Le nuove frontiere delle intercettazioni telefoniche
Il dibattito giurisprudenziale sulle intercettazioni, per lungo tempo ristretto entro i confini delle garanzie formali previste dalla normativa interna, sta ora spingendosi ad affrontare i complessi ma stimolanti problemi posti dall’evoluzione tecnologica, dalla tutela internazionale dei diritti fondamentali, dall’adeguamento degli strumenti di indagine alla dimensione transnazionale della criminalità. In questo contesto, un importante precedente è rappresentato dalla recente sentenza delle Sezioni Unite che ha legittimato l’uso delle intercettazioni effettuate mediante trojan horses nei procedimenti di criminalità organizzata.
Per lungo tempo la giurisprudenza di legittimità ha affrontato la materia delle intercettazioni telefoniche in una prospettiva essenzialmente interna, attenta soprattutto alla definizione delle garanzie formali sancite dal codice di procedura penale.
Nell’ultimo anno, invece, sono emerse con forza una serie di tematiche legate alla trasformazione della struttura delle comunicazioni e degli strumenti di captazione per effetto dei più recenti sviluppi della tecnologia, alla necessità di adeguare lo strumentario delle tecniche investigative all’evoluzione di una criminalità sempre più caratterizzata da una dimensione transnazionale, e allo “statuto delle intercettazioni” stabilito con l’importante sentenza della Grande Camera della C. eur. dir. uomo, 4.12.2015, Roman Zakharov c. Russia.
A quest’ultima pronuncia si sono richiamate le Sezioni Unite della Corte di cassazione nella recente sentenza Scurato1, che ha legittimato in modo inequivocabile il ricorso all’installazione di un captatore informatico nei dispositivi elettronici portatili (ad es. personal computer, tablet, smartphone, ecc.) per procedere ad intercettazioni tra presenti nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata. È venuta così a delinearsi la figura delle “intercettazioni ambientali mobili”, effettuate mediante un trojan horse che trasforma il telefono cellulare (o un altro dispositivo elettronico) da uno strumento di comunicazione in uno strumento di captazione.
L’uso delle nuove tecniche di intercettazione è, a sua volta, reso necessario dal rapido progresso delle tecniche di elusione delle captazioni, per effetto della inaccessibilità di determinate reti o della adozione di sistemi di criptazione delle comunicazioni. A ciò si accompagna il netto ridimensionamento delle distinzione tra telecomunicazioni e flussi informatici: si pensi, ad esempio, alle conversazioni effettuate attraverso applicazioni come WhatsApp.
La giurisprudenza si sta quindi misurando con la necessità di individuare una disciplina giuridica appropriata all’evoluzione tecnologica, come pure alle dinamiche relazionali globali connesse ai fenomeni criminali. In questo contesto, emerge la necessità di definire i presupposti per l’attivazione delle procedure di cooperazione giudiziaria, attualmente nelle forme previste dalla Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000, recentemente ratificata con la l. 21.7.2016, n. 149, ed in un prossimo futuro secondo le nuove modalità descritte dalla direttiva 2014/41/UE sull’ordine europeo di indagine penale (OEI). Sarebbe veramente paradossale se le nuove normative, finalizzate a facilitare lo svolgimento delle indagini per i reati transnazionali, finissero per divenire un pesante ostacolo proprio alla rapida attivazione delle tecniche investigative più moderne.
Una sistematica analisi del quadro delle garanzie minime cui è subordinata la conformità delle intercettazioni ai principi insiti nell’art. 8 CEDU, che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza, è stata compiuta da C. eur. dir. uomo, 4.12.2015, Roman Zakharov c. Russia. Le indicazioni di questa pronuncia sui requisiti qualitativi e contenutistici della normativa nazionale rappresentano un vero e proprio “statuto europeo” delle intercettazioni, destinato a costituire la base comune per l’armonizzazione delle legislazioni e per l’interpretazione convenzionalmente conforme.
La Corte di Strasburgo ha anzitutto messo in luce i requisiti di qualità della base legale delle intercettazioni, sotto un duplice profilo: la accessibilità all’interessato e la prevedibilità degli effetti. La Corte ha tratto dal requisito della prevedibilità la necessità di regole chiare e dettagliate sulle intercettazioni, evidenziandone il collegamento con l’evoluzione tecnologica, che diviene continuamente più sofisticata.
