Le novità introdotte dal d.l. n. 90/2014
Ad oltre un decennio dall’emanazione del d.P.R. 13.2.2001, n. 1231, che per la prima volta ha teorizzato la “firma digitale” degli atti processuali, il d.l. 24.6.2014, n. 90, recantemisure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari, ha decretato l’attuazione, in tempi rapidissimi, del processo amministrativo digitale (PAD): dopo l’emanazione delle regole tecnico-operative, a decorrere dal 1.1.2015 tutti gli atti del processo dovranno essere sottoscritti con firma digitale. Una vera “rivoluzione”, quindi, il cui impatto nel processo amministrativo appare di portata più dirompente di quanto può apparire ad una prima lettura.
L’art. 38, co. 1, del d.l. 24.6.2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito con modificazioni nella l. 11.8.2014, n. 114, ha stabilito in 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione il termine perentorio per l’emanazione del d.P.C.m. al quale l’art. 13 dell’All. 2 al d.lgs. 2.7.2010, n. 104 (Codice del processo amministrativo) ha attribuito il compito di stabilire le regole tecnico-operative per la sperimentazione, la graduale applicazione e l’aggiornamento del processo amministrativo telematico, tenendo conto delle esigenze di flessibilità e di continuo adeguamento delle regole informatiche alle peculiarità del processo amministrativo, della sua organizzazione e alla tipologia dei provvedimenti giurisdizionali.
La novità di maggior interesse risiede nel nuovo ruolo delle regole tecnico-operative di cui all’art. 38 del d.l. n. 90/2014, viste non più in funzione di mera “sperimentazione e graduale applicazione”, ma di vera e propria regolamentazione nel dettaglio e immediata attuazione di quello che viene oggi rinominato “Processo amministrativo digitale”.
1.1 Contenuto e implicazioni processuali della novella
L’art. 38, co. 2-bis del d.l. n. 90/2014, introdotto in sede di conversione dall’art. 1 della l. n. 114/2014, prevede che «A decorrere dal 1º gennaio 2015 (…) tutti gli atti e i provvedimenti del giudice, dei suoi ausiliari, del personale degli uffici giudiziari e delle parti sono sottoscritti con firma digitale. Dall’attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica».
A prescindere dalle problematiche tecniche – si da infatti per scontato che il Sistema Informativo della Giustizia amministrativa sia in grado di supportare tale cambiamento senza alcuna modifica strutturale e, comunque, con eventuali modifiche “a costo zero” – la norma appare destinata a creare non pochi problemi applicativi, in considerazione della previsione della immediata e generalizzata attuazione del PAD, in senso decisamente più incisivo rispetto alle analoghe disposizioni dettate per il processo telematico innanzi alle giurisdizioni civile, contabile e tributaria. Si segnala, in proposito, l’obbligatorietà – e non più la mera facoltà – dell’utilizzo della firma digitale per la sottoscrizione di qualsiasi provvedimento del giudice (quindi, tanto in primo grado che in appello ivi compreso il procedimento innanzi alle Sezioni Consultive del Consiglio di Stato), oltre che per qualsiasi atto delle parti, ivi compresa l’amministrazione, a prescindere dalla costituzione in giudizio con il proprio difensore; l’ambito applicativo, esteso a qualsiasi tipologia di atto, ivi compresi – a differenza del processo civile – gli atti introduttivi del giudizio; la mancanza di un approccio “graduale”, poiché dal 1.1.2015 tutti gli atti del processo dovranno essere sottoscritti e, conseguentemente, depositati con modalità digitale. È di tutta evidenza come ciò comporterà problemi sia sotto il profilo giuridico2 che sotto quello tecnico/operativo, attesa la necessità di far convergere nel medesimo fascicolo processuale atti in formato analogico ed atti in formato digitale.
