la ricostruzione dell’istituto elaborata da un autorevole indirizzo dottrinario, secondo il quale la domanda, quale atto di iniziativa di un procedimento amministrativo, avrebbe l’unico effetto di far sorgere l’onere dell’Amministrazione di assumere l’eventuale provvedimento negativo prima della scadenza del termine decorrente dalla presentazione della domanda. Nella consapevolezza che il silenzio-assenso, così inteso, «male si sposa con i principi della funzione amministrativa»7 implicando una rinuncia «ad individuare in concreto l’interesse pubblico ed a valutare il modo della sua soddisfazione con riferimento alle situazioni reali in cui esso storicamente si viene a porre»8, questa opinione giunge ad affermare che, per rimediare all’inerzia dell’amministrazione, si è resa necessaria l’introduzione di una disciplina di deroga ai predetti principi, stabilendo che, nelle ipotesi di silenzio-assenso, «a determinare il nuovo assetto di interessi sia (non il provvedimento formale, bensì) il fatto giuridico dell’inerzia legalmente valutata»9.
Questa ricostruzione dell’istituto è stata di recente messa in dubbio da altra autorevole dottrina10 che, nella fattispecie di silenzio-assenso, non rinviene una ipotesi derogatoria del normale assetto regolativo dei poteri dell’Amministrazione, ritenendo piuttosto sempre immanente il dovere di provvedere dell’Amministrazione.
L’esame di ogni profilo problematico inerente la fattispecie di silenzio assenso e la corretta considerazione dei poteri in capo all’amministrazione in quella fattispecie, non può prescindere da un’opzione teorica circa la natura del silenzio-assenso.
Nella ricostruzione più risalente, il silenzio assenso era concepito come null’altro che una peculiare modalità di esercizio del potere, in relazione alla quale il legislatore considerava l’inerzia non come violazione del dovere di provvedere, ma come una modalità normale di conclusione del procedimento11.
La tesi era giustificata dalla giurisprudenza12, in relazione fatto che si aveva un sistema di giustizia amministrativa imperniato sull’atto e sul suo annullamento in caso di illegittimità, e dalla dottrina, sulla scorta del dettato del vecchio art. 20 l. n. 241/1990 che appunto parlava di «atto di assenso illegittimamente formato»13.
Per l’orientamento contrapposto, invece, l’istituto in parola aveva ad oggetto un mero fatto giuridico, fatto che, in quanto tale, poteva essere esistente o non esistente ma mai illegittimo: la conformità a legge della domanda del privato andava intesa come requisito di esistenza della fattispecie, cosicché non era giuridicamente possibile che, mediante il silenzio assenso, venissero a prodursi effetti giuridici contrari alla legge14.
Maggiore fortuna sia in dottrina che in giurisprudenza ebbe la ricostruzione del silenzio assenso (o, più in generale, del silenzio significativo), come «comportamento legalmente tipizzato»15.
Secondo questo indirizzo interpretativo, il silenzio assenso andrebbe identificato con un mero fatto, i cui effetti, tuttavia, in virtù di una fictio juris (mediante una tipizzazione dell’inerzia), sono i medesimi dell’atto amministrativo e, pertanto, sono soggetti allo stesso regime.
Questa ricostruzione distingue nettamente tra fattispecie-esistente e fattispecie-non esistente, a seconda che ne ricorrano o meno i requisiti per la formazione ed tra effetti legittimi o illegittimi, a seconda della conformità o meno della domanda alla legge16.
Vanno, perciò, tenuti ben distinti i requisiti di validità della fattispecie da quelli di legittimità della stessa, alla quale risulta pienamente applicabile la disciplina generale del procedimento amministrativo di cui alla l. 7.8.1990 n. 24117, con l’unica eccezione della fase la fase decisoria.
Sul piano dell’atto decisorio, infatti, l’amministrazione verrebbe ad essere non più attributaria del dovere di provvedere ma di un (mero) onere, potendo decidere alternativamente se procedere all’adozione del provvedimento espresso o rimanere inerte, dando luogo alla fattispecie legale tipizzata del comportamento omissivo equiparato all’atto di accoglimento18.