Muovendo dalla premessa che se la discrezionalità accordata all’esecutivo o al giudice fosse espressa in termini di potere illimitato essa sarebbe contraria allo stato di diritto, si è altresì rilevato che la legge deve indicare in modo sufficientemente chiaro la portata della discrezionalità conferita alle autorità competenti e le modalità del suo esercizio.
Sul piano contenutistico, la sentenza Zakharov ha quindi delineato in modo esaustivo i caratteri essenziali della disciplina interna della materia, evidenziando la necessità di una regolamentazione strutturata in modo da ricomprendere i seguenti aspetti:
a) definizione dell’ambito di applicazione delle intercettazioni: la legge deve individuare con chiarezza la natura dei reati che possono dare luogo a un ordine di intercettazione e le categorie di persone le cui utenze telefoniche possono esservi sottoposte; per quanto attiene alla natura dei reati, non occorre una elencazione nominativa, essendo sufficiente il riferimento al livello di pena edittale per essi prevista; tra i potenziali destinatari delle intercettazioni possono includersi non solo gli indagati o imputati, ma anche le persone che possano essere in possesso di informazioni rilevanti per il procedimento penale;
b) durata delle intercettazioni: la determinazione della complessiva durata della misura può essere lasciata alla discrezione delle autorità nazionali competenti per ordinare e rinnovare gli ordini di intercettazione, purché nella legge siano indicati il termine di efficacia degli ordini di intercettazione, le condizioni per la loro rinnovazione, e le circostanze nelle quali l’attività di intercettazione deve cessare;
c) procedure da seguire per la conservazione, l’accesso, l’esame, l’uso, la comunicazione e la distruzione dei dati ottenuti mediante le intercettazioni: la relativa disciplina deve essere strutturata in modo da minimizzare il rischio di un accesso o di una rivelazione in mancanza di autorizzazione, deve prevedere la immediata distruzione di tutti i dati che risultino chiaramente irrilevanti per lo scopo in funzione del quale sono stati ottenuti (come nel caso in cui non venga formulata una accusa penale a carico del destinatario della captazione), e deve delimitare puntualmente le ipotesi di conservazione del contenuto dalle intercettazioni dopo la fine del processo, senza lasciare al giudice una illimitata discrezionalità sul punto;
d) procedure di autorizzazione delle intercettazioni: in proposito, si attribuisce rilievo ad un insieme di elementi, che attengono:
• all’autorità competente per l’autorizzazione, che può essere anche una autorità non giudiziaria, purché sufficientemente indipendente dal potere esecutivo;
• alla portata della valutazione affidata alla autorità competente per l’autorizzazione, che deve avere il potere di verificare l’esistenza di un ragionevole sospetto a carico della persona interessata, nonché la presenza, nella misura richiesta, dei requisiti della necessità in una società democratica e della proporzione rispetto al fine legittimo perseguito (ad esempio, sotto il profilo della possibilità di raggiungere lo scopo con mezzi meno invasivi);
• al contenuto della autorizzazione all’intercettazione, che deve contenere la individuazione della specifica persona da sottoporre a intercettazione, o, in alternativa, del luogo in cui può essere effettuata la captazione;
e) accesso delle autorità alle comunicazioni, che presuppone la presentazione dell’autorizzazione alle intercettazioni al fornitore di servizi di comunicazione;
f) controllo sulla esecuzione delle operazioni di intercettazione già autorizzate: questo compito di supervisione può essere affidato sia a un giudice, sia a un organo non giudiziario, purché indipendente dalle autorità che effettuano le misure ed investito di sufficienti poteri e competenze per esercitare un controllo continuo ed effettivo (e quindi con i poteri di accedere a tutti i documenti rilevanti, di ordinare la cessazione delle violazioni riscontrate, di attivare la responsabilità dei loro autori, di ottenere la distruzione del materiale intercettivo ottenuto illegalmente); infine, occorre che le attività dell’organo di supervisione siano aperte al pubblico scrutinio (ad esempio mediante rapporti annuali trasmessi alle autorità governative e quindi resi pubblici e discussi in Parlamento);
g) successiva comunicazione delle intercettazioni e rimedi disponibili; è legittimo escludere la comunicazione delle intercettazioni ai loro destinatari una volta che le stesse siano cessate, se continua l’attività o il pericolo che hanno reso necessario il ricorso a tali misure; tuttavia, nella misura in cui la successiva comunicazione può essere effettuata senza pregiudicare lo scopo della captazione, si dovrebbero fornire le relative informazioni al destinatario, assicurando così la effettività dei rimedi disponibili contro la violazione dei propri diritti. In mancanza di una simile comunicazione, occorre attribuire a chiunque sospetti che le proprie comunicazioni siano state intercettate la legittimazione ad adire l’autorità giudiziaria per tutelare i propri diritti contro gli abusi da parte delle autorità che effettuano la sorveglianza.