L’intervento normativo operato dal d.l. n. 90/2014, con l’insieme delle disposizioni dettate in tema di processo telematico, si ispira alla evidente ratio di estendere anche all’esercizio della funzione giurisdizionale, la disciplina introdotta per le pp.aa. già con il d.lgs. 7.3.2005, n. 82 e successive modificazioni (Codice dell’amministrazione digitale). La tecnica seguita è, da un lato, quella di uniformare la disciplina processuale digitale innanzi alle diverse giurisdizioni laddove essa coinvolga l’attività dei difensori (ad es. in materia di comunicazioni e notificazioni); dall’altro, quella di rispettare le esigenze connesse alle specificità di ciascuna di esse, sotto il profilo processuale e/o tecniche, consentendo l’adozione di specifiche regole tecniche per ognuna di esse.
2.1 La nuova disciplina delle comunicazioni processuali
È innanzitutto da segnalare la radicale modifica alla disciplina delle comunicazioni di segreteria, in passato disciplinata dall’art. 136, co. 1, c.p.a. con riferimento esclusivo a quelle nei confronti dei difensori costituiti in giudizio, interamente riscritto dall’art. 45 bis (inserito dall’art. 1 della l. n. 114/2014 quale emendamento del testo originario). In conformità all’art.16 ter della l. 17.12.2012, n. 221 (cd. Agenda Digitale) – le cui prescrizioni sono ora espressamente estese anche al processo amministrativo – che considera utilizzabili ai fini delle comunicazioni (così come ai fini delle notificazioni) esclusivamente gli indirizzi pec risultanti dai pubblici elenchi (e, quindi, reperibili “d’ufficio”), i difensori sono ora obbligati ad indicare nel ricorso o nel primo atto difensivo esclusivamente un recapito di fax, che potrà essere anche diverso da quello del domiciliatario: tale strumento di comunicazione, tuttavia, sarà utilizzabile solo qualora sia impossibile effettuare la comunicazione all’indirizzo pec risultante da pubblici elenchi, per mancato funzionamento del sistema informatico della giustizia amministrativa.
Sarà inoltre onere dei difensori comunicare alla segreteria e alle parti costituite ogni variazione di tale recapito. Contestualmente, viene modificato l’art. 13, co. 3 bis, del T.U. delle spese di giustizia, di cui al d.P.R. 30.5.2002, n. 115, con il conseguente residuare della sanzione del pagamento del doppio del contributo unificato per la sola ipotesi in cui non venga comunicato un numero di fax.
La comunicazione di segreteria a mezzo pec diviene inoltre obbligatoria nei confronti di qualsiasi soggetto per il quale la legge prevede l’obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata risultanti dai pubblici elenchi: la legge di conversione ha infatti confermato le modifiche introdotte dall’art. 42 del d.l. n. 90/2014 che, introducendo l’art. 17 bis del d.l. 18.10.2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla richiamata l. n. 221/2012, ha disposto che «le disposizioni di cui ai commi 4, 6, 7, 8, 12 e 13 (dell’art. 16 n.d.r) si applicano anche nel processo amministrativo». Per coloro che, quindi, avendone l’obbligo, non abbiano provveduto a dotarsi del predetto indirizzo, le comunicazioni saranno eseguite esclusivamente mediante deposito in segreteria. Le stesse modalità si adotteranno anche nelle ipotesi dimancata consegna del messaggio di pec per cause imputabili al destinatario (ad esempio, per non avere “svuotato” la propria casella di posta).
Qualora, invece, le comunicazioni di segreteria a mezzo pec non andassero a buon fine per cause imputabili all’amministrazione, dovranno essere ripetute a mezzo fax e, solo in via del tutto residuale, attraverso la tradizionale modalità cartacea a mezzo posta.
Si evidenzia, tuttavia, che per quanto riguarda le comunicazioni di segreteria alle amministrazioni non costituite in giudizio l’operatività della norma è rimandata dalla l. n. 114/2014 alla data del 30.11.2014, in cui sarà reso operativo l’elenco di cui all’art. 16, co. 12, del d.l. n. 179/20123.
Diversamente, nelle ipotesi in cui il c.p.a. consente alla parte di stare in giudizio personalmente, dovrà invece essere la stessa ad indicare l’eventuale indirizzo pec al quale ricevere le comunicazioni e notificazioni di segreteria relative al procedimento: in tale caso, esse si effettueranno esclusivamente per via telematica, ai sensi dell’art. 16, co. 4, del d.l. n. 179/2012 e si applicheranno i co. 6 e 8 del medesimo decreto.