A questa prospettazione dottrinale si è replicato19, di recente, che «non bisogna dimenticare che l’onere è una situazione giuridica nella quale il soggetto, che ne è titolare, può non tenere la condotta, che dell’onere è oggetto, senza che questo costituisca in alcun modo un comportamento antigiuridico», cosicché «chi definisce come mero onere la posizione in cui la domanda pone l’amministrazione sembra perciò non tenere conto del fatto che l’inerzia di essa, nel caso in cui l’interessato non possieda i requisiti legali per ottenere quanto domandato, è invece altrettanto contra legem quanto il rilasciare a quello stesso soggetto il provvedimento favorevole cui, senza titolo, aspira: ne fornisce la prova il fatto che in ambo i casi l’ordinamento prevede la possibilità della stessa sanzione, quella dell’annullamento in autotutela»20, finendo con l’attribuire all’amministrazione una libertà che mal si concilia con il rispetto dovuto a canoni fondamentali cui l’amministrazione è soggetta nel nostro ordinamento21.
In conclusione, secondo l’opinione in esame, le situazioni che possono verificarsi sono le seguenti22:
a) la domanda determina sempre la nascita, in capo all’amministrazione, del dovere di procedere ad istruttoria in misura adeguata alla complessità della situazione sulla quale la stessa è chiamata a provvedere;
b) se dall’istruttoria svolta emerge che l’interessato è privo dei requisiti necessari per ottenere legittimamente quanto domandato, l’amministrazione ha il dovere di procedere tempestivamente al provvedimento negativo;
c) se dall’istruttoria avvenuta risulta che l’interessato ha i requisiti di legge per ottenere una decisione favorevole e la disciplina del potere in questione non lascia all’amministrazione alcuno spazio di valutazione discrezionale né per condizionare il suo consenso al rispetto di particolari limiti o cautele da introdurre nell’espresso provvedimento favorevole all’interessato, né per decidere comunque un provvedimento di diniego volto alla cura di superiori e prevalenti interessi pubblici affidati alla sua cura, l’amministrazione opera qui correttamente astenendosi dal provvedere, lasciando cioè che intervenga ex lege la formazione del silenzio-assenso;
d) l’unico caso in cui si potrebbe discorrere di onere di provvedere andrebbe individuato nelle ipotesi in cui, una volta conclusa l’istruttoria, risultasse che, pur possedendo l’interessato tutti i necessari requisiti di legge, la disciplina dello specifico potere – di natura discrezionale – che l’amministrazione è chiamata ad esercitare le attribuirebbe la facoltà di subordinare il suo consenso al rispetto di particolari prescrizioni volte a curare al meglio il pubblico interesse affidatole, ovvero la facoltà di fare comunque luogo anche ad un diniego da cui il pubblico interesse risulterebbe curato in modo più conveniente, ne emerge che la domanda dell’interessato ha posto l’amministrazione in una condizione giuridica di onere di provvedere: nel primo ordine di ipotesi qui considerato, l’onere di far luogo al tempestivo provvedimento espresso di assenso, recante le particolari clausole appropriate alla fattispecie; nel secondo, l’onere di far luogo al tempestivo provvedimento espresso di diniego.
1 Fattispecie di silenzio assenso si rinvengono nel settore della telefonia mobile (art. 87, co. 9, d.lgs. 1.8.2003, n. 259), in quello edilizio (art. 35, co. 19 e art. 32, co. 1, l. 28.2.1985, n. 47; art. 39, co. 4, l. 23.12.1994, n. 724; art. 32, co. 37, d.l. 30.9.2003, n. 269, conv. in l. 24.11.2003, n. 326), in materia di subappalto (art. 118, d.lgs. 12.4.2006, n. 163).
2 Il silenzio-assenso per il rilascio del permesso di costruire era già stato introdotto temporaneamente dal cd. “decreto Nicolazzi” (d.l. 28.1.1982, n. 9, convertito in l. 25.3.1982, n. 94). Cfr., in proposito, Urbani, P., Le innovazioni in materia di edilizia privata nella legge 106 2011 di conversione del DL 70 13 maggio 2011. Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia, in www.giustamm.it, 2011.
3 Bergonzini, G., Silenzio-assenso ed effetti della domanda dell’interessato: riflessioni critiche, in www.giustamm.it, 2012.