La sentenza Zakharov contiene anche una indicazione di indubbio rilievo per l’interpretazione delle lacunose previsioni legislative contenute nel codice di rito italiano, in quanto lascia chiaramente intendere che non è necessario che nel provvedimento autorizzativo delle intercettazioni siano indicati i luoghi in cui le stesse devono svolgersi, purché ne venga identificato il destinatario. Questi due elementi sono, infatti, menzionati in termini alternativi e non cumulativi nella pronuncia della Grande Camera2.
Sotto questo profilo, la sentenza Zakharov ha assunto un ruolo di particolare importanza rispetto all’evoluzione della giurisprudenza interna sulle nuove tipologie di intercettazioni “ambientali mobili”, unitamente ad una successiva decisione di irricevibilità che ha dato piena legittimazione ad uno degli aspetti più significativi del “doppio binario” che contrassegna il nostro sistema processuale penale. Si tratta, precisamente, di C. eur. dir. uomo, 23.2.2016, Capriotti c. Italia3, che ha affermato la compatibilità delle intercettazioni disposte nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata con il diritto al rispetto della vita privata e il diritto al “processo equo”, sanciti rispettivamente dall’art. 8 e dall’art. 6 CEDU.
La disciplina di quest’ultimo tipo di intercettazioni, dettata dall’art. 13 d.l. 13.5.1991, n. 152, conv. in l. 12.7.1991, n. 203, introduce una serie di deroghe rispetto alla regolamentazione ordinaria. In particolare, con riguardo ai presupposti, richiede semplicemente la sussistenza di sufficienti indizi di un delitto di criminalità organizzata e la necessità della intercettazione per lo svolgimento delle indagini; con riguardo alla durata, amplia il relativo periodo a quaranta giorni, prorogabili di venti giorni in venti giorni con decreto motivato del giudice; con riguardo all’attività esecutiva, consente al pubblico ministero e agli ufficiali di polizia giudiziaria di farsi coadiuvare da agenti di polizia giudiziaria; e, soprattutto, con riguardo alle modalità di effettuazione, consente le intercettazioni di comunicazioni tra presenti (cd. ambientali) anche nei casi in cui non vi è motivo di ritenere che nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p. si stia svolgendo l’attività criminosa. A quest’ultimo aspetto della regolamentazione si ricollegano importanti conseguenze sotto il profilo della legittimità delle intercettazioni effettuate mediante il ricorso a “captatori informatici”.
La normativa in esame, pur presentandosi come legge speciale rispetto alle disposizioni codicistiche, è caratterizzata da una sfera di operatività estremamente ampia, coincidente con il concetto di “criminalità organizzata”, nella quale la giurisprudenza ha inquadrato «non solo i reati di criminalità mafiosa e assimilati, ma tutte le fattispecie criminose di tipo associativo»4, identificate nel caso concreto con l’inevitabile grado di elasticità che è tipico delle indagini preliminari. Al di là del rapporto regola-eccezione, si tratta di una regolamentazione che, di fatto, condiziona l’interpretazione di tutta la materia intercettativa5.
Una valutazione positiva di questa speciale disciplina è stata compiuta dalla Corte di Strasburgo con la decisione relativa al caso Capriotti, che ha ravvisato in essa una ingerenza «necessaria in una società democratica» per raggiungere gli obiettivi della difesa dell’ordine e dell’accertamento della verità nell’ambito del processo penale, sottolineando altresì la presenza di un «controllo efficace» delle intercettazioni, conforme al principio della preminenza del diritto.