2.2 Le notificazioni a mezzo pec dopo il d.l. n. 90/2014
L’art. 46 del d.l. n. 90/2014 è intervenuto nella querelle relativa alla possibilità per i difensori di procedere alle notificazioni di atti a processuali a mezzo pec anche nel processo amministrativo – espressamente prevista dall’art. 3 bis della l. 21.1.1994, n. 53 – nelle more dell’emanazione delle regole tecniche del processo amministrativo di cui all’art. 13 dell’All. 2 al c.p.a4. L’entrata in vigore di tale norma era stata infatti espressamente posticipata dall’art. 16 quater del d.l n. 179/2012 alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del decreto del Ministro della Giustizia di modificazione delle Regole tecniche del processo civile telematico di cui al d.m. 21.2.2011, n. 44 successivamente avvenuta con d.m. 3.4.2013, n. 48. Tuttavia,malgrado il c.d. “rinvio esterno” alla disciplina speciale in materia di notificazioni operato dall’art. 39, co. 2, c.p.a, si erano evidenziati seri dubbi circa l’applicabilità del d.m. n. 48/2013 al processo amministrativo: ciò per una serie di ragioni, tanto di carattere giuridico che di carattere tecnico. Il richiamato art. 46, introducendo il nuovo art. 3 bis all’art. 16 quater del d.l. n. 179/2012 – confermato in sede di conversione in legge – ha ora espressamente chiarito che «Le disposizioni dei commi 2 e 3 non si applicano alla giustizia amministrativa». Se, quindi, l’operatività dell’art. 3 bis della l. n. 53/1994 nel processo amministrativo non è più condizionata alle regole tecniche del processo civile, la disciplina attuativa della norma appare imprescindibile al fine di regolare alcuni aspetti processuali determinanti: si pensi, ad esempio, al problema della procura digitale e soprattutto, della prova in giudizio della notificazione telematica, per le quali il testo approvato in sede di conversione si limita ora a precisare, con il nuovo co. 1 ter, che «In tutti i casi in cui l’avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche, procede ai sensi del comma 1-bis».
Ci si chiede, inoltre, se debba estendersi anche al processo amministrativo la disciplina dettata dal nuovo art. 16 septies del d.l. n. 179/2012 (Tempo delle notificazioni con modalità telematiche). È da segnalare, in ogni caso, che nelle more dell’attuazione del pubblico elenco degli indirizzi di cui all’art. 16, co. 12, d.l. n. 179/2012, le notificazioni a mezzo pec nei confronti delle pp.aa. rivestono fondati profili di inammissibilità.
Il “favor” per la fonte regolamentare – considerata, già nei lavori preparatori del codice, il mezzo più adeguato a garantire le esigenze di flessibilità e di continuo adeguamento delle regole del PAD alle tempistiche dettate dall’evoluzione tecnologica – pone alcuni rilevanti problemi, in considerazione della circostanza che la tecnica normativa della decretazione d’urgenza da un lato non ha tenuto conto della necessità di coordinare le nuove disposizioni con il contesto normativo preesistente; dall’altro ha omesso di prendere in considerazione la necessità di estendere anche per il PAD alcuni istituti previsti dallo stesso d.l. n. 90/2014, come convertito in legge, per il processo telematico innanzi alle altre giurisdizioni (ci si riferisce, in particolare, alle innovative disposizioni dettate dall’art. 52 del d.l. n. 90/2014, come convertito dalla l. n. 114/2014, in materia di poteri di autentica dei difensori e degli ausiliari del giudice; di domicilio digitale nonchè di diritti di copia degli atti digitali).Né tali incongruenze potranno essere risolte dall’emanando d.P.C.m. che, nel “convertire” i tradizionali istituti processuali disciplinandone l’utilizzo nella forma digitale (si pensi al deposito degli atti e dei documenti di parte; alla redazione e alla pubblicazione della sentenza, etc.), nel rispetto del principio della gerarchia delle fonti, non potrà comunque contenere disposizioni in contrasto con le vigenti disposizioni di legge: non a caso, l’art. 44 della l. 18.6.2009, n. 69, con riferimento specifico al riassetto della disciplina del processo amministrativo avanti ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato, attribuiva all’emanazione di decreti legislativi il compito di «garantire la ragionevole durata del processo, anche mediante il ricorso a procedure informatiche e telematiche (…)».
