Le “nuove” imposte patrimoniali
La crisi economica internazionale e le vicende che hanno accompagnato l’assunzione a livello nazionale di misure straordinarie per il risanamento della finanza pubblica hanno accresciuto l’attenzione verso forme di imposizione patrimoniale per conseguire il necessario riequilibrio dei conti pubblici e per realizzare una diversa distribuzione del carico fiscale. E ciò spiega come le più recenti manovre finanziarie siano tutte orientate nel senso dell’accentuazione della componente patrimoniale nella complessiva struttura dell’imposizione.
Si è parlato, autorevolmente ed efficacemente, di “patrimoniale frazionata”1 per indicare l’insieme di quelle misure tributarie (sugli immobili, sulle attività finanziarie e su altre manifestazioni di ricchezza) introdotte dai più recenti provvedimenti di finanza pubblica (d.l. 6.12.2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla l. 22.12.2011, n. 214 e d.l. 2.3.2012, n. 16, convertito in legge con modificazioni dalla l. 26.4.2012, n. 44) e intese a realizzare, insieme con altre, una diversa distribuzione del carico fiscale, nella prospettiva dell’equità e della crescita.
Si tratta di una scelta intesa ad istituire una serie o meglio una congerie impositiva avente come oggetto la titolarità di singoli cespiti, in luogo del complesso dei beni riferibili a un soggetto, e come comune denominatore e tratto caratterizzante la configurazione del prelievo la tassazione di una entità o componente patrimoniale.
Al frazionamento impositivo di cui si è detto non sono del tutto estranee considerazioni di ordine politico individuabili nel minore impatto negativo che esso avrebbe avuto rispetto ad un’unica patrimoniale nei cui confronti l’ostilità, anche se inespressa, resta fortemente radicata nella nostra società.
L’esame dei nuovi tributi deve, pertanto, muovere, per esigenze di completezza istituzionale, dal non sopito dibattito sull’introduzione nel nostro ordinamento del prelievo patrimoniale, di quella forma impositiva cioè il cui presupposto ed il cui parametro è costituito dal patrimonio del soggetto.
2.1 La giustificazione dell’imposizione patrimoniale
In proposito, va detto in estrema sintesi come sia convincimento diffuso che il patrimonio costituisca un preciso indice di capacità contributiva.
Gli studi finanziari hanno, infatti, evidenziato l’opportunità dell’istituzione di un’imposta patrimoniale in funzione discriminativa e aggiuntiva alle imposte sui redditi, riconoscendo alla stessa indubbia utilità in termini di efficienza, di equità e di redistribuzione della ricchezza2.
L’elaborazione giuridica ha posto in rilievo come la capacità contributiva debba desumersi dalla forza economica del soggetto, espressa da più indici, ivi compreso appunto il suo patrimonio complessivo, che, pertanto, può essere assunto ad autonomo presupposto di imposizione3.
Al di là della diversità di opinioni sulla capacità contributiva, una consistente parte della dottrina ritiene anzi che il legislatore sarebbe costituzionalmente tenuto ad introdurre nel sistema un’imposizione ordinaria sul patrimonio.
La tesi esposta è, tuttavia, avversata da chi, muovendo da una lettura dell’art. 53 coordinata con gli artt. 41 e 42 Cost., ritiene che solo la ricchezza non (costituente fonte) produttiva manifesta capacità contributiva, giungendo alla conclusione dell’illegittimità costituzionale di un tributo ordinario sul patrimonio costituito da beni produttivi. La stessa dottrina ritiene, invece, legittima la tassazione di elementi patrimoniali non costituenti fonti produttive, non risultando in tal caso pregiudicata «la sopravvivenza dell’economia privata che la Costituzione intende preservare»4.
In senso decisamente critico a siffatta impostazione si è osservato, riguardo al patrimonio produttivo, che i pretesi effetti negativi sarebbero esclusi dalla possibilità di assolvere il tributo con il reddito; mentre quanto al patrimonio improduttivo, o l’improduttività è temporanea, cosicché il ritorno, dopo un breve periodo, alla normale produttività elide il pericolo di intaccare la fonte produttiva, oppure l’improduttività è definitiva e allora il cespite deve cessare di venire considerato fonte produttiva, risultando, per questa via, tassabile5.
I rilievi che precedono, avvalorati da una conforme giurisprudenza costituzionale formatasi su tributi aventi indubbia natura patrimoniale6, valgono a chiarire, in linea generale, la legittimità ex art. 53 Cost. di questo tipo di imposizione.