Si tratta di una decisione che si pone in continuità con due recenti pronunce (C. eur. dir. uomo, 11.6.2013, D’Auria e Balsamo c. Italia, e C. eur. dir. uomo, 30.4.2013, Cariello e altri c. Italia) nelle quali la Corte di Strasburgo sembra, peraltro, anticipare – pur senza entrare nel merito – un tema di notevole importanza, come la «questione di stabilire se il legislatore debba indicare con esattezza tutti i luoghi in cui potrebbero essere effettuate le intercettazioni o tutte le persone che, essendo in contatto con una persona sospettata, possono essere oggetto di intercettazione».
Tale questione è stata poi esaminata specificamente nella sentenza Zakharov, che, da un lato, ha incluso tra i requisiti contenutistici della legislazione nazionale la individuazione della specifica persona che deve essere sottoposta a intercettazione, o dell’insieme dei luoghi in cui la captazione può essere effettuata, ma, dall’altro lato, ha specificato che tale indicazione è alternativa, e non cumulativa. Si tratta di una precisazione che, insieme alla positiva valutazione compiuta dalla Corte di Strasburgo sulle intercettazioni nei procedimenti di criminalità organizzata, ha aperto la strada all’ammissione, per via giurisprudenziale, delle intercettazioni ambientali mobili nel sistema processuale penale italiano.
Un importante tentativo di ammodernamento degli strumenti concettuali su cui si impernia il “diritto vivente” in materia di intercettazioni è stato compiuto, risolvendo un contrasto di giurisprudenza insorto all’interno della VI sezione della Suprema Corte6, da Cass., S.U., 28.4.2016, n. 26889 (ric. Scurato), che, in relazione ai procedimenti di criminalità organizzata, è giunta ad ammettere l’impiego di un “captatore informatico” o “agente intrusore” (consistente, sul piano tecnico, in un trojan horse installato in un dispositivo elettronico) per effettuare l’intercettazione di comunicazioni tra presenti non solo nei luoghi pubblici, ma anche nei luoghi di privata dimora, senza necessità di una preventiva individuazione di essi e prescindendo dalla dimostrazione se negli stessi si stia svolgendo l’attività criminosa.
A queste conclusioni le Sezioni Unite sono giunte sulla base di una ampia ed approfondita analisi, che ha avuto ad oggetto, segnatamente, le caratteristiche tecniche ed informatiche del mezzo investigativo in esame, la “tenuta costituzionale” delle intercettazioni ambientali, la normativa ordinaria e speciale che disciplina le stesse, il dibattito sorto nella giurisprudenza di legittimità, e i principi affermati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
Si tratta di un iter argomentativo che delinea una sorta di ideale modello di tecnica redazionale della sentenza, in una fase storica nella quale le più significative decisioni giurisprudenziali assunte a livello interno possono facilmente diventare – come è accaduto nel caso in esame – un importante precedente nel contesto europeo dove emergono nuove esigenze di regolazione connesse, da un lato, alle minacce globali provenienti dal terrorismo, dalla criminalità organizzata e dal cybercrime, e, dall’altro, ai mutamenti strutturali prodotti dagli sviluppi della tecnologia sull’intero sistema delle comunicazioni e, quindi, sugli strumenti investigativi.
Una precisa consapevolezza delle implicazioni processuali delle nuove tecniche di captazione sta alla base della scelta delle Sezioni Unite di focalizzare la decisione sul tema delle “intercettazioni di comunicazioni tra presenti”, piuttosto che sulla categoria delle “intercettazioni ambientali”, priva di riscontro nel dato testuale delle norme ed «entrata a far parte del linguaggio giuridico in un momento storico nel quale le possibilità di intercettazione in luoghi chiusi in base alle tecniche di captazione disponibili erano per lo più riconducibili alla installazione di microspie in uno o più “ambienti” predeterminati».