4 Inequivoca, all’opposto, l’espressione utilizzata dall’art. 36, co. 3, d.P.R. n. 380/2001: «sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende respinta».
5 Per ovviare all’ambiguità del testo, è attualmente allo studio del legislatore un’ulteriore ipotesi di modica del testo del comma 10 dell’art. 20 d.P.R. n. 380/2001, che condurrebbe alla qualificazione di questa fattispecie di silenzio come silenzio-inadempimento (cfr. il commento di Stella, G.A., Le zone vincolate e il sì in 45 giorni. Il pasticcio del limite impossibile, in www.corriere.it, 18.10.2012). Per altri commentatori della proposta di riforma in parola, si tratterebbe, invece, di un’ipotesi di silenzio-assenso (cfr. Cianciullo, A., Edilizia, scontro sul silenzio assenso. “È un condono”. “No, difesa dei cittadini”, in www.repubblica.it, 18.10.2012)
6 Botteon, F., La difficile strada della «semplificazione» tra distrazioni della giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. IV, 30 luglio 2012) e grandi complicazioni del legislatore (conversione d.l. 83/12 «crescita» contenente modifiche alla disciplina dello sportello unico dell’edilizia e del permesso di costruire), in www.lexitalia.it, 2012.
7 Scoca, F.G., Ius aedificandi e silenzio-assenso, in AA.VV., Atti del convegno su ‘Tendenze e prospettive della normativa urbanistica: le innovazioni introdotte dal decreto Nicolazzi’, Napoli, 1983, 44.
8 Scoca, F.G., Il silenzio della pubblica amministrazione alla luce del nuovo trattamento processuale, in Dir. proc. amm., 2002, 268
9 Scoca, F.G., Il silenzio della P.A.: ricostruzione dell’istituto in una prospettiva evolutiva, in Parisio, V., a cura di, Inerzia della pubblica Amministrazione e tutela giurisdizionale. Una prospettiva comparata, Milano, 2002, 20.
10 Bergonzini, G., op. cit.
11 I diversi orientamenti sulla ricostruzione del silenzio assenso sono stati ricordati, da ultimo, ricordati da Barlese, V., Silenzio assenso tra potere di provvedere (successivamente) e potere di autotutela in Riv. not., 2011, 04, 835.
12 Sandulli, M.A., L’azione amministrativa: commento alla L. 7/8/90 n. 241 modificata dalla L. 11/2/05 n. 15 e dal d.l. 14/3/05 n. 35, Milano, 2005, 722 ss.
13 Barlese, V., op. cit., 835. L’A. richiama, in proposito, l’esame di questa tesi svolto da Travi, A., Silenzio assenso ed esercizio della funzione amministrativa, Padova, 1985, 55 ss.
14 Giovagnoli, R., I silenzi della Pubblica Amministrazione dopo la L. n. 80/2005, Milano, 2005, 294.
15 Scoca, F.G., Il silenzio della pubblica amministrazione, Milano, 1971, 205 ss.; Tessaro, T., in Franchini, C.-Lucca, M.-Tessaro, T., Il nuovo procedimento amministrativo, Rimini, 2005, 1008; Galli, R., Corso di diritto amministrativo, Padova, 2004, 858.
16 Cfr. Cons. St., sez. V, 27.6.2006, n. 4114, in www.giustizia-amministrativa.it ove si tengono distinti gli elementi necessari alla formazione del silenzio assenso dai requisiti di validità, requisiti la cui carenza si riflette appunto sul piano della legittimità ma non dell’ esistenza dell’istituto.
17 Caringella, F.-De Carolis, D.-De Marco, G., a cura di, in Le nuove regole dell’azione amministrativa dopo le leggi n. 15/2005 e 80/2005, 2005, Milano, 2005, 330 ss.
18 Scoca, F.G., Il silenzio della pubblica amministrazione alla luce del suo nuovo trattamento processuale, in Dir. proc. amm., 2002, 2, 239-275.
19 Bergonzini, G., op. cit., 13.
20 Bergonzini, G., op. cit., ibidem.
21 Cfr. C. cost., 5.5.1994, n. 169 e 24.12.1997 n. 404, in www.cortecostituzionale.it, sui principi che regolano l’azione amministrativa.
22 Bergonzini, G., op. cit., 34 ss.