Di fronte a una pressoché unanime convergenza di opinioni, le motivazioni che sono alla base della mancata introduzione di un’imposta patrimoniale generale nel nostro sistema tributario vanno individuate sia nelle obiettive difficoltà di accertamento del patrimonio mobiliare sia, soprattutto, in valutazioni di politica-economica. Motivazioni che hanno indirizzato una preferenza del nostro legislatore verso forme speciali di imposizione patrimoniale speciale che costituiscono oggetto della disamina che segue.
2.2 Il nuovo “sistema” di imposte speciali sul patrimonio
Lo spostamento del baricentro impositivo verso una più accentuata tassazione dei patrimoni passa, dunque, nel disegno governativo, attraverso la definizione di un sistema di imposte patrimoniali gravanti su singole categorie di cespiti. In questo sistema, l’imposizione sugli immobili è sicuramente centrale sebbene non più esclusiva.
L’Imu sperimentale, introdotta dall’art. 13 del d.l. n. 201/2011 (c.d. Salva Italia), anticipando l’operatività, dal 2014 al 2012, dell’imposta municipale propria disciplinata dalle disposizioni attuative della delega sul federalismo fiscale, costituisce la principale imposta patrimoniale e, allo stesso tempo, il principale strumento di finanza locale.
In ciò, il nuovo tributo – che estende il prelievo alla “prima casa” (seppure con aliquota agevolata e contemperata da una detrazione) – conserva la natura ambigua della vecchia Ici: rilevanza, in termini di capacità contributiva, del patrimonio immobiliare con le precisazioni, altrove evidenziate7, sulla ratio impositionis (ancora legata ad una logica reddituale) e sulla emersione del principio del beneficio (connesso ai servizi offerti dall’ente locale).
Le disposizioni del decreto configurano però una fattispecie bicefala, riservando allo Stato (non una parte di gettito ma) una quota di imposta – da versare direttamente all’Erario – pari alla metà dell’importo calcolato applicando alla base imponibile di tutti gli immobili, ad eccezione dell’abitazione principale nonché dei fabbricati rurali ad uso strumentale, l’aliquota di base dello 0,76%.
Ne risulta, insieme con una corrispondente e discutibile compressione dell’autonomia impositiva territoriale, una caratterizzazione dell’imposta in senso più marcatamente patrimoniale, nella quale – come esattamente osservato8 – per la quota erariale sugli immobili diversi dalle “prime case”, sbiadisce il collegamento con il beneficio connesso ai servizi comunali.
Questa connotazione può a ragione ricondursi a un più comprensivo disegno di tassazione erariale sugli immobili, in cui l’Imu riservata allo Stato si integra con l’imposta sugli immobili siti all’estero (Ivie), ove, per definizione, manca il collegamento con il beneficio derivante dall’attività dello Stato percettore.
L’articolo 19, co. da 13 a 17, del d.l. n. 201/2011 istituisce, infatti, a decorrere dal periodo d’imposta 2011, «un’imposta sul valore degli immobili situati all’estero, a qualsiasi uso destinati dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato».
La disciplina del nuovo tributo immobiliare risulta completata dalle successive integrazioni e correzioni operate – con ogni probabilità per superare i dubbi, connessi al diverso trattamento degli immobili interni, su una possibile violazione del principio comunitario di libera circolazione dei capitali – dall’art. 8, co. 16, lett. e), f) e g), del d.l. n. 16/2012, convertito in legge con modificazioni dalla l. n. 44/2012.
Secondo l’interpretazione fornita in recenti indicazioni ministeriali9 l’Ivie, completando il sistema della riformata imposizione sugli immobili, presenta analogie con l’Imu, e «in tale contesto, alcune delle disposizioni a quest’ultima riferibili sono state estese ai fini della tassazione degli immobili situati all’estero per ragioni di coerenza e di uniformità di trattamento».
In effetti, salva l’evidente identità della res, pur nel suo diverso ambito territoriale, sul piano della disciplina positiva, questa omogeneità applicativa tra i due tributi non risulta sempre in modo sicuro: sia rispetto alla platea e all’individuazione dei soggetti passivi; sia rispetto ai metodi di commisurazione dell’imponibile, che presentano – in modo, per certi versi, coerente – maggiori analogie con esperienze di tassazione patrimoniale proprie di altri Paesi (ad es. le property taxes statunitensi10).
Come emerge dall’analisi dei singoli elementi del prelievo, queste diversità potrebbero essere tali da escludere una ratio impositionis comune ai due tributi, ma, a ben vedere, si tratta di diversità che non vanno neppure enfatizzate.
L’Ivie è dovuta dalle persone fisiche residenti titolari del diritto di proprietà o di altro diritto reale su immobili situati all’estero, a qualsiasi uso destinati. La definizione del fatto imponibile e dell’ambito soggettivo di applicazione risulta dalla lettura coordinata della norma istitutiva (co. 13) e di quella successiva (co. 14) che, più che specificare i soggetti, individua il nucleo di diritti rilevanti nella delimitazione del presupposto.