Dopo avere descritto le molteplici potenzialità investigative del “captatore informatico” e l’ampia estensione soggettiva e oggettiva delle intercettazioni ambientali che esso permette di realizzare (tanto da raggiungere non solo l’individuo nelle più diverse manifestazioni della sua vita, ma anche i soggetti a lui vicini, senza alcun limite relativo ai luoghi di ascolto), le Sezioni Unite hanno escluso l’esistenza di divieti costituzionali assoluti in materia di intercettazioni foniche all’interno di luoghi di privata dimora, come pure di divieti di utilizzo di intercettazioni nei confronti di persone diverse dall’indagato.
Una attenta disamina del testo legislativo e della giurisprudenza interna ed europea ha condotto le Sezioni Unite a riconoscere che nell’intercettazione tra presenti, compiuta con mezzi “tradizionali”, il riferimento al luogo della captazione non integra un presupposto dell’autorizzazione, ma assume rilevanza ai fini della motivazione del decreto nella quale il giudice deve indicare le modalità esecutive del mezzo di ricerca della prova, consistenti nella collocazione fisica di microspie. Per converso, un’esigenza di questo tipo non ricorre nel caso di impiego del “captatore informatico”, che dà vita a un’intercettazione ambientale per sua natura “itinerante”.
Fatta questa premessa le Sezioni Unite hanno tracciato una netta distinzione di trattamento giuridico, nell’ambito delle intercettazioni eseguite mediante trojan horses, tra quelle soggette esclusivamente alla disciplina ordinaria, dettata dagli artt. 266 ss. c.p.p., e quelle rientranti nell’ambito di applicazione della speciale normativa prevista dall’art. 13 d.l. n. 152/1991 per le indagini relative a delitti di criminalità organizzata.
Per la prima tipologia di captazioni, cui si applicano solo le disposizioni del codice di rito, resta esclusa la possibilità di intercettazioni tra presenti con il mezzo del captatore informatico nei luoghi di privata dimora, rispetto ai quali è previsto il requisito autorizzativo incentrato sul fondato motivo di ritenere che in essi si stia svolgendo l’attività criminosa. Tale esclusione viene fatta discendere, oltre che da argomentazioni giuridiche, anche da due considerazioni di natura empirico-tecnologica: da un lato, la impossibilità, per il giudice, all’atto dell’autorizzazione, di predeterminare i luoghi di privata dimora nei quali verrà introdotto il dispositivo elettronico su cui viene installato il trojan; dall’altro, la irrealizzabilità del controllo preventivo del giudice, al momento dell’autorizzazione, anche qualora «fosse teoricamente possibile seguire gli spostamenti dell’utilizzatore del dispositivo elettronico e sospendere la captazione nel caso di ingresso in un luogo di privata dimora». In linea con le indicazioni della giurisprudenza europea, le Sezioni Unite evidenziano, poi, la insufficienza della sanzione della inutilizzabilità rispetto alla tutela degli interessi in gioco, prendendo in considerazione anche il rischio della diffusione di conversazioni illegittimamente captate.
Invece, con riguardo alla seconda tipologia di captazioni, soggette alla speciale disciplina che prescinde dal requisito autorizzativo della coincidenza tra il luogo della captazione e quello di svolgimento dell’attività criminosa, è stata riconosciuta l’ammissibilità dell’intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante l’installazione di un captatore informatico in dispositivi elettronici portatili, non richiedendosi la predeterminazione dei luoghi di privata dimora in cui le relative operazioni possono svolgersi.
Sul punto, si è anzitutto sottolineato che nella materia in esame il legislatore ha operato uno specifico bilanciamento di interessi, che ha comportato una maggiore limitazione della segretezza delle comunicazioni e della tutela del domicilio tenendo conto della eccezionale gravità e pericolosità, per la intera collettività, dei reati di criminalità organizzata, e che è sfociato nella «possibilità di effettuare, previa motivata valutazione del giudice, intercettazioni “tra presenti” in luoghi di privata dimora “a prescindere” dalla dimostrazione che essi siano sedi di attività criminose in atto e, quindi, senza alcuna necessità di preventiva individuazione ed indicazione dei luoghi stessi». Di tale bilanciamento di interessi le Sezioni Unite hanno ribadito l’attualità, osservando che le minacce derivanti dalle organizzazioni criminali e terroristiche richiedono una risposta volta ad «adeguare l’efficacia investigativa all’evoluzione tecnologica dei mezzi adoperati dai criminali».