3.1 Le norme del c.p.a. in contrasto con la svolta digitale
Come è noto soprattutto alla classe forense (che ne ha, di fatto, contrastato l’applicazione nella grande maggioranza degli uffici giudiziari sin dalla sua emanazione, trattandosi peraltro di una disposizione sfornita di sanzione) l’art. 136, co. 2, c.p.a., in un’ottica di mera “sperimentazione” del futuro processo telematico, onera(va) i difensori della trasmissione “in via informatica” di una copia degli atti processuali (e, solo “ove possibile” dei documenti), senza che a ciò corrispondesse alcuna validità giuridica.
Tale disposizione è chiaramente incompatibile con il novellato art. 136, co.2-bis, in quanto la sottoscrizione degli atti processuali con firma digitale implica la condivisione della nozione di “documento informatico”, al quale il CAD esplicitamente riconosce piena validità giuridica.
In secondo luogo, l’art. 5 delle norme di attuazione del c.p.a. (improntato alla tradizionale impostazione del processo amministrativo come “cartaceo”) impone ai difensori, al fine di contribuire alla formazione del fascicolo d’ufficio, di depositare un numero di copie cartacee dell’atto originale pari ai componenti del Collegio giudicante, più uno. Tale disposizione, che al pari della prima non è stata abrogata neppure in sede di conversione in legge del d.l. n. 90/2014, stride infatti nettamente con le finalità di speditezza ed economia processuale alle quali il PDA è ispirato ed è destinata a creare non pochi problemi pratici5 e giuridici6 per i difensori, dal 1.1.2015 onerati dei nuovi adempimenti digitali.
1 Il d.P.R. 13.2.2001, n. 123, Regolamento recante disciplina sull’uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti è pubblicato nellaGazzetta Ufficiale n. 89 del 17.4.2001.
2 Per la tesi della nullità del deposito degli atti processuali analogici successivamente all’introduzione dell’obbligo del deposito in formato digitale si legga Pisano, I.,Manuale teorico pratico del processo amministrativo telematico, Milano, 2013; nel medesimo senso, per il processo civile, Bellé, R., Prime note su pct e processo di cognizione, in Judicium, il processo civile in Italia e in Europa, www.judicium.it. 29.08.2014.
3 Ad avviso di chi scrive, è da escludere l’ammissibilità di tale forma di comunicazione (analogamente alla notificazione) alle amministrazioni prima della suddetta data nonché, in ogni caso, qualora essa avvenga utilizzando indirizzi pec risultanti da altri pubblici elenchi.
4 Il TAR Lazio, nell’affrontare il problema dell’“empasse” derivante dalla mancata emanazione delle richiamate regole tecniche, ha inaugurato un filone giurisprudenziale che, medio tempore, ha risolto il problema facendo applicazione dell’art. 52, co. 2, c.p.a. che consente al Presidente di autorizzare la notifica del ricorso «con qualsiasi mezzo idoneo, compresi quelli per via telematica o fax » (ex multis, TAR Lazio, Roma, sez. III bis, 23.4.2014, n. 8310).
5 La necessità di ottemperare a tale obbligo è stata di ribadita nella Comunicazione del Segretariato Generale della G.A. del 28.4.2014 che, pur nel ritenere sufficiente per i ricorsi non accompagnati da istanza cautelare, sia in primo grado che in appello, il deposito di sole due copie in formato analogico di ciascun atto prodotto dalle parti, oltre all’originale, ha rammentato che «resta fermo, ovviamente, l’obbligo di immediato deposito di copia informatica degli atti unitamente all’originale cartaceo, ai sensi dell’art. 136, comma 2, c. p. a. ».
6 A parere di chi scrive, il concetto di “copia” di cui all’art. 5 n.t.a. non può che riferirsi ad atti originali cartacei e non può applicarsi ad atti nativi digitali, salva la possibilità di prevedere in sede di regole tecniche la previsione del deposito di copie analogiche “di cortesia” ai sensi dell’art. 23 del CAD.