L’esclusione della “proprietà nuda”, pienamente affermata dalle istruzioni ministeriali, non emerge in maniera netta dal dettato normativo; così come palesemente integrativa, in assenza di un espresso rinvio alla disciplina dell’imposta immobiliare “domestica”, si dimostra l’inclusione nel presupposto di situazioni soggettive attive, come la concessione e la locazione finanziaria, che non presentano propriamente carattere di realità.
Un’interpretazione in certo senso extratestuale anche se astrattamente criticabile si giustifica per una serie di ragioni. La prima è legata a una esigenza, evidentemente indotta da un quadro normativo lacunoso, di una maggiore uniformità di trattamento in un ambito impositivo omogeneo. La seconda, più specifica, è connessa alla validità, sul piano ricostruttivo, di un processo di assimilazione e progressivo avvicinamento di particolari situazioni sostantive al paradigma del diritto reale (pieno o parziario), che ha trovato, in alcuni casi e non solo ai fini fiscali, precisi riscontri sul piano positivo. Da ultimo, occorre considerare la stessa relatività della definizione legislativa, che ha riguardo a categorie interne, come la proprietà e i singoli diritti reali minori, che non trovano sempre una corrispondenza contenutistica e di disciplina in analoghi istituti di diritto straniero.
Può dirsi anzi che, in sede di determinazione del presupposto, l’individuazione della categoria dei diritti oggetto del prelievo ha un valore definitorio indicativo, implicando la necessaria operatività di un meccanismo di rinvio all’ordinamento dello Stato estero in cui l’immobile è ubicato. Ciò che, peraltro, non è senza conseguenze in termini di difficoltà applicative.
Più marcate peculiarità si riscontrano sul lato della determinazione del valore imponibile. Il valore dell’immobile è costituito, nella generalità dei casi, dal costo storico, cioè dal costo di acquisizione della proprietà o del diritto reale minore ovvero dal costo di costruzione, ove documentabili. In mancanza, il parametro di misurazione è invece un valore attuale, cioè il valore di mercato.
Il criterio generale, scelto per esigenze di certezza, può effettivamente condurre a trattamenti differenziati tra vecchi e nuovi proprietari. Quello residuale, fondato sul valore venale, presenta maggiori costi di accertamento ma risulta maggiormente coerente con la natura patrimoniale del prelievo, commisurato a una situazione attuale di titolarità del cespite.
Il quadro va completato considerando le integrazioni della l. n. 44/2012, che introducono un ulteriore metodo di valutazione per gli immobili ubicati in Paesi dell’Unione europea o in Paesi aderenti allo Spazio economico europeo che garantiscono un adeguato scambio di informazioni. In questo caso, l’imposta si applica, in via prioritaria, sul valore catastale, ove esistente, come determinato e rivalutato nel paese in cui l’immobile è situato ai fini dell’assolvimento di imposte ivi dovute. La capitalizzazione del reddito medio ordinario (opportunamente rettificato secondo la legislazione locale) mediante i coefficienti Imu non si rinviene nelle norme ma è suggerita dall’Amministrazione per “evitare disparità di trattamento” con alcuni Paesi (come la Francia) dove non è possibile pervenire alla determinazione del valore catastale.
Questa difformità dei metodi di valutazione, non tanto rispetto all’Imu quanto all’interno del medesimo prelievo, non si sottrae del tutto a dubbi di legittimità costituzionale.
La misura dell’imposta è fissata allo 0,76% in analogia all’Imu sulle unità immobiliari diverse dall’abitazione principale, confermandosi quella complementarietà cui sopra si è fatto riferimento.
Dall’Ivie è scomputata l’imposta di “natura” patrimoniale assolta all’estero, limitatamente alla quota immobiliare ove di carattere generale. Sull’individuazione della patrimonialità in rapporto al principio del beneficio la posizione ministeriale è netta: non è possibile detrarre, considerandole imposte patrimoniali, le imposte legate all’utilizzo di un determinato immobile in qualità di abitazione dal momento che tali tasse più che essere finalizzate a colpire la ricchezza costituita dal patrimonio sono dirette a richiedere un contributo, anche se rapportato al valore dell’immobile, al soggetto che abitando in un determinato luogo usufruisce dei servizi ivi forniti dalle amministrazioni pubbliche.