Le Sezioni Unite hanno, poi, posto in evidenza la conformità della suesposta interpretazione con il complesso dei principi desumibili dall’art. 8 CEDU, alla luce delle indicazioni offerte proprio dalle recenti pronunce relative al caso Zakharov e al caso Capriotti.
L’iter logico sviluppato dalle Sezioni Unite è stato successivamente seguito da sez. VI, 3.5.2016, n. 27404, Marino, che – oltre a ribadire il principio per cui nelle intercettazioni ambientali relative a criminalità organizzata l’utilizzo di un intrusore informatico è sempre legittimo, a prescindere dalla specificazione del luogo della captazione – ha affermato la necessità di definire l’ambito di operatività delle attività di captazione solo in funzione dell’accertamento del reato al quale si riferisce il decreto autorizzativo, prescindendo anche dalla concreta partecipazione dell’indagato ai colloqui. Quest’ultima pronuncia ha quindi considerato irrilevante la circostanza che possano risultare coinvolti dall’attività di captazione soggetti non indagati.
La soluzione accolta dalle Sezioni Unite, a ben vedere, lascia aperte una serie di questioni, sulle quali la giurisprudenza e la legislazione dovranno tornare ad interrogarsi in un prossimo futuro.
Una prima problematica è espressamente menzionata nella stessa motivazione della sentenza Scurato, che ha posto in luce l’eventualità che la nuova tipologia di intercettazioni realizzata mediante l’uso del captatore informatico «possa produrre, in casi estremi, esiti lesivi della dignità umana». Le Sezioni Unite, ricollegandosi all’impostazione espressa dalla Procura Generale7, hanno segnalato la possibilità di neutralizzare un simile pericolo «facendo discendere dal principio personalistico enunciato dall’art. 2 Cost., e dalla tutela della dignità della persona che ne deriva, la sanzione di inutilizzabilità delle risultanze di “specifiche” intercettazioni che nelle loro modalità di attuazione e/o nei loro esiti abbiano acquisito “in concreto” connotati direttamente lesivi della persona e della sua dignità».
Una seconda questione attiene alla possibile estensione delle “intercettazioni ambientali mobili” anche al di fuori del campo della criminalità organizzata, qualora gli sviluppi tecnologici e la prassi giudiziaria consentano di superare le preoccupazioni evidenziate dalle Sezioni Unite a proposito della impossibilità del giudice di procedere, nel momento stesso dell’adozione del provvedimento autorizzativo, ai necessari controlli e ad una completa indicazione dei luoghi. È logico chiedersi se una siffatta impossibilità potrebbe ritenersi ancora sussistente laddove il giudice specificasse la privata dimora in cui effettuare l’intercettazione ambientale, e la tecnologia disponibile garantisse indefettibilmente la disattivazione del captatore informatico in ogni altro luogo non pubblico.
Una terza esigenza riguarda la valorizzazione del parametro “personologico” richiesto dalla Corte di Strasburgo, in alternativa a quello “ambientale”, ai fini della legittimità del provvedimento di autorizzazione; tale parametro, che deve sussistere anche nei procedimenti per reati di criminalità organizzata, potrebbe indurre a delimitare l’efficacia del provvedimento autorizzativo alle sole conversazioni di cui il destinatario dell’intercettazione sia partecipe o che rientrino comunque nella sua sfera di controllo, escludendo una estensione incontrollata di questo strumento di indagine a tutte le comunicazioni che rientrino in via meramente occasionale nel raggio di azione del microfono del dispositivo mobile.
Alle tre questioni sopra menzionate, suscettibili di essere affrontate e risolte dalla giurisprudenza, se ne accompagnano altre due, che richiedono necessariamente l’intervento del legislatore.
Vi è anzitutto il tema della completa tracciabilità della esecuzione delle nuove forme di intercettazione. Una misura, questa, che appare indispensabile per garantire la correttezza dell’attività investigativa e salvaguardare i diritti della difesa, oltre che per rendere effettivo il requisito, valorizzato dalla Corte di Strasburgo, del controllo dell’autorità giudiziaria sulla attuazione delle operazioni di captazione. Si tratta di un tema sul quale soltanto una riforma normativa può prevedere con precisione le modalità di documentazione idonee allo scopo.