A definire il sistema della nuova imposizione patrimoniale concorrono ulteriori speciali interventi, cui è possibile solo accennare, che ampliano lo spettro dei diritti incisi: la modifica “a scaglioni” dell’imposta di bollo, originariamente introdotta sui soli conti bancari ed ora estesa a fattispecie in precedenza escluse; l’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero da persone fisiche residenti; la tassazione di alcune manifestazioni di ricchezza, quali i veicoli di grossa cilindrata, gli aerei e le imbarcazioni da diporto di maggiori dimensioni. Fattispecie tutte in cui si coglie anche un uso progressivo del tributo speciale.
Si tratta di interventi sicuramente “episodici”, sparsi in un materiale normativo complesso, inevitabilmente confuso, per l’affanno col quale si rincorrono i provvedimenti adottati per fronteggiare le urgenti condizioni di instabilità e per questo di interventi scarsamente “visibili”11 e forse volutamente tali, nel tentativo (tutto tecnico) di sottrarsi – nella ridda di voci e proposte – a un dibattito pubblico fortemente caratterizzato in senso politico-ideologico.
Questa opacità non ha, peraltro, impedito agli osservatori più attenti di cogliere l’impatto che – unitariamente considerate e ricondotte a “sistema” – queste nuove e speciali fattispecie di tassazione patrimoniale, così come la rimodulazione di quelle esistenti, esercitano sulla complessiva struttura dell’imposizione tributaria12.
Allo stesso tempo, esse sollecitano, sul piano sistematico, una rinnovata attenzione verso categorie e principi fondanti dell’imposizione, che assumono, per quanto si è detto, rilevanza non marginale nella disciplina positiva e nella stessa attuazione dei singoli prelievi considerati.
Categorie e principi il cui approfondimento potrebbe orientare, in modo ragionato e non conflittuale, gli sforzi verso una più equilibrata distribuzione del carico fiscale tra le diverse aree impositive, a beneficio della stabilità dei conti pubblici e nella prospettiva dello sviluppo.
1 Così, con grande incisività, il Professor Augusto Fantozzi nell’audizione resa il 25.1.2012 presso la VI Commissione permanente (finanze e tesoro) nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla riforma fiscale.
2 Visco, V., L’imposta sul patrimonio in una nuova struttura dell’imposizione diretta in Italia, in AA.VV., L’imposta patrimoniale, Padova, 1987, 111 ss.; Russo, V., L’imposta patrimoniale nell’esperienza e nella teoria della riforma tributaria italiana, 1973, Milano, 77 ss.; Sobbrio, G., Politiche finanziarie per la redistribuzione dei redditi, Milano, 1974, 72; Cosciani, C., Stato dei lavori della Commissione, Milano, 1964, 62 ss; Bosi, P., I tributi nell’economia italiana. Aspetti istituzionali e di politica economica, Bologna, 1993, 149 ss.; Tramontana, A., Aspetti e problemi, Padova, 1974, 13-100; Stefani, G., Economia della finanza pubblica, Padova, 1990, 184; Muraro, G., L’imposta patrimoniale nella teoria finanziaria: i termini della controversia, in AA. VV., L’imposta patrimoniale, cit., 23-24. Cfr. altresì Steve, S., Lezioni di scienza delle finanze, Padova, 1976, 325-326.
3 Si intende fare riferimento sia alla tesi (Manzoni, Moschetti e Falsitta) che privilegia nell’interpretazione dell’art. 53 Cost. lo stretto collegamento con il principio di solidarietà (art. 2 Cost.) sia alla tesi (Maffezzoni) che misura la capacità contributiva in termini di godimento di pubblici servizi.
4 Gaffuri, G., L’attitudine alla contribuzione, Milano, 1967, 152.
5 Moschetti, F., Il principio di capacità contributiva, Padova, 1973, 31.
6 Cfr. C. cost., 16.1.1989, n. 219; C. cost., 4.5.1995, n. 143; C. cost., 15.3.1996, n. 73; C. cost., 25.7.1983, n. 239; C. cost., 5.2.1996, n. 21; C. cost., 22.4.1997, n. 111.
7 Perrone, L., L’imposta comunale sugli immobili e il decentramento dell’autonomia impositiva: che delusione!, in Riv. dir. trib., 1994, I, 753-754; Marini, G., Contributo allo studio dell’imposta comunale sugli immobili, Milano, 2000, 124 ss.
8 Salvini, L., L’IMU nel quadro del federalismo fiscale, in Rass. trib., 2012, 698 s.
9 circ. 2.7.2012, n. 28/E.
10 Per un approfondimento comparatistico v. Marello, E., Contributo allo studio delle imposte patrimoniali, Milano, 2006.
11 Sulla “visibilità” del tributo patrimoniale Marello, E., Contributo allo studio delle imposte patrimoniali, cit., 231 ss.
12 Salvini, L., L’IMU nel quadro del federalismo fiscale, cit., 697 ss.