Ma vi è anche un’altra questione, che coinvolge il più generale problema della proporzionalità di un mezzo di indagine estremamente invasivo, come le “intercettazioni ambientali mobili”, rispetto al fine di interesse pubblico perseguito. Nel definire l’ambito di applicazione della speciale disciplina prevista dall’art. 13 d.l. n. 152/1991, le Sezioni Unite hanno fatto riferimento ad un concetto assai ampio di criminalità organizzata, che comprende i delitti elencati nell’art. 51, co. 3-bis e 3-quater, c.p.p., nonché quelli comunque facenti capo ad un’associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato.
Una simile delimitazione, sicuramente corretta sul piano del diritto positivo, appare però problematica sul piano della politica criminale. Da un lato, essa si impernia su una fattispecie suscettibile, per sua natura, di una ineliminabile elasticità di applicazione, soprattutto nell’ambito delle indagini preliminari, come quella dell’associazione per delinquere prevista dall’art. 416 c.p. Dall’altro lato, restano fuori dall’area di operatività di tale disciplina, con la conseguente tendenziale esclusione del ricorso alle “intercettazioni ambientali mobili”, ipotesi delittuose di spiccato allarme sociale, come la corruzione, se non inserite in un contesto associativo.
De jure condendo, è quindi legittimo chiedersi se non sia preferibile – come è avvenuto in alcuni ordinamenti stranieri – circoscrivere l’impiego delle nuove tipologie di intercettazione ad un numerus clausus di figure delittuose di speciale gravità, anche se commesse da singoli soggetti. Sotto questo profilo, andrebbe seriamente considerato l’appello8, redatto dai docenti di diritto processuale penale dell’Università di Torino, che, prendendo spunto dalla pronuncia delle Sezioni Unite sui captatori informatici, auspica «che, ove i suddetti strumenti siano ritenuti indispensabili per l’accertamento di gravi reati, il legislatore intervenga con specifiche disposizioni a regolare la materia nell’adeguato bilanciamento dei principi costituzionali e convenzionali coinvolti».
Note
1 Cass. pen., S.U., 28.4.2016, n. 26889, in CED rv. n. 266905 e 266906, Scureto.
2 Sul tema si rinvia a Balsamo, A., Le intercettazioni mediante virus informatico tra processo penale italiano e Corte europea, in Cass. pen., 2016, 2274 ss.
3 In Cass. pen., 2016, con nota di Balsamo, A.
4 Cass. pen., 19.3.2013, n. 28602, in CED rv. n. 256648, Caruso e altro; v. pure Cass. pen., S.U., n. 26889/2016.
5 Furfaro, S., Le intercettazioni telefoniche ed ambientali, di programmi informatici o di tracce pertinenti in un sistema informatico o telematico, in Il «doppio binario» nell’accertamento dei fatti di mafia, a cura di A. Bargi, Torino, 2013, p. 569.
6 In particolare, Cass. pen., 26.5.2015, n. 27100, in CED rv. n. 265654, Musumeci, aveva affermato che «l’intercettazione di conversazioni tramite il cd. agente intrusore, che consente la captazione “da remoto” delle conversazioni tra presenti mediante l’attivazione, attraverso il cd. virus informatico, del microfono di un apparecchio telefonico smartphone, dà luogo ad un’intercettazione ambientale che può ritenersi legittima, ai sensi dell’art. 266, co. 2, c.p.p. in relazione all’art. 15 Cost., solo quando il decreto autorizzativo individui con precisione i luoghi in cui espletare l’attività captativa». A diverse conclusioni erano giunte implicitamente Cass. pen., 12.3.2015, n. 24237, e Cass. pen., 8.4.2015, n. 27536, nonché, esplicitamente, l’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite (Cass. pen., 10.3.2016, n. 13884).
7 V. la relativa memoria in www.penalecontemporaneo.it, 4.7.2016. 8 In www.penalecontemporaneo.it, 7.10.2016.
8 In www.penalecontemporaneo.it, 7.10.2016.